3
La
danza
macabra
Sono io la
morte e porto corona
Io son di tutti voi signora e padrona
E davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
E dell'oscura morte al passo andare […]
Sei
l'ospite
d'onore del ballo che per te suoniamo
Posa la falce e danza tondo a tondo
Il giro di una danza e poi un altro ancora
E tu del tempo non sei più signora
(Ballo
in fa diesis, Angelo Branduardi)
Theoric
non trovava sua sorella da nessuna parte. La musica nel salotto si era
fatta
più allegra e nervosa, disturbante. Cercò tra gli
ospiti il vestito color
smeraldo o la figura slanciata di Loki Odinson e, nel farlo,
passò accanto al
ritratto della sua defunta madre, che aveva donato il suo sorriso largo
e
solare a Sigyn. Se la ricordava appena e non sapeva dire se sua sorella
le
assomigliasse anche nel carattere; forse nelle intemperanze, nella
curiosità
spesso sfacciata, nell’animo appassionato. E adesso lei
sembrava sparita,
scomparsa, inghiottita dalla notte umida e fredda, che odorava ancora
di
pioggia. Vide il duca di Asgardshire che discorreva con un paio di
banchieri e
fumava un grosso sigaro e gli si avvicinò.
“Dove
sono?” domandò, livido in volto. Gli uomini di
quella famiglia, pensò,
assomigliavano tutti agli antichi cavalieri normanni sbarcati sulle
coste inglesi
insieme a Guglielmo il Conquistatore. Avevano uno sguardo duro e
magnetico e il
portamento di un guerriero.
Thor
lo soppesò con lo sguardo e tirò una lenta
boccata. “Mio fratello è andato via;
a vostra sorella dovreste pensare voi.”
“È
ancora una ragazzina.”
“Ma
è
graziosa e Loki possiede rendite e terre in abbondanza. Capisco bene
perché non
vi piace e, se fossi al vostro posto lo avrei già preso a
pugni,” rise il duca,
“ma l’interesse della mia famiglia dovrebbe
lusingarvi,” terminò, senza celare
affatto una nota di severo rimprovero.
“Ed
è
interesse, Vostra Grazia[1]?
Lord Odinson non si è mai sbilanciato,”
sibilò Theoric. “E vostro padre voleva
diseredarlo.”
Thor
si stufò del sigaro. “È una diceria
priva di fondamento e non voglio che la
ripetiate mai più,”
l’avvertì, ma in cuor suo sapeva di non potersi
offendere eccessivamente
col figlio di Lord Vanir: Loki aveva fatto di tutto per sporcare la
propria
reputazione, per esibire ciò che suo padre nascondeva:
ricordò con feroce
nostalgia il tempo in cui andavano ancora a caccia insieme e lui era solo
uno
studente ironico e brillante, prima che la febbre della conoscenza gli
appannasse lo sguardo.
Theoric
uscì in giardino, sempre più teso: temeva e
sperava di vedere il sorriso
sardonico e beffardo di Loki Odinson e ripensava alle parole del duca
su suo
fratello. Non sarebbe bastata tutta l’Inghilterra a rendere
quella specie di
alchimista un partito accettabile. C’era qualcosa, in lui, di
corrotto,
sbagliato, oscuro, capace di contrapporsi totalmente alla sua
incantevole e
radiosa sorella. Aveva intercettato i loro sguardi, negli ultimi mesi;
un paio
di occhiate sfacciate, un mezzo sorriso di troppo: si desideravano,
null’altro
che questo.
Nell’oscurità,
un’ombra si staccò dal gazebo: Sigyn. La fievole
luce che proveniva dal salotto
la illuminava appena, rendendola una figura sottile ed evanescente e
lui la
raggiunse con un paio di falcate: quando le fu vicino, si accorse che
era
pallida e si guardava attorno, inquieta. L’acconciatura aveva
un che di
disordinato e in lei stessa c’era qualcosa di dissonante.
“Che
ti
è successo?” chiese con un brivido. La
abbracciò e lei non fece obiezioni,
anzi, gli posò la fronte sulla spalla. Era esile e leggera
– ultimamente, a
pranzo e a cena, spiluccava appena, tormentata dal sentimento
impossibile che
nutriva per il fratello del duca. Lo amava? Soffriva per la sua
assenza?
