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Autore: shilyss    02/06/2020    33 recensioni
Fable! AU Barbablù
Dal cap. 5: La notte, quando lui e Thor erano bambini, lei si sedeva tra i loro letti raccontando le storie degli dèi del Nord, condannati da una profezia oscura a morire dopo un inverno fatto di sette lunghi inverni che si erano avvicendati l’uno all’altro, facendo sprofondare il mondo nel caos e nel terrore.
Londra, 1857.
L'oscurità ha una sfumatura color smeraldo. L'inganno ha il sapore di una pozione. La morte è un urlo raccolto dal buio. Loki sa che il suo piano è perfetto, come l'abito che Sigyn non dovrebbe sfoggiare.
Lo pagherò anche io, il prezzo. Avrebbe desiderato dirglielo svelando quanto costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica certezza stesse nella formula che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante. Tutto il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo lunghi che aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello ereditava la tenuta e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che fosse.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3

La danza macabra

 

 

 

Sono io la morte e porto corona
Io son di tutti voi signora e padrona 
E davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare 
E dell'oscura morte al passo andare […]

Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo
Posa la falce e danza tondo a tondo 
Il giro di una danza e poi un altro ancora 
E tu del tempo non sei più signora

(Ballo in fa diesis, Angelo Branduardi)

 

 

 

Theoric non trovava sua sorella da nessuna parte. La musica nel salotto si era fatta più allegra e nervosa, disturbante. Cercò tra gli ospiti il vestito color smeraldo o la figura slanciata di Loki Odinson e, nel farlo, passò accanto al ritratto della sua defunta madre, che aveva donato il suo sorriso largo e solare a Sigyn. Se la ricordava appena e non sapeva dire se sua sorella le assomigliasse anche nel carattere; forse nelle intemperanze, nella curiosità spesso sfacciata, nell’animo appassionato. E adesso lei sembrava sparita, scomparsa, inghiottita dalla notte umida e fredda, che odorava ancora di pioggia. Vide il duca di Asgardshire che discorreva con un paio di banchieri e fumava un grosso sigaro e gli si avvicinò.

“Dove sono?” domandò, livido in volto. Gli uomini di quella famiglia, pensò, assomigliavano tutti agli antichi cavalieri normanni sbarcati sulle coste inglesi insieme a Guglielmo il Conquistatore. Avevano uno sguardo duro e magnetico e il portamento di un guerriero.

Thor lo soppesò con lo sguardo e tirò una lenta boccata. “Mio fratello è andato via; a vostra sorella dovreste pensare voi.”

“È ancora una ragazzina.”  

“Ma è graziosa e Loki possiede rendite e terre in abbondanza. Capisco bene perché non vi piace e, se fossi al vostro posto lo avrei già preso a pugni,” rise il duca, “ma l’interesse della mia famiglia dovrebbe lusingarvi,” terminò, senza celare affatto una nota di severo rimprovero.

“Ed è interesse, Vostra Grazia[1]? Lord Odinson non si è mai sbilanciato,” sibilò Theoric. “E vostro padre voleva diseredarlo.”

Thor si stufò del sigaro. “È una diceria priva di fondamento e non voglio che la ripetiate mai più,” l’avvertì, ma in cuor suo sapeva di non potersi offendere eccessivamente col figlio di Lord Vanir: Loki aveva fatto di tutto per sporcare la propria reputazione, per esibire ciò che suo padre nascondeva: ricordò con feroce nostalgia il tempo in cui andavano ancora a caccia insieme e lui era solo uno studente ironico e brillante, prima che la febbre della conoscenza gli appannasse lo sguardo.

 

Theoric uscì in giardino, sempre più teso: temeva e sperava di vedere il sorriso sardonico e beffardo di Loki Odinson e ripensava alle parole del duca su suo fratello. Non sarebbe bastata tutta l’Inghilterra a rendere quella specie di alchimista un partito accettabile. C’era qualcosa, in lui, di corrotto, sbagliato, oscuro, capace di contrapporsi totalmente alla sua incantevole e radiosa sorella. Aveva intercettato i loro sguardi, negli ultimi mesi; un paio di occhiate sfacciate, un mezzo sorriso di troppo: si desideravano, null’altro che questo.

