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Autore: Master Chopper    30/05/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Chapter 13: Du Bist Im Labyrinth

La notizia della fine dello scontro aveva raggiunto qualsiasi anfratto dell’enorme Colosseo, persino i più oscuri e segreti che non tutti gli dèi conoscevano.

Entrando in una camera buia, Fenrir fece risuonare il tintinnio delle sue catene nel silenzio. Lo sferragliare dell’acciaio sul pavimento annunciava ogni sua apparizione, questo perché lui non era mai stato un Lupo predatore: sin dalla sua creazione, ogni parte di lui era votata al male e alla distruzione. Ciò non si sarebbe mai detto, ma il segreto del suo passato risiedeva in delle cicatrici lungo tutto il corpo che d’improvviso avevano iniziato a dolergli.

Si sfiorò appena la bocca, mentre i suoi occhi si assottigliavano in un riflesso di sdegno.

“Prometheus …”

In realtà la stanza in cui era entrato non era mai stata completamente buia: nelle tenebre era accesa una singola candela, capace di illuminare parzialmente la figura immobile e silente appena richiamata.

Di colpo la fiamma divampò violentemente, e seppur non fosse aumentata di dimensione, la luce che produsse fu capace di illuminare lo spazio circostante. Una tale magia sorprese persino il Lupo, facendolo sussultare dalla sorpresa. Quando la sua vista, si abituò alla luminosità della stanza, poté riconoscere a pieno la figura che si trovava di fronte.

Aveva le fattezze di un uomo seduto su di una sedia, unico elemento riempitivo in quello spazio vuoto. La sua sola presenza sembrava rappresentare una solitudine calma, proprio come la candela che ora bruciava inosservata al suo fianco.

Quell’essere presentava un dettaglio stravagante, capace di rompere l’armonia del suo silenzio: indossava un completo elegante bianco ed immacolato come la neve, eppure all’altezza della pancia quel tessuto candido era macchiato interamente di rosso. Pareva che una quantità inimmaginabile di sangue fosse stata persa di recente, ciò nonostante lui non sembrava nemmeno rendersene conto.

“È il mio turno? Bene così.”

Il Titano Prometheus inclinò la bocca per esprimere in maniera molto pacata la sua felicità.

Il semplice sorriso di circostanza bastò per far ammontare un’ira incontenibile in Fenrir, tanto che in un istante il Lupo proiettò su di lui tutto il suo intento omicida. Quell’azione apparentemente ingiustificata, aveva in realtà una valida spiegazione: dal momento in cui lui era entrato in quella stanza, l’essere che già la presiedeva aveva inviato una scarica di opprimente pericolosità. Era come se Prometheus fosse stato pronto ad ucciderlo proprio perché sapeva che sarebbe venuto ad avvisarlo, tuttavia non l’aveva fatto: semplicemente, mostrando il più gentile dei suoi sorrisi, sembrava stargli ricordando del rischio immenso che aveva corso.

Fenrir non poté però reagire in nessun modo, doveva seguire gli ordini dall’alto e non agire a causa di un suo capriccio. Così, per quanto Prometheus emanasse un’aura di provocazione e altezzosità, lui a testa bassa e con la coda fra le gambe lo vide allontanarsi verso il corridoio che portava all’arena.

 

- Esatto: bene così. Non vedevo l’ora che arrivasse questo momento.- Pensava intanto il titano, muovendo i suoi passi verso l’esterno. Con rinnovata allegria, ogni suo movimento pareva una danza leggiadra nell’aria.

- Umani… da quanto tempo non vi vedo. Cosa ne avete fatto della sapienza, della cultura e della curiosità? Ho atteso così tanto per scoprirlo… ma altrettanto tempo è passato per voi.-

Quando chiuse gli occhi li poté sentire tutti: gli esseri umani di varie epoche, riuniti in quel luogo al capolinea del destino con un obbiettivo comune: -Sopravvivere- si disse il titano, diventando di colpo serio.

- Siete sopravvissuti fino ad oggi, combattendo chissà quante battaglie contro gli dèi che, oggi come da sempre, hanno cercato di tarpare le vostre ali verso il futuro …- Le sue mani si strinsero per formare dei pugni, contraendo in uno sforzo disumano tutti i suoi muscoli.

Ormai il suo sguardo era animato dalla rabbia, un concentrato luminoso come il fuoco ma oscuro come un abisso che dipingeva degli occhi cristallini.

In quel corridoio non si sorprese di incontrare proprio chi voleva, a pochi passi dalla luce del sole dove il campo di battaglia lo attendeva. Ciò che sapeva solo lui e quella figura, però, era che non ci sarebbe stata alcuna battaglia. Quella consapevolezza gli ridonò il sorriso, e non un normale sorriso, bensì un ghigno beffardo.

 

“Prometheus, ti ringrazio ancora per essere sceso a patti con me.” Parlò il dio che aveva deciso di tradire i suoi simili, e responsabile per aver indetto quel torneo. “Con il tuo appoggio, l’umanità si aggiudicherà un’altra vittoria e saremo sempre più vicini a segnare la fine degli dèi.”