Theoric conosceva la risposta, ma non voleva dirlo ad alta voce
né accettare
che la sorella potesse scegliere, tra tutti, Loki
l’alchimista, lo scienziato,
l’esploratore che non aveva riguardo né di Dio
né degli uomini.
“Ho
un terribile mal di testa, perdonami,” boccheggiò
lei. Si sentiva debole e
confusa e viva. Sulle labbra aveva il sapore di un bacio e di una
pozione in
grado di bruciarle la gola. Aveva sete e le tremavano le gambe.
“Vorrei andare
a riposare nelle mie stanze. Saluta gli ospiti da parte mia.”
Theoric
si accorse che le sue braccia nude
erano gelate. Fu sul punto di domandarle dove fosse lui o
perché si ostinasse a
ignorare qualsiasi regola per quell’uomo, ma
preferì essere indulgente e non le
fece alcuna domanda. Se ne sarebbe pentito, più avanti.
♥
Il
cielo si era fatto cupo, carico delle nubi che, presto, avrebbero
rovesciato
una pioggia lugubre e insistente su tutta Londra. Sigyn era nella sua
stanza e
indossava ancora l’incantevole abito che le aveva tolto il
respiro, ma ne
ignorava la pericolosità, come sapeva vagamente di aver
bevuto l’antidoto che
l’aveva strappata alla morte e di essere viva per un caso,
nulla più. Quando
aveva detto alla sua cameriera che si sarebbe spogliata da sola, quella
le
aveva risposto con un sonoro sbuffo, ma non aveva insistito solo
perché la casa
era piena di ospiti. Era l’occasione perfetta –
stava compiendo una follia,
tanto grande e spaventosa che occorreva abbracciarla senza esitazione o
rimanerne schiacciate. La casa dormiva, la borsa con i suoi pochi
effetti
personali era già pronta. Aveva scelto di utilizzare parte
del bagaglio preparato
con anticipo in vista del periodo che avrebbe dovuto trascorrere da sua
cugina[2],
ma le girava la testa e sentiva le palpebre pesanti. Quel viaggio
programmato
da tanto tempo a casa dei suoi zii non si sarebbe verificato mai,
perché Sigyn
stava per infilarsi un mantello e fuggire. Avvertì
l’impulso di lasciarsi
cadere tra le candide e rassicuranti coltri del suo letto, ma lui
l’attendeva già e lei aveva promesso:
gliel’aveva sussurrato mentre la teneva
tra le braccia.
Non
era quello che volevo? Che mi chiedesse di andare via con lui?
Forse
non avrebbe dovuto fidarsi di Loki, ma era troppo tardi. Si
appoggiò a una
delle colonne del baldacchino sfiorandosi il corsetto aderente.
L’orologio
batté le due del mattino e la ragazza si avviò
verso la porta cercando di non
fare il benché minimo rumore. Con una mano reggeva la borsa,
con l’altra gli
stivaletti che avrebbe indossato solamente nel patio.
Cos’avrebbe fatto l’antica
sacerdotessa danese che aveva sedotto un conte, di cui lei indossava
una parte
del corredo funebre? Sarebbe scappata con l’uomo che amava,
assumendosene il
rischio, lei che, fiera e pagana, si era unita a un cristiano,
corrompendolo.
La
casa dove aveva trascorso una vita intera era un labirinto buio fatto
di ombre
note e scricchiolii di cui conosceva l’origine e la
provenienza. Attraversò il
corridoio facendo attenzione a poggiare i piedi scalzi sui tappeti
orientali,
scese le scale trattenendo il respiro. Il bagaglio era leggero, eppure
le sue
mani faticavano a sorreggerlo. Si aspettava di vedere comparire da un
momento
all’altro una delle cameriere con la cuffia da notte in
testa, Theoric o,
addirittura, suo padre, ma la casa era come sotto l’effetto
di un incantesimo:
addormentata, immobile, stregata, buia. S’inoltrò
nelle stanze che conosceva
tanto bene da non avere bisogno della luce per muoversi, individuando,
nell’oscurità, il profilo di un mobile o di un
arredo. Le sembrava di camminare
in un sogno. Quando, finalmente, raggiunse il soggiorno, vide che le
pesanti
tende non erano completamente accostate e lasciavano filtrare una
flebile luce
che proveniva dall’esterno. Si fermò a osservare
la lama illuminata e si
accorse che la stanza aveva assunto dei contorni sinistri e
sconosciuti. Sbatté
le palpebre e si accorse troppo tardi del respiro accanto a lei. Una
mano
l’agguantò per la vita, un’altra le
tappò la bocca. La voce di Loki, suadente,
roca e pericolosa, le accarezzò la pelle facendole tendere
la schiena. Poteva
sentire il profumo dei suoi abiti e sapeva, sentiva,
che anche lui
doveva trattenersi dallo sfiorarle con le labbra il collo, le guance,
la bocca.
