Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Lisbeth Salander    24/05/2020    8 recensioni
Tutto ciò che Andromeda Black sapeva di se stessa fino ai suoi sedici anni si riassumeva nell’essere una figlia ubbidiente. Le piaceva osservare lo sguardo fiero di sua madre Druella e l’espressione compiaciuta del padre Cygnus ogni volta che lei, la loro secondogenita, si dimostrava perfettamente all’altezza delle aspettative.
Andromeda, contrariamente alla prima figlia, Bellatrix, sembrava aver ereditato l’espressione dolce di sua madre, accompagnata alla naturale eleganza e bellezza dei Black.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Ted Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, II guerra magica/Libri 5-7
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lo splendore della disobbedienza

Tutto ciò che Andromeda Black sapeva di se stessa fino ai suoi sedici anni si riassumeva nell’essere una figlia ubbidiente. Le piaceva osservare lo sguardo fiero di sua madre Druella e l’espressione compiaciuta del padre Cygnus ogni volta che lei, la loro secondogenita, si dimostrava perfettamente all’altezza delle aspettative.
Andromeda, contrariamente alla prima figlia, Bellatrix, sembrava aver ereditato l’espressione dolce di sua madre, accompagnata alla naturale eleganza e bellezza dei Black.
Questo, secondo Cygnus Black, la rendeva «la più bella delle sue figlie» perché dotata di una bellezza perfetta, non quella fragile e delicata della minore, Narcissa, né quella rabbiosa ed intimidatoria di Bellatrix.
Fino al giorno dei suoi sedici anni, Andromeda aveva rispettato perfettamente tutti gli standard e tutte le aspettative dei suoi genitori. Estremamente precoce nelle manifestazioni di magia spontanea, si era dimostrata una studentessa paziente, disciplinata e brillante quando ancora era affidata all’educazione domestica, conquistandosi la gratitudine dei propri genitori abituati a combattere con il carattere impetuoso della primogenita.
Andromeda, invece, li aiutava pazientemente con la sorella minore, straordinariamente legata a lei. Le si riconosceva il merito di riuscire a calmare anche il cugino Sirius Black, dal carattere ancor più irruento ed indomabile di Bellatrix: sua zia Walburga le ripeteva, con la durezza che la contraddistingueva, come fosse l’unica in grado di fronteggiare il caratteraccio di suo figlio.
Era – si ripeteva Andromeda – il beneficio dell’essere considerata la cugina preferita da parte di Sirius, più piccolo di circa sei anni, ed il potere di quella dolcezza che sembrava essere un gene recessivo in casa Black.
Una volta arrivata alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, la seconda sorella Black si era mostrata, ancora una volta, all’altezza delle aspettative della «Antichissima e Nobilissima casata dei Black», venendo smistata in Serpeverde, come tutti in famiglia. Il Professor Lumacorno sottolineava spesso – e con orgoglio – che tutti i Black, da generazioni, appartenevano alla Casa di Salazar Serpeverde da lui diretta e di essere certo che questa tradizione sarebbe continuata anche con la loro discendenza.
Mai una volta, in quegli anni, Andromeda era andata incontro ad una punizione. Era, secondo l’autorevole opinione dei suoi professori, una studentessa brillante con uno spiccato talento per Incantesimi, divenuta Prefetto al quinto anno e destinata a diventare Caposcuola, onore del quale sua sorella Bellatrix era stata privata, nonostante le molteplici pressioni dei genitori sui Consiglieri e sul Preside, a causa della scarsa attitudine a seguire le regole.
Qualche volta Andromeda aveva temuto che il carattere di sua sorella e l’incredibile somiglianza fisica tra le due avrebbe finito per pregiudicarla. Più di una volta, durante i suoi primi anni a scuola, le era sembrato di scorgere sguardi enigmatici da parte dei professori, ancora intenti a studiarla.