A quel punto il titano lo interruppe: “Ho stretto questo accordo con te non solo con il sommo piacere di dare scacco matto agli dèi… ma anche per qualcosa che, spero, comprenderai benissimo.”

L’altro dio attese in silenzio una risposta, preferendo non esprimersi a riguardo.

“Parlo dell’amore.” Svelò infine Prometheus, lisciandosi il viso mentre il suo sguardo nostalgico veniva portato altrove: “Amore verso gli umani. Speranza nel loro futuro. Fidandomi che ciò per cui mi sono sacrificato li conduca su di una buona strada, sempre e comunque.”

Si toccò così il ventre, e le sue dita tastarono la carne sanguinante lì dove una ferita non aveva mai smesso di ricordargli chi era stato.

“Certo.” Annuì l’altro dio, allontanandosi da lui. Con uno schiocco delle sue dita fece avvicinare uno scudiero, il quale porse al titano un mantello rosso, adatto alle sue dimensioni imponenti. Prometheus guardò verso la fine di quel cammino intrapreso fortuitamente proprio quando si trovava all’apice della disperazione.

- Gli dèi mi avevano scelto come sfidante per questo torneo, non solo perché sono l’unico titano che hanno scelto di far rimanere in vita fino ad oggi, ma anche per piegarmi ancora di più al loro sadico giogo: costringermi a combattere fino alla morte contro un umano?! Come solo hanno osato? P-Per fortuna niente del genere avverrà… meno male… mi basterà arrendermi sin da subito in questo incontro e, come mi hanno assicurato tutti gli déi disposti ad aiutare gli umani, nessuno potrà costringermi a continuare il combattimento.-

Mentre pensava tutto ciò, il suo volto, per quanto all’apparenza potente e stoico, aveva variato ripetutamente emozioni: disagio, sollievo, odio e felicità. Con un sospiro cercò di placare la tensione, rivolgendosi poi al suo complice.

“Come si chiama l’umano che incontrerò ?”

Il dio rispose prontamente alla sua domanda, ma ovviamente il titano non mostrò alcuna reazione.

“E chi sarebbe costui? In quale epoca è nato, e perché è stato scelto per combattere qui nel Ragnarok ?”

 

Anche stavolta gli venne data una risposta, e così il volto di Prometheus mostrò un’espressione diversa da tutte le precedenti. Mentre il tempo attorno a lui sembrava essersi fermato, ed il sangue gli era diventato di ghiaccio nelle vene, il suo viso si contorse in una maschera di orrore e perdizione.

Fu proprio in quel momento che qualcuno non seppe più aspettare: il corpo del titano venne perforato dalle spalle tra le costole destre. Un qualcosa di piccolo e sottile si era infilato nella sua carne, perforando il vestito e colorando il bianco di un piccolo bocciolo rosso che impregnò il tessuto. Ne scaturì un rivolo, il quale scivolò fino alla caviglia di Prometheus, proprio come il filo di sangue che ora aveva sputato dalle sue labbra.

Il titano percepì quel dolore bruciante e volle in tutti i modi reagire, ma qualunque cosa fosse conficcata nel suo corpo venne sfilata dipingendo un arco cremisi nell’aria. Stille rosse schizzarono, ma con dimestichezza e grazia, come se fossero state scagliate dal pennello di un pittore professionista.

Adoperando il bisturi come per dirigere un’orchestra, una mano precisa a livello maniacale seguì le note appena abbozzate di una canzone che stava risuonando in quel buio corridoio:

“Oh, diese Sonne!

Furchtbar steigt

sie mir empor!”

(Oh, questo sole!

Terribilmente si alza

dinnanzi a me!)

Una risata nervosa, più simile ad una tosse, interruppe bruscamente la melodia.

“O-Oh, perdonatemi! È che ogni volta che penso a come partono i tromboni nel terzetto del primo atto in Der Freischütz... uh, vado in visibilio!” Manifestando vari tic dovuti all’eccitazione come lo schiocco ripetuto delle dita, o il mordersi il labbro inferiore, la figura dell’umano che aveva porto la stola al titano, parlò con una voce trillante ed energica.

“Però sono stato distratto, tanto, tanto, sbadato… per l’emozione non sapevo proprio decidermi tra il prendermi un po’ di fegato e cistifellea, oppure andare sul sicuro con un rene. Bhe, almeno non ho commesso un errore da principiante affondando sulla sinistra: anche un idiota sa che sul lato sinistro non si può arrivare al fegato senza incappare nel polmone, o nello stomaco. Immagina che disastro se il bisturi si fosse rovinato a causa degli acidi gastrici! Eheh, che sciocchino, invero …”

Le gambe di Prometheus cedettero, mentre ancora straziato dal dolore si premette la mano sul fianco, arretrando appena per difendersi da un prossimo attacco. Tuttavia, per quanto avrebbe voluto temere solo e nient’altro che un semplice attacco, ciò che più lo terrorizzava era la presenza che ora gli si parava davanti.

