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Autore: MaikoxMilo    26/05/2020    6 recensioni
Sulle note di "Parallel Hearts", l'opening di Pandora Hearts, ecco una breve storia di tre capitoli che tratta del rapporto tra Camus, Hyoga e Isaac, le vicissitudini, i ricordi, le emozioni, i silenzi, le frasi non dette. Non c'è vento benefico per il marinaio che non sa dove andare, ma, spesso, comunque, la strada che scegliamo di percorrere non è agevole, non ti porta dove vorresti, oppure, è ostruita. Tre strade partite in comune, tre destinazioni diverse, a volte inaspettate, ma finché i loro cuori continueranno a rimanere paralleli, non si perderanno mai del tutto, qualsiasi cosa accada.
ATTO I: Camus (4 giugno del 2011)
ATTO II: Hyoga (11 giugno del 2011)
ATTO III: Isaac (In un luogo indefinito, in un tempo imprecisato)
La storia fa parte della mia solita serie: "passato... presente... futuro!", ma è fruibile a tutti perché si situa prima dello svolgere degli avvenimenti della "Guerra per il dominio del mondo". Buona lettura a tutti!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Gemini Kanon, Kraken Isaac
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Quando Isaac si era risvegliato ad Atlantide, diverso tempo indefinito dopo, con un occhio in meno e il dolore netto e profondo alla palpebra sinistra, come se ce l’avesse ancora, vi aveva trovato un Generale dei Mari che si faceva chiamare Dragone Marino. Un nemico. Così avrebbe dovuto essere, essendo lui un futuro Cavaliere di Atena. Avrebbe. Era la parola esatta.

Gli aveva chiesto dove si trovasse, chi era realmente e come mai fosse ancora vivo. E Dragone Marino aveva risposto, con voce sardonica e un sorrisetto irriverente, senza neanche togliersi il pesante elmo che nascondeva gran parte del suo viso, a due domande su tre. Quella inerente alla sua persona l’aveva snobbata con un esaustivo: “Un Generale del Sommo Poseidone non ha passato, solo il presente e il futuro”.

BALLE.

Isaac questo lo aveva capito fin da subito, che quel tipo nascondesse più verità di quante ne mostrava. Il suo cosmo, del resto, era ampio e… dorato, non poteva sbagliarsi. Si limitò a guardarlo torvamente, fingendo di abboccare a tutte le manfrine che andava dicendo.

Il fatto era che a lui non importava; non importava chi fosse, né il luogo in cui si era insperatamente ritrovato vivo, se non per capirne le coordinate e tentare una fuga.

Attese.

Attese per ore.

Per giorni.

Finché le forze non furono sufficienti per tentare di tornare indietro, dalla sua famiglia, quella che aveva lasciato in Siberia.

Isaac voleva semplicemente tornare a casa, perché il tempo passava troppo alla svelta, Camus e Hyoga probabilmente si erano preoccupati da morire per lui, per la sua scomparsa, forse addirittura da reputarlo morto, ma lui era vivo, era scampato alla Nera Signora, desiderava semplicemente farglielo sapere, ricongiungersi a loro, le persone più importanti della sua vita.

Così provò a fare.

Messe da parte le energie necessarie, tentò l’impresa un giorno che Dragone Marino non lo vegliava nella stanza, non c’era neanche la Signorina Thetis nelle vicinanze, la situazione era propizia.

Raccolse tutte le forze per alzarsi in piedi, coprendosi le nudità con il lenzuolo. Stranamente aveva freddo, un freddo viscerale, si avvolse il busto alla ben meglio, sgattaiolando poi via da quel tempio in stile corinzio con l’ovvio intento di non farci più ritorno.

Isaac, in verità, non aveva la più pallida idea di dove andare, né di come risalire in superficie, ma lo avrebbe fatto anche a nuoto, all’occorrenza, anche se dubitava di avere abbastanza fiato in corpo per portare il suo fisico così al limite. In ogni caso, erano questioni che passavano in secondo piano, un passaggio per arrivare lì c’era stato, era sicuro che ne avrebbe trovato un altro, un’apertura, o perlomeno qualcosa di simile. Assolutamente!

Zampettò per le colonne, svicolando le guardie che facevano la ronda.

Poi camminò, un poco più sicuro: forse aveva trovato una pista, un’impronta, una sensazione… qualcosa di non ben definito che lo attirava, come una calamita.

Alla fine corse, per centinaia e centinaia di metri, fino a sforare nei chilometri. Il fiato cominciava già a mancargli in corpo, ma le palpitazioni acceleravano, trasmettendogli la sicurezza che stava perseguendo il cammino giusto; quel cammino che lo avrebbe fatto ricongiungere ai suoi cari. Le sue iridi si spalancarono in un tumulto nell’immaginarsi i loro visi sorridenti. Calore… forse avrebbe potuto raggiungerlo di nuovo.

Commosso da quella consapevolezza, Isaac si arrestò nello scorgere un grosso edificio sempre rassomigliante ad un tempio greco, ma assai più grosso di quello in cui era stato ospitato. Sussultò, per poi sobbalzare nello scorgere, traboccante da dentro, una immensa struttura di ghiaccio.

In principio ne ebbe timore, indietreggiando di un passo, era stato quell’artefatto ad attirare la sua attenzione, a condurlo lì… ancora emanava un cosmo rassicurante e potente allo stesso tempo, ma come fosse stata possibile quella manifestazione era un mistero. Che quello fosse il passaggio per tornare in superficie?

Si avvicinò, esitante. Quel ghiaccio sembrava vecchio di secoli, incastonando così il tempio, come un insetto nell'ambra. Un moto di delusione avvolse il ragazzo quando, avvicinandosi ulteriormente all’entrata principale, si rese conto che, previa distruzione del ghiaccio medesimo, sarebbe stato impossibile accedervi.

Una nota di tristezza e malinconia lo avvolse, confondendolo ancora di più: non erano del tutto sue, quelle emozioni, lui semplicemente le percepiva sotto pelle, ed era come se quel luogo esacerbasse il tutto.

La sua mano si posò gentilmente proprio sullo spesso strato di permafrost, il contatto gli diede immediatamente una scossa che gli trapassò il cervello, mentre immagini prive di apparente senso, nonché difficili da codificare, gli passavano velocemente come vetri appannati dalla pioggia.

Strinse i denti, allontanandosi bruscamente. Quei frammenti di ricordi… non erano i suoi! Si sentì stordito.

Si massaggiò la fronte, confuso, dove ancora spiccava il bendaggio sulla ferita all’occhio, poco dopo iniziò a soppesare quanto confusamente aveva intravisto in quel veloce susseguirsi di scene lontane nel tempo. Tra tutti, il suo cervello si era soffermato su un’armatura fatta di scaglie, un’armatura che aveva già visto, e che apparteneva a…

Io non violerei quel manufatto… - gli disse una voce pungente dietro alle sue spalle – A meno che tu non sia un profanatore di tombe!”

Dragone Marino! - lo riconobbe Isaac, mettendosi immediatamente in posizione d’attacco – Cosa intendi?”

Né più né meno quello che ho appena detto...”

Questa immensa struttura di ghiaccio… è posta a simulacro di una tomba?!” chiese delucidazioni il ragazzo, ancora sul chi vive, ma rilassandosi impercettibilmente. Quel luogo gli infondeva fiducia, regalandogli un po’ di calore che aveva creduto perso. Non si spiegava la ragione.

Esatto. L’autore, e la sua consorte, sono coloro che riposano tra queste immense pareti di ghiaccio che li separano dal mondo dei vivi. Ghiaccio allo Zero Assoluto… tu sai cosa significa!”

Isaac sussultò nuovamente, impietrito da quell’ultima, spasmodica, dichiarazione, anche se pronunciata in un tono indifferente. Tornò a guardare quell’opera stupefacente: chi lo aveva raggiunto, quel limite invalicabile?

Dragone Marino intanto aveva preso a passeggiare lì intorno, sempre con quel sorriso irriverente che si distingueva appena da sotto l’elmo. Pareva una iena in attesa di colpire al momento propizio la sua preda, che in quel momento stava lì, confusa e smarrita più che mai.

Quale… quale uomo può operare un tale miracolo e, soprattutto, come… come ci è riuscito?” chiese, sbalordito e tremante.

Dragone Marino fermò i suoi passi, permettendosi di osservare il ragazzo impetuoso di sottecchi. Doveva ammettere che era ridicolo, così avvolto dal lenzuolo che aveva utilizzato per avvolgere il suo corpo nudo, con quella ferita nella parte sinistra del volto, ancora non del tutto chiusa, sembrava davvero un mostriciattolo, un diverso, un ‘altro’, uno scarto… esattamente come lui! Sbuffò, prima di schernirlo con le risate. Doveva ammettere, suo malgrado, che ammirava un po’ la sua tempra.

P-piantala, o...”

Isaac aveva capito che si stava facendo beffe di lui e aveva alzato conseguentemente il pugno, minaccioso, anche se era poco credibile, perché la sua debolezza era tale da permettergli a malapena di reggere il suo stesso peso, non di certo per tentare un attacco e porre così termine a quegli sberleffi che lo irritavano alquanto.

Raffredda i bollori, ragazzo irruente, e rispondi tu piuttosto ad una domanda: dove stavi andando?” chiese l’altro, con insolenza, incrociando le braccia al petto e continuando a fissarlo.

Isaac avrebbe voluto rispondergli che non erano affari suoi, di dove andava, che poteva blaterare anche per ore e ore di come lui fosse stato ‘toccato dal Kraken’, ma che la verità era che aveva davanti un futuro Cavaliere di Atena e che, come tale, lo avrebbe presto estirpato come si estirpa la radice del male, ma inaspettatamente raddrizzò la schiena, sostenendo il suo sguardo, dicendogli a chiare lettere la verità con un orgoglio che quasi lo rendeva solenne.

Torno a casa, Dragone Marino, grazie per le cure, ma questo non è posto per me, anzi, se mi indicassi anche la strada per risalire in superficie mi faresti un immenso piacere!”

Dragone Marino non si trattenne più a quelle ennesime, squinternate, parole cariche di pathos, sghignazzò con ancora più forza, le risate riecheggiarono intensamente nei dintorni, dando quasi l’impulso ad Isaac di attaccare per davvero quel folle per farlo tacere, ma si ricordò della temperanza.

Poseidone ti ha salvato, ragazzo… e tu lo ripaghi in questa maniera, allontanandoti da Atlantide?! E’ così che fa un Cavaliere di Atena? E’ così che si sdebita?”

Isaac abbassò lo sguardo. Per la prima volta, da quando si trovava lì, le sue convinzioni vacillarono. Poco dopo avvertì i passi di Dragone Marino avvicinarsi a lui e quello, solo quello, gli diede la spinta a reagire immediatamente.

Stai lontano!” lo minacciò, dirigendo la sua Diamond Dust ai piedi del Generale, come preavviso.

Dragone Marino si fermò, più per contemplare quel sottile strato di bina, del tutto innocuo, se non per scivolare, più perché davvero impressionato. Non lo era affatto, in effetti, sapeva bene che quel ragazzo poteva fare di più, molto di più, ma le forze gli mancavano.

Oh, Isaac… sei anni in Siberia per produrre questo?! Per… sputare per terra un nevischio di così bassa qualità?! Questi sono i frutti dell’allenamento con il tuo maestro? Questo è quello che vi insegna Camus dell’Acquario?! - gli chiese, canzonatorio, riprendendo a muoversi verso di lui – Patetico...”

TU! Tu, non osare...” sibilò ancora Isaac, a denti stretti, alzando nuovamente il pugno per attaccarlo di nuovo, ma le gambe gli cedettero, e cadde ginocchioni per terra, ansimando.

Che poi… dove vuoi andare, conciato così? Neanche ti reggi in piedi, guardati, latri come un cane con la lingua a penzoloni!”

Isaac si sentiva fiacco, pressato, sul punto di svenire totalmente, ciò nonostante, quando rialzò lo sguardo, l’occhio rimastogli era più splendente e solenne che mai.

Dovrai fermarmi con la forza, Dragone Marino! Io voglio tornare a casa, dal mio Maestro Camus e da Hyoga, mio fratello… allontanati!” riprese baldanza, fremendo per la rabbia.

Con la forza? Mi basterebbe un dito per farti ripiombare nel mondo dei sogni, o per causarti abbastanza male da metterti al tappeto per un’altra settimana, ma sei un mio compagno, alla violenza preferisco le...”

Tieni la tua lingua biforcuta per te, ed evita di darmi titoli che non ti competono! Io non sono un tuo compagno, sono un tuo nemico, un Cavaliere di Atena addestrato da Camus dell’Acquario! - stabilì con forza Isaac, rialzandosi faticosamente in piedi e bruciando quel che restava del suo cosmo – ALLONTANATI, ho detto!”

Oho, dove non arriva il tuo fisico, al limite, giungono le tue parole, a quanto vedo, sei sagace, ragazzo… - si ammorbidì un poco, non mascherando comunque il sorrisetto – E’ passato più di un mese dalla tua scomparsa, la famiglia di cui abbisogni, se ne sarà già fatta una ragione!”

No, non il Maestro Camus, e neanche Hyoga, loro… sono così simili! Sembrano uno il riflesso dell’altro, eppure, proprio per questo, non riescono totalmente a capirsi! Conoscendoli, si sentiranno in colpa, non dandosi pace, ed io… io voglio rassicurarli che sto bene, ricongiungendomi con loro. Fatti da parte! Non lo ripeterò un’altra volta!”

Il cosmo di Isaac tornò a brillare, acceso come non mai, portando così il suo fisico ulteriormente al limite. Dragone Marino lo capì; capì che era tutto un bluff per darsi un tono, che non gli avrebbe arrecato danni, ma che, nondimeno, spinto dalle sue convinzioni, avrebbe rischiato di infiammarsi in un lampo, prima di finire in cenere e morire. Non poteva permettesi di perdere il Kraken, gli serviva.

Fortunatamente fu il cosmo stesso del giovane a collassare su sé stesso, finì quindi a terra, il petto sconquassato, il volto sul marmo, mentre, a fatica, provava caparbiamente a rialzarsi. La mano di Dragone Marino fu immediatamente sopra la sua schiena, lo trattenne lì.

Fermati un attimo a ragionare, visto di chi sei discepolo dovrebbe venirti abbastanza bene! - lo fermò, in tono basso, quasi sillabando lettera per lettera – Dove vorresti andare, ti richiedo?”

S-su, in superficie, sei sordo? Non mi hai udito?!” ribatté Isaac, sollevandosi per lo meno sugli avambracci frustrato dalla sua debolezza che non gli permetteva di reagire

Uhmpf, morirai… nel processo!”

Una parte di me è già morta, senza di loro, non mi...”

Per quale ragione, poi? Per vedere il tuo amico Hyoga indossare le vestigia del Cigno? Questo tu vuoi?!”

Isaac si bloccò su quella frase, spalancando l’unico occhio rimasto mentre l’altro a seguito del movimento del sopracciglio, venne scosso da una fitta di dolore. E tacque, sgomento. Aveva promesso al Maestro Camus che sarebbe stato lui ad averla, non perché non conoscesse il valore di Hyoga, anzi, proprio per quello. Il biondo era come un fratello per lui, un rivale, un obiettivo da raggiungere, una ragione in più per rivelarsi degno. Tuttavia… ora che lui era scomparso, l’armatura sarebbe andata a lui, al biondo, senza neanche la possibilità di un raffronto. Isaac non solo aveva perso, era proprio stato eliminato disonorevolmente dalla gara.!

Hyoga… Maestro Camus…

Se… se lui ne è degno, se l’armatura lo riconoscerà… non ha importanza! Io voglio dimostrare di essere ancora di una qualche utilità, v-voglio combattere al fianco di Camus e… non sono finito… - biascicò a denti stretti, mentre un rivolo di lacrime gli usciva dall’occhio e il respiro gli si mozzava in petto – NON SONO FINITO!!!” ripeté, urlando con tutte le forze che gli restavano, incassando il volto tra le braccia, quasi nel volersi nascondere.

Povero scarto… - gli sussurrò all’orecchio Dragone Marino, in tono falsamente dolce, continuando a passare le mani sulla sua schiena. I sensi di Isaac venivano sempre meno, era sempre più sfiancato – Anche tu, nonostante il potenziale inesauribile, sei stato sbalzato via dal tristo fato che, ancora una volta, ha scelto la personalità più scadente. Io so come ci si sente, credimi… so cosa si prova ad essere un rifiuto, la rabbia che ne deriva, la consapevolezza di valere più di ogni altro e di essere bypassato da qualcuno assai meno potente di te, meno determinato, meno… tutto!”

S-STAI Z-ZITTO, NON… non...”

Osare, avrebbe voluto dire, ma stava svenendo, di nuovo, non poteva permetterlo, non…

Una mano tra i suoi capelli, così diversa da quella di Camus, così fredda, quasi meccanica, non recava in sé alcun calore, alcuna rassicurazione, si sentì più solo di prima, più solo che mai.

Non c’è più alcun posto per te, lassù, ma qui qualcuno ha già ampiamente riconosciuto il tuo potenziale e ti ha già toccato, imprimendoti la sua effige. Devi solo accettarla, Isaac… quando succederà, capirai la vera giustizia dove risiede, non da Atena, dea della Saggezza e della Guerra, ma da Poseidone, uno dei tre campioni, il dio dei mari e di tutte le acque, e tu ne sei uno dei suoi Generali!”

Isaac non riuscì ad udire nient’altro per un tempo ulteriormente indefinito… cedette, abbandonandosi nuovamente alle tenebre.

...O almeno così rammentava, perché in quel momento, senza più sapere cosa fosse autentico e cosa no, qualcosa cambiò.

Una luce dorata, potente, calda, in perfetta antitesi con il colpo congelante che scaturì da lì a breve, lo fece immediatamente ridestare, anche se la palpebra, pesante, aveva seguitato a rimanere chiusa.

Percepì appena il balzo di Dragone Marino per evitare quell’attacco, percepì, per la prima volta la sua sorpresa, il suo non aver calcolato un incognita che, invece, molto probabilmente, avrebbe dovuto valutare.

Tu?! Tu qui?!?”

Isaac non capì a chi era rivolta quell’esclamazione, era tanto, troppo stremato. Si accorse infine che un’altra mano si era posata su di lui, più leggera e delicata, tiepida, profumava di frizzante, come la brezza autunnale che precedeva la grande notte artica.

Coraggio, alzati, Isaac...”

Quella voce… possibile?! Il ragazzo fremette, cercando di sollevarsi almeno sui gomiti, di nuovo l’impulso di piangere, anche se abbandonare le lacrime era stato uno dei primi insegnamenti, alzò difficoltosamente la testa, incontrandosi così con due occhi blu, sacri, esattamente come se li ricordava. Si dimenticò di respirare, balbettò lettere sconnesse che, con non poca difficoltà, si sistemarono infine in un ordine logico.

M- m… m-ae-stro!”

Camus dell’Acquario, che diavolo ci fai qua?! E’ territorio di mia pertinenza, questo!” sbraitò Dragone Marino, furibondo come non mai davanti a quell’incognita che non avrebbe mai immaginato potesse manifestarsi.

Camus non lo degnò di uno sguardo, del tutto preso a fissare il volto dell’allievo, che ricambiò, l’occhio lucido, i residui delle lacrime sulla pelle. Aveva una nota dolente Camus, il Cavaliere dell’Acquario, nello sguardo. Si morse il labbro inferiore nel rivedere il volto stremato dell’allievo amato, mentre, con la mano tremante, gli solcava teneramente la guancia martoriata, tracciando la profonda ferita con le dita di velluto.

Senso di colpa. Isaac lo percepì, come quando era piccolo, per questo si sforzò di sorridere, recuperando quell’antica faccia buffa che mostrava da bambino, quando il maestro era troppo impensierito da qualcosa e sembrava assente.

S-sono un combinaguai… ricordate? Prima o poi sarebbe successo comunque!” tentò di alleggerire la tensione, desiderando stringerlo a sé, ma non riuscendoci. Le braccia non si muovevano, Camus sembrava così evanescente, eppure il suo tocco, così delicato, su di lui, lo sentiva distintamente. Perché quindi non riusciva a muoversi, quando avrebbe solo voluto abbracciarlo?!

Isaac… - lo chiamò per nome, emozionato come non mai, terminando di tracciare la ferita, per poi alzarsi quindi in piedi, non prima comunque di avergli regalato una nuova carezza tra i capelli – Perdonami… per tutto!” riuscì infine a sussurrare, sofferente, ergendosi comunque temerario con l’intento di affrontare il nemico con tutte le sue forze.

