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Autore: FDFlames    29/05/2020    0 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Quattordici

Gli incubi di Aera non erano più così spaventosi, ma turbavano comunque il suo sonno; sognava di non riuscire a recitare la sua parte da Ideev, quando Venam la costringeva ad uccidere i membri del clan Knej. Era viva nella sua mente l’espressione sul volto di Zalcen, che la implorava di avere pietà, anche se non l’aveva mai vista. E in quei sogni, Aera scappava il più lontano possibile da tutto e da tutti, chiedeva aiuto, cercava di urlare ma non ci riusciva; veniva raggiunta dai membri del clan che la accusavano di essere una codarda, di essere fuggita, e che non la ritenevano degna di essere l’unica ad essersi salvata. Aera si faceva strada tra di loro, li scansava, poi, allontanatasi abbastanza, si sentiva libera, correva nei prati verdi colorati dai fiori che brillavano come pietre preziose, saltava fino a toccare il cielo sempre limpido, sorrideva, ed era felice nella sua solitudine in quel mondo immaginario.
Reyns aveva imparato a riconoscere le diverse fasi dei sogni di Aera, mentre vegliava su di lei.
«C’è davvero qualcuno?» chiese a bassa voce.
«Non lo sappiamo con certezza.» disse Daul,
«Sì!» rispose invece Gatto, sicuro. «Tu sta’ attento alla ragazza.»
Detto questo, i due Ideev si addentrarono nella foresta, pugnale alla mano.
Reyns si alzò a prendere l’arco e la faretra, poi tornò a sedersi accanto ad Aera.
La guardò dormire; contemplò quel suo viso innocente e ingenuo, gli occhi chiusi, le ciglia lunghe. Notò il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo petto, ricambiò il suo sorriso rilassato. Da sveglia aveva uno sguardo così deciso... Stava tutto negli occhi. Ora come ora, non sembrava affatto pronta ad uccidere.
E lui, lo era? Lo aveva già fatto, e non ne andava fiero.
Ma questa volta non si trattava di uccidere qualcuno, un uomo di cui non conosceva nemmeno il nome. Si trattava di Vyde, colui che aveva rovinato la sua vita e quella di tutti gli abitanti della Valle Verde.
Compresa Aera. Sì, ormai si era reso conto di questo: lo stava facendo per lei. Stava andando a morire per lei. Insieme a lei. Com’è ingiusta, la vita!
La ragazza mormorò nel sonno qualcosa di incomprensibile; Reyns sorrise – gli sembrava davvero di essere davanti a una bambina – e le accarezzò i capelli, senza che lei si svegliasse.
Era bella, mentre dormiva, ma lo era ancora di più quando era sveglia; niente aveva avuto tanto effetto su Reyns quanto quei suoi occhi azzurri pieni di vita. Nemmeno la paura, nemmeno l’odio. Nemmeno tutto ciò che di male gli era capitato. Perché ciò che era accaduto nel suo passato lo aveva condannato e aveva allontanato da lui il desiderio di vivere; quegli occhi gli avevano fatto cambiare idea.
Reyns sentì il fruscio delle foglie, proveniente dal cespuglio che avevano indicato Daul e Gatto. Scattò in piedi, la freccia già incoccata, il braccio sinistro teso e le dita della mano destra pronte ad abbandonare la corda nel momento in cui un intruso fosse sbucato dall’oscurità.
Calò il silenzio, disturbato poi dai grilli.
Reyns percepì di nuovo il leggero fruscio, non causato dal vento, e si avvicinò al cespuglio, poi udì il sibilo della lama lanciata da qualcuno che si trovava alle sue spalle, che si conficcò nel terreno, accanto al suo piede destro.
Il ragazzo si voltò di scatto e scoccò la freccia, per poi sentire per la terza volta il fruscio delle foglie, dietro di sé, seguito dal suono dei passi di due persone che correvano nella foresta.
