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Autore: Master Chopper    01/06/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 Chapter 15: Murderous Intent

Era carità e rettitudine: l’intento di eliminare quell’empio essere umano era stato proclamato da Prometheus in modo che tutti lo ascoltassero. Il suo grido aveva raggiunto ogni orecchio dell’universo, così come ogni cuore che ambiva in quella stessa speranza.

La paura ed il terrore non erano più l’unica cosa che avrebbero infestato i pensieri degli spettatori, perché la rassicurante stazza del titano ora gettava ombra sul piccolo uomo.

“Eliminando te, renderò il mondo in cui vivranno gli umani un posto migliore !” Prometheus sollevò il pugno verso l’alto, stringendolo con così tanta forza da far prorompere le venature.

Il suo sguardo imbastito di forza, però non ricevette una reazione soddisfacente dal dottore. Anzi, gli occhi dell’uomo brillarono per un istante di interesse, per poi venir socchiusi con un sorriso mellifluo.

“Adorabile: rigenerazione.”

Come narrava il mito, per quanto la punizione di Prometheus fosse che un aquila gli avrebbe divorato il fegato, ogni notte il suo corpo ritornava intatto. Costretto a subire questo tormento per ere interminabili, l’organismo del titano aveva assimilato quella condizione, facendola propria: ora era capace di ricostruirsi, riparando ogni ferita.

“Però non è tutto qui. Le ferite che ti ho causato erano letteralmente impossibili da curare, così complesse che persino un esperto chirurgo non avrebbe saputo da dove partire per ricostruire i tessuti…” Puntualizzò l’uomo “Mentre tu in poco tempo sei tornato come nuovo. Te ne intendi di medicina, forse ?”

Nonostante l’ultima domanda fosse evidentemente retorica e colma di ironia, il suo avversario rispose seriamente e senza la minima esitazione.

“Tutte le conoscenze che ho dovuto trasmettere all’umanità …” Ricordò per filo e per segno tutti gli anni passati tra gli esseri umani, dopodiché ciò che aveva appreso nella fiamma della conoscenza nella quale aveva scrutato.

Tutto quel sapere brillava nella sua mente come lo stesso focolare.

“… per prima cosa le ho padroneggiate io stesso! Non esiste nuova tecnologia o evoluzione che io non abbia previsto, e con la quale non sappia adoperare: questo è il fulcro di Prometheia, “Tutti i Talenti degli Uomini” !”

“Capisco… quindi, in quanto dottore, dovrei ringraziarti per essere il fautore della medicina tra gli umani ?” Sempre parlando con pungente ironia, Josef procedette a sganciarsi le due taniche che portava sulla schiena, adagiandole sul pavimento alle sue spalle.

“Un dottore? Tu ?” Quelle parole di Prometheus, pronunciate con tremenda durezza, non lo lasciarono impassibile come al solito. Persino uno come lui, in quel momento, si sentì tremare, pervaso da un calore che partiva dalla sua testa.

Soffocò la rabbia, nonostante il suo viso irrigidito mostrasse in maniera evidente lo sforzo, e si staccò i tubi che collegavano quelle capsule alle sue braccia. “Mi hai ferito sul serio per la prima volta, mio caro titano …”

Sogghignò nervosamente, scrutando il suo avversario come aveva già fatto in precedenza. Eppure c’era qualcosa di diverso, una nota discordante nella solita canzone: ora l’aggressività che mostrava era più cauta, come un predatore che si prepara ad assalire una preda che può difendersi, e che lo farà fino alla morte se necessario.

 

Umani e dèi attendevano in fermento, mentre le labbra dei presentatori sfioravano i microfoni nell’attesa distruttiva che li separava dalla prossima parola. Si sarebbe potuto udire un capello toccare il suolo.

 

Scattando in avanti più velocemente di quanto il suo avversario avrebbe saputo reagire, Josef Mengele si avvicinò pericolosamente alla guardia del nemico: lì era a tiro per qualsiasi colpo mortale. Dall’interno della sua giacca, come aveva fatto in precedenza con il bisturi e la siringa, estrasse un oggetto colorato dal solito liquido rossastro: pareva un punteruolo dalla punta molto sottile e lunga, quasi quanto una mano.

Impugnando la base larga e circolare nel palmo, stretto tra le dita, si parò di fronte al suo nemico. Questo lo sovrastava, ovviamente, ma lui si accovacciò ancor di più per nascondersi da eventuali attacchi.