Nell’oscurità, un’ombra si staccò dal gazebo: Sigyn. La fievole luce che proveniva dal salotto la illuminava appena, rendendola una figura sottile ed evanescente e lui la raggiunse con un paio di falcate: quando le fu vicino, si accorse che era pallida e si guardava attorno, inquieta. L’acconciatura aveva un che di disordinato e in lei stessa c’era qualcosa di dissonante.

“Che ti è successo?” chiese con un brivido. La abbracciò e lei non fece obiezioni, anzi, gli posò la fronte sulla spalla. Era esile e leggera – ultimamente, a pranzo e a cena, spiluccava appena, tormentata dal sentimento impossibile che nutriva per il fratello del duca. Lo amava? Soffriva per la sua assenza? Theoric conosceva la risposta, ma non voleva dirlo ad alta voce né accettare che la sorella potesse scegliere, tra tutti, Loki l’alchimista, lo scienziato, l’esploratore che non aveva riguardo né di Dio né degli uomini.

“Ho un terribile mal di testa, perdonami,” boccheggiò lei. Si sentiva debole e confusa e viva. Sulle labbra aveva il sapore di un bacio e di una pozione in grado di bruciarle la gola. Aveva sete e le tremavano le gambe. “Vorrei andare a riposare nelle mie stanze. Saluta gli ospiti da parte mia.”

 Theoric si accorse che le sue braccia nude erano gelate. Fu sul punto di domandarle dove fosse lui o perché si ostinasse a ignorare qualsiasi regola per quell’uomo, ma preferì essere indulgente e non le fece alcuna domanda. Se ne sarebbe pentito, più avanti.

 

Il cielo si era fatto cupo, carico delle nubi che, presto, avrebbero rovesciato una pioggia lugubre e insistente su tutta Londra. Sigyn era nella sua stanza e indossava ancora l’incantevole abito che le aveva tolto il respiro, ma ne ignorava la pericolosità, come sapeva vagamente di aver bevuto l’antidoto che l’aveva strappata alla morte e di essere viva per un caso, nulla più. Quando aveva detto alla sua cameriera che si sarebbe spogliata da sola, quella le aveva risposto con un sonoro sbuffo, ma non aveva insistito solo perché la casa era piena di ospiti. Era l’occasione perfetta – stava compiendo una follia, tanto grande e spaventosa che occorreva abbracciarla senza esitazione o rimanerne schiacciate. La casa dormiva, la borsa con i suoi pochi effetti personali era già pronta. Aveva scelto di utilizzare parte del bagaglio preparato con anticipo in vista del periodo che avrebbe dovuto trascorrere da sua cugina[2], ma le girava la testa e sentiva le palpebre pesanti. Quel viaggio programmato da tanto tempo a casa dei suoi zii non si sarebbe verificato mai, perché Sigyn stava per infilarsi un mantello e fuggire. Avvertì l’impulso di lasciarsi cadere tra le candide e rassicuranti coltri del suo letto, ma lui l’attendeva già e lei aveva promesso: gliel’aveva sussurrato mentre la teneva tra le braccia.

Non era quello che volevo? Che mi chiedesse di andare via con lui?

Forse non avrebbe dovuto fidarsi di Loki, ma era troppo tardi. Si appoggiò a una delle colonne del baldacchino sfiorandosi il corsetto aderente. L’orologio batté le due del mattino e la ragazza si avviò verso la porta cercando di non fare il benché minimo rumore. Con una mano reggeva la borsa, con l’altra gli stivaletti che avrebbe indossato solamente nel patio. Cos’avrebbe fatto l’antica sacerdotessa danese che aveva sedotto un conte, di cui lei indossava una parte del corredo funebre? Sarebbe scappata con l’uomo che amava, assumendosene il rischio, lei che, fiera e pagana, si era unita a un cristiano, corrompendolo.

