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Autore: DarkWinter    01/06/2020    6 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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L’allontanamento di Diciotto mortificò Diciassette.

A nulla serviva la stretta calorosa di Kate intorno alle sue spalle, anche se il contatto con lei lo faceva sentire bene.

Madre e figlio passavano molto tempo così, lui con la testa contro la spalla di lei, in silenzio; era come se una parte del gemello maschio si fosse staccata, anche se lui sapeva di non averla persa gli faceva comunque male. 

Lei era sua sorella, erano sempre stati insieme.

Era strano diventare adulti.

Restava molto tempo a riflettere sulla collezione di foto che loro madre aveva scattato negli anni, specialmente su quelle di lui da piccolo.

Le sue personali non aveva ancora avuto il coraggio di guardarle: troppe emozioni nelle ultimi due mesi, non aveva ancora finito di assimilarle.

Diciotto diceva di aver trovato un senso alla propria vita; non era tornata indietro dopo aver raggiunto il suo obiettivo, riportare Bruno in vita. 

Se la immaginava felice con Crilin.

Pensava anche a Sedici, che aveva deciso di unirsi alle forze dell’ordine. Aveva saputo che l’androide era diventato l’assistente del capitano Weiss e gli veniva da ridere a immaginarlo costretto nei panni di un poliziotto, anche se sapeva che essendo stata una scelta personale Sedici era soddisfatto.

E lui? Cos’avrebbe fatto, adesso che Diciotto se n’era andata? 

Avrebbe continuato a divertirsi con le macchine, avrebbe diviso la propria esistenza fra la casa della sorella e quella di Kate, avrebbe vissuto con lei fino a che non fosse morta e lui avrebbe ricominciato da capo e si sarebbe cercato qualcos’altro da fare.

Ritornare ad essere un gangster non pareva più un’opzione immaginabile.

Kate avrebbe voluto aiutare suo figlio in quel momento della sua vita, le sembrava così deluso, quasi annoiato. Era possibile che stesse vivendo un semplice momento di crisi; fra i due Lapis era certamente quello meno incline alle seghe mentali e alla malinconia.

C’era una cosa che lui doveva ancora sapere e che lei aveva esitato ad accennare, finora. Non voleva rischiare di mettere troppa carne al fuoco con lui.

“Lapis,...”

“Diciassette.”

“...sai che io non ero la sola ad aspettarti? Non volevo metterti fretta prima d’ora, ma 

penso che ormai tu dovresti dire a Carly che sei tornato.”

“A chi?”

 

Carly era la sua ragazza. 

Possibilmente l’amore della sua vita.

Kate l’aveva invitato a dare un’occhiata ad altre sue foto che erano state riposte con cura in una scatola, dentro il suo armadio.

Ritraevano lui stesso in compagnia di una ragazza dai capelli rosso chiaro, arancioni. Aveva una pelle molto bianca e sembrava che fosse felice insieme a lui. Benché fosse oggettivamente meno avvenente di donne come Diciotto o anche Kate, a Diciassette parve stupenda.

Occhi grandi, sorriso radioso, seno florido: per lui era proprio bella bella, se ne sarebbe quasi innamorato.

Ma si mordicchiò l’orlo della maglia, sospirando scoraggiato con le foto ancora in mano:

“Non so chi sia.”

Kate non era più in contatto con lei da tempo, ma scarabocchiò su un foglio un nome e un numero:

“Quando te la sentirai, potrai chiamare suo padre George.”

Kate voleva sperare che rivedere Carly avrebbe reso Lapis felice, ma sul piano pratico non aveva idea se lei fosse ancora libera, né di cosa fosse stato della sua vita.

Dal canto suo, Diciassette poteva solo fidarsi ciecamente della parola di Kate e non era sicuro che volesse farlo; non solo constatare ancora una volta che le cose che importavano davvero erano un vuoto nella sua testa l’aveva ancora privato di gioia e brio, ma era sempre convinto che non c’erano chance che lui avrebbe potuto ripartire da zero con quell’umana. 

Zero chance.

E no, Diciotto, il dilemma andava ben al di là del poterla uccidere con un colpo di reni, a letto; lui non voleva passare la sua vita con qualcuno che apparteneva a un passato ricco di dramma, qualcuno che non l’avrebbe mai capito e che l’avrebbe sempre, più o meno inconsciamente, temuto. Non erano tutti Kate. 

Kate aveva capito perchè era la mamma, ma gli altri?

