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Autore: Nadine_Rose    29/05/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 31

 

Tornare

 

“No, non tornare, avrei crudo sgomento

e mi toglieresti a questi dolci sogni

o forse troveresti che disfatta

è la mia carne e la mia croce viva,

non tornare a vedermi, sono in pace

con le sfere assolute dell’amore

e mi giaccio scoperta e solitaria

come una rosa sfatta nel sereno.”

Alda Merini, No, non tornare

 


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Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”

 

Napoli, ottobre 1946

~ Due settimane al matrimonio ~

 

Come al solito, la giornata era iniziata con un bel sole e in allegria. Lungo il breve tragitto che da casa conduceva al Gran Cafè – era abitudine delle due ragazze percorrere un viale alberato del lungomare per andare al lavoro, dopo aver contemplato per qualche istante il reciproco specchiarsi del cielo nel mare e del mare nel cielo nella suggestiva cornice del Golfo di Napoli –, Sarah prendeva in giro la sua amica per aver bruciato il caffè a colazione definendolo «una ciofeca» e Hannah le rispondeva rinfacciandole scherzosamente gli spaghetti scotti del giorno precedente. Tra un punzecchiamento e una risata, entrambe si promisero in cuor loro di conservare e coltivare sempre quei momenti di spensieratezza.

Giunte al Gran Cafè, Sarah entrò per prima e fu subito accolta da un delizioso profumo di paste e torte appena sfornate e dal gioviale «buongiorno» del ragazzo dietro al bancone che, rivolgendosi a entrambe, aggiunse repentinamente: “Vi preparo un caffè?”

Sarah guardò in faccia l’amica e, ostentando dell’ironia, esplose in una risata abbastanza squillante e decisamente poco aggraziata. “Dopo il caffè che ha preparato Hannah stamattina, credo che non ne berrò più almeno per un mese”, gli rispose, mentre indossava il grembiule.

Hannah si finse arrabbiata e, lanciandole contro il grembiule che non aveva ancora indossato, le disse in romanesco: “Ma statte zitta. Menomale che te sposi perché nun te reggae più.”[1]

Risero tutti, anche la ragazza che era dietro al bancone dei dolci e che aveva assistito da lontano al divertente teatrino; poi, d’un tratto, il giovane addetto alla caffetteria divenne serio e fece un cenno con la testa verso Sarah, come per indicarle la presenza di qualcuno alle sue spalle e lei, simultaneamente ad Hannah e all’altra ragazza, riprese il suo abituale contegno, immaginando già di chi si trattasse.

“Vi sembra questo il modo di comportarvi?” Il signor Gennaro raccolse il grembiule dal pavimento e, scuotendolo lentamente su e giù con la mano ben tesa in avanti, proseguì il suo rimprovero: “è così che lavorate nella caffetteria più celebre della città?”

Sarah teneva lo sguardo abbassato e le mani giunte dietro la schiena in un intreccio quasi innaturale, imbarazzata per esser stata scoperta a bighellonare e, allo stesso tempo, sorrideva dentro di sé, intenerita dall’incapacità dell’uomo di mostrarsi severo verso i suoi dipendenti che considerava come figli.

“Scusateci, signor Gennaro.” Hannah parlò a nome di tutti, mentre riprendeva il suo grembiule accingendosi subito a indossarlo, anche lei imbarazzata.

“Stanno arrivando i primi clienti, va’ a prendere le ordinazioni ai tavolini fuori”, le disse e un mezzo sorriso sotto i suoi baffi grigi ne rivelò la consueta transigenza. Poi la sua fronte avvizzita si corrucciò in un’espressione preoccupata e, con tono di voce grave, si rivolse a Sarah: “Vieni con me.”

Sarah pensò subito a qualche problema riguardante le nozze, dal momento che la sera precedente il signor Gennaro e il suo futuro suocero erano andati a concordare gli ultimi dettagli con il proprietario della trattoria vista mare da lei scelta per il ricevimento e considerato il fatto che i genitori di Matteo obiettavano ogni sua decisione.