Quando però Prometheus si mostrò sul punto di muoversi, Josef ignorò qualsiasi sua azione e semplicemente affondò l’arma verso l’alto.

L’orbitoclasto, questo il nome dell’oggetto, era stato inventato per adoperare la macabra procedura chirurgica della lobotomia; e proprio a questo scopo il dottore aveva intenzione di usarlo, mirando l’occhio del titano: se avesse affondato la punta nella volta orbitale, avrebbe trapassato il dotto lacrimale per raggiungere il cervello. In quel modo, nessuna rigenerazione avrebbe saputo riparare un simile danno.

Completamente immerso nel suo atroce sotterfugio, non si sarebbe aspettato per nulla al mondo che Prometheus decidesse di parare quel colpo ad ogni costo. Infatti, sollevando la mano e lasciandosela perforare, il titano bloccò l’arma prima che la punta gli si avvicinasse troppo al cranio. I suoi muscoli sovrumani nullificarono la forza di Mengele, il quale si ritrovò bloccato. Dopodiché fece oscillare il braccio libero come un pendolo, o una lama di Damocle, abbattendo un manrovescio sul cranio dell’umano. L’impatto fu così forte da emettere un suono simile a quello di un gong.

Gli occhi di Josef divennero lattiginosi, privi di ogni luce, mentre zampilli di sangue gli fuoriuscirono da tutti gli orifizi possibili della sua testa.

Tuttavia, quando abbatté un piede sul terreno per recuperare l’equilibrio, dimostrò di non aver ancora ceduto. Sogghignò malignamente, curvandosi in avanti. Fu allora che Prometheus si rese conto che, nella foga dell’azione, la giacca del nazista fosse sparita.

Quando sollevò la testa, la vide precipitare proprio sopra di lui. Il suo lato interno era completamente imbevuto di rosso, ed ora incombeva sul suo capo per terminare la sua vita. Animato da un impulso di paura e grazie ai suoi nervi saldi, balzò all’indietro per evitare il pericolo. Infine, con un semplice colpo nella parte “non pericolosa” del vestito, se ne sbarazzò scagliandolo via.

  

Purtroppo, proprio quando credeva di aver agito prevedendo qualsiasi cosa succedesse attorno a lui, si ricordò presto che il suo nemico era ancora lì e lungi da essere fuori gioco.

Mengele, infatti, dopo aver ottenuto abbastanza tempo da riprendersi, si era portato agilmente fuori dal campo visivo del suo avversario. Stavolta a mani nude, ma estendendo le proprie dita come aghi, le affondò nella schiena scoperta del titano. Il contatto avvenne inevitabilmente: ogni sua singola azione era stata compiuta per distrarre e destabilizzare un nemico che non avrebbe potuto fronteggiare direttamente, costringendolo infine ad offrirgli il suo lato più indifeso.

“ Colpo diretto !” Esclamarono Adramelech e St.Peter, facendo trasalire lo schieramento degli dèi.

Le divinità infatti si ritrovarono davanti ad una visione da brividi: la loro avanguardia, Prometheus, era immobile, mentre alle sue spalle si poteva vedere distintamente come Josef lo avesse colpito nella schiena.

“E Prometheus… non si muove! Che sia… ?” Nessuno poteva davvero comprendere cosa stesse avvenendo.

Questo perché nessuno, se non proprio l’umano, aveva idea di cosa stesse avvenendo lì.

 

Josef Mengele aveva per la prima dall’inizio dello scontro spalancato gli occhi dalla sorpresa, vedendo il suo sorriso vittorioso trasformarsi in una smorfia confusa. Entrambe le sue mani avevano sì colpito la schiena di Prometheus, ma non perforandola: piuttosto, la carne del dio di era spalancata come una fauce composta da muscoli ed ossa, per poi serrarsi ed immobilizzarlo fino ai polsi.

Prima che potesse anche solo pensare a cosa dire, la voce del titano lo anticipò:

“Pensavi davvero che la struttura del mio corpo fosse solamente in grado di rigenerarsi ?” Quando girò la testa per guardarlo negli occhi, una luce brillante e beffarda lo travolse: era il sorriso di una speranza schiacciante.

“Purtroppo non è così: se le mie conoscenze mediche ed anatomiche mi permettono di ricostruire il mio corpo con la massima precisione in ogni suo singolo punto… posso fare lo stesso, ma distruggendolo per poi ricomporlo.” Distruzione e Ricostruzione. Quella era l’abilità di un essere sovrannaturale, antico quanto i più vecchi dèi esistenti.