Preferiva non vederla mai più piuttosto che passare per la gioia dell’essere di nuovo insieme a lei e poi subire un rifiuto, un rifiuto generato da un’incompatibilità ormai irreversibile. Pensò a quanto aveva amato lo sguardo negli occhi degli uomini di Cloe Mafia, quando il loro istinto animale aveva suggerito loro che lui non era come loro. Ma pensare di vedere quella stessa paura inconscia negli occhi di questa Carly lo terrorizzava.

Gli sembró che non ci fosse niente che poteva ferirlo di più che vedere terrore e sconcerto negli occhi di qualcuno di amato. Si sarebbe educato a vivere senza di lei. Col tempo, non gli sarebbe più mancata.

“Va bene,ci penserò io” mentì, prendendo il foglietto dalla mano di Kate.

Dubitò che sua madre non vedesse oltre,  ma ebbe fiducia nel suo rispetto.

Ripensò a quello di cui era capace: quando aveva deciso di sradicare il Commando Magenta aveva distrutto centinaia di vite alzando semplicemente la mano. E ci aveva goduto.

Lui non era sua sorella, non aveva detto no alla distruzione, non si era voluto trovare qualcuno che poteva aiutarlo a sembrare più un umano normale. Uno come lui sarebbe sicuramente stato un fidanzato di merda, nessuna ragazza umana avrebbe sognato un terminator distruggicittà, che volava e tutto.

Era una roba da codardo: non era forse il potentissimo cyborg n.17, che ora stava scappando? Per una volta voleva scegliere la strada facile, credendo che fosse la migliore per lui. 

Sarebbe finita così, era meglio essere soli che mal accompagnati.

In tutto quel rimuginare deprimente, si rese conto che non aveva finito.

Ricordarsi del Commando l’aveva riportato indietro ai giorni in cui era restato alla casa diroccata e aveva discusso con quello scagnozzo terrorizzato.

“Il nostro cliente principale è un signorotto negli Yunzabei Heights” aveva detto.

Il Commando non era ancora stato debellato del tutto. Lasciare in vita il loro cliente principale era come strappare il fusto di un’erbaccia e lasciare le radici nel suolo.

Doveva far fuori anche quel signorotto.

 

Kate stava tornando a casa dalla stazione della metro.

Sentì il cellulare che squillava e di malavoglia rispose a Ronan,quel produttore televisivo del podcast che ancora non ne voleva sapere di gettare la spugna con lei.

Che voleva? Quel famoso invito a pranzo? E che sabato fosse, almeno non l’avrebbe più tormentata. Stava ancora camminando per strada quando vide l'inconfondibile silhouette di Lapis schizzare fuori dalla finestra.

Lo chiamò a gran voce ma lui era già troppo in alto nel cielo. Ancora in ansia, Kate mollò il soprabito e la borsa sul divano e ascoltò col fiato sospeso lo squillo attutito del cellulare di Lapis.

L’aveva lasciato in camera sua…

In cucina trovò un biglietto:

 

Torno fra poco mamma, non preoccuparti. A presto.

 

La prima cosa che il cyborg fece era andare a prendere Sedici.

I poliziotti guardarono con stupore Lapis in persona camminare con la sua solita indolenza, ai più era ben nota, fra i corridoi della stazione. Lo guardarono dirigersi verso la scrivania di Sedici, quello grosso che ora lavorava col capitano.

“Ti stanno guardando tutti perchè eri un delinquente da umano?”

Sedici abbassò gli occhi verso il suo amico, che aspettava a debita distanza come se volesse che lui lo accompagnasse da qualche parte.

Diciassette rise fra sé e sé: 

“Voglio che tu venga con me. Per un giretto."

“Ti stai annoiando? Dov’è Diciotto?”

“Ah, non me ne parlare.” 

Aveva scelto Crilin. Quello gnomo da giardino con occhi da segugio; certo che si annoiava, ma era anche desideroso di vivere un’avventura con il suo migliore, nonché unico amico.

 

 “Non ucciderai umani…"

Sedici seguiva Diciassette in volo verso uno dei posti più remoti della Terra.

Gli Yunzabei Heights erano una grande isola che una volta era stata unita al distretto di North City. L’istmo che li univa era stato poi sommerso dall’oceano e ora quelle montagne erano diventate quasi un Paese a sé stante, separato in ogni modo dal continente settentrionale. Era un paradiso fiscale scarsamente popolato, in altre parole un posto perfetto per chi voleva riempirsi di soldi in modo poco ortodosso e vivere lontano dal trambusto delle grandi città.