 

Perdonarvi? Non ho niente da perdonarvi, Maestro! Siete qui, indossando la meravigliosa armatura dell’Acquario, che vi calza a pennello… siete giunto al mio fianco...

Vi voglio bene come ad un padre, mi siete mancato così tanto, e… e…

Riportatemi a casa, vi prego, da voi, da Hyoga… in modo che io possa ritornare alla forma che avevo perso.

Riportatemi a casa… da quel calore che mi è stato strappato, vi supplico.

Voglio tornare da voi, Maestro Camus… e da Hyoga!

 

Camus, quasi lo avesse udito, si voltò tristemente verso di lui, contemplando il più a lungo possibile il suo volto, imprimendoselo meglio con gli occhi, che lo abbracciavano. Lo avevano sempre abbracciato…

Isaac, non posso portarti a casa, anche se lo vorrei con tutte le mie forze, perdonami… - farfugliò, dolente, prima di voltarsi nuovamente verso l’avversario e scattare in avanti, il palmo destro gremito di cristalli danzanti di morte – Devi risvegliarti, coraggio!”

Isaac sbatté le palpebre davanti a quell’ultima affermazione, non capendone il senso. Nello stesso momento Dragone Marino attaccò con i coralli, i quali però vennero istantaneamente congelati da un breve gesto della mano di Camus.

Dovrai fare meglio di così, Kanon di Gemini, se pensi di nutrire speranze di vittoria contro di me!”

Kanon?! Giusto, Dragone Marino si era rivelato essere il fratello gemello di Saga di Gemini, ma questo Isaac lo aveva scoperto assai dopo, poco prima della battaglia mortale contro Hyoga, come era quindi possibile?!

In quel momento Camus, incassando un nuovo colpo, si permise di scoccare una nuova occhiata all’allievo ancora a terra, che seguiva lo scontro a bocca aperta, sempre più confuso.

Coraggio, Isaac, svegliati… devi svegliarti, ragazzo, altrimenti...” non terminò la frase, perché un pugno lo centrò con precisione tra le costole che, seppur coperte dalla sacra armatura dell’Acquario, vibrarono fastidiosamente.

Mai distrarsi sul campo di battaglia… non amavi ripeterlo, Camus? Al solito predichi bene ma razzoli male!”

Maledetto!” esclamò, attaccandolo con la Diamond Dust, che però finì nel vuoto, perché Kanon aprì una breccia nello spazio-tempo, annullando così l’aria congelante.

Golden Triangle… - cantilenò, beffardo, raddrizzandosi e guardandolo trionfalmente – Stai dosando i tuoi poteri perché ci troviamo nella mente del tuo ragazzo e hai paura di danneggiarlo?! Per quanto puoi mantenere quella forma, senza crollare a terra? Mi sembri già parecchio affaticato!”

Aveva ragione, Camus aveva già il fiatone, le gambe gli tremavano e sembrava sul punto di cedere.

Maestro!”

Sto bene, Isaac, non ti agitare per me! - lo tranquillizzò in fretta, ergendosi di nuovo ad affrontare Kanon – Per quanto tempo, mi hai chiesto? Il necessario per strappare Isaac dalle tue grinfie… lo hai insozzato anche fin troppo e pagherai per questo!”

Camus sembrava arrabbiato, come raramente Isaac aveva visto, se non quando discutevano animatamente del Kraken e perdeva le staffe con lui, nello specifico, come con nessun altro.

Si dice che più siamo affezionati ad una persona più i sentimenti e le manifestazioni siano incontrollabili, eppure, dopo tutto quello che era successo, Isaac si chiese perché… perché l’ultimo anno in Siberia non avevano fatto altro che discutere animatamente? Perché avevano perso tempo a quel modo, in una stupida lotta di principi? Se ne pentì amaramente, stringendo i pugni, impotente. Lo aveva perso, per sempre, a saperlo… a saperlo non avrebbe buttato così i momenti preziosi trascorsi con lui. Avvertì una fitta al cuore.

Capisco… - prese parola Kanon, preparandosi a soffiare fuori la verità – Ti ritrovi in una condizioni esistenziale incerta, per questo ti è possibile intervenire, tramite il mondo immoto, nella mente delle persone che ami. Hai… un potere invidiabile, Camus!” disse, apprestandosi a caricare la sua tecnica più potente.

La Galaxian Explosion!” esclamò Isaac, che ormai aveva capito di non trovarsi più in un ricordo ma da un’altra parte, nondimeno non sapeva come uscirne, forse neanche voleva, dopotutto… sapeva che, se si fosse svegliato, non avrebbe potuto più combattere al fianco del suo adorato maestro, e lui era lì, per quanto inspiegabile, era lì, avvertiva il suo potente cosmo, i bagliori dorati che lo abbracciavano, come avrebbero voluto fare le sue braccia e, in ultimo, quel calore che credeva irrimediabilmente perso e che gli irrorava il corpo, trasmettendogli nuova vitalità.

Devi farlo, Isaac, questo è un sogno, non è altro che un sogno… devi risvegliarti!” lo incoraggiò ancora Camus, sentendo i suoi pensieri come propri. L’allievo non se ne meravigliò, del resto, se davvero erano nella sua mente, era più che normale.

Non voglio, Maestro, non voglio abbandonarvi!”

Non l’hai mai fatto Isaac, semmai sono stato io a...” gli sfuggì un singhiozzo, che celò in fretta, non era certo tempo per i sentimentalismi.

Io voglio… voglio combattere al vostro fianco, Maestro, l’ho sempre voluto!” continuò imperterrito Isaac, alzandosi faticosamente in piedi, caparbio.

A quelle ultime parole, sebbene la situazione non lo permettesse, perché il colpo più terribile del Cavaliere di Gemini stava per essere lanciato, l’espressione di Camus si addolcì ulteriormente, regalando all’allievo uno dei sorrisi più sinceri e aperti che gli avesse mai visto.

Anche io, soldo di cacio, anche io… avrei così tanto voluto combattere insieme a te, proteggerti, come era mio dovere fare… - confessò, tremando visibilmente, prima di ricomporsi e assumere una posizione da battaglia che Isaac non gli aveva mai visto – Devi uscire al più presto da qui, le tue energie si stanno notevolmente consumando, là fuori, nel mondo in cui sei caduto… lascia quindi che il tuo maestro ti indichi la via, ancora una volta...”

Mae…!” tentò di opporsi Isaac, mentre il terreno cominciava a tremare, facendolo cadere all’indietro. La luce stava diventando troppo abbagliante, sia quella del colpo, che quella, ancora più intensa, del cosmo dorato del suo mentore.

Ammira la quintessenza del potere congelante, Isaac, e risvegliati… FREEZING SHIELD!”

Il bagliore lo avvolse, in un coacervo di luci psichedeliche che lo confusero ancora di più, serrò le palpebre, precipitando da qualche altra parte.

 

 

* * *

 

 

Luci psichedeliche… come se si fossero stampate nelle sue cornee.

Questa fu la prima sensazione di Isaac al risveglio, avvolto dal buio imperituro, tanto da non capire, di primo acchito, se davvero le sue palpebre fossero nuovamente aperte, o se ancora si trovasse nel sogno, all’interno della sua mente.

Poi un brivido di freddo, che si dilagò ben presto a tutto il corpo, irrigidendo tutti i suoi muscoli. Si rese conto di essere nudo, di nuovo, non c’era più alcun calore a risollevarlo, neanche una semplice coperta. Morto… ancora? No, non poteva esserlo, la stanchezza che lo pressava, impedendogli il più piccolo movimento, era puramente autentica, non c’era margine di errore.

Anche il cosmo era fiacco… troppo, come se lo avesse utilizzato, o peggio, come se gli fosse stato prosciugato fin nei recessi. Era vivo… per miracolo! Ancora un secondo in più e forse, come stava dicendo Camus… CAMUS!

Tentò di rialzarsi nel pensare al suo maestro, ma non riuscì neanche ad inarcare la schiena, che una fitta all’addome stroncò sul nascere i suoi intenti. Respirava a stento, la testa gli pulsava ad intermittenza, ma quelle dannate luci psichedeliche continuavano ad ostruirgli la vista, dolendogli la testa. Avrebbe voluto dormire, ma l’istinto lo metteva in guardia di non cedere, perché la posta in gioco era molto più alta, più che con Kanon, più che in ogni circostanza passata. Da essa dipendeva la vita, o la perdizione eterna.

Cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante, aveva sempre più freddo, da battere i denti, ma quelle luci, ora statiche, ora in movimento, non accennavano a sparire… stava forse impazzendo?

Improvvisamente raggelò, avvertendo una mano rachitica che gli solcava l’addome fino a raggiungere lo sterno e lì soffermarsi, pesando come un macigno sulla sua già stentata respirazione… qualcuno era vicino a lui, troppo, e digrignava i denti in maniera sinistra, trasmettendogli la sensazione di una lama che veniva arrotata, Rabbrividì, impotente: non poteva muoversi, neanche il più piccolo cenno con la testa gli era consentito, quindi non riusciva nemmeno a scorgere l’individuo che aveva così barbaramente invaso il suo spazio vitale. Tentò di gridare, ma dalle sue labbra non uscì nulla di definito. Si ritrovò di nuovo a tossire, ricercando faticosamente l’ossigeno.

Di nuovo uno sbattere di denti, stavolta non suo, sembrava quasi… doppio, c’erano più individui intorno a lui? Che incubo atroce...

Di nuovo si sentì prosciugato dalle energie, come se spirassero via, al di fuori del suo corpo, era sempre più difficile mantenersi vigile, stava nuovamente per cedere.

“Va bene, basta così… è riuscito a risvegliarsi, trattenete la vostra fame ancora per un po’… fatemi parlare con lui!”

Isaac udì una voce metallica da qualche parte, dura, quasi impersonale, prima di avvertire l’ingente peso su petto scemare fino a scomparire e tornare quindi a respirare con meno difficoltà. Non riusciva ancora a muoversi dalla sua posizione, dovette aspettare che l’individuo si mostrasse nel suo campo visivo per scorgerlo, cosa che non si fece attendere, perché il rumore in avvicinamento gli frastornava ulteriormente le orecchie. La superficie su cui quel lento incedere si prolungava fino allo sfinimento sembrava ghiaccio, poteva udire distintamente il lento scricchiolare dei passi sul permafrost, che conosceva bene, il terreno era quindi incrostato? Si trovava in un luogo perennemente congelato? Anche quella, l’ennesima cosa in quel mondo molto più che bizzarro, Isaac non se la spiegò.

Finalmente, in mezzo a quelle luce psichedeliche, ora stabili, ora in movimento, inframezzate da un’oscurità perpetua, il giovane scorse i contorni definiti del volto di un ragazzo dagli occhi spiritati e le pupille dilatate, di un azzurro chiarissimo, tendente al bianco. Isaac sussultò a quella visione, non certo per quello sguardo così vitreo, anche se faceva raggelare il sangue nelle vene al solo incrociarlo, bensì perché quegli occhi, un tempo di un azzurro cangiante, ora vuoti come l’oltretomba, erano rimasti ben vividi nella sua memoria.

“N-non è poss… cough, cough! - tossì di nuovo, mentre l’altro, chinandosi su di lui lo costringeva a girare brutalmente il volto, senza un minimo di premura, quasi desiderasse solo contemplare la sua lenta agonia in prima fila – L-Lisakki!” riuscì infine a chiamarlo, sofferente, non potendo opporre alcuna resistenza.

“Vedo che ricordi ancora il mio nome, nonostante tu mi abbia visto morire senza muovere un dito...”

Ad Isaac fremettero le labbra, il corpo, persino qualcosa dentro di lui che, stante la debolezza, non riuscì a definire che cosa. Avvertì improvvisamente la gola secca, la lingua che si attorcigliava nel ricercare parole che non avrebbe saputo pronunciare. Poi improvvisamente la consapevolezza dentro di lui, dopo quel breve attimo di smarrimento.

“No, non sei lui, non puoi essere lui! Lisakki è morto a 6 anni, e tu… e tu...”

“Può darsi… sono comunque la sua manifestazione veritiera se il buono, ingenuo, e timoroso Lisakki fosse sopravvissuto ancora, mm, diciamo… - lo vide soppesare qualcosa, fare un rapido calcolo con le mani – 8 anni, invece di finire barbaramente ucciso quel giorno…”

“Chi… chi diavolo sei realmente?”

“Lisakki!”

“Stai mentendo!”

Isaac tentò di alzarsi, ma ricadde a terra, ogni fibra del suo corpo ululava di dolore, era in forte deficit cosmico, le articolazioni e i muscoli dolevano alquanto anche se non si sentiva ferito, annaspò, in balia degli eventi, serrando le palpebre.

Quei colori, quelle forme intorno a lui lo confondevano ancora di più, vi era il buio imperituro intorno, ma delle strane conformazioni inspiegabili, rassomiglianti ad alberi, cespugli e poco altro, emanavano luce propria. Davvero inspiegabile.

Lisakki ghignò, accarezzando i capelli di Isaac. Non vi era nulla di tenero in quel gesto, nulla di caloroso, sembrava semplicemente la rivendicazione di un possesso.

“Quell’uomo…. è corso a salvarti, è grazie a lui se ti sei svegliato, ma… a quanto pare, non è stato in grado di restituirti le energie, sei qui, nudo come un verme, pronto a diventare un lauto pasto per loro… - lo canzonò, calcando il disgusto sulle prime parole – Sai, tra poche ore sarà giorno e andranno in letargo, devono rifocillarsi con qualcosa di più… saporito!”

Isaac non capiva nulla di quello che diceva quell’essere dalle sembianze di Lisakki, si ricordò delle parole di Dègel, che aveva parlato di ‘loro’, definendoli come ‘coloro che sono precipitati nel mondo inverso’. Capì di essersi ritrovato all’esterno; in quell’esterno che sia Seraphina che Dégel non volevano che andasse. Il come ci fosse finito, però, era un mistero irrisolto.

Era tuttavia un’altra la cosa che faceva imbestialire Isaac…

“Quell’uomo… è tanto il tuo maestro quanto il mio, portagli rispetto!” ringhiò a denti stretti, furente, ma sussultò, perché la mano di Lisakki si era mossa, veloce a stringergli il collo, premendo malamente sulla carotide. Tossì.

“Camus… - pronunciò il suo nome in tono denigratorio, costringendo Isaac ad aprire gli occhi, che si incontrarono con le sue iridi del color del ghiaccio, che producevano una luce sinistra – quell’uomo fa figli e figliastri, salva i suoi eletti e lascia morire gli altri… ha lasciato morire me, perché dovrei portargli rispetto?!”

“L-lui n-non… cough, cough – Isaac respirava malamente, ma lo fissò con determinazione mista a compatimento, nel senso più ampio del termine, riprese fiato – L-lui non ti ha… lasciato morire… non ha potuto fare niente, è diverso...”

“Non ha potuto fare niente… neanche con te?”

Isaac trasalì a quell’ultima domanda a bruciapelo, fremendo violentemente. Lui, quel Lisakki, come faceva a…?

“Non ha importanza, il succo è lo stesso!”

Che leggesse nella mente? O nei ricordi? Di sicuro era un’ombra, e non bisognava esserne soggiogati. Doveva reagire, come il suo maestro gli aveva insegnato a fare, ma come?

“S-sparisci!” gli sibilò, cercando di sfuggire alla sua morsa con un movimento del collo, che tuttavia non gli riuscì, sfiancandolo ulteriormente.

“A cosa ti riferisci? A me, o alla rabbia che senti sgorgare da me, che, peraltro, è la stessa tua? Andiamo, Isaac, quell’uomo ha abbandonato tanto me quanto te, non dovresti...”

“S-stai zitto!”

“...difenderlo! Lui ha scelto di salvare te, abbandonando me; allo stesso modo, quando è giunto il tempo, ha rianimato Hyoga, lasciando te in balia delle correnti, povero figliastro irrisorio...”

“STAI ZITTO, HO DETTO!”

Il cosmo di Isaac diede un impulso, avvolgendo il corpo del ragazzo di una intensa luce bianca, che ricordava la solennità dei ghiacci siberiani. Tuttavia le forze per ravvivarlo non erano sufficienti e ben presto fu costretto nuovamente a cedere, in affanno.

Ad Isaac pulsava la testa, anche le orecchie cominciarono a sibilare mentre, con gli altri sensi, percepiva altre presenze intorno a loro. Sembravano aleggiare lì intorno, ruotando in cerchio, erano labili, leggere, quasi aeriformi, scure… ne ebbe paura, viscerale, istintiva.

“Dimmi, davvero non ha potuto fare niente per te? Davvero non poteva salvarvi entrambi?”

“I-io, non lo ricordo… perdevo sangue dall’occhio e… ero sfinito, al culmine del...”

“Del dolore, già, e scommetto che avevi paura… Oh, quanto hai pregato affinché quell’uomo che consideri come un padre ti venisse a salvare, riportandoti in superficie, a casa… quanto hai desiderato combattere al suo fianco, al fianco dell’uomo che più stimavi al mondo, ma… proprio come allora, come me, eri tu, quella volta, ad essere sacrificabile!”

“S-stai mentendo, il M-maestro Camus...”

“C-cosa? Vuoi dirmi che ci ha provato, a raggiungerti? Quando?! Stante il cosmo in suo possesso avrebbe potuto percepirti in ogni caso, riesci a sostenere il contrario?!”

“...”

“Ma lui aveva il suo pupillo, il biondino, il suo vero successore, tu avevi poca più importanza di un pugno di formiche… e l’armatura, sotto la sua guida, è andata a lui, a Hyoga che, come se non bastasse, lo ha ucciso e ti ha privato poi della vita, lui che aveva motivi infantili per diventare Cavaliere del...”

“QUELL’ARMATURA AVREBBE DOVUTO ESSERE MIA, IO MERITAVO DI ESSERE CAVALIERE DEL CIGNO E COMBATTERE AL FIANCO DI CAMUS, NON...”

Si fermò a metà strada, spaventato, accorgendosi di non riuscire più a trattenere l’ira. Aveva sollevato un poco il collo, facendo allontanare Lisakki che, in quel momento ghignava. Si accasciò di nuovo al suolo, vittima delle sue stesse emozioni.

No… no! Di nuovo stava cedendo alla rabbia distruttiva, stava succedendo ancora, malgrado gli anni trascorsi, malgrado gli insegnamenti… ancora una volta si stava rivelando indegno.

A quel punto Lisakki si avvicinò di nuovo al suo fianco, quasi serpeggiando, prima di tracciargli la fronte con l’indice e portarselo alla bocca, leccandoselo , quasi a volerlo pregustare.

Isaac era schifato, si sentiva sudato, spossato, stremato e… arrabbiato, ma avrebbe combattuto quella volta, per non cedere a quella manifestazione sovrumana che il Maestro Camus aveva sempre bandito.

“Il fulcro del tuo potere… è la rabbia, Isaac di Kraken, questo ti rende… - lo prese da sotto il mento, avvicinando il suo viso per poi leccargli tutta la guancia vessata dalla cicatrice, nonostante il ragazzo cercasse di opporsi con quanto serbava ancora in corpo - ...appetibile!”

“Argh!” si lasciò sfuggire Isaac, avvertendo con distinzione i denti di quell’essere tirargli la pelle, quasi stesse addentando un frutto saporito.

“Sei appetibile per i miei piccolini… - gli ripeté, allontanandosi di nuovo, dandogli le spalle, che Isaac vedeva tramite una luce ora soffusa, ora accesa, scorgendovi qualcosa che non doveva esserci, una sorta di taglio oscuro e verticale, che emanava materia purulente, credette di aver preso un abbaglio – Ma lo sarai ancora di più se manifesterai, ancora una volta, la rabbia distruttiva che ti porti dietro da quando sono stati uccisi i tuoi genitori… mostramela ora, affinché io possa dichiarare compiuto il tributo!” gli disse, voltandosi nella sua direzione e spalancando le braccia.

Isaac si sentì pervaso da un potere indescrivibile, scuro come il petrolio, una sorta di marasma che avvertiva invincibile, bastava sbrigliarlo e, forse, avrebbe avuto salva la vita. In fondo, aveva ragione Lisakki, quella era la sua vera natura, non aveva senso mascherarla ulteriormente.

Tuttavia si trattenne, la mente ben salda sugli insegnamenti del proprio mentore: non l’avrebbe più deluso, non si sarebbe più allontanato dalla sua forma; la forma che avrebbe dovuto raggiungere con la prima vita, e che invece avrebbe rincorso e perseverato con la terza. Non era mai troppo tardi!

Negò con la testa, rabboccando aria, inspirando ed espirando profondamente, costringendo così il suo corpo, rigido, ad essere riportato alla calma di un laghetto di montagna.