Nascosto nell’ombra ancora in quel momento, l’umano continuava a blaterare tra sé e sé in quel soliloquio esagitato, logorroico. Il suo viso era tagliato di netto dall’oscurità, ma un bagliore scintillante proveniva dai suoi occhi e dai suoi perfetti denti bianchi, messi in bella mostra in un sorriso smagliante, da squalo.

Si poteva intravedere un vestito in pelle grigiastro, un’uniforme con fibbie e bottoni dorati, adornata da una croce di ferro nera e da una fascia rossa su di un braccio.

“Che… c-cosa significa ?” Prometheus non volle voltarsi per parlare al dio misterioso, perché sentiva che se solo avesse distolto lo sguardo, quella creatura sarebbe sbucata fuori dall’oscurità per colpirlo ancora una volta mentre era più vulnerabile e scoperto. Il terrore viscerale di un attacco a tradimento gli aveva già fatto versare diverse gocce di sudore in così pochi secondi.

“Significa che il vostro scontro è iniziato, Prometheus.” Gli rispose la voce del dio, alle sue spalle.

 

Ladies and gentlemen! Stavolta sta avvenendo qualcosa di incredibile!” La voce degli annunciatori risuonò in quella galleria come un boato, amplificata tra le spesse mura.

“Il quarto scontro di questo torneo è… iniziato prima ancora che i combattenti scendessero in campo !”

Confermando quell’assurda situazione, St.Peter ed Adramelech diedero modo a tutti gli spettatori di sussultare per l’incredulità davanti agli schermi giganti che ora ritraevano il corridoio d’ingresso all’arena.

Lì, davanti agli occhi di tutti, era chiara e nitida la visione del titano Prometheus piegato in due mentre sanguinava e si ritraeva tremando da una perfida e pericolosa minaccia in agguato nell’oscurità.

“Introduciamo tardivamente il rappresentante dei due schieramenti!” Annunciarono frettolosamente i presentatori, colti di sorpresa da quell’evento.

“Dal lato degli dèi… il benefattore dell’umanità, stavolta però dalla parte di chi vuole porre fine al suo operato! Il titano della saggezza e della conoscenza… Prometheus !”

“Mentre dal lato degli umani: il più temuto sulla terra durante una guerra che ha trasformato diversi uomini in storie dell’orrore… ma lui era il più terrificante e spregevole di tutti! Temuto come l’Angelo della Morte… Josef Mengele !”

L’uomo si aggiustò sulla fronte i corti capelli neri, pettinandoseli su di un lato per apparire in perfetta forma davanti alle riprese. Dopodiché accolse il suo sfidante sollevando il braccio destro, e con il più lucente dei suoi sogghigni: “Achtung! Il tempo dei convenevoli è per noi uno spreco: ti ho sentito prima, mentre venivi a conoscenza della mia identità… furbacchione !”

“Ed ora, che abbia inizio il Ragnarok !”

 

A differenza dei precedenti scontri, a quella presentazione della loro avanguardia non ci fu nessuno tra gli umani ad esultare. Piuttosto, la solita iniziale sorpresa si trasformò in panico quando appresero la verità. La fama di chi ora stava combattendo la loro battaglia non suscitava rispetto, ammirazione o altro, ma solo razionale terrore: era come osservare un predatore con denti ed artigli spianati, essendo consapevoli che quell’essere è capace di farti a pezzi da un momento all’altro.

“No !” Sbraitò qualcuno tra la folla degli umani, per poi prendersi il viso e contorcerselo in una maschera di orrore. “Come può un simile mostro rappresentare l’umanità ?!”

Non vi risposta, e per questo l’agitazione crebbe fino a formare quegli spalti in una massa urlante e confusa.

All’ombra di quell’angolo del colosseo, il dio misterioso si era rifugiato per osservare meglio la battaglia che presto sarebbe infuriata. Mentre osservava spalancarsi il sipario macchiato di sangue di quello spettacolo, non poté trattenere un sorriso.

“Ci deve essere un motivo? Per forza ?” Sollevò lo sguardo verso la tribuna degli dèi. “Davvero mi serve un motivo per mandare in battaglia anche l’arma più infida e ripugnante che io conosca ?”

E proprio lassù dove aveva guardato, un simile tumulto, ma molto più controllato, stava prendendo atto. Molti dèi infatti non conoscevano cosa avesse compiuto quel Josef Mengele, ma non appena ne vennero a conoscenza esplosero in reazioni differenti: risate, smorfie di raccapriccio, delusione o rabbia. In ogni modo, espressero il loro ribrezzo giustificato verso la razza umana.

“A-ah! Non sapete far altro che mandare assassini e schifosi criminali?! A quanto pare voi umani non avete di meglio da offrire !”

Mentre imperversavano schiamazzi beffardi tutti attorno a lui, Erebo, il dio delle tenebre, sedeva con il mento nella mano ed uno sguardo annoiato. Quella rivelazione che tanto fomentava gli animi non lo toccava minimamente, rendendolo solo più seccato ora che il trambusto gli rimbombava nelle orecchie.