“Chissà.”

Diciassette sapeva che Sedici aveva già notato il luccichio della pistola nella sua tasca. Anche se non ci aveva sperato, l’androide aveva continuato ad accompagnarlo. 

In effetti l’aveva seguito solo perché Botz era al campo di addestramento per cani poliziotto e quindi non aveva nessuno a cui badare, forse anche lui provava nostalgia.

 

 Presto, i due videro le guglie acuminate di Yunzabei bucare le nuvole qual è là e seppero che erano arrivati. 

Dall’alto si vedeva solo qualche villaggio sparso, mentre un grande castello troneggiava in cima a quella che doveva essere l’unica città degna di quel nome.

"Almeno lascia stare chiunque altro troverai…"

Sedici sperava che Diciassette non avrebbe fatto una strage; era sbagliato, non si faceva così. 

Cloe Mafia gli aveva insegnato molto sulla natura degli umani ma per Sedici uccidere essere così indifesi, per quanto malvagi, sembrava contro natura.

Quando loro due atterrarono nel cortile interno di quella magione enorme che sembrava un castello, un manipolo di uomini in giacca e cravatta puntò loro contro delle armi:

"Non si entra senza il permesso di Lord Shomu."

Erano tutti così. Non si poteva entrare dal Commando, non si poteva entrare da Lord Shomu...Sedici si disse che gli umani tenevano molto ai luoghi in cui vivevano.

Vedendo che quel gigante dai capelli rossi e quel ragazzino con la sciarpa arancione avevano continuato ad avvicinarsi, gli addetti alla sicurezza spararono. Era una tempesta di proiettili, si erano appostati in vari punti del cortile e sparavano da ogni angolazione.

Esattamente com'era successo a Central City, Sedici fu ancora una volta deluso:

esseri indifesi, sì, che però non esitavano ad attaccare con l'intenzione di uccidere. 

Pur non approvando, l'androide riuscii a capire il pugno di ferro che il cyborg preferiva sempre usare.

Con un sospiro accondiscendente, Diciassette continuò a lasciarsi colpire e puntò la pistola.

 

 Nel frattempo, il famoso Lord Shomu si era barricato nella sua enorme camera da letto, armato solo di una bomba a mano e della voglia di gettarla addosso a chiunque stesse seminando lo scompiglio nel suo cortile interno. Sporgendosi da una finestra aveva visto una quindicina delle sue guardie del corpo scappare come conigli e ritrarsi a mani in alto mentre due figure sospette si avvicinavano con passo lento e inesorabile verso la grande porta della sua casa, non ostacolate, come se fosse una passeggiata di piacere.

"Perchè non li fermate, incapaci?"

Lord Shomu era oltraggiato.

Avrebbe licenziato quei gorilla buoni a nulla dal primo all'ultimo, poco importava se un licenziamento così improvviso li avrebbe messi in difficoltà. 

A causa della natura del commercio che presidiava, Lord Shomu aveva molti nemici e il lavoro degli addetti alla sicurezza era tenere fuori qualunque tipo di intruso. E chiaramente quegli uomini non si erano dimostrati degni di difenderlo.

"La polizia sta arrivando qui su. Tu starai ben nascosto, capito? Poco ci manca che ti trovino qui…"

Il vecchio Shomu colpì con una pedata un ragazzetto che sonnecchiava sul grande letto circolare, abbracciato a qualche cuscino.

Il giovane sussultò e gemette quando Shomu lo afferrò per i polsi legati e lo spinse con violenza dentro un armadio.

Con la bomba a mano stretta nel pugno e le gocce di sudore che rotolavano dalla fronte al mento, Lord Shomu si preparò a mettere fine a quell'invasione.

Ma tremò lo stesso quando la porta chiusa a chiave si scosse e subito dopo un grande pugno attaccato a grande braccio vestito di verde penetrò un pannello di legno massiccio e, trovando la chiave nella serratura, l'aprì dall'esterno.

"Mammina…"

Il vecchio si paralizzò momentaneamente quando vide il resto del corpo a cui quel pugno apparteneva: non poteva essere una vera persona, era un titano. E di certo non aveva l'aria da poliziotto.

Il ragazzo al suo fianco aveva normali proporzioni umane, ma non sembrava meno minaccioso.