“Dobbiamo
sbrigarci,” le disse prendendole la borsa. Sigyn
annuì, riconoscendo con una
stretta al cuore che Lord Odinson era riuscito a violare la sua
abitazione
scassinando la finestra e, ora, si muoveva
nell’oscurità con l’agilità e
la
sicurezza di chi è abituato ad agire di nascosto. Era un
brigante col sangue
blu nelle vene, il figlio reietto di un duca morto chiedendo perdono
per i
peccati di entrambi. E lei, Sigyn, che sapeva tutto questo e molto
altro
ancora, stava commettendo una follia. Nel gazebo, Loki le aveva
raccontato che la
sua vita era in pericolo: se voleva vivere, doveva seguirlo quella
stessa
notte, perché non avrebbero avuto mai
più un’altra occasione. Per
convincerla, si era visto costretto a rivelarle un particolare
spaventoso, che
nessuno, a eccezione della sua famiglia, avrebbe dovuto conoscere, ma
era
chiaro che le stesse nascondendo dell’altro.
Sigyn poteva sentire il
filo scarlatto che univa le loro vite trascinandoli in qualcosa di
più grande e
ineluttabile. Era attratta dal caos che lui
emanava, come le farfalle
che, danzando, si avvicinano sempre più alle fiamme.
Perché non le aveva fatto
alcuna proposta di matrimonio? Cosa voleva da lei? Nel giardino
l’aveva stretta
a sé e baciata con rancore e desiderio, assaggiandole le
labbra per imprimere
meglio nella sua testa il loro sapore, la consistenza, come se stesse
perdendola
per sempre e non sapesse rinunciare a lei. La voleva e sapeva di avere
il mondo
contro – ne erano consapevoli entrambi. Il suo corteggiamento
era stato
insistente, sfacciato, a volte persino velato
dall’ambiguità, ma lui era stato
il solo per cui aveva provato un fremito basso. Le mancava il respiro
ogni
volta che Loki la fissava troppo intensamente, la sfiorava o erano
tanto vicini
da potersi toccare, ma non lo facevano. Con che parole poteva esprimere
sensazioni tanto violente e improvvise?
Quante
volte gli aveva permesso di arrivare con i suoi baci fino allo scollo
del
vestito, alla morbida consistenza dei seni, pregando, mordendosi le
labbra, che
osasse domandarle ciò che lei non poteva chiedere[3]?
Come poteva fidarsi tanto da salire in carrozza con lui, nel cuore
della notte?
Si conoscevano, stuzzicavano e parlavano da mesi e, sebbene non
avessero mai affrontato
apertamente il discorso, conoscevano il destino che li attendeva a
meno che.
Ma la
loro non era una fuga d’amore. Qualcosa di terribile stava
avvenendo e Loki non
le aveva rivelato che un frammento troppo piccolo di verità,
una che Sigyn voleva
conoscere e, per farlo, doveva seguirlo, perché dopo aver
bevuto a forza la
fiala che le aveva avvicinato alla bocca, ogni malessere si era
calmato.
Dicevano che fosse un alchimista, un medico, uno scienziato, un
esploratore, un
farabutto: era ogni cosa e nessuna – era tutto questo e molto
di più, ma se
Lord Odinson era un uomo dall’anima nera, lei non poteva dire
di essere
totalmente candida. I sogni che spesso la svegliavano erano fatti di
nebbie
voluttuose e immagini innominabili. Scenari onirici di cui non riusciva
a
pentirsi, ma che, al contrario, desiderava solo approfondire e rendere
reali,
abitati dal fantasma beffardo e virile di lui, che ora la sorreggeva
mentre lei
s’infilava gli stivaletti, per poi guidarla nella notte resa
meno oscura dal
fascio di luce di una lanterna cieca. C’era un servitore di
casa Odinson
dall’aria truce, ad attenderli.