“Conosco il valore di Hyoga, l’ho affrontato in battaglia, lui mi ha vinto lealmente, è cresciuto rispetto ad allora, è degno dell’armatura che indossa, non rimpiango di avergli salvato la vita, come avrei voluto fare anche con te. Sono fiero… di aver perso l’occhio per lui!”

“E Camus allora? Quel vigliacco che ti ha abbandonato, lasciandoti in balia delle correnti oceaniche, se non fosse stato per Poseidone tu...”

“Non so cosa sia successo realmente, in superficie, stavo troppo male per rendermene conto… - si affrettò a dire, guardandolo con determinazione – ma se lui, in quel frangente, non è riuscito a salvarmi, nessun altro essere umano avrebbe potuto!”

“Sei patetico! Vuoi forse dirmi che...”

“Io mi fido del Maestro Camus e sono orgoglioso di essere… - si bloccò un attimo, ingoiando a vuoto, stava per aggiungere uno ‘stato’, ma negò ancora con la testa, sorridendo malinconicamente. No, non era affatto ‘stato’, lui ERA ANCORA, persino in un mondo che sfiorava la perdizione come quello – Sono orgoglioso di essere suo allievo!” esclamò infine, enfatizzando la sua fierezza con un respiro prolungato. Non sarebbe più cambiato, mai! La forma, quella forma ancora misteriosa, lui non l’avrebbe più persa di vista.

A quelle ultime parole l’espressione di “Lisakki” si fece delusa, quasi da cucciolo bastonato, poi triste, poi nuovamente da pazzo psicopatico, infine rise. Rise di gusto.

“Ma bene… sei schizofrenico in questa versione!” commento Isaac, sbuffando, recuperando un po’ di spavalderia che aveva ereditato da Kanon. Non era la migliore situazione per sfoggiarla, lì, nudo, in un mondo che sfuggiva alla logica con quel matto a fiatargli sul collo, ma… sempre meglio di niente!

“No, Isaac, è che mi dispiace per i miei piccolini, eri partito con così tanto smalto, pensavo davvero di offrirgli qualcosa degno di nota, invece… - si appropinquò nuovamente a lui, annusandolo con interesse, il collo, i ciuffi di capelli e, ancora, la cicatrice – sei meno appetitoso se non sfoggi il fulcro del tuo potere… pazienza! Il tempo è giunto!”

“P-prega le tue divinità, se ne hai qualcuna, che io rimanga bloccato qui a terra, a-altrimenti ho più di un modo per fartela pagare per aver osato utilizzare l’ombra di Lisakki, o il suo spirito, o qualsiasi altra cosa… mi hai sentito?!” fremette torvamente Isaac, minacciandolo con lo sguardo, disgustato da quell’ennesimo avvicinamento al suo corpo.

L’essere sorrise sadicamente, alzandosi in piedi e dandogli le spalle, e di nuovo Isaac la vide, l’apertura che aveva dietro alla schiena, come una cerniera aperta. Perse un po’ di baldanza, ma resistette, ripensando all’ennesimo modo per sfuggire a quella situazione, ma… il cervello era sempre più intorpidito, faceva fatica a incatenare una serie di pensieri congiunti dal filo della ragione… tutto sfumava prima di concretizzarsi nella sua mente. Lisakki ghignò una terza volta.

“C-cosa mi stai f-facendo, maledetto?” ebbe la forza di chiedere ancora, i contorni sempre meno definiti e i suoni sempre più ovattati.

“Io niente, sono loro che strepitano. Sai come si dice, no? ‘Prima i bisogni di pancia, poi semmai il resto’ - disse solo prima di dirigere i suoi occhi vitrei verso la direzione in cui avrebbe dovuto esserci il cielo – Lo lascio a voi, abbuffatevi, ma fate un po’ per uno… ghulu...”

Isaac ebbe appena il tempo di tentare di capire l’etimologia e l’origine di quella parola, che intravide, davanti alle sue iridi, uno svolazzio nero non ben definito. Prima di focalizzarlo completamente, però, cacciò un urlo, come di animale ferito, la netta sensazione che qualcosa gli fosse stato strappato con la forza.

Ansimò pesantemente, spalancando gli occhi, quasi vitrei, ebbe l’istinto di accartocciarsi su sé stesso a seguito del dolore immane che lo aveva invaso. Impiegò diverso tempo per capire che, quella stilettata difficile da resistergli, non era causata da danni sul suo corpo, ma, in qualche modo, interni…

Era il suo cosmo ghiacciato ad essere risucchiato e, con esso, la propria anima che, lentamente si disperdeva.

Provò a stringere le mani a pugno, in un ultimo, ardimentoso tentativo di opporsi. Tentò di bruciare il suo cosmo, ancora e ancora, ma più lo faceva, più quegli esseri aeriformi, avvolti da un mantello nero, gli piombavano addosso, facendolo stare ancora più male rispetto a prima.

Rantolò pesantemente, stremato. La sua energia vitale si stava disperdendo, con essa la coscienza. Si sentiva a pezzi, come se quelle ombre lo mordessero in continuazione da dentro, incuranti della sua fisicità.

Era un dolore lancinante tremendo… peggio di Kanon che gli eradicava via l’occhio, persino peggiore dello Zero Assoluto di Hyoga. In un certo senso, era come l’unione di questi due grandi patimenti che aveva provato sulla sua pelle. Si sentì mancare, le palpebre sempre più pesanti.

Quelle ombre indecifrabili, piombavano su di lui con la stessa intensità di un proiettile, provocandogli una fitta netta e invasiva in ogni più parte del corpo. Ad ogni attacco, una piccola parte di lui veniva risucchiata fuori, facendolo sprofondare ulteriormente in un inferno di ghiaccio che lo irrigidiva fin nei recessi.

Si accorse che stava morendo… non avrebbe resistito che a due altri assalti, poi la coscienza sarebbe stata talmente erosa da crollare su sé stessa. Sarebbe quindi sopraggiunta la fine, spietata...

 

Maledizione! Se non faccio qualcosa subito, i-io…

Non voglio morire di nuovo… non voglio, dannazione! Non ho fatto ancora nulla nella mia terza vita, questa, ci deve essere una ragione per cui non sono morto, ci deve essere, non posso… non posso cedere!!!

Rifiuto questo destino per me, lo rifiuto!

Non ci si arrende… questo ci ha insegnato il Maestro Camus, non ci si arrende… IO NON MI ARRENDERO’ MAI!

 

“DIAMOND DUST RAY!!!”

Isaac non vide distintamente quanto accadde nel giro di un secondo, più veloce di un battito di ciglia, le sue iridi vennero semplicemente raggiunte da un intenso bagliore. Le creature sopra di lui, battendo i denti, si allontanarono bruscamente, permettendogli di tornare a respirare con maggior regolarità, ad un passo dallo svenire, stremato quasi del tutto.

Qualcuno lo prese in braccio, lo condusse via da lì, da quella posizione scomoda e scomposta. Quel qualcuno gli continuava a ripetere di non cedere, di non svenire, nella maniera più assoluta, in tono incrinato, apprensivo. Isaac si costrinse così a non perdere coscienza, mentre mani gentili lo avvolgevano con un qualcosa di caldo e protettivo, come quando il Maestro Camus lo raccoglieva sfinito per terra, avendo dato il tutto e per tutto negli allenamenti, e, con una particolare cura paterna, lo conduceva a dormire sul divano o sul letto, al suo fianco, così vicino da poter percepire il suo calore corporeo.

Il solo ricordo fu in grado di inumidirgli le palpebre, mentre una mano altrettanto premurosa si posava sulla sua fronte, trasmettendogli nuove energie. Tornò a respirare con maggior regolarità, aprendo così gli occhi che si incrociarono con due iridi blu che, in mezzo a quelle luci di diversa origine, parevano rispecchiare di aurei bagliori.

“Dé-Dégel – lo riconobbe, cercando di mantenere il contatto visivo, nonostante la vergogna – Pe-perdonami, non sono riuscito a fare n-nulla, s-sono così...”

“No, Isaac, hai fatto molto invece! Non hai ceduto alla rabbia, non hai fatto il gioco di quel Proteiforme, grazie a questo, sono riuscito a rintracciarti e a raggiungerti. Ora riposa!” lo incoraggiò Dégel, accarezzandogli teneramente i capelli.

Isaac si rilassò contro il sostegno dove lo aveva adagiato e si guardò intorno nel cercare di capire dove si trovasse. Era interamente buio lì fuori, ma vi erano fonti di luce naturale, ora psichedeliche, ora statiche che dipendevano da… il ragazzo si ritrovò a sgranare gli occhi davanti a quello spettacolo insolito: inframezzato dalle tenebre imperiture, vi era quanto di più simile all’esoscheletro di un bosco, composto da alberi illuminati, funghi fosforescenti e felci che producevano un liquido brillante color oro… degno dei miglior film fantascientifici.

“D-Dégel, dove…?”

“All’esterno...”

Isaac lo guardò più o meno come si contempla lo scemo del villaggio dopo aver detto l’ennesima ovvietà risaputa da tutti. Dègel ridacchiò tiepidamente, indovinando i pensieri dietro quell’occhiata, quel particolare aggrottare le sopracciglia che il giovane aveva ereditato da Camus, insieme a mille mila altre più cose.

“Perdonami… so che sarai sempre più confuso e che vorrai delle spiegazioni al più presto, ma temo non sia questo il momento adatto. Ancora una volta, ti chiedo di avere pazienza...”

Sembrava teso. Si era alzato e si guardava nervosamente intorno, i muscoli rigidi, le braccia alzate davanti a lui per ripararlo da ipotetici attacchi. Non era quindi il momento di parlare, ma Isaac aveva bisogno di raccapezzarsi un minimo in più, altrimenti non sarebbe stato di nessun aiuto.

“Come… ci sono finito, qua fuori? Ero nel mio letto...”

“Temo di aver sottovalutato il potere di quel Proteiforme… da un po’ aleggiava fuori da casa, attirato da qualcosa, da te! Ho provato a dargli la caccia, dal giorno del tuo primo risveglio, invano, e oggi, quell’essere, è riuscito a manipolare i tuoi sogni in modo da condurti fuori e renderti vulnerabile. Quando Seraphina ed io ce ne siamo accorti, era già troppo tardi, ti abbiamo cercato, ma il tuo cosmo era troppo flebile, temevamo potessi arrenderti prima del nostro arrivo, sopraffatto, ma… - si prese una breve pausa, regalandogli un raro sorriso, genuino – Avevo dimenticato che gli allievi di Camus sono perseveranti sopra ogni dire, non demordono per nulla al mondo!”

Quelle parole rassicurarono e riscaldarono ulteriormente il giovane Isaac, che, più alleggerito nel corpo, si lasciò andare completamente sul sostegno su cui era appoggiata la sua schiena. Dégel lo aveva avvolto con un mantello e, probabilmente, gli aveva restituito parte delle forze, perché si sentiva nettamente meglio. Si chiese come facesse, del tutto ammirato da quella emanazione che ricordava in tutto e per tutto il Maestro Camus, ogni giorno di più, più qualcos’altro di ancora più prezioso, come se l’unione tra la stessa anima in tempi diversi avesse generato un potere inesauribile. Per la prima volta, dopo un tempo che era parso infinito, si sentiva di nuovo al sicuro, come nella piccola isba siberiana.

“Dégel, cosa sono quei… uff, chi mi ha attaccato prima, perché mi sono sentito così… male?” faceva ancora fatica a parlare, ma era ben vigile, non sarebbe più crollato, forse avrebbe anche potuto aiutare Dégel a combattere, perché l’ex Acquario sembrava sempre più teso, come se si aspettasse un nuovo assalto da un momento all’altro.

“Sono Ghulu, gli esseri precipitati nel Mondo Inverso…. Nessun attacco li scalfisce, tranne quelli composti da cristalli congelanti e legati al potere del gelo. Hanno sempre freddo, battono i denti in continuazione; per uno strano gioco del destino, la loro debolezza è anche la loro unica fonte di nutrimento, mangiano solo quello, il ghiaccio, ne sono irrimediabilmente attratti”

Isaac si ricordò che li aveva percepiti vicino a lui, troppo vicini, tanto da toccarlo e risucchiargli gran parte delle energie, lasciando lui con una spiacevolissima sensazione che, al solo rammentarla, lo faceva rabbrividire. Gli sfuggì un singulto, accorgendosi di essere, per la prima volta, atterrito. Tremò.

“Conosco e comprendo ciò che senti, ci sono passato anche io, all’inizio… ma non temere, ora ci sono io qui, ti proteggerò!” lo provò nuovamente a tranquillizzare, sempre in piedi davanti a lui, espandendo il suo cosmo per avvolgere il corpo di Isaac e fargli percepire la sua vicinanza.

“Qu-quei cosi si… si stavano nutrendo di me? O meglio, del mio potere congelante?”

“Sì… ti hanno ‘assaggiato’, e sembra tu gli piaccia parecchio, per questa ragione, siamo diventate noi le prede, presto giungeranno qui, ma non l’avranno vinta, non più! Hanno osato anche fin troppo ad insozzarti con le loro grinfie!”

Isaac sussultò a quell’ultima affermazione, così simile a quella che gli aveva rivolto Camus nel sogno, dove era intervenuto per proteggerlo.

“Allora vi riferivate a questo, Maestro...”

“Come?”

“No, niente, pensavo ad alta voce… - si affrettò a celare le sue emozioni Isaac, tossicchiando un po’ - Di cosa sono composti esattamente quegli esseri? Come possono succhiare il potere congelante e, urgh… n-non ci sono altri esseri umani in vita, oltre a noi, in questo mondo?”

Dègel sospirò, guardandolo intensamente negli occhi. Non sapeva da dove iniziare a spiegare, e quello non era nemmeno il momento adatto, poiché rischiavano di subire un attacco, ma… il ragazzo era visibilmente confuso e spaventato, come fare?

“Isaac, ascoltami attentamente… - la sua faccia si fece seria, lo stesso quella del ragazzo, che era molto intelligente e lesto ad apprendere – Gli esseri umani esistono ancora, sì, anche se sono ridotti a poche centinaia in tutto il globo, mentre i Ghulu...”

“Poche centinaia?!?” trasalì, il cuore gli si accelerò in petto, il respiro si troncò.

Dégel non diede peso a quella reazione più che naturale, socchiuse gli occhi e strinse i pugni, cercando di trattenere la frustrazione. Doveva andare al sodo al più presto, non potevano perdersi in chiacchiere.

“...mentre i Ghulu... un tempo erano esseri umani. Di questo, in effetti, sono composti, ogni Ghulu racchiude un’anima; un’anima che, sotto quella forma, vive ancora. Io mi occupo di sigillare queste essenze in un Sarcofago di Ghiaccio allo Zero Assoluto, in attesa… in attesa di trovare un modo per farli tornare umani”

Isaac era allibito, anzi molto di più, scettico, spaventato, ancora incredulo, stordito. Non c’era menzogna nelle parole di Dègel, la cui bocca si era dischiusa in una smorfia ricca di sensi di colpa, pentimento, e delusione verso sé stesso.

Non c’era menzogna su quel viso candido, solenne come i ghiacciai della Siberia, ma era comunque difficile da credere, se non impossibile.

Cercò forzatamente di ricondursi alla calma, sebbene quelle ultime parole gli avessero fatto raggelare le vene, quasi raggrumando il sangue. Boccheggiò per una serie di secondi, prima di respirare profondamente e parlare. Non era tempo per le spiegazioni, né per gli stordimenti.

“Dégel, insieme a quei… quei cosi incappucciati che tu chiami Ghulu, c’era un’altra entità sotto le sembianze di Lisakki, tu dovresti conoscerlo bene!”

“L-Lisakki?” chiese inaspettatamente lui, non capendone il filo conduttore, pareva che non lo rammentasse, ma era impossibile, aveva già dimostrato di conoscere Hyoga, sebbene non lo avesse mai visto di persona, e quello grazie ai ricordi di Camus.

Isaac annuì, sforzandosi di alzarsi in piedi, la schiena ancora in contatto con l’appoggio su cui era stato adagiato e che, a ben vedere, era un tronco di un albero che si illuminava di un verde smeraldino. Dentro la sua struttura, delle sottili linee rosse, come delle vene, partivano dalle radici per salire sulla fronda, ghiacciata come il resto. Per quanto annichilente, era uno spettacolo che catturava lo sguardo.

“Sì, Lisakki comandava quei… quegli esseri, si sono fermati quando lui glielo ha ordinato e...”

“Penso tu ti stia riferendo al Proteiforme, dalla tua descrizione, la… - ma si interruppe, sussultando e voltandosi dall’altra parte. Anche Isaac sobbalzò nel percepire l’arrivo di alcune presenze. Li avevano raggiunti – Temo di non avere più tempo per parlarti, stai indietro, Isaac!” lo avvisò, mettendosi in posizione d’attacco e facendogli cenno di rimanere fermo sul posto.

Dalle fronde boscose poco oltre il loro sguardo, uscirono tre Ghulu e la manifestazione di Lisakki. Isaac si mise in guardia, preparandosi attaccarli, ma Dégel di nuovo con un cenno della mano e un diniego gli raccomandò nuovamente la calma. Il ragazzo era scalpitante, ora che aveva riacquistato parte delle energie voleva combattere, dimostrando finalmente di cosa era capace, ma l’ex Acquario sembrava intenzionato a tenerlo protetto dietro di sé, cosa che, un poco, lo infastidì.

Osservò attentamente quegli esseri, effettivamente avevano sembianze aeriformi, come aveva presagito, ed erano avvolti da un mantello scuro, che celava la loro essenza anche tramite un cappuccio. Cosa ci fosse sotto era un mistero, come mangiassero anche, ma Isaac notò che solo uno dei tre teneva una sorta di falcetta tra le mani, gli altri ne erano privi, le dita rachitiche che possedevano si intravedevano da sotto. Sussultò di nuovo, accorgendosi che, con esse, lo avevano toccato impunemente, ne provò il triplo del disgusto.

“Non va bene… hai privato i miei piccolini del loro nutrimento!” disse “Lisakki”, sibilando sinistramente.

Dégel non rispose, dirigendo il suo sguardo verso Isaac.

“Ragazzo, avverto la tua irrequietezza, concepisco che tu voglia combattere, ma ti chiedo di rimanere in disparte. E’ troppo prematuro per te affrontarli, inoltre, da quanto ho capito, quel Proteiforme là ha le sembianze di una persona a te cara, saresti troppo coinvolto...”

“COSA? Non lo riconosci, Dégel? E’ un tuo allievo!” gli fece notare Isaac, sinceramente allibito.

Dégel gli scambiò uno sguardo, sembrava sinceramente sbalordito. Rimase fermo a picchiettarsi sulla fronte, come nel tentativo di reperire informazioni importanti che così, di primo acchito, non rammentava minimamente. Infine negò con la testa, sconfortato.

“Mi dispiace… anche riportando alla luce le memorie di Camus, continua a non suggerirmi niente questo nome!”

Isaac era ancora più sconvolto, voleva chiedergli come fosse possibile, ma in quell’esatto momento quegli esseri incappucciati, sotto esortazione di Lisakki, partirono all’attacco con lui come obiettivo. Piegò quindi le ginocchia, pronto a combattere con le unghie e con i denti, ma Dègel fu più lesto, balzando sulla destra, diresse un attacco congelante ai piedi di un albero. Il colpo cristallizzò l’aria, formando una struttura che emanava luce propria. I Ghulu ci si fiondarono contro, battendo i denti, cominciando a mangiarla in un clangore che faceva vibrare i timpani.

“Quegli affari mangiano davvero il ghiaccio!” commentò Isaac, ancora incredulo davanti a quella scena. Non provavano più interesse né per lui né per Dégel, il quale, raddrizzando la schiena, lentamente, si mise ad incedere verso “Lisakki”.

“Devi fare meglio di così, se nutri speranze di vittoria!” lo minacciò, con un cosmo altamente offensivo, che non aveva manifestato con gli incappucciati.

Il Proteiforme sibilò di nuovo sinistramente, intimorito dal cosmo glaciale di Dégel, indietreggiò di un passo, prima di chiamare all’ordine i Ghulu.

“Brutti idioti inutili, non prestate attenzione a quell’insulsa costruzione, attaccate lui, piuttosto, il nucleo del potere che andate cercando!” gli urlò, mentre quegli esseri, sollevando il capo, tornarono all’attacco. Quella volta il loro obiettivo non era più Isaac, perché si diressero contro Dégel.

