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Autore: Minako_    08/06/2020    8 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
sguardi.
 

Sonoko alzò un sopracciglio.
Guardò incuriosita uno Shinichi stranamente disordinato, mentre arrivava correndo in classe e con ben poca eleganza buttava alla rinfusa la sua cartella e il borsone sportivo sul suo banco. Col respiro accelerato si rese presto conto di come fosse conciato, così, cercando di fare in fretta per non farsi accorgere da nessuno, si assestò un po’ meglio la camicia nei pantaloni e si strinse un po’ di più la cravatta intorno al collo. Era così preso dal sistemarsi che non si accorse di Sonoko alle sue spalle, che guardava la scena con un sorriso sornione sul viso.
Avvicinandosi lentamente alle sue spalle, lo vide ancora mentre si abbottonava la giacca, e distrattamente si pettinava i capelli passandosi le dita fra di essi.
« Bene, bene », quando iniziò a parlare, lo vide sobbalzare sorpreso. Si girò velocemente verso di lei, guardandola un po’ tramortito.
« Qualcuno stamattina non ha avuto tempo per prepararsi », insinuò maliziosamente, fissando la sua camicia stropicciata e il suo viso trafelato.
« Mi sono dimenticato di mettere la sveglia, ieri », borbottò non guardandola negli occhi, per poi chiudersi l’ultimo bottone della camicia ancora aperto.
« Buona scusa », replicò Sonoko, e Shinichi avrebbe voluto volentieri spingerla fuori dalla classe, solo per non guardare ulteriormente quell’espressione maliziosa stampata sul suo viso.
Digrignando i denti non provò nemmeno a spiegarle che era la verità, e che davvero la sera prima non aveva messo la sveglia per quella stessa mattina. Ma pensando a ciò gli venne in mente ben altro, perciò cercò di sorvolare.
« E che scusa pronta hai per spiegarmi perché non sei arrivato con tua moglie? ».
In realtà, non aveva nessuna maledetta scusa per quella domanda. Aveva la verità, ma non era davvero il caso di raccontargliela.
« Che ne so », sbottò dandole le spalle e buttandosi a sedere finalmente sulla sua sedia. « Stamattina le ho detto che ero in ritardo, pensavo fosse già qui ».
Sonoko sorrise ancora gongolante, notando fin da subito il colorito roseo sulle sue guance.
Interessante particolare.
Sommato al fatto che avesse mandato almeno due messaggi alla sua amica quel fine settimana, al quale non aveva ricevuto alcuna risposta, la situazione stava diventando molto, molto interessante.
« Cosa avete fatto di bello poi venerdì sera? », indugiò accanto a lui, dondolandosi sui piedi. Shinichi continuò a non guardarla in faccia, iniziando a recuperare i libri dalla sua cartella.
« Mi hanno chiamato per un caso », disse solamente, ringraziando che fondamentalmente fosse pure vero.
« Stai scherzando, vero? », Sonoko alzò di un tono la voce, e i loro compagni li guardarono un po’ titubanti.
« Non dirmi che sei andato ad indagare tu sul caso di quell’imprenditore! Era su tutti i telegiornali », si portò una mano al viso, sconsolata.
Non poteva davvero essere vero, no.
Ma che problemi aveva, quel ragazzo?!
« Esatto », sospirò Shinichi.
« E poi? », lo interruppe improvvisamente nervosa.
« E poi cosa?! », sbuffò Shinichi, ormai la pazienza che cominciava a vacillare.
« Cosa avete fatto sabato? », Sonoko lo fissò impaziente, battendo ora un piede a terra.
« Siamo andati a prendere il gatto di sua madre, non stava bene. Così lo abbiamo portato dal veterinario ».
Anche questo, tutto sommato, era vero.
Sonoko aprì la bocca completamente sconvolta, e sebbene il viso del suo amico risultasse sempre un po’ rosa in realtà pareva dire davvero la verità. Ma che diamine?!
« … e ieri? », chiese esasperata, gesticolando animatamente.