Sigyn
non era più in tempo per tornare indietro e scelse di
fidarsi, di seguirlo nel
giardino dall’erba fradicia, nella carrozza che li attendeva
poco distante –
abbastanza perché il rumore delle ruote
sull’acciottolato non svegliassero suo
padre. Era stata sul punto di morire, quella sera, eppure le labbra di
Loki,
che sapevano di un liquore dolce e sconosciuto, le avevano ridato il
respiro e la
vita. La stessa che, altrimenti, sarebbe rimasta incastrata dentro un
sorriso
finto, come quelli dipinti sulle porcellane, o rinchiusa in una sonata
eseguita
con disperazione, ma costretta a disperdersi nel vento. Poteva vivere
solo accanto a lui, a quel gentiluomo protervo che non
s’interessava delle sue
ricchezze e si era seduto davanti a lei nella carrozza, imponendosi una
calma
che la mascella serrata e lo sguardo mobile e ardente tradivano. Poteva
vivere
solo scegliendo – e ne avrebbe pagato il prezzo.
L’acconciatura
si era quasi disfatta e l’umidità notturna le
aveva gonfiato i capelli,
rendendoli ancora più ribelli e vaporosi. Loki
pensò che fosse bella – il
tesoro più prezioso che avesse mai rubato – e
Sigyn approfittò dell’occhiata
sfacciata e diretta dell’uomo per catturare la sua attenzione.
“Che
tipo di fuga è la nostra, Lord Odinson?” Il seno
avvolto nel raso verde si
alzava e abbassava ansioso.
Lui
si concesse d’ammirarla. “Una che condanna
entrambi. Ma necessaria.”
Sigyn
tremò di fronte a quell’ammissione fatta con un
sorriso storto e uno sguardo
feroce, lupesco. “Cosa avreste fatto, se non fossi
scesa?”
“Sarei
salito nella vostra camera e vi avrei portata via.”
“E se
avessi gridato?” lo sfidò. Si sentiva ancora
debole, ma l’emozione per la fuga
le conferiva l’energia necessaria per rispondere a ogni
battuta con la forza di
sempre – quella stessa che lo divertiva e affascinava, ne era
sicura.
Loki
scosse il capo, lasciandosi sfuggire una mezza risata. “Non l’avresti
fatto, Sigyn.”
“Dove
mi stai portando?”
“In
un rifugio sicuro. Una delle mie case.” Lo sguardo tagliente
di Odinson si
puntò oltre i vetri della carrozza. “Non
abbastanza degna di una lady,
ma dove nessuno ci verrà a cercare,”
considerò.
Per
qualche minuto rimasero in silenzio. Avevano gettato via ogni
convenevole
parlandosi direttamente[4],
ma Sigyn aveva ancora troppe domande incastrate in gola e Loki era
laconico. Si
accarezzò la gemma d’agata che le ornava il collo
e non aveva più tolto.
“Come
sapevi di mia madre? Cosa c’entra lei, con noi? Non lo
abbiamo mai detto a
nessuno, a parte il prete,” mormorò a voce tanto
bassa che credette di non
essere stata udita.
Loki
tornò a fissarla col suo sguardo attento, rapace, valutando
il pallore delle
sue guance, gli occhi mobili e grigi, grandi e rotondi. “Chi
vuole farti del
male,” iniziò con lentezza, scegliendo con cura le
parole, “è colui che ha
aperto la sua tomba.”
Sigyn
impallidì, raggelata dalla rivelazione. Dalla cassa non era
stato portato via
niente a eccezione di un libro di preghiere e di un medaglione che
conteneva,
al suo interno, una treccia d’oro – la sua. Erano
state dette tante cose su
quella profanazione dolorosa.
“Tu
come lo sai?” soffiò.
“Io
so molte cose, Sigyn, e conosco troppe persone e non tutte sono
raccomandabili,”
le spiegò lui con voce calma, lenta, senza trattenersi dal
piegare le labbra
sottili in un ghigno di cui la ragazza non riuscì a cogliere
il sarcasmo. Lo
avrebbe fatto, poi.