Sospirò: “Oh, per l’amor di… ma quando inizia ?”

“Immagino che un dio dell’oscurità come te sia interessato ad uno scontro del genere.” Lo interpellò una voce. Si trattava di un dio sbucato al suo fianco, che con confidenza gli sorrise prima di guardare anche lui verso gli schermi.

“Intendo dire: la più oscura perfidia contro la luce che rischiara la ragione! Un duello del genere non si vedeva dalla fine del Medioevo, non credi ?”

“Scusa, ma… ci conosciamo ?” Erebo interruppe lo sproloquio di Fobetore, il dio degli incubi, con noncuranza. Quello si azzittì di colpo, con ancora la voce sospesa.

“Fobetore! Dio dei sogni, specializzato negli incubi !” Cercando di riprendere compostezza, gli porse la mano forzando il sorriso più splendente che potesse. Purtroppo l’altro scosse la testa, per poi distogliere lo sguardo: “Non mi dice nulla …”

Una vena iniziò a pulsare sulla testa di Fobetore: se solo non fosse stato costretto a cercare alleati tra le fila degli dèi, non si sarebbe mai fatto prendere per i fondelli da quel dio del suo stesso pantheon.

“Forse capiresti chi sono se ti dicessi che… !”

“Fobetore !” Esclamò una ragazzina, saltando tra i due. Aveva dei veli scurissimi che ricoprivano il suo corpo, candido e latteo come la luna. Nonostante fosse alta la metà del dio degli incubi, la sua sola presenza severa ed autoritaria bastò a farlo rizzare sull’attenti.

“Nonna !” Strillò lui, arretrando con le mani davanti in posizione di difesa.

“Nonna ?” Ripeté Erebo, fino a quel momento disinteressato, per poi iniziare a rimuginare. “Aspetta, ma quindi questo è figlio di tuo figlio, Hypnos, il dio dei sogni ?” Chiese alla sorella, la quale annuì.

“Ed è anche uno sconsiderato che mi sta dando un sacco di grane !” Inveì furibonda la piccoletta, afferrando Fobetore per un orecchio con insospettabile forza. “Ma pensa te! Lui va dove vuole e combina i suoi sotterfugi, mentre io sono obbligata a stare tra le tribune del mio pantheon, a sentire quella inquietante zitella di Gaia che borbotta su come vorrebbe uccidere lui ed i suoi amici !”

“Vabbé, le classiche ragazzate.” Sbadigliò Erebo, per poi ricevere uno sguardo in cagnesco dai due: “Ma da che mondo e mondo ?!”

Ad interrompere il loro battibecco fu una voce proveniente da dietro un palchetto circondato da un baldacchino. Una figura nell’ombra sedeva su di una poltrona sopraelevata, e dal modo in cui parlò proiettò la sua autorità irrevocabile sui presenti: “Potreste fare gentilmente un po’ di silenzio, giovinastri ?”

Il dio dell’Olimpo, Zeus, si lisciava la barba per poi attorcigliare la punta attorno al dito. Le sue labbra secche, da mummia, erano contorte da tempo in un sorriso sdentato: “Sto cercando di godermi lo spettacolino <3!”

 Nix, la dea della notte, brontolò qualcosa sul fatto che Zeus fosse in realtà molto più giovane di lei, dopodiché si sedette. Non prima di aver tirato sul posto accanto al suo anche il nipote, il quale era diventato come un bambolotto sotto la sua presa ferrea.

“Tu rimani qui e fai il bravo !” E con un fil di voce, Fobetore le rispose: “Sì… nonna …”

 

Intanto, all’interno del corridoio dove stava prendendo quel cosiddetto quarto scontro, la tensione era così palpabile da poter essere tagliata con una lama.

E proprio una lama di bisturi adesso fendeva l’aria a colpi ritmati, secondo la pretenziosa imitazione di un direttore d’orchestra da parte di Josef Mengele. “Papapapaaan pan! Papapapaan pan! Papapapaan pan papapapaaan! Walkürenritt, che entrino le Valchirie !”

Davanti a quella scena tanto assurda da trasmettere disagio, il titano ancora piegato quasi in posizione fetale strabuzzò gli occhi, incredulo. A stento riuscì a dire qualcosa, tra i denti che battevano:

“Perché… perché mi hai attaccato alle spalle con tanta crudeltà ?”

Nell’inconcepibilità del pensiero di Josef, avanzare quella domanda innocente era tutto ciò che sentiva di dover fare. Tuttavia, la risposta che gli venne riservata era l’ultima cosa che avrebbe voluto sentire.

“Per noia. Semplice noia.” E quando poi la voce del tedesco prese a scorrere come un fiume in piena dalla sua bocca, la mascella del titano tremò in un brivido di paura.

“So già cosa tu voglia fare, ma per quanto io non sia d’accordo, non mi reputo capace di cambiare la tua scelta… però almeno, lasciami divertire! Comunque tu voglia concludere questo scontro, io non reputerò di aver finito con te fino a quando non sarò soddisfatto.”