Con una semplice torsione del corpo, e mollando la presa sulle mani di Mengele, Prometheus sollevò in aria l’uomo. Quello che bastava per portarlo davanti ai suoi occhi.

“E ora… muori !” La sua voce raggiunse Mengele, sospeso in aria come una bambola di pezza, in contemporanea con uno sbarramento di pugni portati da delle braccia gigantesche.

Ogni singolo colpo si abbatté tremendamente sull’uomo, facendo tremare l’aria attorno a loro.

“ORAORAORAORAORAORA! ORRAAAH!!” Le urla risuonarono in tutta l’arena, raggiungendo persino gli spalti soprastanti.

Dèi ed umani vibrarono in risonanza con quella potenza mostruosa.

Quando la scarica terminò, con l’ultimo colpo Mengele venne scagliato via in un turbinio di sangue. Le nocche di Prometheus bruciavano appena, ma il dolore non lo preoccupava affatto.

 

“Questo sì che è un colpo diretto, ladies and gentlemen !” Si corressero gli annunciatori non appena si furono ripresi dalla meraviglia.

Ogni schermo proiettava la stessa immagine, capace di infondere una sensazione rassicurante di forza e determinazione in chiunque: la schiena di Prometheus, così larga e confortevole.

Gli umani si commossero, piangendo mentre accettavano la protezione che il titano voleva portare alla loro razza. Gli dèi, ugualmente, non poterono che rispettare ed entusiasmarsi alla sola vista di una dimostrazione di forza divina così impressionante.

E proprio quando tutti gli sguardi erano catturati da quella schiena, in venerazione, le gambe di Prometheus cedettero e la schiena si inclinò, piegandosi.

Un sussulto così forte ed univoco risuonò nell’aria, senza però raggiungere il titano.

 

Egli infatti si manteneva sulle braccia, in ginocchio, con la mente troppo concentrata sulla sua situazione attuale per pensare ad altro. Gocce di sudore gli scorrevano lungo il viso, per poi ricadere al suolo.

“L’avevo capito…” Sussurrò con voce debole. Il suo sguardo raggiunse la crepa nel muro dove si era incastonato il suo avversario. Il volto di Mengele era imperturbabile, troppo serio per sorridere, troppo rigido per mostrare preoccupazione o paura.

Era una maschera di cera che nascondeva le vere emozioni del suo cuore, ma ciò nonostante Prometheus era stato capace di leggerle così nitidamente.

“Scommetto che muori dalla voglia di dire che cosa mi hai fatto.” Ridacchiò il titano, provando goffamente a rialzarsi. I suoi muscoli non risposero correttamente.

Il dottore, sospirando con fare enigmatico, lo assecondò:

“Per ogni evenienza mi ero nascosto sotto le unghie delle capsule con dentro il liquido che costituisce la mia Arma, Cochma. In questo modo, una volta dentro il tuo corpo, ho potuto iniettartelo tra le vertebre toraciche, nel canale spinale: in questo modo ti ho sedato la spina dorsale, impedendo al cervello di ricevere qualsiasi stimolo da quel punto del tronco in giù. Tuttavia… so bene che ti basterà qualche secondo per ricostruire il tutto.” Non potendo iniettargli virus o veleni, Josef aveva usato quella sua arma misteriosa e dai molteplici utilizzi nel migliore dei modi, secondo la sua conoscenza medica e chirurgica.

“Adesso che ho esaudito il tuo desiderio… perché non mi dici anche tu una cosa che voglio sapere? Esattamente… cosa avevi capito?” La sua voce tremò appena. Fu difficile capire se fosse stato a causa delle ferite spaventose accumulate sul corpo, oppure per qualche emozione che faceva breccia nel suo cuore.

Prometheus accolse quella richiesta con un sorriso sereno, consapevole di non avere nulla da perdere.

 

Gli spettatori assistevano a quella scena con la tensione a mille, aggrappati con le unghie ai loro posti, in attesa di qualcosa.

 

“Mi hai paralizzato per far sì che, comunque andasse a concludersi il tuo attacco, io non fossi in grado di distruggere quella cosa….” Ora il suo sguardo si spostò su di un punto del corridoio non molto distante da lui, dove erano adagiate le due taniche lasciate da Mengele.

“Ti sei sacrificato a costo di bloccarmi, quindi devi tenergli davvero molto.”