♥
Sigyn
stringeva tra le dita una tazza di latte caldo che non osava bere.
Dentro, Loki
aveva versato qualche goccia della stessa pozione già
ingerita nel gazebo. L’aveva
salvata. Da un passato che le chiedeva il conto di una
somiglianza troppo
spiccata, da una vita in cui si sentiva in trappola – già
morta,
costretta a cantare graziosamente come un usignolo rinchiuso in una
gabbia.
Invece ora era viva e libera e l’altro
non sapeva dove fosse e non
avrebbe dovuto scoprirlo, mai. Importava solo questo. Il suo nome era
un
dettaglio irrilevante, il perché
un’ossessione di cui lei stessa non
desiderava parlare: una parte del passato della sua famiglia era fatto
di
bisbigli e di segreti da cui era sempre stata tenuta lontana. Ricordava
brandelli di discussioni catturati quand’era bambina,
nient’altro. Parole di
cui non era riuscita a cogliere il senso, che le restituivano
un’immagine di
sua madre diversa dalla donna che le intrecciava i capelli
d’oro intonando
vecchie filastrocche. Una che si era macchiata della colpa di ridere di
un
uomo. E Lord Odinson, dal canto suo, si era rifiutato di dirle quale
fosse il
piano che aveva così abilmente sventato, come avesse fatto a
conoscerne tanto a
fondo i dettagli. Così finsero che quella notte lei non
fosse quasi morta, ma
in fondo anche questo era un inganno in cui si stavano smarrendo. Lo
avrebbero
capito, poi.
Loki
l’aveva salvata e il perché gli si leggeva negli
occhi lupeschi e attenti,
carichi di rancore e desiderio. E, di fronte alla proposta folle di
fuggire
insieme, Sigyn non si era tirata indietro. Le era mancato il respiro,
aveva
sentito la vita scivolarle via e lui era riuscito a ridarle aria,
spalancando
la gabbia in cui era intrappolata, facendole tremare le vene dei polsi.
Tutto
il resto – l’orrore –
doveva sparire, o l’avrebbe inghiottita. Ci sarebbe
stato il tempo per le domande, ma non quella notte, non dopo che la
vista le si
era appannata e solo la pozione dolciastra inghiottita quasi a forza
l’aveva riportata
indietro. Loki era riuscito a salvarla e Sigyn voleva ripagarlo e
sentirsi
viva.
Erano
in una stanza da letto sobria ed elegante, in una casa posta in un
quartiere
raffinato pieno di famiglie benestanti e perbene. Facevano eccezione
loro due,
in silenzio, colpevoli di aver violato ogni norma sociale in nome di un
desiderio che scorreva nelle vene di entrambi e non aveva ancora
trovato un
nome. Che infiammava lui e bloccava lei. Da fuori,
l’abitazione si presentava
come l’austera dimora di un avvocato spesso assente per
lavoro, ma all’interno
le camere erano arredate col gusto sofisticato di chi ha viaggiato per
il mondo,
esplorandone gli ultimi misteri e cercando reperti e tesori: scaffali,
mobili e
librerie contenevano antichità e cimeli mai visti ed erano
stati sistemati
secondo un gusto particolare. Tra le meraviglie esposte,
c’era un manoscritto conservato
sotto una teca in vetro, scritto in un’elegante carolina[5]
e miniato con cura.
“Dove
lo hai trovato?” boccheggiò Sigyn. Aveva
riconosciuto la grafia, ma non
riusciva a leggerla correntemente; tuttavia, individuò
l’argomento osservando
le immagini che decoravano la pagina: raccontavano la storia del conte
che
s’invaghì della strega pagana.
“Lo
raccolse mio nonno. C’è chi dice che sia una
leggenda di famiglia,” spiegò
l’alchimista piegando le labbra nell’ennesimo
sorriso storto.