Si avventarono contro di lui con foga inaudita, tutti insieme, ma l’ex Acquario, tutto fuorché impressionato, scansò la falcetta del primo con un gesto del capo, saltò il secondo e, concentrandosi sul terzo, lo richiuse istantaneamente nella Bara di Ghiaccio. Tutto si bloccò per una serie di secondi e prima che tutti potessero rendersene conto, il primo Ghulu era sigillato.

Isaac lo fissò ammirato, del tutto carpito dalle sue movenze leggere che gli ricordavano in tutto e per tutto Camus. Una tale eleganza nel muoversi, come ali di farfalla, come se si trattasse più di un ballo, anziché di uno scontro, unita a delle movenze leggere, sopraffine, non un solo gesto sprecato… Un tale prodigio, lui lo aveva visto compiere solo dal suo maestro.

Anche l’attenzione di Dégel non era più rivolta ai due Ghulu rimanenti, la sua mano si era mossa ad accarezzare quel sarcofago di ghiaccio con gesto inaspettatamente gentile, mentre i suoi occhi, lucidi, pieni più che mai, traballarono appena.

“Riposa qui dentro, fino a quanto non riuscirò a trovare un modo per salvarvi...” gli disse, rammaricato.

“ATTACCATELO!!!”

Gli esseri del Mondo Inverso, come erano appellati, si buttarono a capofitto su di lui, con l’ovvio intento di colpirlo. Isaac fremette, ebbe l’impulso di urlare a Dégel di scansarsi, ma quest’ultimo inclinò semplicemente la testa di lato, una nuova espressione determinata nelle sue iridi, le sopracciglia piegate in una manifestazione di fastidio.

“Certo che… di buone maniere, non sei certo padrone! - gli soffiò quasi contro, balzando nuovamente di lato – Attaccare così un uomo girato di spalle è oltremodo sgarbato!”

Atterrò poco più in là, piegando le gambe per darsi maggior spinta, era diretto contro il secondo Ghulu senza falcetta, l’altro invece, attaccandolo, era sbandato e finito contro la costruzione ghiacciata, che tuttavia aveva attraversato da parte a parte, come se fosse inconsistente, come se non la vedesse nemmeno… e forse era davvero così.

Isaac non se lo spiegava, vedeva ben nitida davanti a sé la Bara di Ghiaccio, ma era come se non la percepisse, come se non facesse parte di quel mondo fermo, eppure…

“FREEZING SHIELD!” urlò di nuovo Dégel, e anche il secondo essere fece la fine del primo, venendo sigillato.

L’ex Acquario atterrò di nuovo a terra, stavolta però piegato in avanti e un poco affannato, il respiro aritmico. Sembrava sfibrato, ben oltre la spossatezza, Isaac non ne capiva il motivo, giacché aveva usato solo due attacchi, oltre a cedergli energie, d’accordo, ma…

Trasalì, finalmente cominciando a venire a capo di quello strano sfinimento: Dégel aveva detto che per sigillarli occorreva lo Zero Assoluto, confine fisico invalicabile in natura, per raggiungerlo serviva energia infinita e già due volte lui l’aveva utilizzata, senza contare che, molto probabilmente, per venire lì, aveva di certo combattuto. Era più che giustamente stremato!

“Dégel!!!” lo chiamò, facendogli per correre incontro, ma “Lisakki” prese parola, arrestando il suo moto.

“Sciocco e insolente! Stai usando lo Zero Assoluto per suggellare i miei piccolini… per questo che non riesco più a percepirne l’impulso distruttivo, dei tre che ti ho mandato ne è rimasto uno, il più forte, ma io ne posso chiamare quanti ne voglio e tu ti stai stancando per niente! - lo canzonò, infuriato, pestando i piedi per terra – Stai sprecando le tue energie, ti basterebbe molto meno per distruggerli, usando aria congelante molto meno fredda, perché dibatterti così, rischiando di morire nel processo?!”

“Perché… non li voglio distruggere, ma salvare! - lo accontentò placido Dégel, voltandosi e camminando nella sua direzione, mentre il terzo Ghulu piombava famelico su di lui – FREEZING COFFIN!” disse semplicemente, alzando il braccio destro e rinchiudendo così l’ultimo incappucciato in un sarcofago di ghiaccio.

Non fermò il suo moto, non più, era diretto verso “Lisakki” con l’intento di concludere lì la faccenda, il suo sguardo non lasciava trasparire alcuna emozione, vi era solo… il gelo. L’essere cominciava a provare paura, Isaac lo percepì dalla scintilla nei suoi occhi che, pur sempre vitrei, cominciavano a manifestare qualcos’altro, la pupilla si dilatò ulteriormente. Lo vide cercare di aprire la bocca e cacciare così un urlo per motivi sconosciuti, ma Dégel fu, ancora una volta, più veloce. Alzando il dito indice della mano sinistra, sferrò un colpo che Isaac non aveva mai visto prima.

“GRAN KOLISO!”

Il corpo di “Lisakki” si contorse, mentre degli Anelli di Ghiaccio di dimensioni maggiori gli circondarono il corpo e altri, più piccoli, il collo con movimenti concentrici. Il grido gli morì in gola prima di poter essere esternato. Cadde in ginocchio, quasi singhiozzando, gli occhi sempre più dilatati, i muscoli contratti, Isaac faceva fatica a vedere quella scena, perché, pur essendo un nemico, aveva comunque le sembianze del suo compagno di addestramento.

“...Ma con te sarà molto più facile! - lo avvertì in maniera spietata Dégel abbassando il braccio e apprestandosi a caricare la Polvere di Diamanti, che subito scaturì dal suo palmo semi-aperto – Con te non ho bisogno di usare lo Zero Assoluto per salvarti, il tuo destino è già scritto, preparati”

Isaac rimase ad osservare la scena, l’impulso di intervenire parzialmente soffocato dalla fiducia che riponeva in lui. Tuttavia… qualcosa non quadrava, qualcosa per cui lui non riusciva a darsi pace: Dégel aveva usato gran parte delle sue forze per sigillare i Ghulu a rischio della vita, perché invece lui lo voleva uccidere? Perché?!

Tremò, stringendo i pugni e abbassando lo sguardo, un sussulto nel cuore. Non sapeva più che cosa sarebbe stato giusto fare.

“Aiu...to...”

Isaac spalancò le palpebre, sconvolto al suono di quel mormorio sommesso che era la voce autentica di Lisakki, non della sua trasfigurazione, no, di lui bambino. Volse lo sguardo nella sua direzione e vi scorse gli occhi vitrei, spalancati dal terrore di stare per morire.

Come quel dannato giorno.

“D-Dègel!”

“Non dargli peso, ragazzo, è tutto un trucco, lasciami concludere il lavoro, poi ti spiegherò tutto ogni cosa!”lo freddò immediatamente Dégel, con tono perentorio, mentre, nello stesso momento, stringeva il pugno destro per aumentare l’intensità di quegli anelli di ghiaccio che schiacciarono ancora di più Lisakki a terra, facendolo ansimare.

“N-no, io...”

“F-Fa male… tanto male… - rantolò ancora Lisakki, piegandosi in due sul terreno, come attraversato da scosse fortissime. Ad Isaac si spezzò qualcosa dentro, ancora una volta – S-stringe… m-mi fa mal-e… I-Isaac, aiutami...”

Rabbrividì a quella richiesta d’aiuto, scattando istintivamente in avanti con l’intento di frapporsi tra Dègel e lui, giusto in tempo per parare la Diamond Dust di Dégel, il quale, per la sorpresa, fece un passo indietro nella paura di averlo ferito.

“ISAAC!”

Effettivamente la mano utilizzata per intercettare il colpo era tutta arrossata e intorpidita, ma il ragazzo non ci fece quasi caso.

“Dégel, fermati, voglio capire...”

“Non c’è tempo, Isaac, spostati!”

“NO! Prima mi spieghi perché gli altri li hai salvati e lui vuoi ucciderlo!”

“Non capisci, ragazzo, spostati, o sarà troppo tardi!”

“No, sei tu a non capire, lui… lui...” non terminò la frase perché Lisakki si mise a latrare inconsolabile, con quanto fiato aveva in corpo, mentre grossi lacrimoni fuoriuscivano dalle palpebre.

“M-mi stringe così tanto… a-aiutami I-Isaac, non voglio… non voglio morir...”

Non disse nient’altro, accasciandosi al suolo, come quella dannatissima volta in cui era accaduto lo stesso. Non aveva più parlato neanche allora, perché... il collo gli era stato spezzato di netto. Isaac rivisse quell’istante, gli occhi spalancati come allora, verso il vuoto. Un freddo pungente nelle vene...

Anche Dégel esitò, scorgendo l’espressione lucida e sconvolta di Isaac nel rimembrare quei momenti. Il pugno gli si abbassò d’istinto, fiacco.

“L-lui sta usando le parole che ha usato allora… le stesse… se non è Lisakki… come può farlo, Dégel?! Come può?!?” lo incalzò Isaac, del tutto traumatizzato, non trovando una valida spiegazione.

L’ex Acquario intuì che ciò che lo rendeva così sconvolto era veramente successo nel suo mondo, sospirò, chiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo, più luminosi che mai.

“Isaac… i Proteiformi non hanno più forma propria, assumono quella dei ricordi più angoscianti della persona che hanno davanti e di cui si vogliono nutrire...”

“Co-Cosa?!”

“Non ti mentirò: sono, o meglio, erano anime umane come i Ghulu, sono la loro forma evoluta, in effetti, per questo li governano. Sono dotati anche di intelligenza, ma… non possono essere più salvati!”

“Mi stai dicendo che i Ghulu diventano… questi?”

“Se non vengono sigillati, né bloccati, sì… l’anima umana è molto delicata, Isaac, quando un uomo cade nel Mondo Inverso, diventa l’ombra di sé stesso e vaga, vaga ininterrottamente per tempo immemore. Quando sono ancora così, aeriformi, il processo è reversibile, l’ho imparato a mie spese studiandoli, perché… beh, all’inizio li uccidevo… - si prese una breve pausa, addolorato, stringendo di nuovo i pugni – Se però tale condizione permane, essi si trasformano ulteriormente, diventando Proteiformi, questi ultimi vengono chiamati anche Mutaforma. Come ti suggerisce il nome, è un essere profondamente instabile, che può trasmutare in continuazione, è composto da una densa sostanza corruttibile...”

Isaac era, se possibile, ancora più sconcertato, guardò prima Dègel, poi il corpo di “Lisakki” accasciato al suolo, completamente immobile, sembrava privo di vita. Non sapeva più cosa dire.

Dégel buttò fuori aria, tornando a guardarlo, un reale sentimento di compatimento nei suoi occhi che ora lo fissavano intensamente.

“Ti capisco, ragazzo, tenevi a questa persona che ti è stata strappata in maniera violenta, ma… - si bloccò, scorgendo un movimento dietro Isaac, il quale, quasi istintivamente, si girò subito e sussultò nel vedere quanto stava accadendo davanti ai suoi occhi – Spostati da lì!!!”

Nonostante il clangore, il suono giunse alle sue orecchie ovattato, poiché tutta la sua persona era carpita dai movimenti improvvisi del corpo di “Lisakki” che aveva cominciato ad avere le convulsioni. Isaac vide con orrore la schiena piegarsi innaturalmente, inarcandosi ed estendendosi come se avesse vita propria. Era come inorridito da tutto quello, peggio di prima, quando lo aveva leccato e poi morso, ma le gambe non si muovevano, sembravano inchiodate al suolo. Boccheggiò con orrore nel vedere la fessura già presente sul suo dorso aprirsi all’improvviso, mentre delle zampe lunghe e nere fuoriuscivano, insieme ad una sostanza densa, dello stesso colore, che schizzò con violenza, come vulcano in eruzione.

“ISAAC!!!” l’urlo di Dégel gli frastornò le orecchie, avvertì appena la sua presa su di lui, urgente, chiuse gli occhi, pensando che quell’immagine mentale non gli sarebbe mai più sfuggita di mente: Lisakki, anche se non era lui, che veniva squartato dall’interno, più o meno come alcuni funghi parassiti facevano con le formiche o altri tipi di insetti, possedendoli e facendo fuoriuscire il corpo fruttifero al momento propizio. Ne fu sconvolto fin dal profondo, tanto da perdere contatto con la realtà...

 

Poco tempo prima di conoscere Hyoga, colui che, più di ogni altro, sarebbe diventato un fratello per lui, Isaac, che da poco aveva compiuto 8 anni, aveva preso l’abitudine di allontanarsi dall’isba per allenarsi da solo, il suo giovane cuore gremito del desiderio di diventare forte per proteggere, da quel momento in avanti, le persone a lui care per… impedire che altri condividessero la stessa sorte di Lisakki.

Il Maestro Camus, che lo osservava sempre con attenzione, e gli abitanti del villaggio di Kobotec, lo chiamavano simpaticamente Isaac il combinaguai, per la sua immane attitudine a finire nei casini o a compiere qualche marachella, che tuttavia gli era presto perdonata, perché nessuno poteva veramente prendersela con lui, così vivace, determinato, e di indole genuinamente buona, con quel senso della giustizia che aveva ereditato da Camus. E Camus era rispettato da tutti, nessuno escluso, e tutti si erano sinceramente affezionati ad Isaac, in maniera del tutto naturale.

Quel giorno, però, il piccolo, spinto dalla curiosità, si era allontanato un po’ troppo dal rifugio e, del tutto concentrato sugli allenamenti legati alla corsa per migliorare così la sua resistenza fisica, era incappato, senza accorgersene, vicino ad un tana di un orso polare femmina, che aveva da poco partorito due piccini. Disturbata probabilmente dai pugni che il bambino tirava contro il ghiaccio, si ridestò, finendo per attaccarlo per difendere i due cuccioli.

Ciò che seguì, per Isaac, furono un insieme confusionario di suoni e colori, uniti ai suoi battiti cardiaci sempre più accelerati, una vampata di bianco, le vertigini, la paura… ma in tutto quel frastuono spiccava un’immagine, più intensa delle altre, quella del suo maestro che, senza che il piccolo potesse capire né come né quando (un mago, era davvero un mago dell’acqua e del ghiaccio!!!) era intervenuto per fermare l’orsa, con parole delicate e intonazione leggera, quasi melodiosa, come se stesse pregando.

E’ tutto finito ora, stai tranquilla, i tuoi piccoli non sono in pericolo, perdona l’irruenza di Isaac, è ancora molto ingenuo, ma non aveva cattive intenzioni!” così gli aveva detto, accarezzandole (il maestro poteva accarezzare persino gli orsi, con le sue dita delicate, era davvero incredibile!!!) la testa per calmarla.

Isaac non seppe mai, con distinzione, come era riuscito a tranquillizzarla, ma quando si risvegliò poco dopo, sano e salvo tra le braccia di Camus, che lo stava stringendo a sé, un’intensa ondata di sollievo l’aveva avvolto, spingendolo a rannicchiarsi ancora di più contro il suo petto. Aveva avuto paura.

La tua esuberanza ha travalicato il limite questa volta, Isaac! – lo sgridò bonariamente lui, accarezzandogli i capelli con gesto un poco burbero – Capisco che sei nel fiore dell’età, ma non devi calpestare gli altri con il tuo impeto, ognuno necessità dei suoi spazi, dei suoi bisogni, non solo tu, ma anche gli altri esseri umani e persino gli animali. Devi ricordati la temperanza, ragazzo!”

Isaac gli aveva sorriso, ancora più ammirato ed emozionato del giorno precedente, era sempre così con Camus, più tempo passava con lui più aspirava ad emularlo, in tutto e per tutto. Poco dopo si era addormentato fino a sera, in un sonno di piomba.

A sera però, il piccolo, si ara accorto che il maestro, al di là di comportarsi sempre come di consueto, preparandogli la cena e compiendo le incombenze domestiche, sembrava più affaticato del solito. Oltretutto non gli mostrava mai la schiena, come se nascondesse qualcosa.

Isaac andò a dormire con quei pensieri per la testa, corrucciato, non riuscendo più a prendere sonno. Dopo più di un anno insieme, il bambino aveva cominciato a comprendere l’indole del maestro, la delicatezza dietro la sua espressione distante, il profondo affetto nei parchi gesti che gli regalava, il dolore mascherato dietro la naturalezza, per non farlo preoccupare. A quell’ultimo pensiero si riscosse, mettendo i piedini fuori dal letto e scendendo le scale. La camera di Camus era al piano di sotto, illuminata da una luce soffusa, cosa insolita, perché il maestro era solito spegnerla per dormire. Con un pizzico di esitazione, ne varcò timidamente la soglia, individuando subito la figura del maestro stesa sul letto.

Camus era sdraiato in posizione prona, anche questo insolito, come il fatto di essere ancora vestito con gli abiti del giorno, il viso era nascosto in uno degli avambracci, la sua espressione non era perfettamente serena, sembrava provare dolore. Il bimbo si avvicinò ulteriormente a lui, salendo sul letto e accarezzandogli con la manina la fronte, che era sudata, gli scostò alcuni ciuffi, chiamandolo per nome, ma non ottenne risposta.

Era lampante che qualcosa lo facesse soffrire, ma cosa…?

In quel momento il piccolo la notò, la macchia purpurea presente in fondo alla canottiera, appena sopra i pantaloni. Non era molto estesa ma indicava un sanguinamento recente. Gattonò quindi fino a lì, allungando le mani tremanti in quella direzione, scostandogli così la canottiera che indossava e sollevandogliela un po’. Ne scoprì dei tagli arrossati dati da un morso, o forse dagli artigli dell’orsa, non molto estesi e neanche profondi, ma avevano comunque l’aria di dolere alquanto. Il bambino avvicinò timidamente la mano alla schiena del maestro per sincerarsi ulteriormente delle sue condizioni.

Mmh, Isaac… credevo dormissi” farfugliò ad un certo punto Camus, ridestatosi a seguito del tocco del piccolo.

Maestro, siete ferito...”

Camus a quelle parole tentò di alzarsi in piedi, non volendo farsi vedere in quelle condizioni dal piccolo dopo che per tutto il giorno aveva fatto del suo meglio per mascherarlo, ma il bambino, premendogli un poco più forte sulla parte alta della schiena, lo spinse a calmarsi.

State giù, vado a prendere il disinfettante e delle garze”

No, Isaac, non è una ferita grave, non devi angustiarti per questa sciocchezza, sono solo tagli superficiali...”

Ma il piccolo era un cocciuto, esattamente come lui, pertanto negò con la testa, scendendo giù dal letto in un balzo, imprimendo la sua espressione negli occhi un poco stanchi del maestro.

Grave o non grave è stata causata dai denti dell’orsa, o dai suoi artigli, mentre cercavate di proteggermi, prima che riusciste a calmarla; la ferita è sporca, si rischia un infezione così, me lo avete insegnato voi, per cui ora andrò, prenderò l’occorrente e voi ve ne starete tranquillo qui!” stabilì, impedendogli di opporsi, svicolando via come un lampo, del tutto sordo ai richiami dell’insegnante.

Che testardo...”

Camus sbuffò, arrossendo un poco. Non voleva che il bambino perdesse tempo così, per una inezia, quando invece avrebbe dovuto riposare per gli allenamenti del giorno dopo, ma Isaac era una trottola irremovibile, nell’arco di pochissimo tempo era già tornato e balzato sul letto con tutto l’occorrente.

Senza troppi giri di parole, gli sollevò ancora un poco la canottiera, piegandogliela in alto, attorcigliando poi i pantaloni un poco in basso, lasciando così completamente scoperta la ferita, che presto venne pulita e disinfettata per poi essere coperta da una garza sufficientemente grossa.

Camus sussultò una sola volta, la prima, a causa del bruciore del disinfettante, poi tornò ad affondare nel cuscino, socchiudendo gli occhi. Non era compito del piccolo prendersi cura di lui, quello era un suo dovere, ma provava comunque calore lì, su quel letto, con le manine di Isaac che lo pulivano con premura e la bufera di neve fuori che impazzava. Era una sensazione piacevole, che lo spingeva a cedere al sonno, in quel nido lì, al di fuori del mondo, che pure significava tutto per lui.

I-Isaac...”

Vi sto facendo male?” chiese il bambino, intento a disinfettare la pelle lì intorno e premere la garza per incollarla meglio sopra la ferita.

A quel punto Camus si girò sul fianco sinistro, facendo spostare il piccolo di lato.

No, certo che no, soldo di cacio… - gli sorrise, con occhi brillanti, incrociandoli con quelli del bimbo. Poi, a sorpresa, lo avvolse in un abbraccio, portandoselo dietro sul letto, al suo fianco – Vieni qui!” gli disse solo in un soffio, affondando il viso nei suoi capelli irsuti. Isaac si ritrovò, suo malgrado, ad arrossire.