La sua perfetta osservanza delle regole, però, li aveva conquistati dal primo all’ultimo. Andromeda Black era una delle studentesse più brillanti della scuola ed era chiara la differenza con la maggiore delle sorelle Black.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, il 25 ottobre 1969, qualcosa nella mente e nel cuore di Andromeda Black era irreversibilmente cambiata a causa del Capitano della squadra di Tassorosso, Ted Tonks.
Tra le regole che Andromeda aveva seguito sin da bambina campeggiava come principio supremo ed indefettibile la primazia del sangue magico. «Toujours pur» era, infatti, il motto della sua famiglia da generazioni, da secoli, da sempre. I Black erano destinati a sposare soltanto Purosangue.
Non c’era stato davvero bisogno di esplicitarla quella regola. Andromeda l’aveva sempre saputo che tra i doveri di brava figlia, di buona Black, c’era quello – una volta terminati gli studi – di sposarsi con qualcuno che suo padre e sua madre avrebbero scelto per lei come era stato per sua sorella, sposatasi con Rodolphus Lestrange sei mesi dopo l’ultimo viaggio sull’Espresso per Hogwarts.
Durante quell’estate aveva sentito i suoi genitori discutere del figlio dei MacNair, con cui l’avevano spinta a ballare al matrimonio di Bellatrix.
Andromeda non aveva mai davvero pensato che un altro destino fosse possibile per lei.
Fino a quel sabato di ottobre, Andromeda aveva avuto una visione chiara del suo futuro: una linea retta, che i suoi genitori avevano già tracciato per lei.
Tutte le sue certezze, però, crollarono davanti ad uno scaffale di Mielandia che conteneva l’ultima confezone di Api Frizzole e all’impetuoso sfiorarsi di mano dello sconosciuto che, come lei, voleva accaparrarsi l’ultima confezione.
«Oh, no! A quanto pare ci dovremo contendere l’ultima scatola».
La voce che si rivolse a lei era squillante e vivace. Quando Andromeda fissò il proprietario di quella voce, pensò che tutto in lui fosse straordinariamente vivace. Persino gli occhi nocciola e i capelli biondo cenere sembravano partecipi di quell’aura amichevole e gioviale che emanava Edward, detto Ted, Tonks.
Quel che più l’aveva colpita di Ted Tonks era il calore che aveva avvertito dal semplice sfiorarsi delle loro mani.
«Sai, oggi è il mio compleanno. Credo che dovrei avere la precedenza» aveva risposto lei.
Ted le aveva sorriso divertito e con quel suo modo di fare così confortante si era offerto di comprarlo per lei e poi le aveva strappato la promessa di dividerne un po’ con lui.
E così, su una panchina poco lontana dal centro del piccolo villaggio di Hogsmeade e grazie ad un pacchetto di Api Frizzole, Andromeda Black scoprì lo splendore della disobbedienza.
La linea retta che era il futuro indicato per lei dai suoi genitori iniziò a diventare, ai suoi occhi, sempre più sfumata, sempre più lontana, e dinanzi a sé cominciarono a delinearsi altre linee, altre strade, altre possibilità che non credeva di avere.
Con Ted Tonks Andromeda non sentiva più su di sé gli sguardi dei propri genitori, né la voce di sua madre che le ripeteva le regole da seguire. Con Ted Andromeda aveva scoperto che non c’erano obblighi ma nuove occasioni, nuove scoperte. Con Ted c’era libertà.
In cuor suo aveva saputo come sarebbe andata a finire sin dal momento in cui lui le aveva detto, con il tono cristallino che lo contraddistingueva, che i suoi genitori erano un’infermiera e un ingegnere.
Ted le aveva fatto scoprire che ogni cosa nella quale aveva fermamente creduto sino ai suoi sedici anni doveva essere rivista. Tutte quelle convinzioni sulla purezza del sangue si infransero presto nelle obiezioni dure di Ted, seguite dal suo sorriso di rimprovero.
 
«Non prendertela troppo, Dromeda. Si sa che voi Black siete un po’ retrogradi. Altrimenti per quale ragione non mi avresti mai parlato prima?!».
 