A quel punto la perplessità di Prometheus ebbe fine: quell’umano aveva accennato al suo piano segreto, l’accordo con il dio misterioso: arrendersi per terminare quello scontro con l’ennesima vittoria degli umani.

Come un vetro infranto da un proiettile, schegge di quella convinzione divennero polvere nell’aria sotto lo sguardo impotente del titano. Sembrava non avere più nessuna scelta.

“Come sarebbe a dire… “divertire” ?” Gli tremò la voce.

“Ma sì! Questa occasione per me è elettrizzante! Immagino che è così che si debba esser sentito il Doktor Faust di Goethe, quando Mephisto gli è apparso per promettergli una vita colma di emozioni e piaceri …” L’uomo sollevò la testa, distendendo il collo verso l’alto come per ricevere una qualche luce scaldante.

“Però per me non è solo un divertimento, sai? Sicuramente mi diverte sapere che, in un modo o nell’altro, qualsiasi cosa farò sarà di beneficio all’umanità, in quanto io sono un medico… ma la medicina è scienza, ricerca e soprattutto insegnamento! Spero che tra gli spettatori qualcuno oggi impari qualcosa di utile.”

Il suo volto deformato in un freddo e tagliente sorriso divenne gigante nei grandi schermi, paralizzando dalla paura persino gli dèi meno coraggiosi. Gli occhi di Josef risplendevano ancora di più ormai, nell’oscurità in cui si sentiva sovrano.

“Ad esempio… come si viviseziona un dio !”

Ma nella testa di Prometheus si era diradata qualsiasi ulteriore preoccupazione, perché ormai tutto ciò che rimbombava era un pensiero incessante: -Insegnamento…- si ripeteva.

- Beneficio all’umanità …-

 

Eoni ed eoni prima, quando gli umani avevano appena iniziato ad abitare la superficie della terra, tutto era amorfo ed imperfetto. Mentre gli dèi, ebbri della propria sapienza e superiorità, affrontavano le loro questioni ben più importanti su nei cieli, il compito di occuparsi della razza umana era stato relegato a due fratelli: Prometheus ed Epimetheus.

- E queste scimmie umane sono così poco evolute da infastidirmi …- Il titano fratello maggiore, seduto su di una roccia al centro di uno dei primi villaggi mai creati, osservava con fastidio tutta quella vita circolare attorno a sé. Gli umani gli parevano non più intelligenti di un gregge di pecore.

Per pura coincidenza, quando volse lo sguardo verso i pascoli, vide suo fratello Epimetheus tra il bestiame, seguito da uno stuolo di bambini ridenti.

Ripensò a quando era stato mandato lì da Zeus, il quale aveva conquistato il potere all’Olimpo da poco.

Il forte e giovane dio degli dèi sedeva già sul suo trono come se gli fosse sempre appartenuto, guardando dall’alto il titano, che invece aveva la testa bassa con un’espressione frustrata e abbattuta.

“ Su, su, Prometheus… di cosa ti lamenti? Gli umani sanno essere molto spassosi! E poi hanno certe donne…” Dalle narici di Zeus partirono due sbuffi di fumo, come era abituale per quel pervertito.

Il titano si guardò attorno: tutti gli dèi che presiedevano a quella riunione gli rivolgevano sguardi taglienti, accusatori, come se avesse appena commesso il più grande dei crimini.

- Non li biasimo…- Pensò lui, arrendevolmente – Dopo tutto mio padre, Giapeto, aveva organizzato un colpo di stato al nuovo governo di Zeus con gli altri titani… ma tutti sanno che la Titanomachia non è andata affatto bene per loro.-

Il Tartaro: la prigione infernale dove erano stati mandati i vecchi titani per punirli, e dove spesso l’avevano minacciato di spedirlo soltanto perché anche lui era nato titano, e non dio.

Ritornando con la mente a quel confinamento sulla terra degli umani, Prometheus si abbandonò in un sospiro e decise di andare da suo fratello.

Epimetheus non aveva mai affrontato quella situazione, o addirittura la sua esistenza da titano, con la sua rabbia e tristezza: d’altro canto era stato da subito entusiasta di avere a che fare con qualcuno che non lo prendesse a male parole, o che non lo giudicasse per ciò che aveva fatto suo padre. Ogni volta che vedeva il sorriso sul volto di suo fratello, segretamente Prometheus si sentiva invidioso, in quanto incapace di sorridere in qualsiasi mondo fosse costretto a vivere.

Quando raggiunse Epimetheus, quasi del tutto uguale a lui se non fosse stato per i capelli arruffati e la folta barba sul suo viso tondo, venne salutato in coro da tutti i presenti. Le voci dei bambini dopodiché tornarono a ridere di suo fratello, giocando a strattonarlo o a corrergli intorno.

Ad un certo punto, mentre era assorto nel fissare la placida ed insignificante vita del villaggio, sentì distrattamente un bambino chiedere: “Epimetheus, che fungo è questo ?”

“Non lo so, non l’ho mai visto! Ma i funghi sono fatti per essere mangiati, come le bacche, no ?”