Aveva sentito che quei buzzurri del Commando Magenta erano tutti morti. Quella notizia l'aveva reso furioso, la sua fortuna ne avrebbe risentito. Non gli importava se quei due erano effettivamente sbirri o sicari mandati da qualche membro del Commando miracolosamente sopravvissuto. Di danni ne aveva già sofferti abbastanza.

Agguerrito, Shomu lanciò la bomba a mano e guardò il titano afferrarla come una pallina da golf e bruciarla con una specie di luce gialla che era scaturita dal suo palmo, prima che potesse esplodere.

Messo alle strette Shomu tirò fuori dall'armadio il ragazzo con le mani legate, a cui aveva appena ordinato di nascondersi.

Trasse un coltello dalla sua cintura e appoggiò la lama fredda contro la gola del suo ostaggio.

Sogghignò, nascondendo la sua paura: "Se voi-"

Lo sparo improvviso non sfiorò un capello al ragazzo, ma zittì per sempre Shomu. Il Lord crollò riverso con un piccolo buco sulla fronte.

Diciassette puntò di nuovo la pistola, ma Sedici gli mise una mano sulla spalla e lo dissuase con uno sguardo severo, scuotendo la testa.

Il ragazzo si era istintivamente stretto nelle spalle e guardò incredulo l'altro ragazzo che aveva ritirato la pistola con gesti ampi e lenti, affinché lui capisse che dopotutto non intendeva ucciderlo.

Tutto era successo nel silenzio generale.

Ora che Lord Shomu era morto, al ragazzo non sembrò nemmeno più di sentire il dolore dei suoi lividi e delle corde che gli facevano sfregare le mani una contro l'altra.

Si sentì di nuovo sé stesso, un grandissimo sorriso gli distese il volto e si vide andare incontro all'altro ragazzo urlando di gioia.

"Grazie! Grazie, grazie, ti amo!"

Passò le sue braccia intorno al busto di Diciassette e lo strinse, affondando la testa nella sua sciarpa.

Smise solo quando si accorse che l'oggetto della sua adorazione gli stava dando una bruttissima occhiataccia.

Attento a non rompergli nulla Diciassette si liberó da quell'abbraccio e spezzò le corde.

Sedici guardava l'ex ostaggio come si guarda un animale curioso allo zoo:

"Come ti chiami?"

"Ma come?...Mr. Yunzabei?"

Era il neo-eletto più bel giovane uomo in tutta l'isola!

I due continuavano ancora a guardarlo, aspettandosi una presentazione decente.

Il ragazzo raddrizzò la schiena e si passò una mano fra i capelli, con aria da bellimbusto:

"Reuben Rose! Ma potete chiamarmi Rosie."

Con le loro lacune in fatto di celebrità locali, il cyborg e l'androide si scambiarono uno sguardo divertito. 

Rosie era stato recentemente rapito da Lord Shomu, che oltre a succhiare soldi da chiunque gli capitasse a tiro aveva anche gusti particolari quando si trattava di scegliere qualcuno che gli scaldasse il letto.

Ora il ragazzo saltellava baldanzoso per la stanza, parlando al telefono con voce acuta.

"Ho finalmente potuto chiamare i miei genitori! Andiamo sulla spiaggia, mi incontreranno lì. Mi accompagnate?"

Sedici e Diciassette seguirono il ragazzo, attraversando la magione sotto gli occhi stupiti del personale e degli addetti alla sicurezza.

Che avevano da guardare?

Raggiunsero una piccola spiaggia e Rosie si mise a scrutare l'orizzonte:

"Shomu era un vero tiranno qui. Non ho potuto chiamare aiuto, avrebbe fatto uccidere i miei genitori. Se voi non foste arrivati a liberarmi sarei stato il suo toy boy, eww...mi ha fatto sequestrare subito dopo la mia incoronazione a Mr. Yunzabei. Per fortuna tutto quello che ha fatto é stato menarmi…"

Diciassette notò i suoi lividi. Pensò che Shomu non sarebbe mancato a nessuno.

"In ogni caso tu, signore, sei un vero macho. Quanto sei grosso? Che potenza!  Quel mento e quella cresta, whew!"

Rosie guardò con ammirazione Sedici, prima di iniziare a camminare intorno a Diciassette:

"Ma tu, caro mio, sei una gemma: con quella faccia da angioletto e poi quei pettorali e quella pistola…"

Diciassette indietreggiò involontariamente di un passo e aggrottò le sopracciglia:

"Potrei sputarti in un occhio e accecarti."