“Non è una cosa!” Ruggì il medico, dimenandosi per liberarsi dalla roccia.

“Oh, ma l’ho capito, ormai… tuttavia, non è nemmeno un essere umano.”

Ciò che stava guardando, quando venne inquadrato e trasposto sui grandi schermi, fece allibire qualsiasi spettatore. Una vista tanto sconcertante fu impossibile da descrivere e definire, e per i più svariati motivi provocò terrore, disgusto e raccapriccio in chiunque ne fosse soggetto.

Sospeso in una delle due taniche, perché l’altra era quasi a secco di quel liquido rosso, c’era una figura umanoide. Però, difficilmente si sarebbe potuta definire antropomorfa, perché i suoi arti amorfi e la sua costituzione informe facevano intuire che non fosse ancora un organismo completo.

Stava infatti nascendo e generandosi davanti agli occhi di tutti: era una creatura nuova e sconosciuta.

 

Osservandola con due occhi persi ai confini del tempo, Josef trasse un sospiro di sollievo.

 

Günzburg, Baviera, 1926

Durante gli anni d’oro di quella che sarebbe diventata la Germania, ma che da poco si chiamava Repubblica di Weimar, ogni cittadino era consapevole di essere entrato in un’epoca di felicità: lo sviluppo economico era accompagnato anche da quello culturale, permettendo la nascita di film, cabaret e teatro come mai se n’era visti in Europa.

E proprio nel ventennio della Bauhaus, la famiglia Mengele era benestante e non soffriva affatto la fame.

Il figlio più giovane, Josef, dovette arrestare bruscamente la sua carriera scolastica da quindicenne per colpa di una malattia al midollo osseo, l’osteomielite. Costretto a trascorrere molto tempo in ospedale, chiunque avrebbe potuto presupporre che un qualsiasi bambino si sarebbe annoiato a morte, tuttavia lui aveva un segreto.

O meglio, condivideva un segreto.

“Josef !” Bisbigliò, ma in modo da farsi sentire, una voce da sotto la finestra. Il ragazzino allora si sporse dal suo letto ospedaliero, scorgendo come una piccola figura si stesse arrampicando sull’albero lì fuori.

“Che combini oggi ?!” Si voltò energicamente quel bambino, e per poco non rischiò di cascare giù. Aveva un sorriso vitale, la faccia sporca e dei vestiti umili e sudati.

Ciò nonostante, la cosa che più colpiva il piccolo Josef ogni qual volta che lo guardava era una, ed una soltanto: era identico a lui.

Engel, questo il nome del ragazzino figlio del bracciante che possedeva la terra confinante con l’ospedale, l’aveva incontrato per la prima volta, mentre veniva portato lì. Nell’istante in cui i loro occhi si erano incrociati, con quei volti tanto identici che per fortuna nessuno aveva notato, era stato come se una pioggia di scintille fosse esplosa tra loro due.

“Tu credi nel destino, Josef ?” Gli aveva chiesto una notte, con il mento poggiato sulle braccia raccolte, aggrappato alla finestra.

E lì il piccolo si era fermato a riflettere. Effettivamente in un universo di cui non si conoscono i limiti, pieno di innumerevoli galassie con altrettanto illimitati sistemi solari, e in un’infinità di pianeti in essi contenuti, con miliardi di individui, migliaia di paesi e milioni di città… -Non si chiama proprio destino l’aver potuto incontrare te ?-

 

Ciò nonostante, per quanto lui ed Engel fossero identici nell’aspetto, l’altro ragazzino mostrava un carattere senza dubbio più impavido e spensierato: si arrampicava su alberi e tetti come uno spazzacamino, ma facendo lavoretti qua e là possedeva tanti di quegli argomenti di cui parlare. Era l’unica vera e propria finestra di Josef per guardare il mondo esterno, mentre lui era rinchiuso lì.

E mentre Engel poteva parlargli di quel “Metropolis” di Fritz Lang che stava spopolando al cinema, o della moda americana delle gonne importata dall’America e che faceva impazzire le ragazze, Josef a stento poteva discutere di medicina. Nelle tante ore in cui il suo amico e sosia non c’era, cercava di allenare la sua capacità di dialogo con i medici, e per tanto imparava dal loro lavoro.

Quando, due anni dopo, fu uscito da quell’ospedale, continuò a vedersi ogni giorno con Engel ma senza mai farlo sapere a nessuno. Era ancora il loro segreto, come se l’esistenza di una cosa tanto preziosa come la loro identicità fosse qualcosa da nascondere al mondo.