A
quelle parole, il cuore della ragazza batté più
forte nel petto. Sentiva che le
vicissitudini dei due amanti lontani nel tempo e nella storia erano
legate a
lei, a loro. Il mito le parlava, calmando
l’incubo che era giunto a
ghermirla da vicino e che sapeva di morte, annullando il presente. Era
fuggita come
l’ultima delle cameriere, seguendo l’uomo che
amava, obbedendo al cuore e alla
testa che, insieme, gridavano e sanguinavano di nostalgia per un
sorriso sbieco
che non riusciva a dimenticare, per due occhi verdi che non poteva
smettere di
sognare. Se non era destino che fosse sua moglie, capì
tremando, sarebbe stata
la sua amante, quella notte o un’altra. Era un fato cui
nessuno poteva opporsi,
né suo padre, né Theoric, né il duca
Thor né lei e Loki.
“È
per questo che hai cercato la sua tomba?” gli
domandò sfiorando il vetro. Loki
sembrava non volerle rendere le cose facili. L’osservava
tenendo le mani
allacciate dietro la schiena, facendo attenzione a ogni suo movimento,
sussulto, sguardo.
“Era
una leggenda interessante, sì. Dovresti berla,”
l’invitò, riferendosi alla
tazza. “E indossare qualcosa di meno bello, ma più
comodo,” concluse con voce
roca, strappandola alle sue considerazioni per riportarla
lì, in una delle sue
stanze, nel cuore della notte.
Sigyn
strinse le labbra. C’erano ancora troppe domande sospese, tra
loro. E non di
tutte era certa di voler conoscere le risposte.
“Fuggire
era l’unico modo? Io non capisco mai i tuoi intenti, Loki. Mi
corteggi, ma non
ti esponi. Dici di avermi salvato la vita, ma lasci intendere di essere
immerso
nell’oscurità.”
L’alchimista
parve compiacersi di quella confessione così sincera.
Attendeva che Sigyn gli
ponesse il quesito giusto. “Ed è così.
Non mi avrebbero mai lasciato avvicinare
a te. E lui voleva portarti via. Ho agito in
fretta.”
L’accenno,
pur lieve, fece rabbrividire Sigyn, spingendola a scacciare via
l’orrore da cui
era fuggita e a concentrarsi sul viso affilato di Loki, sul suo ghigno
sempre ironico
che aveva lasciato il posto a una smorfia tirata. Nascondeva
un’infinità di
segreti: glielo leggeva nelle ombre inquiete che danzavano nei suoi
occhi quasi
trasparenti.
“In
nome di cosa?” l’incalzò rapida,
facendosi avanti finché lui non resistette
all’impulso di carezzarle la guancia serica, il collo
elegante, il nastro di
velluto nero che reggeva l’agata verde, per poi risalire con
lentezza fino alle
labbra piene, di cui ricordava il sapore.
Loki
deglutì, al pensiero di quanto fosse assurdo e folle il suo
piano e dei rischi
che comportava, ma Sigyn si era avvicinata troppo per lasciarla andare.
La strinse
a sé lasciando scorrere le dita sulla schiena che tremava al
suo tocco, sulla
vita stretta dal corsetto. In nome di cosa? Del
rancore e del desiderio,
avrebbe dovuto risponderle. Laufey sognava d’averla e Loki si
era svegliato
scoprendo di nutrire la stessa disperata brama, di essere stretto dai
lacci del
medesimo incanto. E ora Sigyn era sua, tra le sue braccia, con ancora
l’abito
avvelenato addosso, che solo il suo antidoto aveva reso non mortale.
Era
splendida e fremeva sotto le sue dita, vittima stupenda dei suoi baci
sfacciati, scorretti, dati ovunque tranne che sulle labbra bramate
– doveva
perdersi, graffiargli con più forza le braccia, sciogliersi
e supplicarlo.
“In
nome di cosa, rispondi: io rinuncio al mio nome, stanotte,”
gli sussurrò, infilando
le dita tra i suoi capelli scuri. Sigyn aveva le labbra piene e uno
sguardo
febbricitante, dolce, liquido e deciso. Voleva dimenticare e vivere,
annullarsi
con lui, smarrirsi per poi ritrovarsi. Cosa sarebbe stato di loro,
l’indomani? Sarebbe
tornato da Lord Vanir, avvertendolo che l’onore di sua figlia
era compromesso e
non rimaneva nessun’altra via che sposarla?