Rosie schioccò la lingua, portandosi i pugni al viso timido:

"Nah, non mi piace la violenza...sono super vanilla."

Rosie pensava che quel viso d'angelo e quell'energumeno stessero insieme, e quando chiese loro di parlarne tutti e due lo guardarono così male che lui preferì zittirsi fin quando non udì le eliche dell'elicottero di famiglia. Allora si sbracciò a salutare, saltando come se volesse raggiungere il cielo.

"Reuben! Tesoro!"

Vide sua madre corrergli incontro non appena l'elicottero toccò la spiaggia.

Suo fratello, sua sorella e suo padre la seguirono a ruota e tutta la famiglia Rose poté tirare un sospiro di sollievo.

"Ma cos'è successo? Sei scappato?"

Il signor Rose aveva temuto il peggio fin dal momento in cui aveva ricevuto la domanda di riscatto. Non aveva nemmeno osato chiamare la polizia, come gli era stato ordinato, ma ogni giorno si tormentava per non riuscire a superare la paura di chiamare soccorsi per il suo figlio maggiore.

"No, due poliziotti fighi sono venuti a salvarmi,grazie di averli mandati! Ragazzi,..."

Quando Rosie si girò verso l'ultimo posto in cui aveva visto i suoi salvatori, dietro di lui, fu sorpreso dal non vedere più alcuna traccia di loro due.


 Carly fu svegliata da Lillian che la scuoteva, continuando a chiederle se stesse bene. Aprì gli occhi di soprassalto e si ritrovò Lillian seduta sul suo letto. Indossava già il suo parka blu, aveva già messo l'eyeliner e fatto il suo bello chignon. Carly si accorse di essere tutta sudata:

"Che succede, Lillian?"

"Devo andare su a Chantey. Ti senti bene?"

Non molto. Si era appena svegliata di soprassalto da un sogno che non ricordava.

Lillian si era preoccupata per lei, per tutta la notte si era rigirata in continuazione nel letto; poi mentre lei era in bagno a prepararsi per raggiungere John alla casotta entro le sei aveva sentito Carly emettere piccole grida e gemiti. 

Per un momento le era venuto il dubbio che ci fosse un uomo con lei, visto il timbro particolare della sua voce mentre mormorava cose del tipo "Non smettere! Sì, così!"

Per un momento sperò che non fosse Brent. 

Le parve comunque improbabile, non era la prima volta che Carly lo faceva.

"Non c'era nessuno qui con te, vero?"

Da assonnata che era Carly diventò paonazza, rendendosi conto che l'aveva rifatto. Lo stesso sogno: lei di spalle in una sala, quando si girava incontrava il viso e le braccia di Lapis. Lui la sollevava e la stringeva prima di stenderla sul pavimento mentre lei lo aspettava già a gambe aperte.

Lasciare andare, un corno.

"Sia io che te dobbiamo farci una bella scopata, prima o poi. Ti trovo io qualcuno: ti piace Joel, per caso? Cretino purosangue assicurato! O Brent? Brent dice che sei carina."

Ancora una volta Lillian riuscì a farla ridere.

"No, grazie. Lo sai che non ciulo ranger."

Carly era sempre così ostinata nel credere che fossero tutti antipatici.

"...ride bene chi ride ultimo! È giunta l’ora, mi stanno aspettando. Ci vediamo."

 

 Lillian non aveva alcuna intenzione di salire a Chantey a piedi, era la casotta più scomoda del RNP ma per raggiungerla c'era anche una strada sterrata bella larga.

Ma non le toccò nemmeno andarci, John le comunicò di tentare ancora una volta di andare a prendere la signora Poyaz. A osservare il villaggio ed eventuali frane sarebbero rimasti lui e Brent.

Noiresylve sembrava un villaggio fantasma: camminando per le stradine Lillian udiva solo vento, uccellini e sciabordio di fontane-lavatoio.

Arrivata davanti all'unica casa ancora occupata, si preparò mentalmente a quello che doveva fare. Usò qualche tecnica di respirazione per calmare i nervi e poi osservò il suo dito indice incontrare il pulsante bianco del campanello. 

Suonò qualche volta, ma nessuno rispose. Capendo l'antifona, Lillian colpì la porta di legno massiccio intarsiato:

"Clémence Poyaz, deve lasciare la sua casa. Apra subito la porta."

Stesso silenzio immobile.