« Ieri abbiamo giocato a calcio con i bambini », spiegò, e nuovamente la sua voce era così sicura che Sonoko capì che stessa dicendo la verità. Rimasero a fissarsi in cagnesco per un po’, finchè lei non sospiro amareggiata.
« Sei davvero un emerito cretino! », sibilò lei, lo sguardo che fiammeggiava contro il suo. Shinichi arretrò sulla sedia, sentendosi improvvisamente in pericolo.
« Vuoi abbassare la voce?! », borbottò, mentre intorno a loro tutti iniziavano a mormorare guardandoli.
« Hai avuto un intero fine settimana con lei, senza Kogoro nelle scatole, e vuoi farmi credere che ancora una volta non hai concluso niente?! », in realtà, non abbassò così tanto la voce come Shinichi avrebbe voluto.
« Ti avevo preparato un’occasione d’oro venerdì, e invece sempre quei maledetti casi! », concluse battendo un pugno sul tavolo.
Era così fuori di sé che non si rese nemmeno conto dell’entrata in classe di Ran, che come gli altri fu subito incuriosita dal loro battibecco. Con il fiatone si avvicinò lentamente, spazzolandosi un po’ la gonna della divisa e stirandosi con la mano la camicia.
« Nessuno ti ha mai chiesto niente! », sentì sbottare Shinichi con impeto, e dalla foga del momento si era alzato in piedi battendo le mani sul banco. Vedendoli lanciarsi occhiate di fuoco, si sentì immediatamente in dovere di intervenire prima che uno dei due iniziasse davvero ad esagerare. Tuttavia, prima di riuscire a raggiungerli, il litigio continuò con suo sommo imbarazzo. E capì presto che la causa scatenante fosse lei.
« Devi solo che stare zitto! », sentì dire da Sonoko.
« Se finora sei riuscito a concludere qualcosa con lei, è stato solo grazie a me! ».
« … ragazzi? ».
Si voltarono all’unisono verso la proprietaria di quella  voce così imbarazzata, e finalmente furono catapultati alla realtà. Notarono così come tutta la classe stesse ridacchiando sotto i baffi, indicandoli e mormorando cose a loro ignote. Ma soprattutto, si resero conto di Ran che troneggiava davanti a loro con le gote rosse e le mani sui fianchi.
« C-ciao », mormorò Sonoko, facendosi piccola piccola. Shinichi al suo fianco deglutì, realmente intimidito.
« Avete finito di dare spettacolo? », sibilò sottovoce, scuotendo per un braccio Sonoko e fulminando con uno sguardo il suo ragazzo.
« Ha iniziato lei », borbottò Shinichi, non guardandola in faccia.
Per loro fortuna in quel momento la campanella suonò, e ben presto il professore fece capolino in classe. Tutti smisero all’istante di mormorare alle loro spalle, e velocemente presero posto al loro banco.
Ancora un po’ scossa, Ran guardò di tralice Shinichi e lo vide armeggiare un po’ con la sua cartella. In quel momento si accorse della sua sacca da calcio, e ne fu sinceramente contenta. Forse aveva preso seriamente il discorso di Ai, e di quello ne fu sollevata. Con un sospiro si impose di prestare attenzione al professore, ma ben presto la sua testa fu indirizzata altrove.
Quando quella mattina si era sentita scuotere per una spalla, immediatamente non aveva capito cosa stesse succedendo. Ma quando infine si era svegliata da quel tocco, e aveva messo a fuoco la scena, era avvampata. Le ci era voluto realmente poco tempo perché si ricordasse di non essere in camera sua, e che accanto a lei in piedi c’era uno Shinichi un po’ agitato. Sebbene ancora un po’ addormentata si era accorta che si stava mettendo velocemente una maglietta sopra i pantaloni della tuta, quasi cadendo per terra a causa della velocità con cui si stava vestendo. Era infine trasalita quando aveva iniziato a guardandosi intorno. Stringendosi nelle coperte, per un attimo si chiese come diavolo aveva potuto arrotolarsi cosi fittamente fra quelle lenzuola, finchè i ricordi non risposero per lei
Decisamente, erano stati loro a creare quel pandemonio.