In quell’istante Prometheus si voltò di scatto, allarmato, soltanto per vedere suo fratello sollevare un fungo rosso livido sopra la sua bocca spalancata.

“Cretino !” E con uno schiaffo glielo strappò di mano. Suo fratello rimase a guardarlo con gli occhioni spalancati e pieni di lacrime.

“Ma perché ?” E pure tutti i bambini, in procinto di piangere, gemettero: “ Ma perché ?”

“Cos’è, vi siete messi d’accordo?! Cretini !” Sbraitò esasperato il titano più grande. Prendendo un bel sospiro, provò a mantenere la calma. “Quel fungo che stavate per mangiare era velenoso. Non tutti i funghi sono commestibili, così come le bacche… guardate, ecco da cosa si riconosce un fungo velenoso.”

E chinandosi al suolo prese a spiegare tutte le sue conoscenze in natura. In men che non si dica, senza che se ne accorgesse, non solo Epimetheus ed i bambini, ma anche i pastori che passavano lì vicino, e poi tutto il villaggio, si era radunato attorno a lui con gli occhi stralunati in silenziosa ammirazione.

“Wow…” Fischiò suo fratello, per poi battergli una pacca sulla spalla. “Sei una forza, Prome !”

Non gli venne dato nemmeno il tempo di rispondere, perché tutti gli umani lì attorno annuirono, complimentandosi con lui e ringraziandolo.

“E se… e se…” Una bambina gli tirò la mano, per poi arrossire dall’imbarazzo quando lui guardò verso di lei: “E se… il signor Prometheus… ci insegnasse altre cose? Può ?”

Con acclamazioni da parte di bambini ed adulti, tutti incitavano il nome di Prometheus. Addirittura ad un certo punto lo sollevarono in aria, lanciandolo su e giù.

-Questo è…- Il titano fu grato che in quel momento nessuno potesse vederlo in viso, perché le sue gote si erano tinte di un insolito colore, proprio come quello del fungo velenoso. –Questo è bellissimo !-

 

“Gli umani meritano di sapere di più sul mondo !” Disse a Zeus, tempo dopo.

I due parlavano per la prima volta in privato, siccome il titano era riuscito a sgattaiolare nel giardino del dio degli dèi mentre faceva una passeggiata notturna. L’aveva interrotto mentre, ubriaco, urinava in un cespuglio, ma nemmeno l’imbarazzo l’aveva fermato.

Ora parlavano da un po’ seduti su di una panchina, con la scusa di far smaltire la sbronza di Zeus.

“Quindi… ti stai divertendo ?”

Prometheus arrossì di nuovo. Odiava quando succedeva, ed ultimamente succedeva fin troppo spesso.

“Non è divertimento. È… soddisfazione, completezza. Mi sento il fautore di una intelligenza che è derivata dalle mie conoscenze, da tutti quegli anni passati in solitudine nella biblioteca degli dèi… dopo che mio padre…”

“In poche parole, hai finalmente trovato dei tuoi simili.” Lo interruppe Zeus, ridacchiando tra una parola e l’altra. Dopodiché girò la testa verso di lui, e non gli parve affatto poco lucido quando disse: “Sono contento per te, stai facendo qualcosa di meraviglioso.”

Sorrise. Prometheus sorrise per la prima volta dopo… non lo sapeva nemmeno.

“Ma quindi, come vorresti far sapere di più sul mondo ?”

“Gli umani non conoscono gli dèi! Per quanto sono stati creati da essi, non hanno nemmeno la minima idea che voi esistiate… di cosa abbiate fatto, dei progressi o delle battaglie. Insomma, non hanno nemmeno idea di come si è originato il mondo in cui sono nati, o gli animali che fanno pascolare. L’unico modo per dimostrare loro tutto ciò è… con la fiamma della conoscenza.”

Gli occhi di Zeus si illuminarono dalla sorpresa, facendolo sussurrare a labbra contratte: “Il Record of Ragnarok …”

La fiamma della conoscenza era invero l’archivio della storia delle divinità, dalla creazione del cosmo alla creazione della Terra e oltre. Ogni scontro leggendario, ogni progenie divina, e persino dei tabù come la morte di alcuni dèi, veniva registrata tra le braci di quel fuoco che non brucia e non si spegne.

“ Io …” Zeus sbadigliò, mentre si stiracchiava all’indietro per flettere i suoi bicipiti “… non ci vedo nulla di male!”

E all’ennesimo sorriso, Prometheus ricambiò, rosso in volto: “Grazie…”

“Come sei carino ora che arrossisci, Prometheus <3!”

“Sta zitto! Cretino !”

 

Una volta tornato sulla Terra, al titano fu concesso il tempo necessario per raccogliere gli umani e spiegare loro la situazione, mentre intanto Zeus indiceva un Concilio degli Dèi per poter mettere ai voti quella proposta. Il dio gli aveva augurato per il meglio, convinto che chiunque avesse sentito la voce del suo cuore così puro parlare, sarebbe stato persuaso.