Tutto sembrava perfetto. Era una bellissima giornata di ottobre. Cosa sarebbe potuto accadere di brutto quando c'era un cielo da urlo come quello?

"Clémence Poyaz, ultimo avvertimento."

Bam bam bam.

Lillian aveva male alle nocche. Non ci pensò nemmeno a dare una spallata alla porta come vedeva fare nei film, si sarebbe provocata una lussazione.

Proprio quando stava per perdere le staffe uno spiraglio minuscolo si aprì, lasciando uscire un lieve sentore di erbe essiccate.

"Ancora voi ranger qui! Sciò sciò sciò."

Lo spiraglio si era presto trasformato in una porta spalancata e la faccia da luna piena della signora Poyaz, calcata come a forza su un grande corpo quadrato e vestito da un grembiule azzurro, si palesò davanti alla giovane guardiaparco.

"Clémence, faccia onore al suo nome. Non mi faccia mangiare il fegato nel tentativo di salvarle la vita."

Lillian non sapeva più che metodo usare con quella zuccaccia dura. Se nemmeno il pensiero di morire riusciva a scuoterla dalle sue convinzioni, una comune mortale come lei aveva ben poche speranze.

"Basta disturbarmi! Noiosi come delle mosche...ho detto che io la mia casa non la lascio. Sono troppo vecchia per farmi spaventare da una stupida frana."

Ammesso e non concesso che ci sia una frana e che voi altri non vi stiate inventando complotti per sfrattarci e vendere la terra.

Questo Lillian lesse sul volto della signora, anche se lei non osò pronunciare le parole.

"Sì, ho capito che non gliene frega. Ma se permette a me sì, perchè finisco nei guai!"

La signora Poyaz si grattò il suo chignon di dolce nonnina e mise una mano sulla spalla di Lillian:

"Andiamo, ragazzona, ti preparo una tazza di tè. Sembri così inacidita…"

Non sapendo per cosa sentirsi più offesa e ormai a corto di opzioni, Lillian afferrò quella donna bassa e cicciotta approfittando della sua distrazione.

Si mise a correre lontano dalla casa verso la sua macchina, una distanza che le parve più lunga a causa della signora Poyaz che mulinava le braccia, mentre scalciava con le gambette che non toccavano terra.

"Mettimi giù, screanzata! Ah! É così che tratteresti tua madre, tua nonna?"

Aveva già corso un centinaio di metri portando con sé ottanta kg di signora Poyaz; improvvisamente stanca, Lillian la mise a terra senza mollare la sua mano:

"Al diavolo la gentilezza. Scusami Clem, ma sei una GRANDISSIMA TESTA DI CAZZO. Metti in pericolo te e noi del RNP, non ascolti nessuno."

Perfetto. L'aveva insultata e rimossa con la forza dal suo domicilio. Avrebbe avuto spiegare molte cose a John…

"Io ti denuncio, stronzetta!" 

"Vaffanculo, capito? Vaffanculo! Vieni a valle con me ora."

La vecchia continuava a sbraitare, strattonando il braccio dalla presa irremovibile di quella ragazza fortissima:

"Io ti…."

L'aveva sentito anche Lillian.

Quel lieve tremolio nelle gambe.

Quel crack cupo e profondo che sembrava uscire dalle viscere della Terra. 

Quando la signora Poyaz smise improvvisamente di parlare entrambe si voltarono in tempo per vedere un masso enorme, più grande di un van, abbattersi con una traiettoria a parabola su un grande chalet. Proprio quello della vecchia; lei osservò la sua casa sventrata senza battere ciglio e Lillian fece una smorfia:

"Mi spiace, Clem..."

Il sasso era stato catapultato direttamente dalla montagna: una gigantesca nuvola di polvere si liberó da un fianco della valle mentre altri massi di quella taglia grandinavano su Noiresylve.

Entrambe le donne sapevano che erano solo ancora quelli piccoli, stavano preparando la caduta di un pezzo di montagna piú grande. Molto più grande.

"Aaaaaahhh la frana! Santo Supremo, Gran Sacerdote e tutti gli angeli, corri!"

Lillian non riusciva a capire cosa quella pazza andasse farneticando, ma si ritrovò ancora una volta a correre disperatamente portandosela sottobraccio; la megera strillava:

"Moriremo! Moriremo, ranger!"

"Lillian…"

Lillian faticava a correre con la vecchia che ora si era aggrappata a lei, stretta come una pallina.