Andromeda aveva scoperto di essere brava a mentire, ad utilizzare il credito che quella cieca obbedienza nei confronti dei suoi genitori le aveva fatto conquistare. In questo modo era riuscita a camuffare la fitta corrispondenza con Ted e a nascondere i loro sporadici incontri durante le vacanze estive.
L’amore per Ted era stato, per Andromeda, una vera e propria rivelazione, spogliandola di tutti i pregiudizi, mostrandole la vita di infelicità alla quale sarebbe andata incontro se solo non lo avesse incontrato.
 
«La mia famiglia non mi permetterà mai di stare con te».
«Allora che vuoi fare? Mi vuoi lasciare, Dromeda?».
«Mai. Scappo con te».
 
E Andromeda era scappata in una notte del luglio 1971, appena diciottenne, appena tornata da Hogwarts. Aveva detto tutto soltanto a Narcissa, sua sorella, conscia che Bellatrix non avrebbe mai capito. Narcissa, invece, dall’indole più simile alla sua, aveva provato a trattenerla, disperata all’idea di rimanere sola in balìa dei loro genitori, troppo debole per resistere alle loro pressioni.
Andromeda aveva provato a trascinarla con sé ma era stato inutile.
Così Andromeda aveva smesso di essere una Black e poche settimane dopo era diventata una Tonks.
Quando due anni dopo aveva dato alla luce sua figlia, Nymphadora, Andromeda si era ripromessa che le avrebbe insegnato a disobbedire, se disobbedire significava scegliere la propria felicità.
Nymphadora, però, non aveva mai avuto bisogno di grandi insegnamenti sul punto. Forse perché frutto della sua di disobbedienza, Andromeda vedeva in sua figlia l’ostinato inseguire i propri ideali. Lei era leale, dolce ed impavida sin dai suoi primi anni d’età.
Quel che Andromeda aveva imparato con gli anni, per Nymphadora, invece, era stato innato.
Aveva sempre creduto che avesse preso tutto da Ted, compresa una certa propensione per i guai che le erano costati negli anni più di una lettera da parte di Pomona Sprite, Direttrice della Casa Tassorosso in cui Dora, come la chiamavano affettuosamente in famiglia, era stata smistata.
Andromeda non si era scomposta nemmeno dinanzi alla decisione di sua figlia di diventare Auror. Aveva provato, piuttosto, un senso di fierezza ed orgoglio per la scelta di quella figlia così coraggiosa e che, sin dai primi giorni, era divenuta la pupilla di Alastor Moody, considerato uno dei migliori Auror di tutti i tempi.
Non aveva mai rimpianto negli anni di aver ripetuto a sua figlia quanto fosse importante lottare per amore, per i propri sentimenti. La sua Dora sembrava nata per questo.
Non si era stupita che si fosse arruolata nell’Ordine della Fenice. Del resto, lei e suo marito avevano deciso di appoggiarla e di schierarsi apertamente contro il nuovo regime di terrore, contrariamente a quanto fatto nella Prima Guerra Magica. La fuga da Azkaban di Bellatrix l’aveva intimorita più di quanto non avesse osato confessare a Ted e la notizia che fosse stata sua sorella ad uccidere Sirius, suo cugino, era stata per lei fonte di molteplici incubi.

Aveva ricominciato, nella propria testa, a chiedersi cosa pensasse sua madre Druella, ancora viva, di una Black che uccide un altro Black.
Aveva sussultato alle domande continue di Nymphadora sulla sua vita di prima, incuriosita dai racconti di Sirius e dall’aver frequentato Grimmauld Place n. 12.
 
«Ma com’era tua zia Walburga? Era davvero così pazza come dice Sirius? Certo, per appendere quel dipinto orribile… Lo sai che nell’albero genealogico io non ci sono nemmeno!? Poteva mettermi e poi bruciacchiarmi, eh?!».
 
La tormentava di domande con i suoi capelli che cambiavano colore a seconda del grado di soddisfazione che le sue risposte le davano.
C’era stato un momento, un preciso momento, però, in cui Andromeda Tonks aveva davvero tremato ed era stato l’istante in cui Nymphadora le aveva confessato di essersi perdutamente innamorata.