-Cosa vuol dire essere uguali ?- Si domandò però un giorno Josef.

Nel corso del tempo era diventato molto più socievole e cordiale, e i suoi studi all’università mostravano i frutti di una nuova dirompente personalità che tutti apprezzavano. Ciò nondimeno, per quanto ci provasse, non riusciva mai a sentirsi uguale ad Engel.

-Come si può rendere un essere umano uguale ad un altro ?- Non riusciva a pensare ad altro, e cogli anni si accorse di guardare a quel sorriso gentile, quell’animo turbolento, e quel coraggio rampante, non più con preziosa amicizia, bensì con odio.

 

“Cosa vuol dire che ti arruoli ?!” Sbraitò un giorno Engel, come al solito cercando di non farsi sentire, nel cortile di casa dei Mengele. Erano fuori da sguardi indiscreti.   

Correva l’anno 1931: la crisi della Borsa di Wall Street aveva portato inevitabilmente al crollo di quell’epoca da sogno in cui erano nati e cresciuti. La democrazia era una carcassa morente, ma i veri avvoltoi preferivano cibarsi di chi, alimentato da una voglia di insurrezione, come risvegliato da un pacifico sogno con solo rabbia in corpo, guardava alla prospettiva di una guerra.

Il partito più acclamato era quello delle NSDAP, con a capo Adolf Hitler, ma ancora lontano dal vincere in modo schiacciante le elezioni.

E in tutta quella turbinosa massa di caos, toccava ai giovani prendere le redini del proprio paese. Josef Mengele, a vent’anni, aveva deciso di arruolarsi in un gruppo paramilitare che anni prima aveva anche tentato un putsch, e veniva acclamato dal Duce italiano, Benito Mussolini.

“Mi arruolo per affrontare la qualsiasi guerra che il mio paese affronterà.” Rispose in modo calmo il medico, eppure era come se non fosse davvero lui a parlare. Questo il suo sosia lo notò, o meglio, lo intuì.

Le variabili genetiche che contraddistinguono un individuo servono ad influire non solo sull’aspetto, ma anche sul comportamento. In questo modo sulla Terra non può esistere un essere umano identico ad un altro, se si valuta anche la sua sfera emotiva. Questa differenza però nei gemelli è meno comune, perché la struttura genetica quanto più simile, favorisce anche una simile interpretazione del comportamento: la cosiddetta telepatia dei gemelli.

Engel ovviamente non era il gemello di Josef, o comunque non ne ebbe mai la conferma, eppure in quel momento preciso seppe perfettamente cosa stesse pensando l’altro. Ne ebbe paura.

“Non farlo.” Gli afferrò la mano, tirandola a sé per trattenerlo. “Non è una guerra che tu vuoi davvero combattere !”

“Sì, invece!” Gli rispose l’altro, urlando come mai aveva fatto prima. “Solo con una guerra si potranno smaltire gli esseri inutili! E così saremo… tutti… uguali e perfetti !”

Josef riteneva Engel senza dubbio perfetto, rispetto a lui. Per questo motivo, quando “malauguratamente” gli esplose un colpo di pistola proprio nel petto del suo sosia, dimostrò la più grande contraddizione della sua stessa vita.

 

Aveva ucciso un essere perfetto identico a lui, eppure mai e poi mai, e poi mai, e poi mai e poi mai, con tutte le ricerche che seppe fare, con tutti i sacrifici e gli esperimenti, le atrocità e le infamie, ne avrebbe sfiorato la perfezione. L’Angelo della Morte aveva portato un altro angelo lontano da quella terra, in modo da ricreare l’inferno. 

 

 

Angolo Autore:

Welcome back! Ed eccoci a quasi la conclusione del quarto scontro.

Vorrei un attimo parlare del background di Josef: intanto, se ci fossero dubbi, la parte di Engel è completamente inventata. Questo perché ho voluto contestualizzare quella caratterizzazione del personaggio che lo lega agli esperimenti sui gemelli e al sadismo.

In sunto, se non lo aveste capito, ciò che ha cercato per tutta la sua vita era ricreare un essere perfetto (cosa che in realtà è attinente alla realtà, perché con gli esperimenti sui gemelli lui voleva proprio capire come ricreare velocemente più e più ariani), ed ora con la sua Sefirot ci sta riuscendo. Cosa ne sarà quindi, del suo clone?

Lo scoprirete domani! Bye-bye!

A domani!

   
 
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