Con imbarazzo crescente, aveva provato a sistemare come meglio poteva le coperte, e dopo un po’ di lavoro riuscì finalmente ad assestarle, mentre Shinichi continuava incurante a camminare nervosamente per la stanza, borbottando qualcosa sulla sveglia e l’ora. Così, sebbene sentisse l’imbarazzato far breccia in lei insieme al ricordo della sera prima, notò solo in quel momento la sveglia sul comodino. Con orrore vide l’orologio segnare le sette e un quarto: tardi, davvero troppo tardi. D’istinto fece per scendere dal letto, ma quasi subito si bloccò avvampando. Si era voltata allora velocemente verso Shinichi e, dopo aver alzato un dito con fare minaccioso, avvampò.
« Chiudi gli occhi! », lo intimò.
« Ma fai sul serio?! », esclamò lui da dentro il suo armadio, dove stava armeggiando con la sua divisa perfettamente sistemata al suo interno.
« Muoviti! ».
« E’ questo il tuo primo problema, al momento?! », aggiunse acchiappando da terra la cravatta che gli era appena scivolata di mano.
Ma dinnanzi all’espressone minacciosa di Ran aveva deciso finalmente di voltarsi convinto verso l’armadio, e gesticolando le aveva fatto capire di potersi alzare. Solo quando Ran aveva appurato che era totalmente girato di schiena, era infine scivolata fuori dal letto traballando. Nella foga, aveva acchiappato anche i primi vestiti che trovò, mettendoseli velocemente. In quel momento aveva anche notato la presenta di Goro in fondo al letto e così, mente finiva di mettersi la sua maglia, aveva iniziato a borbottare.
« Devo passare a mia madre a lasciare il gatto », vacillò quando provò a infilarsi un calzino particolarmente non collaborativo. Quando Shinichi la guardò di sottecchi e la trovò completamente vestita, riprese ad armeggiare in camera senza riuscire realmente a guardarla in faccia.
« Devo anche passare da casa per la divisa », la sentì esclamare disperata.
« Se vuoi porto io Goro », mormorò Shinichi distrattamente. « Tu va a casa a cambiarti », concluse.
Lei lo guardò nervosamente, per poi annuire e uscire velocemente dalla stanza.
Era così che era corsa via da lì, decisamente affannata e anche decisamente imbarazzata.
Non poteva davvero credere che fosse successo di nuovo. In quell’ultima settimana ci aveva pensato spesso, ma un po’ trasognata aveva immaginato che sarebbe passato un po’ di tempo prima che ricapitasse. Un po’ scioccamente, aveva perfino immaginato che magari a lui non sarebbe andato di rifarlo capitare così in fretta, ma a quanto pareva doveva essersi sbagliata.
Entrambi, appurò, avevano perso il controllo e dubitava che sarebbero mai stati capaci di riacquistarlo. In un turbinio di emozioni prepotenti, dovette ammettere a sé stessa che ormai quella era una nuova realtà con la quale avrebbe dovuto fare i conti sempre più spesso. E benché si sentisse totalmente imbarazzata, notò che tutto sommato non le dispiaceva così tanto l’idea.
Ancora con la testa fra le nuvole, si impose di sforzarsi ad ascoltare il professore. Man mano che lo ascoltava, il nervosismo cominciò a calare per lasciar spazio a immagini sempre più vivide che si facevano largo nella sua testa senza che potesse realmente farci qualcosa. Si ritrovò così a sorridere un po’ meravigliata, e quasi non si accorse che Shinichi dal suo banco le stava lanciando occhiate un po’ nervose.
Sei davvero un emerito cretino!
Dannata Sonoko! Non che non lo fosse già di suo, ma sommato a quella mattina l’imbarazzo era di nuovo tornato prepotente. E lei non aveva davvero aiutato. Cercò di prendere appunti un po’ sovrappensiero, interiormente felice per il risvolto che alla fine aveva preso quel week-end. Sebbene non fosse andato niente secondi i suoi piani, alla fine si ricordò di quei due giorni con un senso di felicità crescente alla base dello stomaco. Eppure in quel momento, quando scrisse sul suo quaderno la data di quel giorno, un’improvvisa delusione lo paralizzò.