Maestro, mi avete giocato!” finse di ribellarsi un po’, giusto per non dargliela vinta fin da subito, poi, sorridendo, si sistemò meglio al suo fianco, abbracciandolo a sua volta.

Lo sguardo di Camus era sereno mentre stringeva il bimbo contro di sé, gli occhi chiusi e un leggero sorriso a solcargli le guance. Isaac lo credette addormentato, ma poco dopo gli occhi del maestro si riaprirono, guardandolo con intensità crescente.

Isaac...” lo chiamò, come a richiedere la sua totale attenzione.

Sì, Maestro?”

Ebbe appena il tempo di chiedere, prima che un segno strano gli venisse tracciato delicatamente sulla fronte e poi sul petto dal pollice del maestro. Quel motivo, Isaac lo percepiva a forma onde, ricalcate poi da una linea retta, più incisiva e profonda, come a sottolineare l’importanza di quel movimento, il suo stesso significato.

Si tastò confusamente la testa e poi il torace, avvertendo calore, mentre le braccia del maestro tornavano a circondarlo, azzerando le distanze.

Maestro, cosa… cosa significa il vostro gesto? Mi sento al sicuro e protetto, ma… non capisco...”

Camus produsse una sorta di sbuffo, richiudendo gli occhi e inspirando a piedi polmoni il profumo e selvatico del suo allievo, indomabile come la sua stessa essenza.

Capirai, Isaac… capirai… quando sarai un po’ più grande!”

 

“ISAAC!”

Il richiamo di Dégel lo riscosse, facendolo sussultare. Si rese conto di avere gli occhi spalancati nel vuoto e di essere profondamente scosso, cosa che, di per sé, su un campo di battaglia, era il primo sbaglio da non compiere. I suoi occhi tornarono lentamente a vedere.

“Dégel...”

L’ex Acquario annuì, affrettandosi però ad alzarsi in piedi e a nascondere il suo viso nell’oscurità. Gli dava le spalle e Isaac seppe immediatamente perché. Nonostante il movimento lesto, infatti, non gli era affatto sfuggito ciò che invece Dégel cercava in ogni modo di celare.

“Isaac, devo chiederti, ora come non mai, di non intervenire, quel...”

Ma Isaac lo aveva bloccato, prendendolo per il polso e stringendolo, forse con più intensità rispetto a quanto avrebbe voluto.

“Girati!” ordinò perentorio, con un pizzico di rabbia. Dégel gli mostrava solo la parte destra del bel volto, osservandolo con severità quanto bastava.

“Non mi sembra questo il momento per...”

“Ho detto girati e mostrami i danni che hai subito proteggendomi da quell’essere!”

“Isaac...”

“Non sono più un moccioso! E tu tu sei uguale a lui, celi il tuo dolore per non far preoccupare gli altri, ma questo bellissimo stratagemma funziona solo se la persona ti conosce poco e non bene! - esclamò, quasi secco, nonostante la sfumatura della sua voce aveva assunto un tono denso di preoccupazione – Ve lo ripeterò: non sono più un bambino, sono cresciuto, posso combattere al vostro fianco!”

Dégel a quelle parole sospirò, girandosi frontalmente a lui, il quale, vedendo nitidamente quanto già i suoi occhi esperti avevano scorto precedentemente, trasalì.

“Santi numi, cosa…?!”

“E’ solo un po’ di corruzione...”

“Solo?!? Come cazzo ragionate, voi?!?”

“Posso resistere, fintanto che è così limitata, l’importante è aver preservato te...”

Limitata?! Isaac lo fissò ancora più sconvolto, mentre, di nuovo, gli dava le spalle, espandendo il proprio cosmo. Il ragazzo non aveva mai visto una cosa lontanamente simile a quella. Dègel non sembrava ferito, eppure, sulla spalla sinistra, il collo e parte del braccio, nonché schizzata sulla guancia esposta, vi era una spessa sostanza nera che lo appesantiva, come il petrolio sulle ali dei gabbiani e che dava l’idea di essere quanto di più simile ad un veleno.

“Dègel, che diavolo è quella cosa?! Deve farti un male atroce...”

“E’ ciò che compone i Proteiformi… materiale organico unito ad una miscela di marasma che gli da una colorazione tendente al nero, corrode quando viene a contatto con gli oggetti"

“S-SANTI DI QUEI...”

“Calmati! Come dicevo prima, posso resistere, fintanto che è così limitata! Stai indietro piuttosto… sta… tornando!”

Isaac ebbe appena il tempo di sentirsi accapponare la pelle che, dall’oscurità delle fronte, sbucò di nuovo quel Proteiforme che prima aveva le sembianze di Lisakki e che in quel momento era altro. Una sensazione di disgusto lo avvolse nel distinguere la sagoma di una sottospecie di ragno a quattro lunghe zampe, con il corpo centrale a forma di pera, ovvero con il ‘capo’ se così si poteva definire stretto e la pancia a forma ovale; di dimensioni assai maggiori rispetto alla fisicità di un essere umano, vi era la stessa differenza di grandezza, tra loro e quel mostro, che poteva tranquillamente esserci tra un grosso aracnide e un piccolo insetto. Tuttavia il particolare più inquietante e nauseabondo di quella creatura assurda, non era neanche quello, bensì…

“HaI RuBaTo Il NoStRo PaStO, mAleDeTtO...” disse, fermandosi a poca distanza da loro, in tono acuto e stridulo allo stesso tempo, attraverso quella… quella bocca a forma umana che si ritrovava, provvista con tanto di denti e dalla quale, al posto della bava, fuoriusciva una sostanza nera, densa, la stessa che aveva colpito Dégel.

“Oh, santi numi...” si lasciò sfuggire Isaac, indietreggiando suo malgrado, nauseato e atterrito.

Dégel si frappose esaustivamente tra lui e quella creatura che, in uno scatto, era già piombata contro di loro con movimenti innaturali, finendo però per essere ricacciata indietro con un calcio.

“Isaac, qualunque cosa succeda tu stai in disparte, non intervenire per nessuna ragione, chiaro?!” si raccomandò lui, scambiandogli un’occhiata, prima di scattare per attaccarlo.

Il ragazzo non ebbe tempo di rispondere, ma si accorse, in un fremito, che il cosmo di Dègel, non solo le sue gambe, vacillavano: era allo stremo delle forze, le energie, molto probabilmente non gli sarebbero bastate per vincere, eppure non demordeva, continuando a combattere fintanto che avesse fiato in corpo. Come Camus.

 

E’ questo che sono io?! Dopo 6 anni passati in Siberia ad allenarmi grazie al Maestro, dopo più di un anno ad Atlantide, sotto la guida di Kanon, dopo essere stato toccato dal Kraken, ancora non sono in grado di proteggere chi voglio?! E’ questa la mia insulsa forma?! Sono… ancora ad un livello così basso?!

 

Fuori dalle sue cogitazioni, intanto, stava infuriando la battaglia, l’essere era troppo veloce per i movimenti sempre più appesantiti di Dègel, che bruciava il cosmo con disperazione, ormai allo stremo delle forze. I suoi attacchi non riuscivano neanche a sfiorarlo, il nemico svicolava via, ridendo come un forsennato, era inconcepibile! I Cavalieri d’Oro si muovevano alla velocità della luce, come poteva, quell’essere, essere ancora più rapido?! Un secondo, ma in un mondo che sfuggiva alle leggi fisiche, aveva ancora senso parlare di ‘velocità luminare’?!

“Uuuuargh!”Dègel urlò, facendo accapponare di nuovo la pelle ad Isaac. Il mostro lo aveva fatto cadere a terra, la solennità della libellula che, dopo una vana resistenza, si arrende al veleno del ragno che l’ha imprigionata sotto di sé con le oblunghe zampe.

“EhEhE, oRa Ho FaMe Di Te!” così disse, alzando l’altra zampa anteriore per poi trapassare da parte a parte la spalla di Dégel, quella già danneggiata.

Il suo urlo inefficacemente trattenuto, diede la spinta ad Isaac ad intervenire, caricando quell’essere spietato che aveva osato ferirlo e lodarlo con quella materia che produceva. Non ragionò, semplicemente si precipitò, furibondo, dando finalmente sfogo al fulcro del suo potere: la rabbia.

“EhEhE, sAnGuE!”

“Maledetto bastardo, ora lo saggerei sulla tua orrenda corporeità il sangue, sempre che tu ce l’abbia!” lo minacciò Isaac, pronto, ormai vicinissimo all’obiettivo, ma prima di raggiungerlo, un proiettile fatto di luce, spezzò di netto la zampa con cui il mostro aveva trafitto Dégel, la quale immediatamente si volatilizzò, portando l’essere a balzare via, in preda alla convulsioni, come un ragno vittima del suo stesso veleno.

“NoOoOoOoOo!!! lA lUcE nOoOoO, fA mAlEeEeE!!!” latrò, tornando a battere i denti.

Isaac fu subito da Dégel, lo prese tra le braccia, in tempo per vedere l’arrivo di una terza forza che, con eleganza, balzò davanti a loro, ammantata dei colori dell’aurora.

“La prossima volta che oserai toccarlo… la morte sarà l’ultimo dei tuoi problemi!” asserì, minacciosa. Gli occhi, di solito gentili, di quel colore azzurro lago di ghiacciaio, non avevano più nulla di quell’antica clemenza e dolcezza, solo…

Isaac non seppe spiegarlo con chiarezza, provava solo un brivido davanti a quella manifestazione sovrumana di forza e solennità. Gli ricordò, per qualche oscura ragione, lo stesso sguardo di quell’orsa che lo aveva attaccato quel giorno, difendendo ciò che aveva di più prezioso; allo stesso modo lei. Faceva quasi paura.

“S-Sera...”

“S-Sefi… mi ero raccomandato di tornare a casa...” biascicò Dégel, con un filo di voce, abbandonandosi ancora di più tra le braccia di Isaac.

“E lasciare te, voi, qui? - gli occhi di Seraphina erano tornati per un istante dolci e premurosi come li aveva sempre scorti – No, mi dispiace, mio caro Dégel, non intendo più abbandonarti. Perdonate il ritardo, ho incontrato dei Ghulu per strada...”

“E’ pericoloso per te, qui...” si oppose ancora Dègel, arrochito.

“Più pericoloso di perderti? Più pericoloso di ciò che hai rischiato tu? No, affatto...” continuò testardamente lei, avanzando di un passo ed espandendo il cosmo, che rispecchiava di vari colori. Isaac la fissava a bocca aperta. Quella manifestazione, quei colori così conoscibili, quel verde sgargiante che si rifletteva sulla pelle candida… non c’era alcun dubbio, era una vera e propria aurora!

Il Proteiforme sembrò in difficoltà, per un istante ebbe l’impulso di fuggire, la luce gli dava fastidio più di ogni altra cosa, la luce gli era fatale, ma, forse accorgendosi di essere praticamente impossibilitato a ritrarsi, da quanto era immobilizzato, decise di attaccare.

Isaac stava per avvertire Seraphina di stare attenta alla velocità dei suoi movimenti, ma pareva che il mostro si fosse fiaccato perché, sebbene intento ad attaccare, era come se fosse rallentato, le tre zampe che gli rimanevano lo sostenevano a stento, rendendolo goffo.

“Non sfiorerai mai più né Isaac né Dégel con le tue orrende estremità, il tuo viaggio termina qui… ORA! - lo minacciò ancora la giovane donna, implacabile, quasi… spietata, come la Siberia stessa, che dava, o privava, della vita in un battito di ciglia – BLUE IMPULSE!” urlò poi, protraendo il braccio in uno scatto in direzione del mostro. Dal palmo della mano fuoriuscì un getto di aria congelante molto potente che brillava dei colori dell’aurora, esattamente come la sorprendente manifestazione del suo cosmo, che Isaac, fino ad allora, non era riuscito correttamente a percepire, quasi fosse un potere latente che Seraphina non amava mostrare. Il colpo centrò irrimediabilmente l’obiettivo, proiettandolo indietro mentre orrendamente latrava. Sbatté contro una delle costruzioni di cristallo, accasciandosi poi al suolo, immobile.

Tuttavia non era neanche quella insperata manifestazione di forza a scombussolare il giovane Isaac, il quale, ancora frastornato da quello che aveva appena visto, con Dégel ferito e tra le braccia, si ritrovò a sussurrare parole dense di sbigottimento.

Non era… semplicemente possibile quanto aveva assistito! Il Maestro Camus gli aveva parlato di quella popolazione, che si diceva facesse parte delle schiere di Atena e che, dopo la mitologica battaglia contro Poseidone, in cui Atlantide era sprofondata, si era stabilita a Nord, molto a Nord, per controllare il sigillo del dio medesimo, ma…

“Q-quella stirpe, i Blue Warriors, dovrebbe essere stata… spezzata… - si lasciò sfuggire, continuando a guardare prima Seraphina, ritta davanti a loro, ancora sul chi vive e poi l’ex Cavaliere d’Oro dell’Acquario – D-Dégel, come…?”

Non ottenne risposta, il giovane uomo era intento a guardare la consorte con occhi profondi e un pizzico di tristezza, che traboccava dalle iridi blu illuminate dalle luci, ora psichedeliche, ora statiche, che avevano tutt’intorno.

“Non è… non è ancora finita, Isaac, urgh...”

“Dégel!!!”

Dégel non stava bene, respirava a fatica, sfinito, perdeva sangue dalla spalla; sangue purpureo, che si mischiava al materiale nero, corrotto, che aveva la densità della lava e che, proprio come la suddetta, tendeva a farsi mano a mano sempre più solida, appesantendolo ulteriormente.

Isaac gli fece appoggiare il viso sulla sua, di spalla, tramante e spaventato alla sola idea di perderlo, di nuovo, perché non era il Maestro Camus, era vero, ancora di più, non era il suo Camus, ma affatto dissimile da lui. Avevano molte analogie e, del resto, condividevano la stessa anima.

Non era Camus, non lo sarebbe mai stato, perché nessuno avrebbe potuto occupare il posto nel suo cuore, ma ne era avvinghiato, sentiva di essersi genuinamente affezionato a lui in poco tempo e, il solo pensare di perdere una persona cara, l’ennesima, lo mandava in tribolazione.

“Isaac! - la voce di Seraphina lo fece quasi scattare in piedi, ma si trattenne al suolo, aumentando la stretta su Dégel, semi-svenuto tra le sue braccia – Te lo affido, abbi cura di lui, tra poco sarà tutto finito...” disse, avvicinandosi, un poco esitante alla creatura, ancora collassata per terra, del tutto immobile. Pareva morta.

“E tu… e tu cosa farai?” le chiese, fremendo notevolmente, frustrato dal senso di impotenza che continuava spietatamente ad avvolgerlo. Le cose accadevano al di fuori di lui, come se fosse stato uno spettatore, più che un soggetto in campo. Di nuovo si sentì inadeguato, stringendo la presa su Dégel, il quale, stancamente, riaprì gli occhi.

“Il rito… del trapasso!”

Fu la sola risposta della donna, mentre la vide avanzare ancora di un po’, l’andatura un poco incerta, le increspature del suo cosmo, che ora avvertiva nitidamente, sempre più inquiete.

Isaac non ebbe il tempo di chiedere ulteriori delucidazioni, la vide avvicinarsi ulteriormente a quell’essere dai tratti mostruosi con passo sinuoso e leggero, malgrado i tentennamenti.

“Stai attenta!!!” la avvertì, affatto tranquillo, accorgendosi che Seraphina procedeva a piedi nudi. Come facesse, dato il freddo che emanava il terreno incrostato di ghiaccio del colore dell’opale nero, era un mistero.

Isaac lo fissava sempre più sbalordito e ammirato, mentre Dégel, ripresosi parzialmente, seguiva, almeno con lo sguardo, non potendo fare altro, la donna amata, tremando distintamente. Sotto gli occhi di ambedue, stava accadendo un vero e proprio prodigio ammantato dai colori dell’aurora, per mano dello sfavillante cosmo di Seraphina. Sembrava davvero…

“In un mondo immoto che sfiora la perdizione… non vi è più alcuna luce del Nord a ravvivare i nostri animi con la sua presenza quasi sempre costante nella notte artica. Nessuna luce, la speranza languisce, ma… cough, cough…” si sforzò di biascicare Dègel, guardandola con occhi profondi e innamorati, ma un netto colpo di tosse lo costrinse a fermarsi per rifiatare. Sentì l’aumento della stretta di Isaac sul suo corpo, cercò di recuperare vigore.

Il ragazzo intanto non riusciva a parlare, da quanto fosse lo sbigottimento davanti a quello spettacolo più che insolito, mirabolante. Rimase lì, fermo immobile, catturato dal movimento delle braccia di Seraphina, che si sollevarono sopra le spalle, in una muta preghiera. Poi il braccio destro venne piegato di quarantacinque gradi, come a formare un angolo acuto con l’altro braccio, che invece era teso sopra di lei. I colori e l’emanazione cosmica aumentarono d’intensità.

Vi era un’unica categoria di persone capace di compiere simili miracoli, rimanendo indissolubilmente legati alla natura, senza sopraffarla… Isaac li conosceva bene, il suo Maestro ne faceva parte, poiché era un Guaritore… uno Sciamano capace di curare i malesseri fisici degli altri per mezzo del tocco.

“In un mondo dove la luce languisce e sperare in un domani migliore richiede troppa forza per aggrapparcisi… - riprese Dégel dopo un po’, appena recuperato il fiato, in tono evocativo e denso di ammirazione – Si è fatta ella stessa aurora, anf, sotto la benedizione della creatura che custodisce tale, sfavillante, fenomeno. I-il suo nome è...”

“Zima Siyaniye… - finì per lui Isaac, serissimo in volto, del tutto carpito dallo spettacolo che aveva davanti – lo Splendore Invernale!”

Nel frattempo Seraphina, con voce melodiosa simile ad un canto, aveva innalzato una preghiera verso il cielo buio. Era una Invocatrice, una… Sciamana, esattamente come Camus, anche se di tipologia diversa.

“Zima, amica mia, ti prego, ascoltami… ho bisogno, ancora una volta di te per...”

Non ebbe però il tempo di finire, il movimento improvviso della creatura, erroneamente creduta allo stremo, sorprese non poco tutti i presenti. Il Proteiforme si lanciò contro di lei, nel tentativo di trafiggerla, Seraphina fu lesta a creare uno scudo di ghiaccio per difendersi, ma l’urto la spinse indietro, facendola cadere malamente a terra.

“MaLeDeTtAaAaAaAa!!!” sibilò l’essere, furente, che sembrava comunque aver esaurito totalmente la carica, perché prima ancora che Isaac, o Dègel, potessero intervenire, si contorse terribilmente su sé stesso, come un ragno moribondo, poco prima di sussultare un’ultima volta e ricadere al suolo, accartocciandosi su sé stesso.

Isaac, per un solo secondo, credette che fosse finita lì, si sporse impercettibilmente verso di lui, i nervi a fior di pelle, i sensi da guerriero pienamente attivi e pronti a tutto… a tutto, meno che a ciò che effettivamente accadde.

Il mostro, pur perfettamente immobile, si mise improvvisamente ad urlare, non era un grido normale, no, sembravano tanti latrati che si congiungevano in uno solo, tanti rumori, più che fastidiosi, ben oltre ciò che l’udito umano potesse sopportare. I timpani sembravano vibrare, sul punto di rompersi, un dolore che faceva impazzire, e che costrinse Isaac a piegarsi per terra, rannicchiandosi su sé stesso per evitare di soccombere.

Tempo indefinito dopo, quel clangore insostenibile cessò, al suo posto un sibilo prolungato e fitto prese il suo posto, stordendolo ancora di più. Per un istante si credette sordo, prima di percepire di essere scrollato di essere raggiunto da una voce molto vicina.

“I-Isaac… allontanati da questo luogo insieme a Seraphina, il più distante possibile, presto ci sarà solo terra bruciata qui...”

“C-Cosa?”

Dégel era riuscito a strisciare fino a lui e a scrollarlo, pur tremendamente indebolito, al punto da non riuscire a reggersi in piedi da solo. Isaac non capì a cosa si riferisse, non vedeva altro che la sua espressione tremendamente stremata.

“A-andate via da qui… quel Proteiforme ha gridato, prima di spirare, attirando tutti i Ghulu della zona, quando quegli esseri si uniscono generano un attacco altamente distruttivo a cui è difficile, se non impossibile, opporsi. Salvatevi almeno voi...” gli disse, riuscendo a mettersi quanto meno seduto.

“D-Dégel, cosa stai…?” provò a chiedere, prima che i suoi occhi venissero catturati da movimenti repentini e fluttuanti sopra di loro. Si ritrovò, suo malgrado, a tremare a quell’ennesima manifestazione soprannaturale.