Si avvicinò alla sua vittima, che non aveva potuto urlare, colpita alla gola dal dardo.
L’uomo era caduto all’indietro, e dalla mano destra gli era scivolato il coltello che stava per lanciare.
Se il primo era arrivato così vicino a ucciderlo, questo lo avrebbe sicuramente colpito. Non era stato un errore troppo grande, da parte di Reyns, togliergli la vita. Se lo sarebbe potuto perdonare, anche perché l’aveva fatto per proteggere se stesso e soprattutto Aera.
Il giovane prese l’arma, a terra accanto alla mano dell’uomo, e notò che su quest’ultima era inciso il simbolo Ideev.
Il sicario non era ancora morto, ma gli rimaneva davvero poco tempo. Forse abbastanza per una risposta.
«Ti ha assoldato Vyde?» domandò Reyns accovacciandosi, mostrando all’Ideev il coltello, per rendere chiaro di che cosa si stesse parlando.
L’uomo scosse la testa, ma nei suoi occhi, oltre alla Morte che aleggiava vicina, Reyns riuscì a distinguere la luce che hanno le bugie.
«Sicuro?» chiese di nuovo, alzandosi in piedi, dopo aver lasciato il coltello dove l’aveva trovato.
L’uomo tentò di fare di sì con la testa, poi si sforzò di parlare, e ciò che uscì dalla sua bocca fu tanto sangue e un «Sì» soffocato.
Stessa luce negli occhi – stava mentendo.
Reyns si chinò di nuovo accanto alla sua vittima, questa volta posando la mano sulla freccia che aveva scoccato. «Non te lo chiederò di nuovo,» lo avvertì, «Ti ha assoldato Vyde?»
L’uomo, all’inizio, non rispose; i suoi occhi si spostavano da una parte all’altra, spaventati dall’idea di dover incontrare quelli di Reyns.
Il giovane cominciò ad esercitare una leggera pressione sulla coda della freccia. Il viso dell’Ideev si contorse in una smorfia di dolore.
«Allora?» insistette Reyns, impaziente.
L’Ideev – era ormai palese che avesse mentito – invece di rispondere, sputò sangue, che ora gli colava dagli angoli della bocca, macchiando la camicia del ragazzo.
Il giovane, con rabbia, estrasse la freccia.
L’uomo fece per urlare, ma riuscì ad emettere solo un altro suono soffocato.
A quel punto tornarono Daul e Gatto. Reyns ripose il dardo insanguinato nella faretra.
«Li avete trovati?» domandò, prima che uno dei due potesse chiedergli qualsiasi cosa.
«Purtroppo no.» rispose Daul.
«Li ho sentiti correre via.» disse Reyns, «Erano in due.» specificò.
«Ma che è successo, qui?» chiese Gatto, indicando il corpo dell’Ideev.
«Mi aveva aggredito,» disse il giovane per giustificarsi, indicando il coltello conficcato nel terreno, vicino al punto in cui fortunatamente ora non si trovava il suo cadavere. «E probabilmente era complice di quei due.»
Daul e Gatto lo guardarono, l’uno confuso, l’altro diffidente.
Reyns capì di aver bisogno di guadagnare punti. «Ho dovuto ucciderlo. Per difendermi, e per proteggere Aera.»
«Per proteggere Aera...» ripeté Gatto, enfatico, per prendersi gioco di lui, ma tornando presto a nascondersi dietro la sua scorza dura e impenetrabile, «Ragazzo, non è il momento di giocare agli innamorati.»
«Dobbiamo arrivare alla fortezza di Vyde, e dobbiamo arrivarci entrambi. Vivi.» si difese il ragazzo.
«E contate anche di andarvene nello stesso modo?» chiese, questa volta, Daul.
Reyns non osò ribattere, ma lo guardò con rabbia, per vederlo rispondere al suo sguardo con una risata.