Era lunedì.
Lunedì mattina.
Quella mattina era stato così di fretta che non aveva nemmeno fatto caso realmente alla situazione, né che fosse davvero l’ultima volta che si sarebbe svegliato con lei. Quel giorno non sarebbero tornati a casa sua insieme, né avrebbero cenato e guardato un film in tv. Per non parlare del fatto che sarebbe andato a dormire da solo, nuovamente in quella grande casa vuota.
Al solo pensiero sospirò demoralizzato, mentre una smorfia gli si formava in volto. Forse si stava davvero troppo abituando a stare con lei, e questo non rendeva facili le cose. Dopotutto Kogoro quel pomeriggio sarebbe tornato, e sarebbero tornati alla vita di tutti i giorni. Dubitava fortemente che quest’ultimo avrebbe mai approvato che Ran dormisse da lui, quindi si mise l’anima in pace: per un bel po’, si sarebbe dovuto riabituare nuovamente alla solitudine.
Era ancora perso in quei pensieri che quasi la mattinata di lezioni volò.

« Hey! ».
Sonoko affiancò velocemente Ran, non appena l’ultima campanella risuonò fra le mura della scuola. Tutti erano così presi dal sistemare le proprie cose nelle cartelle, Shinichi compreso, che quasi nessuno si accorse di lei rannicchiata al suo fianco.
« Tu mi devi delle spiegazioni », la minacciò sottovoce, e Ran sorrise a disagio.
« Riguardo cosa? », fece finta di niente, acchiappando la sua cartella.
« Come cosa? Ti ho mandato due messaggi, e non mi hai mai risposto! ».
Ran si diede mentalmente della sciocca, quando si ricordò effettivamente dei due messaggi della sua amica alla quale si era completamente dimenticata di dare risposta.
« Dopo », disse perentoria quando notò che Shinichi si era alzato in piedi, e ora le guardava un po’ diffidente.
Sonoko capì, e si alzò velocemente per allontanarsi con espressione disinteressata.
« Io vado all’allenamento », mormorò quindi Shinichi, avvicinandosi un po’ titubante a Ran.
« Va bene », disse lei sorridendo dolcemente. « Io oggi ho i bambini di karate ».
« Stasera mi dirai come è andata? », chiese lui, abbozzando un sorriso.
« Ti chiamo », annuì lei arrossendo.
Si guardarono un po’ negli occhi, come a volersi dire qualcosa che non potevano pronunciare ad alta voce. Infine lui annuì e si voltò per poi uscire dall’aula. Ran rimase a guardarlo mentre spariva oltre la porta, per poi sospirare alla vista di una Sonoko molto curiosa alle sua spalle.
« E si fissano, si fissano, si fissano », alzò gli occhi al cielo. « Tutto molto romantico. Fissarsi, intendo », concluse sarcastica.
« Vuoi farla finita?! », esclamò Ran, e con un balzo si mise in piedi.
« Andiamo a pranzo », annunciò prendendola sotto braccio. « Ti devo dire qualcosa », arrossì ma inevitabilmente capì che era arrivato il momento di raccontarle tutto, per il semplice fatto che non poteva continuare a nasconderglielo. Prima o poi, altrimenti, avrebbe davvero ucciso Shinichi dall’impazienza. Si preparò mentalmente all’imbarazzo che avrebbe provato, sentendo la fame svanire e un mal di pancia nervoso far capolino.

« Sonoko davvero, mettiamoci da un’altra parte ».
Ran strinse convulsamente il suo bento fra le mani, guardandosi intorno nervosa.
« Ma perché, si sta così bene. C’è un bel sole, dai ».