“Sei così… fantastico, Prometheus!” Gli diceva intanto suo fratello, sistemandogli il completo bianco davanti allo specchio. “Il più migliore!”

“Non si dice più migliore, Epimetheus.” Sorrise il maggiore, arruffandogli i capelli con fare scherzoso. “Ma grazie !”

“In tutto questo tempo hai fatto imparare tante cose agli umani, mentre io…” Epimetheus si abbandonò su di una sedia. Anche lui era vestito elegante, ma era solo per formalità: non era stato chiamato al Concilio, ed avrebbe solo dovuto spiegare la situazione agli esseri umani.

Ovviamente quel ruolo così secondario, unito allo sconforto di non sentirsi utile, lo rendeva triste. Suo fratello riconobbe quell’espressione: il non sentirsi in diritto di avere un posto nel mondo.

Era ciò che lui aveva vissuto per molti, moltissimi anni, mentre invece Epimetheus si sforzava di sorridere nonostante tutto. Si sentì subito in colpa per aver condannato a quella condizione colui a cui teneva di più, e che in fondo gli era sempre stato vicino.

“Penso che…” Si schiarì la voce, prendendo per le spalle suo fratello. “Penso che debba andare tu a parlare al posto mio al Concilio degli Dèi, sai ?”

Immediatamente Epimetheus andò nel panico, agitandosi ed arrossendo più di quanto facesse il fratello: “C-Cos-Cosa?! I-Io?! M-Ma io non s-so nemmeno…”

“Sì che lo sai… cretino. Dirai che gli umani meritano di sapere di più sulla storia attraverso la fiamma della conoscenza. Hai presente la fiamma della conoscenza ?”

L’altro annuì, seppur titubante.

“Ok! Se ci pensi l’unica cosa che separa gli umani dagli dèi e quanto sanno della storia del mondo… però, detto fra noi, alcuni umani qui se conoscessero le giuste cose saprebbero superare quei balordi.” Ridacchiò, prendendo sotto braccio il fratellino. “È chiaro? Andrai benissimo, io credo in te. Otterremo il permesso di usare la fiamma della conoscenza !”

Così, quella notte, Epimetheus raggiunse la sala del Concilio e si sedette ad un banco davanti a tutti gli dèi del creato. Sì sentì talmente tanto sotto pressione da sudare, ignorando lo sguardo titubante di Zeus, che si domandava intanto cosa fosse successo al suo accordo con Prometheus.

“D’accordo, siamo tutti qui riuniti…” Parlò a gran voce il dio degli dèi, interrompendo i brusii di disapprovazione. “… per far parlare questo bel giovinotto. Allora, Epimetheus, cosa vuoi proporre a questo Concilio ?”

Il titano si paralizzò, colto da un attacco di ansia da palcoscenico inverosimilmente buffa quanto terrificante nella sua situazione. Ritto e teso come una corda di violino, il sudore ora incorniciava le sue labbra tremanti. Passò così tanto tempo che le prime risate si poterono udire nel silenzio tombale, al che Zeus pensò di intervenire.

“ Io… !” Un’esclamazione, un’affermazione della propria esistenza, o forse semplicemente la prima cosa che era venuta in mente ad Epimetheus. Il titano chinò il capo, sentendo nascere dentro di sé il bisogno impellente di parlare: voleva essere utile, non voleva rappresentare un peso per suo fratello e per tutti gli esseri umani ai quali si sentiva legato.

“Io voglio che gli esseri umani sappiano quanto gli dèi! Anzi, alcuni possono anche sapere più degli dèi! Si meritano tutto questo perché… la storia del mondo è importante, e meritano di conoscerla.”

Già dalle prime parole pronunciate il silenzio tombale era divenuto pesante e freddo come una lastra di ghiaccio piombata tra le tribune. Ben presto, una terribile e pressante aria minacciosa iniziò ad incombere su Epimetheus, ma lui era così impegnato a parlare che non se ne accorse.

“ Ad esempio… tutti devono sapere com’è andata la Titanomachia!” Aveva detto il primo evento storico a cui avesse pensato, ma quelle poche parole furono la goccia che fece traboccare il vaso: in un clima già pericoloso e sull’orlo della rottura, bastò per far esplodere la rabbia che gli dèi stavano covando.

“Bastardo! Come ti permetti?!”

“Gli umani dovrebbero sapere quanto e più di noi?!”

“La storia della Titanomachia?! Cos’è, pianifichi di vendicarti per la fine di tuo padre?!”

“Io sapevo che dei titani non meritavano di vivere! Sono tutti impostori e traditori !”

L’ira che tempestava l’innocuo titano lo travolse, schiacciandolo e facendolo sentire impotente. Disperato, tra le lacrime provò a far risuonare la sua voce, ma non veniva ascoltato da nessuno.

-Io volevo solo…- Cercò l’appoggio di Zeus, ma lui si dimostrò impotente -… essere d’aiuto…-

Venne avanzata la proposta di condannare i due fratelli titani, e all’unanimità venne approvata. Il padre dell’Olimpo, non potendo far nulla, infine si arrese guardando quel povero Epimetheus con sguardo mesto.