L’avrebbe portata in Francia o in
Germania, dove pochissimi avrebbero fatto domande? E Laufey, come
impedire che
Laufey si vendicasse di entrambi? Poche ore prima, Thor lo aveva
implorato e
minacciato di comportarsi come un gentiluomo, ma Loki non era capace di
rimanere dentro i limiti imposti dalla società rarefatta dei
suoi pari. I
confini entro cui si muoveva erano labili e incerti, a metà
strada tra il regno
dei vivi e quello dei morti. Si muoveva tra il bene e il male, tra
scienza e
magia, tra esperimento e maleficio. E Sigyn, desiderata con ferocia per
mesi,
era finalmente tra le sue braccia, inquieta e bellissima e viva,
avvolta in un
vestito che avrebbe dovuto essere il suo sudario e invece ne esaltava
il corpo
snello, fremente, ancora vivo per merito suo, che ora le baciava la
pelle candida
del collo inebriandosi del suo profumo di donna, del desiderio che
avvertiva
nelle dita sottili, impazienti e nervose di lei, sfacciata, perduta, sua.
“La
soddisfazione non è nella mia natura. Non voglio cederti,”
rivelò con
voce roca. Laufey l’avrebbe sepolto vivo: così
faceva con i suoi nemici.
“Cedermi?”
Sigyn si mise in punta di piedi per sfiorargli le labbra, tentandolo
con un
bacio mancato che non ci sarebbe stato, sfiorandogli il naso con la
punta del suo.
Era sfrontata e priva di malizia a un tempo. Una
fitta di desiderio lo colse, spingendolo a
prenderla tra le braccia, ad adagiarla senza grazia sul bel letto.
Sigyn
lo fissò da sotto le ciglia scure artigliando le coperte con
le dita, spaventata
e decisa. “Sono io che scelgo: quando sono uscita dalla mia
stanza, ho scelto,”
mormorò.
Il corsetto
s’alzava e abbassava a un ritmo irregolare e Loki si stese su
di lei, cercando
con le dita abili e veloci i nastri dell’incantevole abito
color smeraldo,
raccogliendo i suoi sospiri, cercandole, finalmente, le labbra dolci,
prima lambite
appena, poi ghermite in un bacio fatto di molti altri baci, feroce e
intenso e
impaziente, come non lo erano le mani lente, sicure, che la spogliavano
senza
fretta, uno strato dopo l’altro. E lei disse che si sarebbe
mostrata a patto
che anche lui si svestisse, per valutare con curiosità il
torace asciutto e
scolpito, i muscoli nervosi e tonici, il fisico agile e virile di un
uomo giovane
e forte abituato a cavalcare, a navigare a esplorare terre insidiose e
lontane.
Il verde
è un colore insidioso e stupendo: per ottenere una tinta
vibrante e piena occorreva
usare, tra gli altri ingredienti, l’arsenico, un veleno[6].
Non si contavano le dame e i gentiluomini che avevano fatto tappezzare
le
pareti e rifatto il guardaroba con il color smeraldo abbracciando la
morte come
lui stringeva Sigyn. Nella sostanza usata per tingere il raso
dell’incantevole
abito della ragazza, Loki aveva usato quello e molti altri ingredienti
segreti:
Laufey voleva preservare la bellezza della propria preda –
lui, all’inizio, era
curioso solo di vedere gli effetti della sua pozione maledetta. Ora,
invece, scopriva
la pelle morbida e soda di lei, nascosta dall’abito:
carezzava la linea sinuosa
delle gambe sottili, dei fianchi rotondi, della vita stretta e dei seni
sodi,
dalle punte dure prima ancora di sfiorarle con le labbra, di carezzarle
con la
lingua fino a farla implorare. L’aveva immaginata e sognata e
voluta, ma l’aspettativa
non si avvicinava alla realtà e il bisogno di averla era una
febbre capace di
fargli dimenticare la prudenza e i suoi piani capaci di variare di
minuto in minuto,
certo, ma sempre presenti. Sigyn. Invocò
il suo nome, quando la liberò
dall’ultimo strato di stoffa. Fuori pioveva e
l’alba non era lontana, ma il bisogno
di cercarsi a vicenda la pelle, di rendere reali quelle che erano state
fantasie
brucianti li avvolse, li strinse come si serrarono le loro mani, si
avvinghiarono
i loro corpi, corrosi dal desiderio, tesi verso un’unione
necessaria, anelata,
che avvenne. Fu dolce e brusca. Rotta da sospiri, carezze e labbra che
si lambirono,
sfiorarono, gustarono, ora lente ora impazienti, come le attenzioni
nervose e
urgenti che si scambiarono. Sigyn l’accolse e
scoprì che tra le coperte del
letto iniziava e finiva il mondo. Si sentì libera e viva,
perduta e ritrovata e
accarezzò la schiena larga e scolpita di Loki, dopo,
stupendosi del respiro
rapido dell’altro, del battito accelerato del cuore che
sentiva all’altezza del
seno e si mescolava al suo. Lo amava. Lo pensò mentre,
ancora ansante, gli
chiese cosa sarebbe accaduto, ora.