Aveva sempre sperato che sua figlia vivesse un amore travolgente come il suo, un amore buono, che le indicasse la strada, che rappresentasse per lei una sorta di rivelazione di quei lati di sé che Nymphadora ancora non conosceva.
Sua figlia, però, si era innamorata di Remus John Lupin, uomo buono, coraggioso, leale, più grande di lei di circa tredici anni e, soprattutto, un Lupo Mannaro. Egoisticamente avrebbe preferito per lei un amore semplice, facile, che non la facesse soffrire. Una parte di sé e – ne era certa – anche di Ted aveva sperato che Nymphadora si rassegnasse dinanzi ai plurimi – e a suo parere fondati – rifiuti di Lupin ma Dora sembrava avere una fede cieca in quell’amore, in quell’essere giusti l’uno per l’altra.
«Forse dovresti rispettare la sua volontà, Dora» le aveva suggerito una sera a cena, dopo un suo lungo sfogo.
«Tu non capisci, mamma. Lo avresti mai lasciato andare papà? Remus ed io…quando siamo insieme, non conta più niente. È quando va via e rimane solo che va in paranoia. Ha perso tutti, tutti quanti e teme che perderà anche me».
«E che vuoi fare? Vuoi stare con lui per salvarlo, Dora? Non è un buon presupposto per una relazione. Poi è tanto più grande di te e la sua condizione…».
«Non pensavo che avessi pregiudizi proprio tu, che hai rinnegato ogni cosa pur di stare con papà» aveva ribattuto con una durezza che non le aveva mai sentito «Voglio stare con lui perché so di poter essere tutto il suo mondo, di potergli ridare tutto, come lui fa con me».
E così Nymphadora aveva finito per disobbedire non a rigide regole familiari, come sua madre, ma alle stesse volontà dell’uomo che amava con tutta se stessa, costretta a vincere ogni volta le resistenze di un uomo con cui la vita non era stata gentile ma ne aveva tratto tutta la felicità possibile.
Poi era venuto il giorno in cui Andromeda Tonks aveva iniziato a tormentarsi, chiedendosi se quegli anni di felicità assoluta e perfetta non le stessero costando troppo perché tutta quella felicità era scomparsa con suo marito, Ted, costretto alla clandestinità dalla nuova assurda politica ministeriale.
 
«Stai tranquilla, Dromeda. Tornerò. Torno sempre. Stiamo per diventare nonni. Tu, intanto, prenditi cura di Dora e di Remus. Ne hanno bisogno. Questi ragazzi hanno una vita molto più difficile della nostra».
 
Ted non era tornato, non quella volta. Così Andromeda era rimasta vedova, a quarantacinque anni, con un genero licantropo ed una figlia incinta, che sua sorella pluriomicida desiderava uccidere.
Distrutta dal dolore, continuava a chiedersi se questo fosse il prezzo della sua disobbedienza passata, del non aver seguito quella linea retta tracciata dalla sua famiglia. Si domandava se non sarebbe stata preferibile una vita piatta accanto ad un uomo scelto dai propri genitori al posto di quella sofferenza senza fine, che le spaccava il cuore in ogni momento della giornata.
In alcuni momenti pensava che con Ted fosse andato via tutto, persino se stessa; in altri si faceva coraggio e si ripeteva che le era rimasta solo Dora.
In un terso mercoledì di fine aprile del 1998, però, Andromeda Tonks era tornata a respirare e di nuovo ciò era accaduto grazie ad un Ted. Questa volta si chiamava Edward Remus Lupin, da subito soprannominato Teddy, ed era, senza se e senza ma, il bambino più bello del mondo.
Teddy era stato per lei, per Dora e per Remus la quintessenza della felicità, riuscendo a spazzare via qualsiasi nuvola.
 