«E quella?» iniziò Gatto, sghignazzando, indicando la macchia sulla camicia del ragazzo, «Il tuo cuore sanguina perché i tuoi sentimenti non sono corrisposti?» chiese, per poi ridere a sua volta.
Reyns rimase zitto, e si allontanò, tornando al punto in cui c’era la sua coperta, accanto al fuoco. Si sdraiò su un fianco, dando la schiena alle fiamme, e si fermò a ragionare: Vyde aveva assoldato tre Ideev per ucciderlo. Perché? Uccidere i suoi genitori non era stato abbastanza?
Forse non per uccidere lui in particolare; magari per fermare il gruppo di Venam?
E se invece quell’Ideev avesse detto la verità? Magari l’ordine non era arrivato da Vyde, era un’iniziativa che avevano preso da soli quei tre Ideev.
Volevano rubargli il posto? Volevano rubargli Aera?
In ogni caso, Reyns si sarebbe opposto, e avrebbe combattuto fino alla fine per proteggere Aera, per proteggere le sue bugie, e per proteggere Aera dalle sue bugie.
***
Fu all’alba che i due Ideev che erano fuggiti tornarono, allarmati dall’assenza del loro compagno, per trovare il suo corpo, morto, dietro un cespuglio, non molto lontano dai resti del fuoco del gruppo che viaggiava verso ovest.
«L’hanno ucciso qui.» Kired fece segno a un punto più vicino alla cenere, dove il terreno sembrava scurirsi, «Poi l’hanno trascinato.» camminò a fianco delle tracce che erano la prova della sua ricostruzione dei fatti, fino a raggiungere di nuovo il cadavere, e osservare.
Senza tentennamenti alcuni, toccò la pelle, fredda; era morto poco dopo che loro due erano fuggiti. «È morto in fretta.» disse al compagno, molto più toccato dalla situazione, molto più umano, che tirò un sospiro di sollievo. Se fosse morto in seguito a una lunga agonia, non si sarebbe mai perdonato di essere scappato via. Ma erano tante le decisioni che aveva preso, e che non si sarebbe mai perdonato.
Kired passò ad osservare la ferita – una freccia alla gola. Era sinonimo di precisione. Solo un Ideev con molta esperienza avrebbe potuto mettere a segno quel colpo. Il giovane Ideev tornò con la mente alla notte in cui aveva visto due dei membri del gruppo allontanarsi per cacciare. Era stata un’occasione sprecata, da parte sua, non attaccarli subito, ma aveva dato ascolto al suo compagno, che aveva proposto di osservare, per conoscere i propri avversari, e poterli prevedere, in occasione di un attacco a sorpresa che avrebbero teso in seguito.
Ed ecco dove la sua idea lo aveva portato: uno di quei due arcieri l’aveva ucciso. Bel lavoro.
Il più giovane dei due, pensò Kired, non poteva essere tanto esperto. Anche supponendo che si trovasse molto vicino al suo aggressore, colpire alla gola un Ideev che di sorpresa, sbucando dall’ombra, nella notte, si era messo a scagliare coltelli, non era da tutti.
Doveva trattarsi di quell’uomo. Non conosceva il suo nome, e non ne aveva bisogno.
Udì poi la voce del suo compagno, inginocchiato accanto al cadavere, stringere la mano morta e bisbigliare una qualche preghiera.
«Che stai facendo?» gli chiese, senza mostrare emozioni,
«Prego perché almeno lui ottenga perdono, nonostante abbia tradito il clan, unendosi agli Ideev. Il suo scopo non era fare del male. Era sopravvivere.»
«E come pensi di poter sopravvivere se non facendo del male al prossimo?»
L’uomo rimase zitto. Il cacciatore aveva ragione.
«Veniva dal tuo clan?» chiese, ancora,
«No, ma ora che nessun clan esiste più, lo consideravo davvero un mio compagno.» rispose l’altro,
«Allora lo lascerai morto e basta?» domandò il giovane.