Loki si
sollevò sui gomiti strappandole un bacio lento e irriverente
e scostandole una
ciocca bionda dal viso.
“Ho
anticipato le sue mosse. Il suo piano era venirti a prendere prima
dell’alba. Ci
cercherà, ma non ci troverà,”
spiegò con un ghigno perfido. L’ammirò
ancora,
compiacendosi che fosse nuda sotto di lui, e, crudele, le
tormentò un seno con
spietata lentezza. Sigyn s’inarcò e
boccheggiò di fronte a quell’attenzione
imprevista. Loki la scioglieva, l’incantava, la faceva
vibrare e tendere con
una facilità disarmante e spaventosa, cui lei non aveva mai
voluto resistere. E
ora, che aveva scoperto il doloroso piacere di averlo, non voleva
rinunciarci
mai più.
“Come
fai a conoscere così bene le sue
intenzioni?”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Scusate l’assenza
di questi giorni e scusate il capitolo particolarmente lungo (supera di
poco le
4000 parole), ma le cose da dire erano tante e i passaggi introspettivi
complessi. Spero anche di non aver lasciato troppi refusi, dato che la
prima parte
l’ho riletta tipo duecentocinquanta volte e
l’ultima tipo due. Eh, lo so :(.
Non è
semplice entrare nella mente di una ragazza dell’Ottocento e
io sono una grande
amante dei grandi romanzi del periodo, soprattutto inglesi, russi e
francesi. Per
una ragazza aristocratica come Sigyn decidere di donarsi a Loki
è qualcosa che
va contro ogni morale o regola, un atto da
“cameriera”: questo discorso
classista va chiaramente inserito nella mentalità elitaria
dell’epoca. Il fatto
che lei osi andare contro le regole non significa che non le condivida.
Semplicemente,
le infrange, coerentemente con l’epoca.
Come i più
attenti avranno notato, ho inserito l’avvertimento “Fable!AU”
ma non ho
specificato quale fiaba sia stata rappresentata, perché sono
almeno due e se vi
avessi svelato quali sono avreste capito troppe cose della trama.
Spero
che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando
leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Anche se non
rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e
mi
commuovo ogni volta♥.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo – e io lo so
perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non
sapete quanto mi
faccia piacere. Ricordo
che il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
[1]
Vostra Grazia è il titolo riservato anche ai duchi. Odino
era duca di Asgardshire
e Thor, in quanto primo figlio, ha ereditato il titolo. Seguendo
l’uso inglese,
Loki è invece Lord Odinson in quanto figlio e fratello del
duca, ma è un titolo
di cortesia.
[2]
Come accennato nel precedente capitolo.
[3]
Considerando la condizione attuale della donna e quella del 1857 e il
tabù che
tutt’ora rappresentano le nostre pulsioni o il ciclo
mestruale che viene
indicato con infinite perifrasi, il pensiero di Sigyn è
particolarmente
moderno. Lei vorrebbe che Loki andasse oltre (e già quello
che fanno è
terribilmente sconveniente) ma l’educazione che ha le
impedisce di chiedere.
[4]
Cioè dandosi del tu e abbandonando ogni formalità.
[5]
La carolina è un tipo di scrittura medioevale usata in molti
codici manoscritti.
[6]
I sintomi dell’avvelenamento da arsenico sono bruttissimi e
totalmente
differenti da quelli descritti qui e nel precedente capitolo. Mi prendo
la
licenza poetica di variarli perché Loki li ha mischiati con
altre cose ed è un
alchimista.