 

La casa dove aveva trascorso una vita intera era un labirinto buio fatto di ombre note e scricchiolii di cui conosceva l’origine e la provenienza. Attraversò il corridoio facendo attenzione a poggiare i piedi scalzi sui tappeti orientali, scese le scale trattenendo il respiro. Il bagaglio era leggero, eppure le sue mani faticavano a sorreggerlo. Si aspettava di vedere comparire da un momento all’altro una delle cameriere con la cuffia da notte in testa, Theoric o, addirittura, suo padre, ma la casa era come sotto l’effetto di un incantesimo: addormentata, immobile, stregata, buia. S’inoltrò nelle stanze che conosceva tanto bene da non avere bisogno della luce per muoversi, individuando, nell’oscurità, il profilo di un mobile o di un arredo. Le sembrava di camminare in un sogno. Quando, finalmente, raggiunse il soggiorno, vide che le pesanti tende non erano completamente accostate e lasciavano filtrare una flebile luce che proveniva dall’esterno. Si fermò a osservare la lama illuminata e si accorse che la stanza aveva assunto dei contorni sinistri e sconosciuti. Sbatté le palpebre e si accorse troppo tardi del respiro accanto a lei. Una mano l’agguantò per la vita, un’altra le tappò la bocca. La voce di Loki, suadente, roca e pericolosa, le accarezzò la pelle facendole tendere la schiena. Poteva sentire il profumo dei suoi abiti e sapeva, sentiva, che anche lui doveva trattenersi dallo sfiorarle con le labbra il collo, le guance, la bocca.

“Dobbiamo sbrigarci,” le disse prendendole la borsa. Sigyn annuì, riconoscendo con una stretta al cuore che Lord Odinson era riuscito a violare la sua abitazione scassinando la finestra e, ora, si muoveva nell’oscurità con l’agilità e la sicurezza di chi è abituato ad agire di nascosto. Era un brigante col sangue blu nelle vene, il figlio reietto di un duca morto chiedendo perdono per i peccati di entrambi. E lei, Sigyn, che sapeva tutto questo e molto altro ancora, stava commettendo una follia. Nel gazebo, Loki le aveva raccontato che la sua vita era in pericolo: se voleva vivere, doveva seguirlo quella stessa notte, perché non avrebbero avuto mai più un’altra occasione. Per convincerla, si era visto costretto a rivelarle un particolare spaventoso, che nessuno, a eccezione della sua famiglia, avrebbe dovuto conoscere, ma era chiaro che le stesse nascondendo dell’altro. Sigyn poteva sentire il filo scarlatto che univa le loro vite trascinandoli in qualcosa di più grande e ineluttabile. Era attratta dal caos che lui emanava, come le farfalle che, danzando, si avvicinano sempre più alle fiamme. Perché non le aveva fatto alcuna proposta di matrimonio? Cosa voleva da lei? Nel giardino l’aveva stretta a sé e baciata con rancore e desiderio, assaggiandole le labbra per imprimere meglio nella sua testa il loro sapore, la consistenza, come se stesse perdendola per sempre e non sapesse rinunciare a lei. La voleva e sapeva di avere il mondo contro – ne erano consapevoli entrambi. Il suo corteggiamento era stato insistente, sfacciato, a volte persino velato dall’ambiguità, ma lui era stato il solo per cui aveva provato un fremito basso. Le mancava il respiro ogni volta che Loki la fissava troppo intensamente, la sfiorava o erano tanto vicini da potersi toccare, ma non lo facevano. Con che parole poteva esprimere sensazioni tanto violente e improvvise?

Quante volte gli aveva permesso di arrivare con i suoi baci fino allo scollo del vestito, alla morbida consistenza dei seni, pregando, mordendosi le labbra, che osasse domandarle ciò che lei non poteva chiedere[3]? Come poteva fidarsi tanto da salire in carrozza con lui, nel cuore della notte? Si conoscevano, stuzzicavano e parlavano da mesi e, sebbene non avessero mai affrontato apertamente il discorso, conoscevano il destino che li attendeva a meno che.