“No, Dègel! - obiettò Seraphina avvicinandosi a loro in un tono che non ammetteva repliche – Sei troppo debole, amore mio…” si lasciò infine sfuggire, tutta tremante per paura di perderlo.

“Sefi, non c’è tempo, lo sai meglio di me, porta il ragazzo con te, lui è… la speranza per il futuro, persino in un mondo al limite del collasso come questo!” tentò di convincerla, cercando di alzarsi in piedi, non riuscendoci.

“No… sono stata io ad esitare, è per colpa mia che sta succedendo questo, li fermerò questa volta, dandovi il tempo per fuggire!”

“Non se ne parla neanche, è fuori discussione!”

Dégel e Seraphina avevano preso a battibeccare su chi, dei due, fosse la pedina più sacrificabile in quel frangente, il tutto mentre Isaac, continuava a fissare sempre più sconcertato, quasi pietrificato, lo svolazzare sopra le loro teste, che diventava sempre più fitto, come una nuvola di locuste.

I Ghulu, così li chiamavano, dopo l’urlo di quell’essere, ormai definitivamente morto, avevano preso a riunirsi sopra di loro, frenetici, volando in circolo come se fossero guidati da qualcosa, formando così, con i loro movimenti sempre più veloci, una sfera di energia fucsia che si ingrandiva a vista d’occhio. Se ne percepiva il già immenso potere distruttivo, mentre, intorno a loro, l’aria si faceva sempre più pesante e rarefatta, come vinta da una insolita pressione. Isaac si rese nitidamente conto che, se solo avessero lanciato quell’ammasso di energia, loro sarebbero stati spazzati via in un un soffio. Palpitò.

“...Ho esitato io, Dégel… - continuava ottusamente Seraphina, dietro di lui, in tono paurosamente incrinato – e l’ho fatto perché… perché ho visto la sua vera essenza...”

“La sua vera… essenza?”

“Sì… non era altro che un bambino, Dégel, di 6 anni, prima di diventare quel mostro e… ho tentennato. Ci troviamo in questa situazione per colpa mia!”

“CO-COSA?! Un bambino di… 6 anni?!” esclamò all’improvviso Isaac, voltandosi verso di loro con occhi increduli. La stessa età di Lisakki quando era morto, ma Dègel aveva detto che i Proteiformi, pur essendo state, un tempo, anime umane, non avevano forma propria, non poteva quindi essere lui, nella maniera più assoluta, oppure… sì?

Seraphina annuì, gli occhi umidi, tornando su Dégel e guardandolo supplichevolmente, toccandogli e stringendogli la mano.

“E’ stata colpa mia, io ho esitato, perciò lasciatemi...” cercò di convincerli, determinata, ma venne interrotta dalle dolci labbra di Dégel, che si posarono sulle sue, baciandola teneramente. I suoi occhi azzurri si spalancarono per la sorpresa.

Arrossì Isaac per lei davanti a quel gesto. Avrebbe voluto dire che non era il momento adatto per amoreggiare come due ragazzini alla prima cotta, visto che stavano per essere spazzati via dall’attacco di quegli esseri, ma capì, dal gesto disperato di Dègel, che quel bacio, probabilmente l’ultimo nella sua ottica, era denso di significato.

Poco dopo infatti l’ex Acquario, consapevole della situazione, si staccò a malincuore da lei, alzandosi a fatica in piedi dopo averle sorriso un’ultima volta.

“Ti amo, con tutto me stesso! Proprio per questo non… non ti permetterò di sacrificarti, mia piccola rondine!” biascicò stentatamente, allontanandosi poi da lei per avvicinarsi a fatica ad Isaac e superarlo, espandendo un’ultima volta il cosmo. Seraphina incassò la testa tra le spalle, vinta, stringendo le dita sul terreno incrostato di ghiaccio, il ragazzo invece seguiva i movimenti in silenzio, fino a quando Dègel, appena superatolo, si rivolse direttamente a lui.

“Isaac, conduci in salvo Seraphina, oltre il limitare del bosco. Tra poco dovrebbe albeggiare e i Ghulu cadere in letargo per i prossimi sei mesi. Ti supplico di… avere cura di lei!”

“Dégel...” lo fermò il ragazzo, afferrandolo per il polso e aumentando convulsamente la presa.

“Non desisterò dai miei propositi, se mi vuoi dire questo! Io devo prot...” si bloccò, il fiato spezzato in gola. Prima di rendersi conto di quanto era effettivamente successo, la vista gli si annebbiò e cadde in avanti. Isaac lo sorresse, le labbra un poco piegate all’ingiù.

“Lo so… devi proteggerci ad ogni costo, come avrebbe fatto il Maestro Camus, siete… così simili! - sospirò il ragazzo, il pugno destro ancora ben piantato tra le sue costole – E’ proprio per questo che io ti impedirò di compiere simili cazzate… con qualunque mezzo in mio possesso!” concluse, facendolo appoggiare sulla sua spalla.

“Isaac!” le mani di Seraphina si erano mosse a coprirle la bocca rosea, mentre le gambe erano scattate in avanti, portandola ad avvicinarsi ai due.

Il giovane allievo di Camus, senza troppi rigiri di parole, accompagnò il corpo svenuto di Dègel tra le braccia della donna amata, la quale lo fece adagiare per terra, la nuca sul suo grembo.

“Te lo affido, mi auguro che… possiate essere felici!”

“Isaac, cosa hai in mente? D-dove..?”

Le braccia del ragazzo si erano già aperte nell’atto di caricare al massimo la tecnica che aveva imparato da autodidatta, in onore dell’Aurora Execution del maestro. Un fremito nel corpo, più nessuna esitazione.

“Non aspetterò che quegli esseri ci attacchino, tenterò il tutto per tutto per fermarli! - asserì solo prima di scattare in avanti – Ora so perché sono ancora vivo, dopo lo scontro con Hyoga!”

Le sue gambe si mossero automaticamente, incurante dei richiami di Seraphina che, in apprensione, tentava di fermarlo a parole, avvertendolo che non bastava un gelo qualsiasi ad abbatterli, che era follia mettere a repentaglio così la vita, e che stava rischiando di buttare via tutte le speranze che la sua giovane età recava con sé.

Seraphina aveva pienamente ragione su tutto, se ne rendeva conto anche lui, ma… la verità era che già due volte aveva gettato quelle speranze, quei sogni che lui si portava dietro dalla più tenera età, non era quindi nulla di nuovo, era tutto già visto e, probabilmente, tutto sarebbe sfumato, ancora una volta come un sogno irrealizzabile. Isaac sorrise malinconicamente tra sé e sé, prima di rendersi conto di esserci allontanato sufficientemente da loro, quanto bastava per non coinvolgerli nel rinculo del suo colpo segreto. Alzò il capo temerario, in direzione dei Ghulu che continuavano a muoversi frenetici.

“Maestro, datemi voi la forza, ne ho bisogno come non mai! Ora… AURORA BOREALIS!” urlò a squarciagola, quasi fendendo il cielo al suo grido.

Lanciò il colpo con tutta la potenza di cui era provvisto, infondendo tutto sé stesso, la sua vita, gli insegnamenti ricevuti, in un ultimo, sfavillante luccichio. Gli esseri ammantati dal nero mantello, quasi percependo l’arrivo del colpo, non tardarono a reagire, scagliando a loro volta la sfera cosmica che, sebbene non ancora pronta, aveva già dimensioni considerevoli.

Nella mente di Isaac, il suo attacco avrebbe dovuto, quantomeno, sparpagliare tutti quei Ghulu che, attirati dall’emanazione del suo cosmo ghiacciato, avrebbero così attaccato direttamente lui, facendo quindi perdere vigore alla sfera medesima. Dégel aveva detto che quegli esseri erano attirati dal ghiaccio, pensava quindi di fare da esca e prendere tempo, detonando poi quell’attacco in cielo, senza coinvolgere altri. Il punto era che i Ghulu non avevano abboccato, come invece avevano fatto prima con il colpo a vuoto di Dégel. Era come se, in quel caso lì, fossero guidati non dalla fame ma da qualcosa di più forte, come un ordine al quale era impossibile sottrarsi.

Isaac si ritrovò quindi, ben presto, a opporre tutte le sue forze nella difesa, anziché nell’attacco, il tutto mentre la sfera cosmica, quasi neanche sentisse l’Aurora Borealis, incombeva sempre più su di loro. Si ritrovò a ringhiare tra i denti, sforzandosi di imprimere ancora più forza nell’attacco, che lo stava schiacciando a terra. Le braccia avevano preso a fargli male, vinte da quella insanabile pressione, si ritrovò ben presto a piegare un ginocchio per terra, pur mantenendo ben alzate le mani, che gli formicolavano per lo sforzo. Buttò fuori l’aria, ritrovandosi a corto di fiato.

Per quanto si opponesse, per quanto intesseva tutto sé stesso nel colpo, quegli esseri stavano avendo la meglio su tutti i fronti, la sfera cosmica era sempre più vicina, quasi ineluttabile. Stava soccombendo… se avesse spezzato la posizione necessaria per quella tecnica, non ci sarebbe stato più nient’altro a proteggere Dègel e Seraphina, sarebbero morti con lui e non voleva… dannazione, non voleva!

Serrò disperatamente le palpebre alla insperata ricerca di una soluzione alternativa, che non trovava. Fischi di vento intorno a lui, quella pressione innaturale che lo tramortiva, il dolore sempre più intenso alle braccia, le gambe molli, il cuore che pompava disperatamente quanto aveva ancora in riserva, perché la mancanza di ossigeno cominciava ad avere conseguenze sul suo corpo già fiaccato. N-no, sarebbe morto inutilmente, di nuovo, senza riuscire a proteggere chi voleva. Assurdo! Perché il destino si prendeva beffe così di lui?! Quale il senso delle sue tre vite, se in nessuna di esse era mai riuscito a cavare un ragno dal buco?!

 

Sono… semplicemente patetico! Anni e anni di addestramento, tre vite, per giungere qui e non riuscire neanche a fermare una stupida palla cosmica creata da esseri che non hanno neanche più una forma loro! Che ne hai fatto della determinazione, Isaac?! Delle tue promesse, di proteggere i tuoi compagni, dopo Lisakki, di perseguire la forza e la giustizia, la MIA, giustizia, perché, ormai l’ho capito, non ne può esistere solo una, insindacabile, né per Atena, né, tanto meno per Poseidone, in questo avevo ragione ad oppormi al vostro pensiero, Maestro, fin troppo innaturale, sebbene, in fin dei conti, anche voi perseguivate un ideale aleatorio e utopistico, irraggiungibile persino da voi. Ho persino accettato di essere stato toccato dal Kraken, imparando quindi a muovermi nelle tenebre dentro di me, ma… a cosa è giovato tutto questo, se, intanto, il mio epilogo è sempre lo stesso?!

Maestro Camus… io, davvero, non sono degno di voi, né di essere vostro allievo, ho sempre creduto di valere qualcosa, di potermi meritare il titolo di Cavaliere, di avere quindi il diritto di combattere al vostro fianco, ma... è di nuovo Hyoga ad avermi superato, ad essere stato superlativo, per voi, e di essere stato degno dei vostri insegnamenti, lui… è lui che merita di risplendere al vostro fianco, perché conosce il dolore e la sofferenza e, attraverso un travaglio difficilmente sopportabile, è riuscito ad elevarsi, invece di precipitare nel buio, come invece ho fatto io...

Io… vi prego, perdonatemi, sono… un tale rifiuto! Kanon… Kanon aveva ragione, non riesco neanche a… non sono degno di…

 

“Isaac! Queste parole io… non le voglio neanche sentire!”

Isaac si ritrovò ben presto a sussultare al suono di quella voce, riconoscendo il timbro cristallino che aveva imparato ad amare. Aveva ancora gli occhi chiusi e l’espressione sofferente a seguito dello sforzo profuso nel colpo, ma, lentamente, la pressione andava scemando, permettendogli così di rialzarsi faticosamente in piedi, irradiato da una nuova, misteriosa, energia.

Qualcuno, o meglio, qualcosa di caldo, gli cingeva entrambe le mani, ravvivandolo di un nuovo, dorato, cosmo. Il respiro si fece più regolare, mentre l’intensità del suo attacco aumentava, a scapito della sfera fucsia.

“Sei il mio orgoglio, mio piccolo e coraggioso Isaac, non dimenticarlo mai!”

A quel punto Isaac riaprì gli occhi e ciò che scorse, al di fuori delle sue palpebre, lo lasciò di stucco.

“Maestro… Camus!” riuscì appena a sussurrare, totalmente incredulo, gli occhi sgranati. Sentì forte e chiaro il desiderio di piangere, di nuovo, come nel sogno, come ogni volta che il viso gentile del maestro faceva capolino tra i suoi pensieri. Si trattenne, tremando convulsamente. Era il suo orgoglio, gli aveva detto, doveva dimostrarlo.

“Perdona il ritardo… non è facilissimo muoversi nella tua testa dura come il marmo, o forse, dovrei dire spessa come il permafrost siberiano!” gli sorrise, avvolgendolo ulteriormente con il suo cosmo.

Isaac era incredulo, non riusciva a non guardarlo, quel suo profilo così famigliare e a lui tanto caro, il cuore gli si ara accelerato nuovamente in petto. Camus era ammantato d’oro, indossava la sacra armatura dell’Acquario, la pelle un po’ più chiara del solito. Era nuovamente apparso nella forma in cui si era fatto vedere durante la lotta contro Kanon di Gemini, che fosse spirito o emanazione cosmica, non era fisicamente lì, eppure lo sosteneva con tutto l’ardore possibile, mentre le sue mani stringevano quelle di Isaac e la sua aria congelante si aggiungeva a quella del ragazzo.

“Isaac, non c’è molto tempo, ascolta bene quanto segue… - gli disse ad un certo punto, facendosi serio, l’allievo si raddrizzò ulteriormente, attento, tornando a concentrarsi sull’attacco – Quando te lo dirò, lascia questa tecnica e usa il Freezing Shield!”

“I-il Freezing Shield, Maestro, io non… non lo so usare!”

“Fosti tu, da piccolo, a dire che nulla è impossibile, se lo si vuole realmente!”

“Da piccolo ero scemo, Maestro Camus… come quella volta che per spirito di competizione verso Hyoga per poco non annegavo!”

Un’inaspettata risatina divertita, anche se breve, gli riempì il cuore di gioia. Era raro che Camus ridacchiasse, ma accadeva e, per lui, era sempre fonte di orgoglio, tanto da profilarsi, come missione quotidiana, quella di far sorridere il maestro almeno una volta al giorno.

“Da piccolo eri esattamente come ora, Isaac, caparbio e un poco incosciente, ma determinato in quello che facevi, sempre!”

“D’accordo, ma… ho visto quella tecnica un’unica volta, pensate davvero che io possa… riprodurla correttamente?”

“Ne sono sicuro e… ti chiedo di attaccare con me, insieme, per sigillare quegli esseri. So quanto vali, Isaac, l’ho sempre saputo!” asserì, inorgoglito, tanto da instillare fiducia anche nell’allievo, che si fece caparbio e determinato come non mai.

“D’accordo, Maestro, sono pronto!” esclamò, con foga.

“Non adesso, Isaac, ancora… ancora una manciata di secondi!”

Isaac stette in attesa, l’adrenalina a mille e il respiro sempre più accelerato. Camus era solo uno spirito in quella forma, ma stavano combattendo insieme, resistendo strenuamente, la sola idea… la sola idea lo galvanizzava totalmente, come un sogno che si avverava.

La pressione dell’attacco dei nemici stava scemando piano piano, quello era, di sicuro, il momento per agire, dando tutto sé stesso, ma una vocina dentro di lui gli sussurrava invece di affievolire a sua volta il colpo, perché altrimenti non sarebbe stato capace di ricreare la tecnica dopo, che sarebbe stata decisiva. Ingoiò a vuoto, pronto ad agire al via del maestro.

Camus attese ancora una serie di secondi, la sua presa sulle mani del discepolo si fece più salda, il tempo era quasi giunto, sorrise tra sé e sé.

“Adesso, Isaac, abbandona la tecnica e concentrati sul Freezing Shield!” lo avvertì e l’allievo eseguì senza esitare, del tutto fiducioso.

L’Aurora Borealis svanì in un istante, la sfera cosmica aveva quindi il totale via libera, ma era proprio quello il segreto per fermarla: non opporsi alla corrente del fiume ma farsi trascinare da essa, senza venirne però travolti. Isaac lo capì. Scoccò un’occhiata d’intesa a Camus, il quale annuì, a sua volta pronto. Sorrise. Sorrisero entrambi, complici.

“FREEZING SHIELD!!!” urlarono in completa sinergia, quasi fossero un’unica voce. Il resto fu un concentrato di luci varie, cristalli di ghiaccio, che danzavano aggraziati, e di colori arcobaleno, scintillanti.

 

 

* * *

 

 

Isaac ci mise un po’ a recuperare coscienza, le palpebre erano ancora chiuse mentre i sensi, lentamente, tornavano a galla. Era allo stremo delle forze, ma felice.

Qualcuno lo stava stringendo, avvolgendolo di un intenso cosmo dorato, che lo riportava alle memorie della sua infanzia. Era appoggiato al petto di qualcuno, che lo tratteneva contro di sé, come da bambino. Desiderò non separarsi più da quella stretta, ma con l’avviarsi dei sensi, l’avrebbe persa, ancora una volta, lo sentiva e non lo riusciva ad accettare.

“Sei stato… bravissimo, Isaac!”

Sentì la voce di Camus vicino a lui, quasi soffiargli tra i capelli, ciò lo spinse ad aprire finalmente le iridi, che si incontrarono con le sue, serene e fiere, esattamente come Isaac le aveva sempre riconosciute.

“Maestro! Avete… avete raggiunto lo Zero Assoluto!” esclamò, del tutto ammirato, poiché quello sfavillante potere, che travalicava i confini fisici, lui lo aveva avvertito nel lanciare quel colpo, ed il merito non poteva essere altri che di Camus, il quale però sempre sorridendo, scosse la testa, prima di staccarsi leggermente da lui.

“No, Isaac, sei tu ad averlo raggiunto!”

“C-cosa?! No, Maestro, voi...”

“Io ti ho solo mostrato il percorso, sei tu ad averlo perseguito fino alla fine, con ottimi risultati, aggiungerei!”

“Senza il vostro intervento, io non credo che sarei riuscito a...”

“Isaac, io non posso fisicamente raggiungere lo Zero Assoluto, sei stato tu, te lo assicuro!”

Isaac avrebbe voluto chiedergli perché, come fosse possibile che lui, il più puro e giusto tra i Cavalieri d’Oro e, forse, tra gli uomini, non potesse superare tale limite a cui invece aveva condotto Hyoga a prezzo della vita e poi, lui, apparendo come uno spirito. Si accorse, Isaac, che aveva ancora tante domande da fargli, tante cose da apprendere e molte emozioni da vivere, ma la luce che avvolgeva la figura del suo maestro si era fatta più accecante, mentre la sua stessa conformità andava svanendo. Ebbe un sussulto.

“N-no, Camus!” si lasciò sfuggire, protraendo la mano nella sua direzione nel tentativo di afferrarlo, ma ritrovandosi a stringere solo una piccola sferetta di luce, delle dimensioni di una lucciola, che pulsò con forza.

“Isaac… purtroppo non ho più energie per mantenermi visibile a te, per… stare qui. Io… me ne devo andare!”

“N-no, Maestro, perché? Non ora… ora che vi ho rivisto, non...”

Camus gli sorrise con dolcezza, alzando il braccio per scompigliargli i capelli affettuosamente, lui riusciva a raggiungerlo, a toccarlo, anche se il tocco rassomigliava ad una brezza leggera sulla pelle, perché invece ad Isaac non era possibile?! Perché più si incaponiva a stringerlo a sé, più lo vedeva scomparire, diventando sempre più evanescente?!

“Ti ho accompagnato fin qui e… sono fiero di averlo fatto! Ora però le nostre strade devono dividersi, è giusto… che tu prosegua per la tua via a tuo modo, sotto un altro cielo, diverso e distante dal mio. Sei grande a sufficienza per… camminare sulle tue gambe” la voce gli si era incrinata nel parlare di quello, la separazione era imminente, entrambi lo sapevano, entrambi ne soffrivano.

“E se non lo volessi? Non voglio più separarmi da voi, siete… tutto!”

Ma Camus non rispondeva verbalmente alle domande, si limitava a sorridere tristemente e a scuotere la testa. Isaac capì che neanche lui avrebbe voluto farlo, non voleva separarsi, non voleva lasciarlo lì da solo, semplicemente alcune cose accadevano senza possibilità che la volontà umana, la volontà del maestro, potesse opporsi. Il giovane allievo si ritrovò a stringere con forza i pugni, la testa incassata fra le spalle, il respiro spezzato nel petto.