Sperando in qualcosa a cui non sapeva dare nome Lillian si accovacciò dietro a un muro di pietra, lasciando che la signora Poyaz si stringesse alla sua giacca.

Chiuse gli occhi e si coprì la testa:

"E così arriva la mia ora. Una frana in montagna. Il posto che amo di più alla fine mi tradisce, non che sia una novità con le cose o persone che amo. Se devo morire almeno muoio da MVP. Mancherò a qualcuno? Che peccato, avevo appena rifatto l'henné e mi era uscito bello rosso come piace a me...Joel, va' a quel Paese! Ce l'avevi pure storto, non toccavi mai il mio punto G. Vacci anche tu Bronwyn, so che mi sparli dietro con le tue amichette. Addio John, grazie di essere stato un buon maestro. Brent, impara a essere un guardiaparco come si deve ma continua a fare il vichingo. Carlona, riprenditi il tuo bello, abbi tanti bambini e fai volare tanti rapaci. A voi tre ho voluto bene, siete la mia famiglia...oddio, anche Brent?! Addio. Top Ranger out."

 

Le due donne aspettarono la morte tutte vicine in una specie di abbraccio, con gli occhi chiusi.

Solo quando un tonfo tanto forte da far tremare la terra le fece rimbalzare e atterrare sul sedere, entrambe si resero conto di essere vive.

"Ranger, guarda! Guarda, la frana…"

Clémence fu la prima a guardarsi intorno, pitoccando ossessivamente la ragazza:

"Ranger. Ranger?!"

Lillian aveva ancora le palpebre strizzate, ma capendo che era tutta intera si alzò di scatto.

"LILLIAN! Cazzo! Mi chiamo Lillian."

Aveva ben cinque chiamate perse, fra John e Brent. Essendosi vista la morte in faccia, pochi minuti prima non aveva manco sentito il cellulare squillare.

Mentre seguiva la signora Poyaz verso il punto appena fuori da Noiresylve in cui una fetta di montagna grossa come una palazzina giaceva tranquilla, rispose al suo concitato collega:

"Cosa c'è, Brent?"

"Ha risposto...ha risposto! Yoo hoo! John, la valchiria é viva! Che sollievo…"

Avrebbe potuto dirgli che gli stava rispondendo dal Valhalla, ma in quel momento non aveva le forze per scherzare. Guardò in alto verso le vette, scorgendo più o meno Chantey ma non riuscendo a vedere Brent, che sicuramente vedeva lei.

"Come cosa c'è? Sei viva!"

"Fammi parlare con John."

"John é...in riunione. Oh, devo andare. Minchia Lilli, non sai quello che ho appena visto. Cosa ti sei persa."

"...La vita, quasi? Comunque dì a John, quando finisce con la sua riunione, che sto portando la signora Poyaz in ospedale per accertamenti, giù a Neuve Ville. Non preoccupatevi, vi raggiungo stasera a Saint-Paul."

Lillian potè finalmente tirare un sospiro di sollievo, la signora Poyaz era stata salvata ed entrambe stavano abbandonando il villaggio devastato con le proprie gambe, incolumi.

"In riunione, su a Chantey? Come no…"

Se Lillian aveva subito capito che Brent aveva detto una balla, ancora non sapeva come quell'enorme frana avesse evitato Noiresylve. Era pazzesco. 

Era un miracolo.

 

 Non fece in tempo ad arrivare la sera che Lillian fu convocata da John nel suo ufficio a Saint-Paul. Dovevano essere appena tornati da Chantey, e lei aveva giusto avuto il tempo di lasciare Clémence Poyaz alla sua famiglia.

John aveva detto che doveva parlare con lei, era la prima volta nella sua carriera che Lillian si sentiva preoccupata: la questione signora Poyaz era molto delicata, con ogni probabilità John non era soddisfatto. 

E se le avesse tolto il titolo di top ranger?

La ragazza inspirò profondamente e poi aprì la porta dell'ufficio del suo capo.

Lo trovò in piedi, mentre discuteva scherzosamente con Brent. Il suo segretario stava graffettando dei documenti, lasciandoli sulla scrivania dove un ragazzo molto giovane sedeva, intento a sfogliare rapidamente un libro. 

Cos'era, i suoi genitori l'avevano dimenticato lì?

Lillian vide che era la bibbia, il manuale con tutte le regole che John dava ai suoi ranger.

Un nuovo collega, dunque? O visto che sembrava più piccolo di lei, una mascotte...

"John, mi dispiace se non ho gestito bene la signora Poyaz."