 

Ma la loro non era una fuga d’amore. Qualcosa di terribile stava avvenendo e Loki non le aveva rivelato che un frammento troppo piccolo di verità, una che Sigyn voleva conoscere e, per farlo, doveva seguirlo, perché dopo aver bevuto a forza la fiala che le aveva avvicinato alla bocca, ogni malessere si era calmato. Dicevano che fosse un alchimista, un medico, uno scienziato, un esploratore, un farabutto: era ogni cosa e nessuna – era tutto questo e molto di più, ma se Lord Odinson era un uomo dall’anima nera, lei non poteva dire di essere totalmente candida. I sogni che spesso la svegliavano erano fatti di nebbie voluttuose e immagini innominabili. Scenari onirici di cui non riusciva a pentirsi, ma che, al contrario, desiderava solo approfondire e rendere reali, abitati dal fantasma beffardo e virile di lui, che ora la sorreggeva mentre lei s’infilava gli stivaletti, per poi guidarla nella notte resa meno oscura dal fascio di luce di una lanterna cieca. C’era un servitore di casa Odinson dall’aria truce, ad attenderli.

Sigyn non era più in tempo per tornare indietro e scelse di fidarsi, di seguirlo nel giardino dall’erba fradicia, nella carrozza che li attendeva poco distante – abbastanza perché il rumore delle ruote sull’acciottolato non svegliassero suo padre. Era stata sul punto di morire, quella sera, eppure le labbra di Loki, che sapevano di un liquore dolce e sconosciuto, le avevano ridato il respiro e la vita. La stessa che, altrimenti, sarebbe rimasta incastrata dentro un sorriso finto, come quelli dipinti sulle porcellane, o rinchiusa in una sonata eseguita con disperazione, ma costretta a disperdersi nel vento. Poteva vivere solo accanto a lui, a quel gentiluomo protervo che non s’interessava delle sue ricchezze e si era seduto davanti a lei nella carrozza, imponendosi una calma che la mascella serrata e lo sguardo mobile e ardente tradivano. Poteva vivere solo scegliendo – e ne avrebbe pagato il prezzo.

 

L’acconciatura si era quasi disfatta e l’umidità notturna le aveva gonfiato i capelli, rendendoli ancora più ribelli e vaporosi. Loki pensò che fosse bella – il tesoro più prezioso che avesse mai rubato – e Sigyn approfittò dell’occhiata sfacciata e diretta dell’uomo per catturare la sua attenzione.

“Che tipo di fuga è la nostra, Lord Odinson?” Il seno avvolto nel raso verde si alzava e abbassava ansioso.

Lui si concesse d’ammirarla. “Una che condanna entrambi. Ma necessaria.”

Sigyn tremò di fronte a quell’ammissione fatta con un sorriso storto e uno sguardo feroce, lupesco. “Cosa avreste fatto, se non fossi scesa?”

“Sarei salito nella vostra camera e vi avrei portata via.”

“E se avessi gridato?” lo sfidò. Si sentiva ancora debole, ma l’emozione per la fuga le conferiva l’energia necessaria per rispondere a ogni battuta con la forza di sempre – quella stessa che lo divertiva e affascinava, ne era sicura.

Loki scosse il capo, lasciandosi sfuggire una mezza risata. “Non l’avresti fatto, Sigyn.”

“Dove mi stai portando?”

“In un rifugio sicuro. Una delle mie case.” Lo sguardo tagliente di Odinson si puntò oltre i vetri della carrozza. “Non abbastanza degna di una lady, ma dove nessuno ci verrà a cercare,” considerò.

Per qualche minuto rimasero in silenzio. Avevano gettato via ogni convenevole parlandosi direttamente[4], ma Sigyn aveva ancora troppe domande incastrate in gola e Loki era laconico. Si accarezzò la gemma d’agata che le ornava il collo e non aveva più tolto.

“Come sapevi di mia madre? Cosa c’entra lei, con noi? Non lo abbiamo mai detto a nessuno, a parte il prete,” mormorò a voce tanto bassa che credette di non essere stata udita.

Loki tornò a fissarla col suo sguardo attento, rapace, valutando il pallore delle sue guance, gli occhi mobili e grigi, grandi e rotondi. “Chi vuole farti del male,” iniziò con lentezza, scegliendo con cura le parole, “è colui che ha aperto la sua tomba.”