“Mi dispiace, Epimetheus. Ma… perché ?” Domandò, avvicinandosi a lui per sorreggerlo in piedi dopo che si era accasciato a terra tra le lacrime. “Perché non hai lasciato parlare tuo fratello ?”

“Perché avevo da fare !” Con un boato, la porta della grande sala venne spalancata.

Il titano Prometheus, vestito elegantemente per l’occasione, avanzò tra le tribune fino a raggiungere Zeus e suo fratello.

“E ciò che mi ha occupato fin’ora è stato… trafugare la fiamma della conoscenza per poi donarla agli umani !” Il suo sorriso sprezzante, accompagnato da quelle parole tremende, bastarono per far sussultare tutti gli dèi presenti.

Persino Zeus, incredulo, vacillò: “Cosa hai… fatto ?”

Il titano ridacchiò, ma la sua espressione gioiosa non esprimeva più semplice felicità e soddisfazione. No, si trattava di una crudele superiorità, un’ironia con la quale aveva scosso fino al midollo una società ingiusta che per sempre l’aveva afflitto.

“Ora gli umani sanno quanto voi: si tramanderanno miti e leggende, magari anche distorcendoli e prendendosi gioco di voi… oppure ribellandosi.” Sogghignò, per poi superare il dio degli dèi e raggiungere suo fratello.

“Q-Quindi ce l’abbiamo fatta ?” Con il volto rigato dal pianto, Epimetheus abbozzò un sorriso per accogliere il fratello. Gli venne risposto con un’espressione dura, quanto più di odio e disgusto Prometheus potesse dimostrare.

“ Ce L’HO fatta solo perché sin dall’inizio sapevo che la proposta sarebbe stata rifiutata… quindi cosa mi costava mandare a prendere tempo un inutile cretino come te? Mi servivi come pedina per distrarre gli dèi mentre comunque portavo a compimento il mio piano! Che credevi ?!”

Il titano Epimetheus non rispose nemmeno. La sua tristezza incommensurabile lo raggiunse dopo: più tardi del dolore, e più tardi di quando il pugno di suo fratello non gli avesse perforato il petto da parte a parte. Vomitò sangue, il quale si mischiò alle lacrime che già inondavano il suo volto.

Dopodiché morì tra i rimorsi, consapevole di esser sempre stato solo uno stupido per suo fratello.

Al contrario, senza rimpianti, Prometheus venne incatenato ad una roccia con ancora quel sorriso beffardo stampato sulle labbra. Un’aquila gli divorava il fegato giorno dopo giorno, come si tramandò nella storia, ma lui non abbandonò mai quel sorriso: in fondo sapeva che prima o poi anche gli umani avrebbero rosicchiato le catene che gli dèi avevano cercato di porre su di loro, e un giorno, chissà, si sarebbero ribellati ai loro creatori.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back! Eccoci tornati al quarto scontro! Spero che l’attesa verrà ripagata nei prossimi tre giorni, ma intanto sono curioso di sapere se, col capitolo di oggi, già ho catturato il vostro interesse.

Prometheus contro Josef Mengele. Il titano è l’infiltrato, colui che non avrebbe voluto combattere contro l’umanità… ma allora perché sta avvenendo tutto ciò? Se questa è la domanda che vi tormenta, rimanete sintonizzati per i prossimi capitoli.

Un paio di cose prima:

1) Spero vi sia piaciuto come ho stravolto il mito di Prometheus. D’altronde è qualcosa che nel corso della storia, tra filosofi e varie culture, è già stato cambiato molte volte. Io ho voluto dargli quel tocco di coerenza con l’atmosfera generale della storia (ovvero che esiste un Concilio degli Dèi, e non soltanto un pantheon)

2) Questo è stupido, ma non inutile dirlo: ovviamente se ho deciso di mettere Josef Mengele, non è perché lo reputi un eroe dell’umanità o altro. Non c’è alcun tentativo di apologia del nazismo in questa storia, e spero proprio che nessuno lo pensi. Inoltre, non farò riferimenti troppo diretti al nazismo e alla Seconda Guerra Mondiale, perché li reputo un po’ troppo pesanti da inserire: ciò non significa che io neghi il nazismo e l’olocausto, o non riconosca la tragedia di quel periodo storico. Giusto per mettere un po’ le mani avanti, non si sa mai.

A domani!
P.S: Il titolo, che in tedesco significa "Tu sei nel labirinto", è un riferimento alla canzone che mi ha dato l'ispirazione per questo scontro: Labyrinth degli Oomph!- Come potrete immaginare, lo scontro sarà pieno di parole in tedesco: le esclamazioni non le tradurrò, mentre per le frasi che sono per lo più prese da pezzi teatrali, sì. Inoltre il riferimento a Der Freischütz è stato inserito in quanto citazione all'anime Hellsing Ultimate, in cui era una delle colonne sonore del Letzte Bataillon (ovvero la squadra nazista).

   
 
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