«Non ti ho mai visto sorridere così» aveva detto una radiosa Nymphadora a suo marito che fissava in adorazione il loro bambino appena nato.
«Stavo pensando a James. Se fosse qui, mi direbbe che ho impiegato troppo tempo a generare un degno erede di Lupin e che lui l’aveva sempre saputo che, alla fine, sarei diventato padre» aveva detto Remus con un’aria tra il sognante ed il malinconico.
«E Sirius? Che ti avrebbe detto?» si era intromessa Andromeda.
«Si sarebbe lamentato per essere stato lasciato solo nel club degli scapoli e poi mi avrebbe chiesto di essere il padrino».
«Dovremmo chiederlo ad Harry» aveva continuato Dora «Di essere il suo padrino. Avrei voluto fosse papà ma lui non è qui».
Un silenzio triste aveva invaso la camera da letto, spezzato soltanto dai mugolii di Teddy.
«Che avrebbe detto Ted?» chiese, poi, Remus guardando Andromeda.
«Che non era possibile altra scelta e che ne sarebbe stato onorato. Avrebbe amato essere suo nonno».
 
Andromeda non aveva mai pensato a cosa sarebbe stato dopo. Aveva ingenuamente creduto che Dora e Remus avrebbero vissuto come avevano vissuto lei e Ted, appena sposati, nascosti in un luogo sicuro con lei ed il piccolo Teddy.
Non aveva mai contemplato la possibilità che vi fosse altro e che quest’altro fosse una battaglia vera e propria alla quale Remus era stato chiamato a combattere, tra i pochi dell’Ordine che erano sopravvissuti.
Lo aveva ringraziato mentalmente per aver imposto a Dora di rimanere a casa, ancora non pienamente ripresasi dal parto.
Non era andato via da nemmeno un’ora quando sua figlia piombò in salotto, vestita e pronta per andare a combattere accanto a suo marito.
Andromeda l’aveva supplicata, le aveva ricordato delle parole di Remus, le aveva chiesto di rimanere per Teddy, aveva invocato qualsiasi buon senso, fatto leva su qualsiasi possibile senso di colpa.
Una sola frase di sua figlia aveva, però, posto fine ad ogni obiezione.

«Se avessi saputo che papà era in pericolo, che quel giorno poteva essere il suo ultimo giorno, non avresti fatto qualsiasi cosa per stare con lui anche a costo di lasciarmi sola?».
 
Così Nymphadora Tonks – anzi, Nymphadora Lupin – era andata a combattere accanto a suo marito portandosi dietro quella disobbedienza che l’aveva sempre accompagnata.
Quando all’alba del 2 maggio Andromeda aveva sentito bussare alla porta e si era trovata dinanzi i visi stravolti di Kingsley Shacklebolt e Horace Lumacorno, aveva saputo che sua figlia e suo genero non sarebbero mai più tornati.
Si sarebbe chiesta a lungo, negli anni successivi, se avrebbe dovuto agire diversamente come madre, se avrebbe dovuto comportarsi più come la propria ed arginare la naturale indole insubordinata di Dora. Si sarebbe chiesta se l’obbedienza avrebbe potuto salvare sua figlia da una morte così prematura.
L’unica risposta possibile era che, sì, si sarebbe certamente salvata ma non sarebbe mai stata felice, che non sarebbe mai stata Dora così fiera, orgogliosa, coraggiosa e leale fino alla morte e alla fine si arrese a ciò che era stato, ricordando le parole di uno spettacolo teatrale babbano a cui l’aveva portata Ted molti anni prima.
 
 Prendi tua figlia e insegnale lo splendore della disobbedienza.
È rischioso, ma è più rischioso non farlo mai.
 

Note: Questa storia è stata letteralmente un parto. L'avevo in testa da tempo, da quando ho trovato la citazione conclusiva che dovrebbe provenire da un articolo di alcuni anni fa (credo di Romagnoli), e doveva essere diversa. Poi scrivendo è venuto fuori questo, dopo cancellature, riscritture, ripensamenti vari al punto che non ero certa di volerla pubblicare. Alla fine ho deciso di non lasciarla morire nel mio computer ma di buttarmici. 
Il fatto che la madre di Andromeda sia ancora viva non è un mio Headcanon ma è basato sulla mancanza di data di morte nell'Albero genealogico dei Black pubblicato dalla Rowling. Ho immaginato, quindi, che negli anni del Principe Mezzosangue/Doni della Morte fosse comunque ancora viva.  Per il resto mi sono basata un po' sui libri, un po' sul Lexicon per le date.

 
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Lisbeth Salander