Sonoko guardò confusa la sua amica in piedi davanti a lei, mentre si lanciava occhiate terrorizzate intorno. Aveva deciso di mangiare sugli spalti del campo da calcio prevalentemente perché era davvero una bella giornata, e non aveva voglia di rimanere in classe. Ma la sua amica era di tutt’altra opinione, e davvero non stava capendo. Un po’ dubbiosa la fissò mentre, infine, si sedeva accanto a lei rimanendo tuttavia sulle spine, come se qualcuno dovesse saltar fuori da un momento all’altro per sorprenderla a fare chissà cosa. A volte, faticava davvero a capirla. Per di più c’era veramente poca gente lì intorno, posto perfetto per parlare un po’ in santa pace isolate da tutti.
« Allora, dobbiamo parlare », disse solerte, prendendo un po’ del suo riso e assaporandolo. Ran finalmente la guardò, e i suoi occhi parevano più rotondi del solito.
« S-sì », annuì picchiettando le mani sul suo vassoio, mentre fissava tentennante il centro del campo. Aveva il terrore che la squadra di calcio sbucasse da un momento all’altro, e con lui Shinichi. Tuttavia si calmò un attimo, quando non ne vide la minima traccia. Forse si stavano allenando in palestra, e se fosse stato così sarebbe stata salva. Decisamente, raccontare a Sonoko tutto con Shinichi in lontananza non era il suo primo desiderio.
Si impose di calmarsi, così prese un sorso d’acqua.
« Quindi il nostro piano di venerdì? Niente di niente?! », esclamò Sonoko, sputacchiando un po’ di riso.
« N-no, Sonoko… », iniziò titubante Ran. Era davvero in preda all’ansia, e si sentiva anche un po’ in colpa. Sonoko era sempre stata dalla sua parte, sia durante i momenti belli, sia nelle difficoltà. E il fatto che le avesse tenuto nascosto sia Conan, sia ora quel discorso la facevano sentire a disagio.
« Qui servono misure drastiche », sentenziò lei, riponendo le bacchette con fare pensieroso.
Devi dirglielo, altrimenti chissà cosa si inventa.
« Dopo scuola potremmo andare a fare shopping… un bel completino trasparente potrebbe aiutare ».
Ecco appunto, sta per farti comprare qualcosa di imbarazzante. Di nuovo.
« Ma tanto a cosa serve, se neanche arrivate a quel punto… non lo vedrebbe neanche quell’idiota ».
Diglielo, e basta.
« Il vestito lo abbiamo provato, la serata di soli c’era… non so davvero Ran, forse dovresti fingerti morta. Probabilmente così si ecciterebbe ».
Le dici “è già successo”. Non devi specificare, lei capirà. Non devi dire i dettagli.
« Sì, forse dovremmo comprare un coltello. E dovrei accoltellarti. E strapparti la camicetta ».
Ma lei me li chiederà, i dettagli. Maledizione.
« Ma guardalo… mi verrebbe voglia di accoltellare lui, altroché ».
A quelle parole, avvertite in un angolo del suo cervello, Ran rielaborò ciò che aveva appena sentito. Sbattendo più volte le palpebre, ritornò lucida e in quel momento lo vide.
« Se si impegnasse con te come con quella palla, saremmo a cavallo », sentenziò sarcastica Sonoko, mentre guardava Shinichi in lontananza nel campo palleggiare distrattamente un po’ in disparte dal resto della squadra.
« Ma no, voi vi fissate ».
Ed effettivamente, anche in quel momento Ran non stava facendo altro. Sonoko la guardò di sottecchi, mentre vedeva il viso dell’amica diventare roseo alla vista di Shinichi a poca distanza da loro. Quest’ultimo non si era accorto delle spettatrici improvvisate a pochi spalti di distanza, e stava continuando a giocare come se nulla fosse. Ad ogni movimento del corpo verso la palla che rimbalzava sui suoi piedi, un ciuffo di capelli gli cadeva distrattamente sugli occhi, o si incollava sulla fronte intrisa di sudore. Doveva essersi allenato parecchio in palestra perché era già parecchio sudato, e seppur a distanza Ran notò come si passasse spesso una mano dietro al collo, probabilmente per togliere alcune gocce che gli colavano giù lungo la schiena.