Sigyn impallidì, raggelata dalla rivelazione. Dalla cassa non era stato portato via niente a eccezione di un libro di preghiere e di un medaglione che conteneva, al suo interno, una treccia d’oro – la sua. Erano state dette tante cose su quella profanazione dolorosa.

Tu come lo sai?” soffiò.

“Io so molte cose, Sigyn, e conosco troppe persone e non tutte sono raccomandabili,” le spiegò lui con voce calma, lenta, senza trattenersi dal piegare le labbra sottili in un ghigno di cui la ragazza non riuscì a cogliere il sarcasmo. Lo avrebbe fatto, poi.

 

 

Sigyn stringeva tra le dita una tazza di latte caldo che non osava bere. Dentro, Loki aveva versato qualche goccia della stessa pozione già ingerita nel gazebo. L’aveva salvata. Da un passato che le chiedeva il conto di una somiglianza troppo spiccata, da una vita in cui si sentiva in trappola – già morta, costretta a cantare graziosamente come un usignolo rinchiuso in una gabbia. Invece ora era viva e libera e l’altro non sapeva dove fosse e non avrebbe dovuto scoprirlo, mai. Importava solo questo. Il suo nome era un dettaglio irrilevante, il perché un’ossessione di cui lei stessa non desiderava parlare: una parte del passato della sua famiglia era fatto di bisbigli e di segreti da cui era sempre stata tenuta lontana. Ricordava brandelli di discussioni catturati quand’era bambina, nient’altro. Parole di cui non era riuscita a cogliere il senso, che le restituivano un’immagine di sua madre diversa dalla donna che le intrecciava i capelli d’oro intonando vecchie filastrocche. Una che si era macchiata della colpa di ridere di un uomo. E Lord Odinson, dal canto suo, si era rifiutato di dirle quale fosse il piano che aveva così abilmente sventato, come avesse fatto a conoscerne tanto a fondo i dettagli. Così finsero che quella notte lei non fosse quasi morta, ma in fondo anche questo era un inganno in cui si stavano smarrendo. Lo avrebbero capito, poi.

 

Loki l’aveva salvata e il perché gli si leggeva negli occhi lupeschi e attenti, carichi di rancore e desiderio. E, di fronte alla proposta folle di fuggire insieme, Sigyn non si era tirata indietro. Le era mancato il respiro, aveva sentito la vita scivolarle via e lui era riuscito a ridarle aria, spalancando la gabbia in cui era intrappolata, facendole tremare le vene dei polsi. Tutto il resto – l’orrore – doveva sparire, o l’avrebbe inghiottita. Ci sarebbe stato il tempo per le domande, ma non quella notte, non dopo che la vista le si era appannata e solo la pozione dolciastra inghiottita quasi a forza l’aveva riportata indietro. Loki era riuscito a salvarla e Sigyn voleva ripagarlo e sentirsi viva.

 

Erano in una stanza da letto sobria ed elegante, in una casa posta in un quartiere raffinato pieno di famiglie benestanti e perbene. Facevano eccezione loro due, in silenzio, colpevoli di aver violato ogni norma sociale in nome di un desiderio che scorreva nelle vene di entrambi e non aveva ancora trovato un nome. Che infiammava lui e bloccava lei. Da fuori, l’abitazione si presentava come l’austera dimora di un avvocato spesso assente per lavoro, ma all’interno le camere erano arredate col gusto sofisticato di chi ha viaggiato per il mondo, esplorandone gli ultimi misteri e cercando reperti e tesori: scaffali, mobili e librerie contenevano antichità e cimeli mai visti ed erano stati sistemati secondo un gusto particolare. Tra le meraviglie esposte, c’era un manoscritto conservato sotto una teca in vetro, scritto in un’elegante carolina[5] e miniato con cura.

“Dove lo hai trovato?” boccheggiò Sigyn. Aveva riconosciuto la grafia, ma non riusciva a leggerla correntemente; tuttavia, individuò l’argomento osservando le immagini che decoravano la pagina: raccontavano la storia del conte che s’invaghì della strega pagana.

“Lo raccolse mio nonno. C’è chi dice che sia una leggenda di famiglia,” spiegò l’alchimista piegando le labbra nell’ennesimo sorriso storto.