“Ricorderai… i miei insegnamenti?”

“Sempre, Maestro, fino… fino alla fine del tempo!”

Si ritrovò ben presto a tirare su con il naso, le lacrime a fior di palpebre, che chiedevano di uscire, si trattenne, incrinandosi paurosamente, ma non avrebbe pianto in presenza di Camus, non sarebbe crollato, sebbene la tristezza non gli permettesse quasi di respirare regolarmente.

“Guardami ancora un secondo, Isaac...”

La voce di Camus era gentile e triste allo stesso tempo, l’allievo alzò il capo, trattenendo a stento i singhiozzi e, nel farlo, si accorse anche anche il suo maestro era al limite, gli occhi lucidi e inumiditi, il petto sconquassato ma l’espressione fiera, come meglio gli si adattava.

Lentamente sollevò la mano destra, chiusa a pugno ad eccezione del pollice, nella sua direzione, con quella ricalcò, prima sulla fronte e poi sul petto il consueto movimento ad onde inframezzato da una linea retta al centro. Gli occhi di Isaac si spalancarono per la sorpresa, mentre una famigliare sensazione di calore e di beatitudine lo invase, facendolo sentire protetto, malgrado il distacco imminente.

“Questo simbolo lo conosci bene, mio piccolo Isaac, ora… ora sei sufficientemente grande per capirne il significato intrinseco...”

“Sì… - annuì, gli occhi luminosi, sfiorandosi con la mano prima la fronte e poi il petto, prima di respirare a pieni polmoni, trepidante – Sei nella mia mente e nel mio cuore, in altre parole: ti voglio bene e sei parte di me, lo...”

“...lo sarai sempre, sì!”

Quella volta, fu Camus a cedere, Isaac lo vide bene, perché una lacrima, una sola, gli solcò la guancia che sembrava fatta di pura luce. Avrebbe voluto, con tutte le sue forze, abbracciarlo, non poterlo fare era straziante.

“Vale… vale anche per me, Maestro… sempre!” riuscì a dire, stentatamente, in un singulto che non riuscì più a trattenere.

Camus sorrise, un’ultima volta, intorno era pura luce, il suo viso oramai abbagliante, tanto che era difficile distinguerne i contorni definiti, Isaac fu costretto a serrare le palpebre, ferite da quella emanazione troppo potente. Tutto stava scomparendo intorno a lui, non poteva più opporsi, si coprì il viso con le mani, prima di percepire un’ultima carezza sulla testa.

“Isaac, sono felice... e orgoglioso... di essere stato tuo maestro! Ora va’, continua a vivere con determinazione, senza arrenderti mai. Termina qui il nostro percorso insieme, non il sentiero che sceglierai con le tue forze da questo momento in avanti. Va’, ti affido al vento e confido nel futuro che traccerai per te stesso e per gli altri. Non ho paura né rimpianti, so quanto sei forte, mio coraggiosissimo allievo!”

Furono le sue ultime parole, prima che tutto si fece sgargiante e buio nell’arco di un solo istante.

E poi...

...Silenzio...

 

Il cielo andava tingendosi di un azzurrino chiaro che allontanava le tenebre della notte…

Fu questa la prima cosa che gli occhi di Isaac distinsero, dopo quella luce che lo aveva accecato. Rimase fermo e immobile senza muovere un dito, catturato da quel colore che si faceva sempre più chiaro. Era così bello…

Per certi versi ricordava il cielo, che era mare, in verità, di Atlantide, per altri, il ritorno della luce dopo i mesi di buio quando ancora si trovava in Siberia.

Ad Isaac quel momento; il momento di passaggio di testimone dall’oscurità alla luce lo aveva sempre affascinato, rappresentava la speranza, il non volersi arrendere del sole che, lentamente, tornava sempre a riscaldare quelle lande congelate e inospitali.

Il cielo aveva esattamente quel colore, pareva irraggiungibile e, al contempo, vicino, tangibile, quasi immanente.

I suoi occhi non videro altro che quello per una serie interminabile di tempo, ma, infine, alle sue orecchie giunse un suono limpido e cristallino.

“Isaac!”

Il ragazzo si riscosse e, come se le sue iridi si fossero aperte solo in quel momento, nel suo campo visivo si distinse la figura famigliare di una giovane donna dai capelli argentati, la stessa che lo aveva accolto quando era precipitato in quel mondo che sfiorava la perdizione.

“Nobile Seraphina...” la riconobbe, convinto di parlare a viva voce, ma dalle sue labbra uscì solo un suono sommesso a stento riconoscibile, si accorse di essere allo stremo delle forze.

“Bevi questo, coraggio...”

Un’altra voce gentile, stavolta maschile, sopraggiunse finemente al suo udito, nello stesso momento percepì il palmo di una mano sotto la sua nuca, che venne sollevata appena. Un contenitore venne avvicinato alla sua bocca. Isaac non si chiese cosa contenesse, si fidò e basta, e bevve con ingordigia, accorgendosi di essere vicino allo sfinimento.

Una volta finito di ingurgitare il liquido, che non era né acqua né nessun’altra bibita mai provata, si rese conto di stare meglio, le forze stavano lentamente tornando. Si guardò intorno, spaesato, gli occhi spalancati, dita gentili, quelle di Seraphina, che gli accarezzavano i capelli e il sorriso, quello di Dégel, dolce come non mai. Si accorse nitidamente di essere adagiato sul grembo della giovane donna e che Dègel era al suo fianco, nuovamente vigile.

“Che cosa… cosa è successo?” gracchiò a fatica, la voce stava tornando, ma ci voleva del tempo.

“Sei stato… incredibile, Isaac! Li hai fermati e… sigillati… davvero superlativo!” si congratulò Dègel, permettendosi di sfiorargli la guancia destra con le dita lunghe e affusolate.

Isaac ricordò quanto avvenuto, sussultò, alzandosi a sedere di scatto, gli occhi sbarrati, il cuore a mille. Si accorse di non essere più nello stesso luogo di prima, i contorni del paesaggio stavano cominciando a prendere forma, irrorati dalla luce incalzante. Non c’era più la foresta con le strane luci intermittenti, solo rocce, pendenze e monti.

“Lo sforzo però è stato troppo per te, sei svenuto e stavi per cadere nel vuoto, ma siamo riusciti a raggiungerti in tempo!” continuò Seraphina, alla sua stessa altezza, sorridendo amabilmente.

Lo sguardo di Isaac navigò spaurito e scioccato nei dintorni ancora per un tempo indefinito. Non lo disse, ma stava cercando Camus, sebbene sapesse che, con ogni probabilità, era uno sforzo vano, perché il maestro era svanito insieme a quell’aurora di colori. Per sempre.

Incassò la testa tra le spalle, le mani si strinsero a pugno e gli occhi si chiusero disperatamente. Ci mise un po’ per calmarsi, gli altri due parvero capire il suo stato. Attesero.

“Non ero solo… per questo ci sono riuscito” farfugliò, rotto.

“Lo so...”

Fu l’inaspettata risposta di Dégel, che ora lo fissava con fierezza mista a serietà. Isaac lo osservò, a metà strada tra la speranza e il senso di impotenza.

L’ex Acquario si alzò lentamente in piedi, era ancora ferito alla spalla, che però aveva smesso di sanguinare, quel marasma di color pece sembrava essersi completamente solidificato sul braccio, che effettivamente si muoveva inerte, solo per effetto secondario. Doveva fargli un male difficilmente sopportabile, ma ne era incurante.

Isaac seguì docilmente Dègel, Seraphina era poco dietro di loro, gli occhi tristi.

“Guarda, Isaac… non è meravigliosa la vista da quassù?” lo invitò, indicando l’orizzonte con il braccio sano. Il ragazzo si sporse appena sul dirupo, le sue iridi si spalancarono, quasi inglobando quell’azzurro che si faceva sempre più chiaro, vertendo sul bianco: la luce stava scacciando le tenebre.

Sotto di loro, appena illuminata, vi era la foresta che aveva visto il loro scontro, Isaac non si meravigliò a vederla riflessa in mille e più luminosità differenti, ognuna con la propria intonazione: era una foresta di cristallo che, con l’avanzare del giorno, brillava sempre di più, ricreando uno spettacolo senza pari, che mozzava il respiro.

“Avverto i tuoi dubbi e la domanda che non hai il coraggio di porre, Isaac, e… ti posso dire che il tuo sentore è corretto” disse ad un certo punto Dégel, in tono tranquillo e calmo, ma procedendo con cautela.

“Il Maestro Camus… è davvero intervenuto per darmi manforte? Non è accaduto tutto nella mia testa?” chiese conferma Isaac, voltandosi verso di lui, gli occhi lucidi.

“Sì, Isaac, era il Camus della tua dimensione, il tuo… maestro!”

“Urgh… - avrebbe dovuto essere una lieta notizia, la verità è che il giovane allievo si era sentito, a quella rivelazione, come se qualcuno gli avesse perforato un polmone da parte a parte. L’ossigeno mancava, il petto era sconquassato – Come… come è riuscito a…?”

“Questo non lo so, me ne rammarico… ma, di sicuro, ciò che è riuscito a fare è stato grazie al profondo affetto che nutre per te e… e deve essere un uomo straordinario, il tuo maestro, si è spinto fino a qua per proteggerti, per sostenerti nello scontro e… per dirti addio...”

A quel punto Isaac scattò nella sua direzione, furente, andandogli appresso, come a volergli dire di smettere di dire cazzate, ma si arrestò immediatamente, riportando il controllo sulla rabbia crescente. Rabbia… senso di impotenza… tristezza infinita.

“Se… se lo ha fatto una volta, non è stato un addio, può rifarlo e, quando succederà, io...”

“Non lo può più fare, Isaac… mi spiace...”

“Che ne sai tu?!? Dimmelo!”

A quel punto Dégel sospirò, scrollando il capo, davvero affranto. Chiuse e riaprì gli occhi in pochi secondi e, in quei pochi secondi, l’espressione di Isaac era mutata da iraconda ad arrendevole in un battito di ciglia. Aveva capito fin da subito, ma arguire quella verità era tutto un altro paio di maniche.

“Alcuni uomini speciali possono spingersi oltre l’orizzonte degli eventi del loro mondo e varcare così i confini fisici della loro dimensione. Tu immaginati uno specchio d’acqua dove vedi il tuo riflesso, se provi a toccarlo, esso tremolerà fino a scomparire, per poi ricomparire poco dopo. Tu lo guardi, il riflesso guarda te, siete due facce di una stessa medaglia ma… intoccabili. E’ così anche per i mondi paralleli. Paralleli, appunto, non caso ho usato questo etimo, perché, pur essendo incommensurabilmente vicini, non si possono intersecare mai, tanto meno...”

Isaac guardava Dègel con attenzione, aveva capito, ma non era da lui arrendersi.

“Ti stai contraddicendo da solo, Dègel, se non si possono intersecare, allora Camus non avrebbe avuto facoltà di intervenire, io non dovrei essere qui, dopo il colpo di Hyoga e...”

“Ti ho detto poc’anzi che alcuni uomini speciali ci possono riuscire, ma… ad un prezzo...”

“E sarebbe?”

“Nel loro mondo devono trovarsi in condizioni esistenziali incerte, o… travalicare i confini fisici, ma occorre un’energia inesauribile che difficilmente può essere mantenuta per un tempo prolungato… tu sei finito qui accidentalmente, a causa dello Zero Assoluto del tuo amico, ma… dubito che lui sappia di questa peculiarità, nessuno, dell’altro mondo, può saperlo, nessuno dell’altro mondo può sapere che sei qui, neanche Camus. Ha profuso tutto sé stesso per raggiungerti e avrà pagato il suo prezzo, non può ricordare in nessuna maniera di averlo fatto!”

Isaac sussultò a quella rivelazione, tornando a osservare, con sguardo spento, l’orizzonte davanti a lui. Il sole non lo aveva ancora varcato, ma la luce era sempre più forte e accecante.

“Camus ha detto che lui non può raggiungere lo Zero Assoluto… anche se mi sembra francamente impossibile...” barbugliò, prostrato. Avvertì un sospiro prolungato dietro di sé e seppe trattarsi di Dégel.

“…Allora significa che il tuo maestro era in fin di vita e che, con le ultime forze rimaste, si è spinto verso di te, come una sorta di proiezione cosmica. Non lo rammenterà più, Isaac, la sua coscienza è svanita dopo quest’ultimo sussulto” ribadì, enormemente dispiaciuto. Utilizzava un tono gentile, ma asseriva quella verità con naturalezza, senza mezzi termini: Camus era morto, non avrebbe più rammentato di essersi ricongiunto con l’allievo, anche se per un solo attimo.

Isaac incassò malamente il colpo, stentatamente si mantenne in piedi, anche se le gambe gli urlavano di cedere, di crollare lì, ma non lo avrebbe fatto davanti agli altri, mai. Il punto era che, tutte quelle parole pronunciate da Dègel in tono dolce, lui le aveva percepite già dall’espressione rattristata di Camus, solo che non le voleva accettare, non poteva… accettarle!

L’orizzonte si fece annebbiato, come cielo gonfio di pioggia che si apprestava a manifestare il suo pianto, come vetro appannato che rendeva tutto ovattato. Non percepì quasi più il suo cuore, le sue braccia, le sue gambe… non percepiva più niente, solo… il frastuono dentro di sé, che era arrivato ad impedirgli di udire quella melodia, quel canto a lui tanto caro.

Non era la prima volta che diceva addio a Camus, ma quella, se possibile, era stata la più devastante, perché fino a pochi istanti prima, con il maestro, durante il loro ultimo assalto, sentiva quasi di aver raggiunto finalmente la forma per la quale era nato. Ed ora invece, non aveva che un pugno di mosche in mano, e un percorso ancora più oscuro rispetto a quelli già intrapresi. Qualsiasi cosa sarebbe successa, Casa si era fatta ancora più distante, irraggiungibile. La speranza languì nel suo giovane cuore.

“Isaac… il tuo maestro ti voleva molto bene, sii fiero di quanto hai imparato da lui, non dimenticare mai i suoi insegnamenti. Ora il tuo cuore è comprensibilmente spezzato, ma, una volta che sarà passato questo attimo d’intenso smarrimento, ti renderai conto che non sarete mai separati per davvero: lui vive in te, il suo spirito sarà… sempre… al tuo fianco, anche se ti sembrerà di non riuscire più a percepirlo”

Isaac tacque per una serie di secondi, le labbra assottigliate, la gola secca, bruciante, dolente, il bisogno di singhiozzare sempre più impellente. Alla fine, rabboccando un po’ d’aria, trovò la forza di biascicare qualcosa.

“Lasciatemi… lasciatemi da solo, per favore...”

Si accorse che il suo tono era allo stremo, che sarebbe crollato da lì a breve, e che non voleva farlo davanti a loro, nella maniera più assoluta.

Dègel parve capire, acconsentì, compiendo qualche passo, prima di aggiungere ancora una cosa.

“Il tuo percorso, dovrai sceglierlo da te, da ora in poi, ma, se permetti un consiglio, quella rupe là, sopra le nostre teste, offre una bellissima postazione per contemplare la nascita del nuovo giorno. Da lì l’alba si vede molto meglio che di qua, permettendoci così di godere di uno spettacolo incommensurabile, di una bellezza senza pari… - mormorò in tono basso, ma sufficientemente alto per farsi udire dal ragazzo, che aveva cominciato a tremare. Sospirò, sentendosi di aggiungere altro – Se non hai un posto dove andare, se vorrai seguirmi… sai dove trovarmi, in caso contrario, se preferirai arrenderti alle tenebre, non ti biasimerò di certo” disse ancora, prima di allontanarsi da lì, seguito da una ammutolita Seraphina.

Isaac lo udì appena, le palpebre ormai pizzicavano fastidiosamente, stava cedendo...

Gli occhi verdi di Isaac si costrinsero a guardare verso il sole, che, proprio in quel momento, irradiava il primo raggio sopra l’orizzonte, che accarezzò dolcemente la cima della montagna, come a volerla amabilmente salutare dopo essere mancato per così tanto tempo.

Isaac guardava il sole, incurante del rischio di danneggiare la vista; guardava il sole, in verità i suoi occhi vedevano altro. Verso l’orizzonte, infatti, illuminati da una luce calda, vi erano il Maestro Camus e il piccolo Hyoga che, in quella manifestazione, aveva, probabilmente circa 8 anni, l’età in cui lo aveva conosciuto. Entrambi lo osservavano a loro volta, sorridendo, un poco distanti ed eterei, ma concreti come non mai. Camus aveva le braccia conserte, l’espressione fiera e composta, gli occhi ben piantati nei suoi, Isaac ne percepì l’immenso orgoglio che provava per lui, ne ebbe un fremito; il piccolo Hyoga, invece, era vivace, come raramente gli era capitato di essere, muoveva la mano nella sua direzione e gli regalava dei larghi sorrisi, come a proporgli di unirsi a lui e giocare, come facevano quando erano piccoli.

Isaac sorrise malinconicamente nella sua direzione, un nodo in gola, un altro sul petto, mentre la loro effige andava svanendo per imprimersi meglio in lui. Faceva male, ma era così che doveva essere. Faceva male, ma loro… erano parte di lui.

Qualcosa di bagnato sul viso… le lacrime avevano finalmente trovato la loro strada, come sorgente che, ravvivata dalla pioggia, traboccava dal terreno per dirigersi poi verso valle. La cosa più bizzarra, in quel mondo ancora più bizzarro, era che piangeva, sì, ma da un’unica parte del viso, la destra. Che cosa buffa… aveva riacquistato la completa vista, ma perso la capacità di piangere dall’occhio precedentemente ingiuriato. Il lavoro doppio toccava quindi al destro, che aveva deciso di rompere arbitrariamente gli argini e riversare all’esterno tutta la tristezza che si era incancrenita nel suo petto.

Le figure del maestro e del fratello andavano dissolvendosi, ne rimanevano ancora i contorni del viso, ancora sorridenti. Lo volevano incoraggiare, con tutte le loro forze, mentre la loro effige, la loro essenza si intrecciava con la sua, creando così un qualcosa di eterno: un legame indistruttibile.

 

Siamo nella tua mente e nel tuo cuore, così sarà per sempre, non importa la distanza fisica tra noi, questo non potrà mai strappartelo nessuno, coraggio, Isaac!

 

Isaac annuì, sentendo forti e chiare, dentro di sé, le parole del maestro. Strinse i pugni, le nocche sbiancarono, Si sbilanciò in avanti, ma non crollò, non ancora. Aveva ancora una cosa da dire, prima che loro compenetrassero completamente in lui.

“Maestro Camus, Hyoga, fratello mio… vi voglio bene, siete le persone più importanti della mia vita e… la mia famiglia… sono fiero di essere cresciuto con voi, mia avete insegnato tanto e, anche se non ci vedremo più, vi custodirò nel mio cuore… per sempre!” biascicò, prima di permettere finalmente alle sue ginocchia di cedere, facendolo accasciare a terra in una manifestazione di dolore che non riusciva più a controllare. E forse non era neanche il caso di tenerla sotto torchio, non quella volta.

Strinse con foga le dita sul terreno ancora incrostato dal ghiaccio, prima di prendere tutta l’aria possibile e gettare fuori dalla bocca un ampio e prolungato urlo, pregno di tutti i sentimenti e della disperazione che lo avevano condotto fino a lì, nel bivio dove la sua vita si sarebbe divisa irreparabilmente dalla loro.

Dall’alto della rupe, intanto, Dègel, udendo il grido del ragazzo, fissava il sole nascente con espressione mesta, tenendosi la spalla martoriata con la mano destra. Non sentiva quasi più dolore corporeo, era molto di più ciò che si muoveva in lui per il giovane Isaac, a metà strada tra l’empatia, per quel ragazzo coraggioso e la paura di smarrirlo irreversibilmente.

Seraphina si muoveva nervosamente a poca distanza, tesa come non mai, preoccupata dalla scelta di Dègel di aver lasciato Isaac poco più sotto, libero di decidere ciò che voleva della propria vita.

“Dégel… Isaac ha appena realizzato di aver perso per sempre le persone più importanti della sua vita, non… non dovremmo lasciarlo giù da solo, è molto fragile adesso...”

“Lo so...”

“Lo sai… ma non hai fatto nulla per convincerlo a rimanere con noi, là fuori è pericoloso, se si allontana rischia di perdere la vita, se non per i Ghulu, che in questo periodo cadono in letargo, di stenti… la tua anima si è unita a quella di Camus, anche se non è il suo Isaac, lui non accetterebbe mai di vederlo smarrirsi così, lo so, fermalo, ti prego!”