L’uomo non capì, e scosse la testa.
Il cacciatore continuò, «Non ti senti impotente? Inutile? Non vorresti essere in grado di fare qualcosa? Se non riportarlo in vita, almeno pareggiare i conti?»
«Anche se lo vendicassimo, che cosa cambierebbe?»
«Cambierebbe il modo in cui vedi te stesso. E cambierebbe il modo in cui ti guarderebbero gli altri. Dal basso. Con il terrore negli occhi. Pregando. Per una pietà che non riceveranno. Mai.»
Abbassò lo sguardo, ma non si poteva notare. Il suo viso era nascosto dal cappuccio che portava sempre calato sulla fronte. Più di una volta gli era stato chiesto di toglierselo, ma Kired aveva sempre rifiutato.
Se sapeva descrivere quelle sensazioni era perché le aveva provate. Ancora era in grado, controvoglia, di tornare indietro, e riportare davanti ai suoi occhi quello che era stato il giorno della distruzione di ogni sua sicurezza.
La base del clan Asur, del quale era stato membro fin dalla nascita, era nel nord. Era inverno, e durante quella stagione il clan si ritirava in un villaggio, per non soffrire il freddo.
Ma gli Ideev erano più numerosi, e più organizzati. Accerchiarono il villaggio, e lo diedero in pasto alle fiamme. Poche case rimanevano sicure, oltre ad alcune stalle. I bambini vennero nascosti in una di queste.
Ma Kired non aveva intenzione di separarsi dalla madre – il padre l’aveva perso di vista, durante la fuga. Anche dopo essere stato rinchiuso nell’angusta stalla insieme agli altri bambini, Kired tentò di tutto per uscire. Si rassegnò solo quando uno dei ragazzi più grandi lo schiaffeggiò, incolpandolo di stare facendo tanto baccano per nulla.
Allora si limitò ad osservare la madre, poco distante, dall’inferriata sul muro della stalla. Il bambino si era arrampicato, poggiando i piedi sui ciottoli che costituivano il muro, e aggrappandosi alle sbarre di ferro. La sua posa era sinonimo di uno sforzo costante, ma Kired sentiva il dovere di guardare.
E se ne pentì, in seguito: la donna era nascosta dietro le macerie di una delle case che erano già completamente bruciate, e tentava di farsi strada, senza farsi notare, al fine di raggiungere la parte opposta del paese, vicina alla foresta nella quale avrebbe potuto trovare riparo.
Kired seguiva ogni suo movimento, ed era come se, con il pensiero, le consigliasse quando muoversi, quando fermarsi, abbassarsi e guardarsi le spalle. Ed era una sensazione tanto piena d’ansia, quella di essere una preda.
La donna si allontanò dalle macerie, sgattaiolando fino a raggiungere una casa più vicina alla stalla, anch’essa già bruciata. Ma non notò l’Ideev che si nascondeva tra le assi incenerite.
«Mamma!» Kired non riuscì a trattenersi dall’urlare, e indicare la figura dell’uomo alle spalle della madre; e le salvò la vita, quella volta. La donna fu rapida nel reagire: sapeva di non avere possibilità in uno scontro contro un uomo armato, quindi calciò una delle assi che costituivano la parte portante della casa in rovina, facendo in modo che il tutto cadesse addosso al suo aggressore. Il risultato fu un gran fracasso, ma riuscì a darle il tempo di fuggire, o almeno uscire dal campo visivo di Kired.
Ciò che seguì fu una gran confusione, nei ricordi del bambino; qualcuno all’interno della stalla aveva accusato di sentire odore di fumo, mentre Kired, continuando a guardare, si era concentrato sulla figura di un arciere Ideev, che stava puntando nella direzione in cui sua madre era fuggita.
Un secondo dopo l’immagine dell’Ideev che aveva lasciato andare la corda dell’arco, il bambino udì un grido.
Fu come se il cuore di Kired smettesse di battere per un momento, o forse per sempre.