“C’è stato qualche problema a «La terrazza»?” chiese, infatti, allarmata che qualcosa, o meglio qualcuno, potesse rovinare il gran giorno e frenò il suo e l’incedere del signor Gennaro verso la sala interna del Gran Cafè, rimasta arredata come all’epoca dell’inaugurazione avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento.

“C’è una persona che ti sta aspettando.” A questa dichiarazione, Sarah sgranò gli occhi e il cuore le sobbalzò nel petto facendo sussultare visibilmente anche il suo corpo nelle spalle che si sollevarono e si abbassarono in un tremito incontrollabile. Poi un brivido freddo le percorse la schiena quando l’uomo sembrò confermare il suo presentimento, dicendole ancor più serio e apprensivo: “Ha fatto un lungo viaggio per venire fin qui a trovarti. È molto provato e potresti non riconoscerlo subito.”

Prima di sprofondare nuovamente nel baratro dei ricordi delle lacrime di dolore e degli spasimi d’amore, in una domanda appena sussurrata, Sarah cercò un’ulteriore conferma: “Chi è?”

“Non gli ho chiesto il nome, ma è qualcuno che hai conosciuto a Fossoli”, rispose il signor Gennaro e, scorgendo sul volto della ragazza un profondo turbamento, di cui non immaginava neanche lontanamente il vero motivo, le consigliò: “Non farti vedere così agitata. Quell’uomo ne avrà passate tante.”

Il presentimento divenne certezza e le dimensioni della sua vita presente sbiadirono come se fossero esse ad appartenere al passato. La sognante e trepidante attesa del matrimonio, l’entusiasmo per la luna di miele a Ischia, il volto tenero del vero amore negli occhi e nel sorriso di Matteo, l’innocente intimità nelle loro fughe d’amore, le irritanti e apparentemente insormontabili divergenze con i suoi futuri suoceri, i momenti spensierati di una gioventù ritrovata insieme alla sua amica Hannah, l’ordinarietà di un’esistenza adesso normale. Tutto era pronto a portarle via per sottometterla di nuovo al tormento di un amore malato e sentì che una parte di sé, ancor prima di rivederlo, voleva già cedere a quell’uomo che la stava aspettando nella sala ottocentesca del Gran Cafè, dopo aver fatto un lungo viaggio per ritrovarla e tornare da lei.

«Hermann», sussurrò dentro di sé e gli occhi le si velarono di lacrime, mentre il suo cuore iniziò a battere così forte da rimbombarle nelle orecchie.

Intanto, il signor Gennaro aveva ripreso a camminare, costringendola così a seguirlo nella sala interna e, superati gli unici due clienti seduti sulle poltrone rivestite di velluto beige e il pianoforte a coda laccato in mogano, si fermarono.

“Sarah”, esclamò l’uomo che, alzatosi di scatto, travolse con le ginocchia il tavolino, facendo oscillare la tazzina di caffè sul piattino.

Sarah stentò a riconoscerlo, tanto era cambiato nell’aspetto: il corpo smagrito, i capelli diradati, il viso scavato, gli occhi spenti di chi aveva visto l’inferno ed era tornato indietro per raccontarlo, per tener fede a una promessa fatta poco prima della partenza infausta. Ma non era con lui l’altra metà del suo cuore.

D’altra parte, anche l’uomo non riconobbe subito in lei il volto della ragazza disperata, nascosto da un groviglio di capelli e lividi, malamente afferrata dal terreno innevato e fangoso del campo e strattonata dalla mano del nazista che l’aveva abusata. Era questa l’ultima immagine che aveva di Sarah.

“Davide?” Esalò un sospiro tremante, più risollevata che non fosse Hermann anziché lui fosse ancora vivo.

 

“Torneranno gli innocenti tutti pieni di compassione

per gli errori dei potenti fatti senza esitazione,

senza lividi sui volti, con un taglio sopra al cuore.

Prendi un ago e siamo pronti, siamo pronti a ricucire.”

 

Negramaro, Fino all’imbrunire 



[1]“Ma stai zitta. Menomale che ti sposi perché non ti sopporto più.”

   
 
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