A quelle parole, il cuore della ragazza batté più forte nel petto. Sentiva che le vicissitudini dei due amanti lontani nel tempo e nella storia erano legate a lei, a loro. Il mito le parlava, calmando l’incubo che era giunto a ghermirla da vicino e che sapeva di morte, annullando il presente. Era fuggita come l’ultima delle cameriere, seguendo l’uomo che amava, obbedendo al cuore e alla testa che, insieme, gridavano e sanguinavano di nostalgia per un sorriso sbieco che non riusciva a dimenticare, per due occhi verdi che non poteva smettere di sognare. Se non era destino che fosse sua moglie, capì tremando, sarebbe stata la sua amante, quella notte o un’altra. Era un fato cui nessuno poteva opporsi, né suo padre, né Theoric, né il duca Thor né lei e Loki.

“È per questo che hai cercato la sua tomba?” gli domandò sfiorando il vetro. Loki sembrava non volerle rendere le cose facili. L’osservava tenendo le mani allacciate dietro la schiena, facendo attenzione a ogni suo movimento, sussulto, sguardo.

“Era una leggenda interessante, sì. Dovresti berla,” l’invitò, riferendosi alla tazza. “E indossare qualcosa di meno bello, ma più comodo,” concluse con voce roca, strappandola alle sue considerazioni per riportarla lì, in una delle sue stanze, nel cuore della notte.

Sigyn strinse le labbra. C’erano ancora troppe domande sospese, tra loro. E non di tutte era certa di voler conoscere le risposte.

“Fuggire era l’unico modo? Io non capisco mai i tuoi intenti, Loki. Mi corteggi, ma non ti esponi. Dici di avermi salvato la vita, ma lasci intendere di essere immerso nell’oscurità.”

L’alchimista parve compiacersi di quella confessione così sincera. Attendeva che Sigyn gli ponesse il quesito giusto. “Ed è così. Non mi avrebbero mai lasciato avvicinare a te. E lui voleva portarti via. Ho agito in fretta.”

L’accenno, pur lieve, fece rabbrividire Sigyn, spingendola a scacciare via l’orrore da cui era fuggita e a concentrarsi sul viso affilato di Loki, sul suo ghigno sempre ironico che aveva lasciato il posto a una smorfia tirata. Nascondeva un’infinità di segreti: glielo leggeva nelle ombre inquiete che danzavano nei suoi occhi quasi trasparenti.

“In nome di cosa?” l’incalzò rapida, facendosi avanti finché lui non resistette all’impulso di carezzarle la guancia serica, il collo elegante, il nastro di velluto nero che reggeva l’agata verde, per poi risalire con lentezza fino alle labbra piene, di cui ricordava il sapore.

 

Loki deglutì, al pensiero di quanto fosse assurdo e folle il suo piano e dei rischi che comportava, ma Sigyn si era avvicinata troppo per lasciarla andare. La strinse a sé lasciando scorrere le dita sulla schiena che tremava al suo tocco, sulla vita stretta dal corsetto. In nome di cosa? Del rancore e del desiderio, avrebbe dovuto risponderle. Laufey sognava d’averla e Loki si era svegliato scoprendo di nutrire la stessa disperata brama, di essere stretto dai lacci del medesimo incanto. E ora Sigyn era sua, tra le sue braccia, con ancora l’abito avvelenato addosso, che solo il suo antidoto aveva reso non mortale. Era splendida e fremeva sotto le sue dita, vittima stupenda dei suoi baci sfacciati, scorretti, dati ovunque tranne che sulle labbra bramate – doveva perdersi, graffiargli con più forza le braccia, sciogliersi e supplicarlo.