Si precipitò verso la porta della stalla, spingendo, tirando, pregando che venisse aperta.
«Se proprio vuoi andare a morire, vacci per conto tuo!» gli bisbigliò il ragazzo che prima lo aveva malmenato, prendendolo per un orecchio, aprendo la porta della stalla e sbattendolo fuori.
Kired non si curò di eventuali Ideev che avrebbero potuto aggredirlo; corse, tra cadaveri, cenere e fiamme, verso il punto in cui sua madre era sdraiata a terra, come se stesse riposando. Ma il terreno era scomodo. Non le sembrava così? Come faceva a dormire tanto profondamente, tanto che nemmeno suo figlio che piangeva riusciva a svegliarla?
Il sottofondo di urla e crepitare delle fiamme si fece più forte, più vicino. La stalla in cui i bambini erano rinchiusi era in fiamme. Kired non riuscì a muoversi, ma solo a guardare. Il fuoco proveniva dal lato della stalla più lontano dalla porta, che si apriva verso l’interno. Tutti i bambini nascosti là dentro – e già si stava stretti – erano ammassati verso la porta, e nessuno riusciva ad aprirla.
Gli occhi dorati di Kired si riempirono di lacrime alla vista di quello che sarebbe dovuto essere il suo destino.
Perché era vivo? Che cosa lo aveva tenuto in vita? Non era giusto. Avrebbe dovuto trovarsi là dentro. Sarebbe dovuto essere lui a urlare, in quel momento. Eppure, al contempo non riusciva a trattenere una smorfia egoista che si formò sul suo volto, che qualcuno lo avesse graziato, e che tutto gli fosse dovuto, ora che aveva perso ogni cosa.
Pian piano si fece strada in lui la sicurezza che il suo destino fosse quello di vivere non come preda, ma come cacciatore. Era ovvio, dopotutto – cacciatore era il suo nome.
Il bambino si alzò in piedi, camminando attraverso le macerie, un passo dopo l’altro, barcollando, insicuro, ma vivo. Eppure si odiava per essere vivo. Il suo viso, il suo sorriso, i suoi occhi... La sua immagine era morta. Doveva rimanere morta. Così si calò il cappuccio sulla fronte, e non lo tolse mai più.
Fu questione di tempo perché gli Ideev che stavano setacciando il villaggio, in cerca di qualche superstite, lo trovassero. Dietro di loro stava un corteo di paesani e membri del clan Asur, chi con una cicatrice, chi con il viso coperto di fuliggine, chi con un braccio o una gamba fasciata o mancante. Uomini, donne, bambini e vite fatte a pezzi. Non erano più di una dozzina.
«Tu, mettiti in fila.» ordinò a Kired una voce autoritaria, «Si va a ovest, al Lago Rosso.»
Il bambino obbedì, senza alzare lo sguardo.
«Comandante, non sarebbe meglio lasciarlo qui? È così piccolo... Finirà per rallentarci.» udì la voce di un altro degli Ideev.
«Abbiamo zoppi, vecchi e una donna incinta, lì dietro. Se questo bambino è sopravvissuto, significa che ha gambe, un minimo di cervello, oppure una buona dose di fortuna. E in ognuno dei casi, ha tutte le carte in regola per diventare uno degli Ideev Prescelti che Lord Vyde sta reclutando.»
Ideev Prescelti... Il suono di quel titolo era piacevole all’orecchio di Kired. Avrebbe lavorato sodo per diventare un Ideev Prescelto. A sentire quell’uomo, per ora soddisfaceva tutti i requisiti necessari. Aveva bisogno di un obiettivo da raggiungere. Aveva bisogno di diventare un’altra persona, una persona nuova. Aveva bisogno di portare a termine un incarico. E fino ad allora, il cappuccio sarebbe rimasto calato sulla sua fronte. Fino ad allora, Kired era morto.

 
   
 
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