Deglutì, cercando di non avvampare quando si soffermò a fissargli le maglietta bianca ormai attaccata al petto, e poi poco dopo sui pantaloncini corti da calcio che lo coprivano fino al ginocchio. Si sentì davvero accaldata, e non seppe dire se fosse il sole o la vista di Shinichi così. Provò a star a sentire Sonoko, che la stava fissando divertita, ma quando fece per distogliere lo guardo da quella vista così inebriante, vide Shinichi mettersi a ridere per qualcosa che un suo compagno di squadra gli aveva appena detto.
Sudato, con quel sorriso sul viso, mentre si passava una mano fra i capelli bagnati…
« Ehm ehm ».
Ran si girò velocemente a guardare Sonoko al suo fianco, che ormai pareva sul punto di scoppiare a ridere.
« Amica, bisogna fare qualcosa. Assolutamente. Hai la faccia di una che sta per esplodere ».
« Cosa stai dicendo », esclamò Ran fin troppo agitata, per poi acchiappare un tovagliolo e iniziare a sventolarsi. « Fa troppo caldo, oggi ».
« Caldo, sì », ripeté Sonoko sarcastica.
In quel momento, tuttavia, Ran non si accorse che Shinichi si era finalmente voltato e le aveva adocchiate sugli spalti. Sentendo lo stomaco fare una capriola all’indietro, cercò di non soffermarsi troppo su di loro, preferendo tornare a palleggiare con sguardo basso.
Si sentiva nuovamente in imbarazzo nei suoi confronti, sebbene l’allenamento sfiancante in palestra di poco prima lo avesse un po’ disteso. Tuttavia vederla lassù, con la camicia della divisa un po’ aperta e quel delizioso sventolarsi in viso, lo avevano nuovamente fatto sentire nervoso. Era davvero bellissima.
Cercò di non guardarla ancora, per il semplice fatto che altrimenti non sarebbe riuscito a concentrarsi, e annuì quando un suo compagno gli propose una partita veloce. Prese posizione a metà campo, togliendosi nuovamente del sudore dal viso. Quel giorno faceva davvero troppo caldo, e stava sudando tantissimo. Cercò di non far caso al caldo, iniziando a fissare intensamente la palla che scivolava alla squadra avversaria. Iniziò a correre a perdifiato verso il proprietario che si stava pericolosamente dirigendo verso la loro porta, e provò più di una volta a prendergliela. Non riuscendoci la prima volta, si accostò nuovamente a lui, ma quest’ultimo senza volere gli rifilò una gomitata in pieno petto voltandosi improvvisamente.
Inaspettatamente si sentì venir meno il fiato, e tossendo furiosamente si bloccò, portandosi una mano alla pancia. Tossì nuovamente, e il caldo afoso non lo aiutò a riprendersi in fretta.
« Ohi, Kudo-kun », il colpevole di quella botta lo sostenne per un braccio, e Shinichi notò la sua espressione dispiaciuta. « Scusami davvero, non volevo farti male ».
« Non preoccuparti », bofonchiò Shinichi con voce soffocata, e alzando il viso notò in lontananza come Ran si fosse alzata in piedi di colpo, e lo stesse fissando preoccupata. Abbozzò un sorriso di rimando, e la vide ricambiare con un’espressione preoccupata. Le fece un segno con la mano come a volerla tranquillizzare, e si allontanò un poco dal suo compagno per riprendere più fiato che poteva. Rimase in sordina per qualche minuto, e quando infine si riprese, ricominciò a correre dietro a quel dannato pallone. Si sentiva ormai la maglia fradicia, e la botta di poco prima ancora un po’ gli doleva. Ma accidenti, quando era diventato così pappamolle?
Alla fine, dopo un bel po’ di tentennamenti, riuscì ad acchiappare la palla ed entusiasta cominciò a correre verso la porta avversaria. Orgoglioso di sé stesso, lanciò un’occhiata veloce per accertarsi che Ran lo stesse guardando, ma quando i suoi occhi si posizionarono su di lei, sentì improvvisamente un brivido lungo la schiena.