"No, Lillian, non sei qui per questo, hai gestito la signora molto bene. Brava ragazza."

"Non ho davvero capito, la montagna è crollata. Cos'è successo?"

Brent alzó il mento accennando al ragazzo che leggeva:

"Lui é successo."

 

 "E così da oggi avrai due nuovi discepoli, Lillian. Io allevo te e tu allevi loro: sii me quando non ci sono, chiaro? Ora lascio voi giovani alle presentazioni. Arrivederci!"

Quando John se ne fu andato, il ragazzo si alzò e camminò avanti e indietro per l'ufficio.

Lillian si sentì infastidita dal fatto che la stesse ignorando, ma sorrise:

"Ehm...ciao?"

"Ehi."

"Hai sentito cosa ha detto il vecchio? Quando non c'è, é a me che devi render conto."

Il pivello iniziò a sfogliare un altro documento, sempre senza guardare Lillian; si spostò distrattamente una ciocca di capelli che gli cadeva dritta fra gli occhi.

"Oi! Ma mi senti?"

Lillian schioccò le dita, seccata.

"... Ti sentirei anche se tu fossi in cima al ghiacciaio. Respiri come una vecchia locomotiva."

Lillian era sbalordita. Diede uno sguardo assassino a Brent, che nel frattempo se la stava ridendo e si era appoggiato alla scrivania:

"Che figata il tuo stile, Sev! Sembri un gangsta cowboy. Posso chiamarti Sev, vero? Chiamami B se il mio nome è troppo lungo."

Lillian poteva chiamarli entrambi problema o perchè a me?

Scosse la testa per Brent che cercava disperatamente di attaccare bottone con la mascotte:

"Io invece sono un vichingo. Non un vero vichingo, quelli sono tutti morti, ma un rievocatore dell'era vichinga. Che figata i tuoi orecchini! Io ho il diamantino, e il trago."

'Il drago?"

"T. Trago."

"Ma smettila, fanboy" Lillian guardò di sottecchi Brent, prima di rivolgere due occhi a fessura all'altro "in ogni caso è da maleducati non guardare le persone in faccia quando ti parlano."

Sev non alzò nemmeno lo sguardo:

"Sto leggendo. È da maleducati interrompere."

Balle, stava solo sfogliando la bibbia e i documenti, anche abbastanza rapidamente; non si poteva leggere così.

Lillian incrociò le braccia: 

"Che dice la sezione sui falò?"

" "Chiunque accenda fuochi non autorizzati è punibile con multe fino a ..." "

Lei lo sapeva perfettamente ma fu sorpresa di sentirlo ripetere le parole della bibbia come se le avesse già memorizzate.

Brent guardò Lillian arrabbiarsi lentamente come una pentola a pressione che si scalda, si mise comodo su una sedia: sarebbero stati questi i suoi colleghi più stretti? Ci sarebbe stato da ridere ogni giorno, allora.

"Ok, ho finito. Ciao ciao."

Quando il ragazzino si alzò e si avviò verso l'uscita, per la prima volta Lillian riuscì a vedere qualcosa del suo viso.

Notò due mini Grande Eden che fissavano incuriositi i suoi capelli hennati di fresco. Lillian voleva fare apposta a non guardarli: erano un punto focale che sicuramente tutti notavano, lei non voleva dargli quella soddisfazione. Spostò l'attenzione sulle numerosi efelidi che aveva sugli zigomi, ricordandosi che le trovava belle sulle persone dai capelli scuri. Le sue guance erano rosse, come già bruciate dal sole d'alta montagna.

Avendo terminato di studiare l'ultimo documento della pila, lui lo mise nelle mani di Lillian e si congedò.

Brent canticchiava, girando sulla sua sedia come un bambino dell'asilo.

"Lilli, Lilli, mi raccomando...John ha messo Sev al mantenimento dell'ordine. Onestamente, penso ti renderà le cose più facili."

Che gliene fregava, a lei, di cosa pensava Brent. Che buon inizio! 

Si era lamentata dell'hipster, mentre l'altro sembrava anche peggio. Per di più le sarebbe toccato passare con lui ancora piú tempo di quanto non facesse con Brent. Davvero ottimo, prevedeva già tante litigate.

Quasi quasi odiava John.

Ma Lillian era Lillian, era la migliore e anche la sua superiore: se quello zingarello dei suoi stivali avesse cercato rogne, lei gliele avrebbe date.

   
 
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