“In nome di cosa, rispondi: io rinuncio al mio nome, stanotte,” gli sussurrò, infilando le dita tra i suoi capelli scuri. Sigyn aveva le labbra piene e uno sguardo febbricitante, dolce, liquido e deciso. Voleva dimenticare e vivere, annullarsi con lui, smarrirsi per poi ritrovarsi. Cosa sarebbe stato di loro, l’indomani? Sarebbe tornato da Lord Vanir, avvertendolo che l’onore di sua figlia era compromesso e non rimaneva nessun’altra via che sposarla? L’avrebbe portata in Francia o in Germania, dove pochissimi avrebbero fatto domande? E Laufey, come impedire che Laufey si vendicasse di entrambi? Poche ore prima, Thor lo aveva implorato e minacciato di comportarsi come un gentiluomo, ma Loki non era capace di rimanere dentro i limiti imposti dalla società rarefatta dei suoi pari. I confini entro cui si muoveva erano labili e incerti, a metà strada tra il regno dei vivi e quello dei morti. Si muoveva tra il bene e il male, tra scienza e magia, tra esperimento e maleficio. E Sigyn, desiderata con ferocia per mesi, era finalmente tra le sue braccia, inquieta e bellissima e viva, avvolta in un vestito che avrebbe dovuto essere il suo sudario e invece ne esaltava il corpo snello, fremente, ancora vivo per merito suo, che ora le baciava la pelle candida del collo inebriandosi del suo profumo di donna, del desiderio che avvertiva nelle dita sottili, impazienti e nervose di lei, sfacciata, perduta, sua.

“La soddisfazione non è nella mia natura. Non voglio cederti,” rivelò con voce roca. Laufey l’avrebbe sepolto vivo: così faceva con i suoi nemici.

“Cedermi?” Sigyn si mise in punta di piedi per sfiorargli le labbra, tentandolo con un bacio mancato che non ci sarebbe stato, sfiorandogli il naso con la punta del suo. Era sfrontata e priva di malizia a un tempo.  Una fitta di desiderio lo colse, spingendolo a prenderla tra le braccia, ad adagiarla senza grazia sul bel letto.

Sigyn lo fissò da sotto le ciglia scure artigliando le coperte con le dita, spaventata e decisa. “Sono io che scelgo: quando sono uscita dalla mia stanza, ho scelto,” mormorò.

Il corsetto s’alzava e abbassava a un ritmo irregolare e Loki si stese su di lei, cercando con le dita abili e veloci i nastri dell’incantevole abito color smeraldo, raccogliendo i suoi sospiri, cercandole, finalmente, le labbra dolci, prima lambite appena, poi ghermite in un bacio fatto di molti altri baci, feroce e intenso e impaziente, come non lo erano le mani lente, sicure, che la spogliavano senza fretta, uno strato dopo l’altro. E lei disse che si sarebbe mostrata a patto che anche lui si svestisse, per valutare con curiosità il torace asciutto e scolpito, i muscoli nervosi e tonici, il fisico agile e virile di un uomo giovane e forte abituato a cavalcare, a navigare a esplorare terre insidiose e lontane.

 

Il verde è un colore insidioso e stupendo: per ottenere una tinta vibrante e piena occorreva usare, tra gli altri ingredienti, l’arsenico, un veleno[6]. Non si contavano le dame e i gentiluomini che avevano fatto tappezzare le pareti e rifatto il guardaroba con il color smeraldo abbracciando la morte come lui stringeva Sigyn. Nella sostanza usata per tingere il raso dell’incantevole abito della ragazza, Loki aveva usato quello e molti altri ingredienti segreti: Laufey voleva preservare la bellezza della propria preda – lui, all’inizio, era curioso solo di vedere gli effetti della sua pozione maledetta. Ora, invece, scopriva la pelle morbida e soda di lei, nascosta dall’abito: carezzava la linea sinuosa delle gambe sottili, dei fianchi rotondi, della vita stretta e dei seni sodi, dalle punte dure prima ancora di sfiorarle con le labbra, di carezzarle con la lingua fino a farla implorare. L’aveva immaginata e sognata e voluta, ma l’aspettativa non si avvicinava alla realtà e il bisogno di averla era una febbre capace di fargli dimenticare la prudenza e i suoi piani capaci di variare di minuto in minuto, certo, ma sempre presenti. Sigyn. Invocò il suo nome, quando la liberò dall’ultimo strato di stoffa. Fuori pioveva e l’alba non era lontana, ma il bisogno di cercarsi a vicenda la pelle, di rendere reali quelle che erano state fantasie brucianti li avvolse, li strinse come si serrarono le loro mani, si avvinghiarono i loro corpi, corrosi dal desiderio, tesi verso un’unione necessaria, anelata, che avvenne. Fu dolce e brusca. Rotta da sospiri, carezze e labbra che si lambirono, sfiorarono, gustarono, ora lente ora impazienti, come le attenzioni nervose e urgenti che si scambiarono. Sigyn l’accolse e scoprì che tra le coperte del letto iniziava e finiva il mondo. Si sentì libera e viva, perduta e ritrovata e accarezzò la schiena larga e scolpita di Loki, dopo, stupendosi del respiro rapido dell’altro, del battito accelerato del cuore che sentiva all’altezza del seno e si mescolava al suo. Lo amava. Lo pensò mentre, ancora ansante, gli chiese cosa sarebbe accaduto, ora.