“Lo biasimeresti… se scegliesse la morte? Se scegliesse di arrendersi? - chiese Dègel a bruciapelo, non guardando la consorte in faccia, rattristato come non mai – Ha appena saggiato la disperazione di questo mondo, perso le sue radici e le persone che amava… di’, sarebbe sbagliato desiderare di morire, in una simile situazione?”

“Proprio per questo noi dobbiamo salvarlo, non possiamo permettere che si arrenda alla morte, non… - Seraphina prese una breve pausa, accorgendosi di star tremando – Non voglio che si ripeta quello che è successo a-a...”

“Lo so bene, Sefi… - tagliò il discorso Dègel, non volendo proseguire in un dialogo che avrebbe riportato alla luce un dolore ben tangibile per entrambi e mai del tutto sopito – Ma il suo maestro gli ha dato facoltà di scelta, reputandolo sufficientemente forte per tracciare il suo futuro consapevolmente, qualsiasi sentiero imboccherà. E’ stata una ferma decisione di Camus, io non posso oppormi!”

“Ma…!”

Seraphina non trovava parole per opporsi a Dègel, eppure non poteva accettare un simile epilogo per il ragazzo, cui era già affezionata. Non poteva, era così ingiusto! Eppure, le sovvenne poco dopo, era ingiusto anche calpestare il testamento di Camus, il suo ultimo volere. Si sentì fratturata…

Ad un certo punto udì uno sbuffo provenire da Dègel, il quale aveva spostato lo sguardo dal sole a sotto di sé, alla parete rocciosa che lo separava dall’anfratto sottostante. Seraphina non capì subito il senso di quel mormorio, seguito, a breve distanza, da una tiepida risata, non finché non fu nuovamente l’ex Acquario a parlare.

“Sefi, ricordi quando ti dissi che non è nel vocabolario degli allievi di Camus la parola ‘arrendersi’, e che la loro testa può essere più dura del diamante?” le chiese, rasserenato.

“S-sì...” rispose lei, incerta, non capendo pienamente.

“Vieni a vedere tu stessa...”

Seraphina si affiancò a lui e si sporse verso il dirupo, sussultando nello scorgere la figura di Isaac intenta ad arrampicarsi per raggiungerli. Il suo cuore traboccò di gioia, mentre sul suo niveo volto si dipinse un sorriso.

“E’ un ragazzo… estremamente determinato!” lo elogiò Dègel, franco, attendendolo, trepidante.

Isaac stava utilizzando quanto era rimasto delle sue forze per scalare quel dirupo. Procedeva un poco incerto, il corpo tremante per lo sforzo prolungato, ma spedito, senza un minimo di esitazione. I muscoli gli dolevano, gli occhi erano ancora arrossati e la guancia destra umida, ma… proseguiva, con fatica, senza esitazione alcuna.

Una mano davanti, seguita dal piede opposto, l’altra mano, seguita dall’altro piede, e così via… ad ogni passo, un ricordo si fissava nella sua mente, facendolo quasi singhiozzare, ma, allo stesso tempo, regalandogli le forze sufficienti per perseguire il suo obiettivo.

La mano destra stringeva saldamente la presa sulla sua roccia e intanto nella sua mente, un piccolo Hyoga, giocando, si era imbernoccolato la fronte, essendo andato a picchiare contro lo scatolone dei giochi ed essendone riemerso con un bel segno sulla pelle. Isaac, o meglio, la sua versione mignon, aveva riso di gusto a quello spettacolo.

La gamba sinistra si piegava per dare più appoggio alla struttura del suo corpo, mentre il Maestro Camus, nella sua mente, di ritorno dal Santuario di Grecia, aveva portato dei graziosi cavallini di legno, uno per lui, l’altro per Hyoga. Adele e Freccia li avevano chiamati… il suo si era reso distinguibile perché, cadendo, un pezzo di zampa si era scheggiata.

Ora la mano sinistra si protraeva sulla roccia ancora più su, ed Isaac, o meglio, ancora una volta, la sua immagine bambinesca fu avvolta da una coperta calda e sollevato dalle mani esperte di Camus, che lo condussero a letto,a dormire su un giaciglio caldo, un bene più che prezioso.

Gamba destra… e c’erano lui e Hyoga, sempre bambini, a fare le corse sul permafrost per vedere chi sarebbe arrivato prima all’isba. Vinceva sempre Isaac, in quello, ma il biondo compensava con gli allenamenti in acqua, eccome! Lui e l’acqua sembravano un’unica cosa, Isaac lo ammirava, per quello.

Era il turno di nuovo della mano destra che, abbandonando la presa sicura sulla roccia, era atta ad aggrapparsi ad una altro sostegno, ma gli occhi gli si appannarono improvvisamente, mentre la parola ‘Kraken’ gli rimbalzava nelle orecchie, riportandogli alla mente la notte in cui aveva litigato aspramente con Camus per la solita, assurda, lotta di principi, e si era così allontanato dall’isba, arrabbiato come non mai. Esitò un secondo, e quella esitazione si ripercosse sui piedi di appoggio, i quali, malfermi, persero contatto con la parete. Si ritrovò così ben presto con le gambe a penzoli nel vuoto, gli occhi socchiusi, stremato. Le forze che gli venivano meno.

“Isaac!!!”

Seraphina ebbe l’impulso di intervenire, ma fu prontamente fermata da Dègel, il quale, scuotendo la testa, impresse il suo sguardo in quello della donna amata.

“Deve farcela da solo, so che che può riuscirci! - le disse, fermo, tornando a concentrarsi sul ragazzo, momentaneamente bloccato – Coraggio, Isaac!”

 

Coraggio, Isaac!

 

La voce del maestro… il ragazzo riprese fiato, coniugando tutte le forze rimaste per muovere le gambe e farle nuovamente appoggiare alla parete rocciosa. Attese un poco, il tempo di scacciare il tremore in lui. Poi riprese.

Insieme ai suoi movimenti, riprese anche il viale dei ricordi in cui la sua mente era ingabbiata, immagine nitide, immagini distanti nel tempo, ma che facevano parte di lui… così sarebbe stato per sempre. Si accorse altresì che i momenti a cui era più legato racchiudevano situazioni del tutto ordinarie, piccoli gesti, non imprese titaniche come spaccare il ghiaccio o resistere a -34 gradi con l’ausilio dei soli pantaloni e della canottiera.

Sorrise, tra sé, ormai mancava davvero poco al traguardo: erano le piccole cose che contavano, erano quelle a mancargli terribilmente.

Il fiato aveva ricominciato a mancargli, un ultimo sforzo e ce l’avrebbe fatta, decise di dare il tutto e per tutto. Con le ultime energie corporee giunse alla sommità, un unico passo e ci sarebbe riuscito, ma, inaspettatamente, non riusciva più a muovere un solo muscolo: era giunto al limite? Non ebbe comunque il tempo per pensarci, perché una mano si porse nella sua direzione, a breve distanza dal suo viso. Isaac alzò lo sguardo, che si incontrò con quello cristallino di Dègel, ritto in piedi sopra di lui, con un leggero sorriso sulla nivea pelle. Nello stesso momento, una brezza leggera smosse i suoi capelli, meravigliandolo non poco. Il vento… esisteva ancora il vento in un mondo pressoché fermo?!

Un solo passo… solo quello lo separava dalla sua nuova vita, e sentiva che non sarebbe riuscito a compierlo da solo. Stranamente la cosa non gli diede fastidio, anzi, era significativa, del resto… in nessuna delle altre vite aveva raggiunto i suoi obiettivi in solitaria, era sempre stato guidato da qualcuno.

E, quel qualcuno, per la sua terza vita, sarebbe stato Dègel.

Esitò per un solo istante, il braccio protratto verso di lui, le loro dita quasi si toccavano. Era giunto il tempo per intrecciare nuovamente la mano, era giunto il tempo per non sentirsi più da solo, era giunto il tempo… di rinascere!

Non esitò più, afferrò e strinse la mano di Dègel, il quale, annuendo nel regalargli un nuovo sorriso, radunò tutte le sue forze per sollevarlo di peso e stringerselo così al petto, in una specie di abbraccio che infondeva vigore.

Isaac socchiuse gli occhi a quella stretta, il respiro irregolare che andava calmandosi, un venticello leggero a solleticargli i capelli. Aveva scelto la sua via da quel momento in avanti, la forma che avrebbe raggiunto era ancora misteriosa, ma non si sarebbe arreso per nessuna ragione al mondo, perché non ci si arrendeva mai, così gli era stato insegnato, con orgoglio e fierezza.

Il braccio di Dègel, che gli cingeva il busto, era di conforto, così come la voce melodiosa di Seraphina, che era corsa ad abbracciarlo a sua volta, e poi quel vento… la dimostrazione che quel mondo non era del tutto morto, respirava ancora, non era irrimediabilmente perduto.

“Che magnifica brezza… sembra che Ipsias voglia accoglierti con tutta sé stessa! Non è molto, ma… questa mondo è ancora vivo, lo senti respirare, Isaac, percepiscilo sulla tua pelle, tra i capelli… c’è ancora speranza!” gli mormorò Dègel, staccandosi un poco da lui per guardarlo in volto.

“I-Ipsias?”

“Il mondo parallelo e vicinissimo alla Terra, sorella gemella del luogo da dove vieni tu, la sua ombra, il suo riflesso, lo specchio delle cose di là… Ipsias! - spiegò brevemente Seraphina, sorridendogli dolcemente – Benvenuto tra noi, Isaac!”

Isaac non capiva, molte cose gli sfuggivano, molte altre le avrebbe imparate durante il percorso che aveva scelto. Guardò Dègel con ammirazione e, oltre a lui, il sole nascente in tutto il suo fulgore. La foresta sotto di loro scintillava ad intermittenza, quasi inneggiando un canto melodioso per l’arrivo della tanto sospirata luce, che abbracciava tutto con mille e più fasci luminosi.

“Ipsias… sono ad Ipsias… sarà questa la mia casa, da ora in poi...” affermò Isaac, ripeterlo a voce alta lo confortava e, insieme, lo faceva sentire più sicuro.

“Ti racconterò tutto, promesso, passo per passo… per il momento, ciò che ti posso offrire, è una zuppa calda per rifocillarti, non è granché, ma è già qualcosa...” gli promise Dègel, gli occhi brillanti, permettendosi di scompigliargli i capelli.

Isaac annuì, sorridendo a sua volta. Oltre l’orizzonte vi era ancora il sole che, sapeva, sarebbe poi scomparso dietro una nebbia di bianco sgargiante per i 6 mesi ad avvenire.

Non era granché, ma era già qualcosa, era vivo, sentiva il cuore pulsare in lui, il calore irradiare il corpo e la brezza solleticargli la pelle.

Insomma, poteva respirare, sentire le sensazioni sottopelle… era ampiamente qualcosa!

La sua vera forma era ancora oscura, ma l’avrebbe perseguita con coraggio…

Ciò che era stato non poteva cambiare in alcun modo, poteva solo trarne esperienza…

Coloro che aveva perso sarebbero sempre stati al suo fianco, vivendo in lui, tramite lui, finché non fossero stati abbastanza forti per tracciare, tutti insieme, quel mondo, quel... “vero presente”, dove tutti avrebbero potuto finalmente sorridere.

 

 

La strada che stai seguendo è nota solo a te,

così insegui un cielo diverso, lontano dal mio.

Per favore, dammi la forza di cambiare il futuro

(quel futuro) che avrei attraversato da solo.

Tu mi sorridi e, proprio grazie a questo,

posso volare in alto.

Desideriamo il coraggio di affrontare il futuro,

e ora voglio tornare al vero presente,

dove tu continui a sorridermi

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci infine giunti alla fine di questa storia. Perdonate il ritardo, le idee si sommavano senza fine, ho dovuto tagliarle, altrimenti diventava un poema. Avevo molti argomenti di cui trattare, alla fine me la sono risolta focalizzando l’attenzione sul rapporto che lega Isaac a Camus che permea tutto il capitolo. Non preoccupatevi, la storia di Isaac, la sua terza vita, non termina qui, avremo altre occasioni di leggere di lui, questo non è che un incipit.

Essendo un capitolo parecchio lungo, ho molte cose da approfondire in questo mio angolo, quindi perdonate se sarà un po’ prolissa ma ci tengo veramente tanto a questa storia e vorrei spiegarvi alcune cose passo per passo. Ma andiamo con ordine.

Atlantide: non so voi, ma io mi sono sempre chiesta se Isaac avesse mai provato, una volta parzialmente ripresosi, a tornare in superficie in Siberia, e mi sono data una risposta! Il luogo che il ragazzo raggiunge, è facilmente intuibile, per chi ha letto Lost Canvas. Secondo la conformazione della mia storia, il Dègel e la Seraphina terrestri, quelli della serie principale, per intenderci, non questi di Parallel hearts, dopo la Guerra del 1743 sono tutt’ora lì, nel sarcofago di ghiaccio che racchiude l’ultimo gesto nel quale si sono stretti. Isaac non li vede direttamente, quando raggiunge il luogo, ma ne percepisce parte dei ricordi e delle emozioni, che lo frastornano. Va invece da sé che Kanon, visto anche quanto dice al giovane, li ha visti, del resto l’armatura indossata da Unity è Dragone Marino e lui è Dragone Marino, non potevo non collegare questi due fatti. Per chi segue tutte le mie storie, avrete di sicuro visto che, proprio da Parallel hearts, sto puntando molto su Kanon, è perché avrà un ruolo molto importante nella “Melodia della Neve” non vi resta che scoprire quale. :)

Lisakki: il già citato secondo allievo di Camus, che è giunto in Siberia insieme ad Isaac e che è morto prematuramente. Questo testo ci offre qualcosa in più su di lui, sul suo violento trapasso, ma il frangente in cui è avvenuto sarà chiarito in un’altra storia. Qui ha le sembianze di un ragazzo di 14 anni, ma, sappiamo, è morto a 6. Dégel di dice che è un Proteiforme, ma Seraphina sostiene di aver visto la sua vera essenza, che era proprio quella di un bimbo di 6 anni… quindi rimane il dubbio: era davvero lui, o meglio, il Lisakki di quel mondo, giacché alcune cose sono contingenti nelle due dimensioni, o solo un Proteiforme? Dégel non ha ricordi di lui… chissà…

Ghulu e Proteiformi: come scritto, sono anime umane smarrite, quindi uccidendo loro, perde la vita anche l’essere umano precipitato nel cosiddetto “Mondo Inverso”. Mi rivolgo a chi segue anche la mia storia principale e vi chiedo: vi dice forse qualcosa la loro conformazione? I Ghulu non sono forse simili a quelli che appaiono nei capitoli 2 e 3 della “Melodia della Neve”? Ebbene sì… sapete, questo, cosa può significare? Avete teorie a riguardo? In caso contrario, sarà chiarito maggiormente durante la storia, non preoccupatevi :)

Camus e Isaac: il loro rapporto permea tutto il capitolo, sia laddove il “nostro” Camus interviene, sia nei ricordi, sia quando Isaac ripensa a lui. Prima di tutto, il simbolo che Camus ricrea sulla fronte e sul petto dell’allievo è già apparso nei miei scritti. Appare la prima volta nella Sonia’s side story, nel capitolo 8 ed è utilizzato dal Maestro solo e soltanto con Isaac. E’ un po’ il loro simbolo, la testimonianza del profondo affetto che li lega, nel significato che qui ho scritto… trovo sia una cosa molto dolce.

Camus interviene direttamente per Isaac due volte: nel sogno (che ha una base di verità, nel senso, è successo davvero) e nell’ultimo assalto di Isaac, dove, congiungendo le loro forze, utilizzano il Freezing Shield. Di base, è un addio, come dice lo stesso Dègel. Camus si trova in “condizioni esistenziali incerte”, detta in maniera spicciola, è più di là che di qua, ma riesce a raggiungere l’allievo e a sostenerlo, la domanda è: quando accade questo? Dopo lo scontro contro Hyoga, o… in un’altra circostanza? Anche qui vi lascio il dubbio. Camus dice di non poter attingere allo Zero Assoluto, ma ci fa arrivare il secondo allievo, questo non è demerito suo, è che il Potere della Creazione, che Camus possiede nella mia storia, è talmente agli antipodi, talmente oltre (oltre persino i confini fisici) da non permettergli di raggiungerlo, anche qui sarà spiegato più in là nella mia serie principale.

Ho pensato, inoltre, che Isaac avesse concepito l’Aurora Borealis proprio in onore dell’Aurora Execution del maestro.

La via, il percorso di Isaac: desidero spendere altre parole sull’ultima parte del capitolo, quella più densa di significati simbolici che, probabilmente, avrete già intuito ma che tengo particolarmente a sottolineare.

Al sopraggiungere della tanto sospirata alba, assistiamo al momento, spero, più emozionante dell’intero capitolo. Il sole sorge e Isaac, Dègel e Seraphina si ritrovano su un monte, a contemplare il ritorno della luce. Qui è molto esaustivo che Isaac, guardando il sole, veda in verità le figure di Camus e Hyoga… è il momento di passaggio dalla seconda alla terza vita. Lui li vede, li rimpiange, prima di abbandonarsi ad una manifestazione di dolore. Volendo, Camus gli ha dato facoltà di scelta, fidandosi completamente di lui, Isaac avrebbe anche potuto chiuderla lì, dopo che tutto, e dico tutto, gli è crollato addosso. Dègel segue il desiderio di Camus, del Camus maestro del ragazzo, sebbene ciò gli costi, ed è qui la piena simbologia, il pieno significato delle azioni di Isaac da questo momento in avanti.

Il ragazzo trova il coraggio di lasciare la luce, il sole, dietro di sé, con essi Camus e Hyoga, per apprestarsi a raggiungere Dégel e Seraphina, accettando così ciò che non può più cambiare. Anche qui, l’ex Acquario, malgrado i pareri di Seraphina, che vorrebbe intervenire, fidandosi completamente di Isaac, lo lascia fare. Il momento in cui il giovane si arrampica faticosamente verso di lui costituisce, come già detto, un vero e proprio rito di passaggio. I ricordi si susseguono, le emozioni anche, ma Isaac continua il suo percorso con determinazione. Sa che il sentiero che imboccherà lo porterà lontano da Casa, dalle persone per lui più importanti, sa che continuare a vivere gli costerà fatica, sofferenza, infatti, nell’arrampicarsi è incerto, ogni tanto rischia di cadere, finché, finalmente non raggiunge la sommità. Qui è a sua volta esaustivo che non riesca comunque a compiere l’ultimo passo, non può farlo, è stremato, non può compiere l’ultimo balzo, non da solo, ed è qui che Dègel interviene, dandogli la mano e prendendolo di peso. Una volta giunto sulla rupe, il passaggio è fatto: Isaac è entrato pienamente nella sua terza vita, non sa cosa lo aspetterà, ma sa che sarà insieme a Dégel e Seraphina e che le persone che ama saranno dentro di lui, vivendo tramite lui medesimo. Separazione irreversibile? Mmmh, sì, per un bel po’ di tempo, poi, chissà, del resto c’è sempre questo presunto mondo dove tutti sorridono!

Ipisas: qui il riferimento è, ancora una volta, sulla mia serie principale, Ipsias è il nome di questa dimensione, vicinissima, gemella della Terra, chi ha letto Sentimenti che attraversano il tempo sa anche altro, su questo nome, che qui non dirò. Ora sapete dunque dov’è Isaac, anche nella mia serie principale e sapete perché non lo possono raggiungere, almeno per il momento...

Parallel hearts: questa opening, presa come detto all’inizio, dall’anime di Pandora Hearts, calza a pennello con tutta la mia storia, in una maniera che mi emoziona al solo pensarlo. Non sono solo i cuori, qui, ad essere paralleli, ma anche i due mondi. Sono davvero contenta di aver avuto questa intuizione!

Lo avrete certamente capito, ma l’ultimo pezzo della canzone, è una miscela tra la prima parte (quella di Camus) e l’ultima, di Isaac, le ho accorpate per darci pienamente il senso che volevo infondere in quest’opera, spero si esserci riuscita, ma me lo direte voi.

 

Dovrei (finalmente, direte voi!) aver finito, perdonate lo spiegone lunghissimo ma ci tenevo davvero a dirvi, con maggiori dettagli possibili, come la mia mente sia arrivata a questo. Sono molto fiera di questa mia storia, a mio parere una delle più belle scritte da me, spero possa piacere anche a voi. Vi ringrazio per avermi seguito anche qui, resto a disposizione per domande, congetture e teorie varie.

Vi saluto e vi ringrazio infinitamente! :)

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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