Vide soprattutto Sonoko Suzuki paralizzata, con le bacchette per aria a poca distanza dalla sua bocca, e l’espressione sconvolta. Per la prima, vera volta nella sua vita, gli parve senza parole.
Davanti a lei una Ran che ormai tendeva al bordeaux si fissava le mani in grembo, che stavano torturando la sua gonna ormai colma di pieghe. Parlava velocemente, e, maledizione, quanto avrebbe voluto sentire cosa stesse dicendo! Tuttavia parve ben immaginarlo quando, infine, Sonoko si voltò verso di lui guardandolo a bocca aperta per poi fargli un occhiolino malizioso. Si alzò in fretta in piedi, facendo cadere il vassoio col cibo per terra, solo per alzargli i pollici all’insu.
No, non dirmi che… Ran!
Doveva averglielo detto. Merda. Merda!
Si sentì avvampare, e distolse lo sguardo velocemente. Si accorse solo in quel momento che un altro giocatore stava correndo verso di lui per prendergli la palla ma, prima che potesse sviare per non prenderlo in pieno, quest’ultimo lo guardò un po’ sorpreso che non si spostasse.  
Sonoko, dall’alto dello spalto, sussultò e con lei Ran seduta al suo fianco. Con orrore videro Shinichi prendere in pieno l’altro giocatore, e quest’ultimo per frenare alzò di istinto un ginocchio per proteggersi. Shinichi sbatté così forte contro di lui che il tonfo rimbombò prepotentemente, e ben presto sentì il suo ginocchio contro la sua coscia destra. Caddero a terra poco dopo, entrambi doloranti, ma soprattutto Shinichi si trattenne dall’urlare quando avvertì il muscolo della coscia dolergli maledettamente.
Si raggomitolò su se stesso, e sentì l’odore di erba arrivargli prepotentemente al naso che stava premendo contro terra ad occhi chiusi. Doveva avergli toccato un particolare nervo, perché non riuscì davvero a distendere la gamba per un bel po’. Se la portò al petto, tenendola stretta e digrignando i denti.
Nel vederlo a terra dolorante, Ran non capì più niente. Non facendo caso a niente e nessuno corse giù per gli spalti, rischiando anche di cadere, ma non gliene importava. Corse verso di lui, mentre tutti i componenti della squadra lo accerchiavano preoccupati. Si fece largo per poi inginocchiarsi di fronte a lui e prese a scuoterlo per una spalla.
« Shinichi! », lo chiamò e vide i suoi occhi aprirsi, ma rimanere comunque ridotti a due fessure.
« Dove ti fa male? », domandò a bruciapelo, guardandolo. Era disteso a terra, un po’ sporco di terra ed erba, e praticamente fradicio di sudore. Non aveva davvero una bella cera.
« La coscia? », provò lei, vedendo che si teneva convulsamente quest’ultima piegata.
« Sei una scema! », bofonchiò lui, stringendo ancora i denti.
« Cosa, scusa? », replicò Ran offesa, mentre i compagni si scambiavano un’occhiata confusa.
Videro Shinichi sostenersi sulle braccia per rialzarsi un po’, e lentamente mettersi seduto per poi premere ancora una mano sulla coscia dolorante.
« Ma ti sembrava il momento?! ».
« Ma cosa stai dicendo?! ».
« E’ colpa tua! ».
« Hai battuto la testa?! ».
« Non prendermi per idiota! ».
« Lo sei! ».
« Ehm, scusate? ».
Shinichi e Ran, totalmente presi dal loro battibecco, si voltarono come furie alla loro sinistra, dove il capitano della squadra li aveva raggiunti con espressione confusa.
« Forse dovresti andare in infermeria », buttò lì, guardandoli titubante.
« Non ne ho bisogno », borbottò Shinichi, e provò a mettersi in piedi. Tuttavia quando posò la gamba colpita a terra e ci poggiò sopra il suo peso, questa gli lanciò una fitta tremenda, che lo fece sbilanciare.