Loki si sollevò sui gomiti strappandole un bacio lento e irriverente e scostandole una ciocca bionda dal viso.

“Ho anticipato le sue mosse. Il suo piano era venirti a prendere prima dell’alba. Ci cercherà, ma non ci troverà,” spiegò con un ghigno perfido. L’ammirò ancora, compiacendosi che fosse nuda sotto di lui, e, crudele, le tormentò un seno con spietata lentezza. Sigyn s’inarcò e boccheggiò di fronte a quell’attenzione imprevista. Loki la scioglieva, l’incantava, la faceva vibrare e tendere con una facilità disarmante e spaventosa, cui lei non aveva mai voluto resistere. E ora, che aveva scoperto il doloroso piacere di averlo, non voleva rinunciarci mai più.

“Come fai a conoscere così bene le sue intenzioni?”

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Scusate l’assenza di questi giorni e scusate il capitolo particolarmente lungo (supera di poco le 4000 parole), ma le cose da dire erano tante e i passaggi introspettivi complessi. Spero anche di non aver lasciato troppi refusi, dato che la prima parte l’ho riletta tipo duecentocinquanta volte e l’ultima tipo due. Eh, lo so :(.

Non è semplice entrare nella mente di una ragazza dell’Ottocento e io sono una grande amante dei grandi romanzi del periodo, soprattutto inglesi, russi e francesi. Per una ragazza aristocratica come Sigyn decidere di donarsi a Loki è qualcosa che va contro ogni morale o regola, un atto da “cameriera”: questo discorso classista va chiaramente inserito nella mentalità elitaria dell’epoca. Il fatto che lei osi andare contro le regole non significa che non le condivida. Semplicemente, le infrange, coerentemente con l’epoca.

Come i più attenti avranno notato, ho inserito l’avvertimento “Fable!AU” ma non ho specificato quale fiaba sia stata rappresentata, perché sono almeno due e se vi avessi svelato quali sono avreste capito troppe cose della trama.

Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando. Anche se non rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e mi commuovo ogni volta♥.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo – e io lo so perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non sapete quanto mi faccia piacere. Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

 

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)



[1] Vostra Grazia è il titolo riservato anche ai duchi. Odino era duca di Asgardshire e Thor, in quanto primo figlio, ha ereditato il titolo. Seguendo l’uso inglese, Loki è invece Lord Odinson in quanto figlio e fratello del duca, ma è un titolo di cortesia.

[2] Come accennato nel precedente capitolo.

[3] Considerando la condizione attuale della donna e quella del 1857 e il tabù che tutt’ora rappresentano le nostre pulsioni o il ciclo mestruale che viene indicato con infinite perifrasi, il pensiero di Sigyn è particolarmente moderno. Lei vorrebbe che Loki andasse oltre (e già quello che fanno è terribilmente sconveniente) ma l’educazione che ha le impedisce di chiedere.

[4] Cioè dandosi del tu e abbandonando ogni formalità.

[5] La carolina è un tipo di scrittura medioevale usata in molti codici manoscritti.

[6] I sintomi dell’avvelenamento da arsenico sono bruttissimi e totalmente differenti da quelli descritti qui e nel precedente capitolo. Mi prendo la licenza poetica di variarli perché Loki li ha mischiati con altre cose ed è un alchimista.

   
 
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