« Idiota! », lo rimbeccò lei e velocemente si mise al suo fianco, tenendolo su mettendogli un braccio intorno alla vita.
« Ci devi andare! ».
« Non ne ho bisogno! ».
« Non ti reggi in piedi! ».
« Era solo un crampo! ».
« E perché sarebbe colpa mia?! ».
« Lo sai perché! ».
Sonoko Suzuki, che aveva raggiunto la sua amica poco prima e ora li guardava andare via, li guardò scuotendo la testa. Intorno a lei i rimanenti giocatori di calcio si lanciarono occhiate completamente confuse, non capendo bene cosa fosse realmente successo. Rimasero sparsi a parlottare fra di loro, lanciando occhiate dubbiose ai due che si stavano allontanando.
« Ma quei due stanno ancora insieme? », domandò uno di loro a Sonoko, indicando Ran e Shinichi.
« Già », annuì lei.
« … ed è normale che litighino così? ».
« Oh, sì. Normalissimo ».
Il loro battibecco si sentiva infatti ancora a distanza, sebbene non capissero davvero di cosa stessero parlando. Ciò che probabilmente non videro, a differenza di Sonoko, era come si stavano tenendo stretti. Ran lo teneva ancora saldamente per la vita, e lui aveva passato un braccio intorno al suo collo. Zoppicava vistosamente, e sembrava teso per non  voler gravare troppo su di lei.
Continuarono a guardarsi in cagnesco finché non scomparirono dentro la palestra, ma il linguaggio del loro corpo parlava da solo.
Troppo stretti. Troppo vicini. Troppo in confidenza.
« Quei due », mormorò Sonoko, incrociando le braccia al petto.
« Mi hanno fregata, come diavolo è potuto succedere?! ».

 

***


Ran cercò di apparire completamente tranquilla, mentre sfoderava il sorriso più rassicurante che sapesse fare. Davanti a lei almeno sei paia di occhi la guardarono incuriosita, mentre la fissavano avidi di informazioni. Si strinse di istinto la cintura, e facendolo notò divertita che chi aveva di fronte la stava prontamente imitando.
« C-ciao a tutti », cominciò con voce incerta. « Io mi chiamo Ran », si presentò.
I bambini del suo corso di karate sorrisero a quella ragazza così carina di fronte a loro, chi più timido, chi più sfrontato che si fece avanti per presentarsi a sua volta.
Sebbene ancora un po’ insicura cercò di memorizzare i nomi di tutti, prima di iniziare a spiegargli cosa avrebbero fatto in quel loro primo giorno di allenamento. Si stupì nel notare come tutti si impegnarono subito, cercando di concentrarsi a imitare i suo movimenti. Piano piano l’entusiasmo si impossessò di lei, man mano che vide come quei piccoli karateka si stavano fidando di lei, e le si accostavano per chiedere consigli o aiuto.
Fu così che il suo sorriso dapprima forzato divenne radioso, e ben presto si lasciò trasportare dall’entusiasmo generale.
Non appena era arrivata nella palestra si era sentita abbastanza intimidita, e perfino un po’ in ritardo. Alla fine il battibecco con Shinichi e la medicazione che gli aveva fatto fra borbottii vari le avevano fatto perdere molto tempo, e quando si era accorta dell’ora tarda era corsa via lasciandolo ancora seduto in infermeria con una coscia fasciata.
Da lei.
Ran deglutì, provando a non pensarci troppo. Quando si era resa conto della zona che avrebbe dovuto medicare era avvampata di colpo e, in silenzio, aveva iniziato a metterci sopra una pomata.
Ti sto facendo male?
« Ran-san, si fa così? », una bambina si era fatta avanti, indicandole il suo piedino messo decisamente storto. Sobbalzando e tornando in sé si avvicinò a lei, correggendo la postura.
« Ecco, così », le spiegò dolcemente, sistemando il piede in posizione corretta.
« Ora sono una vera karateka! », esclamò la bambina, decisamente molto spigliata, facendo una mossa verso di lei con fare fiero. A Ran venne da ridere, e annuì convinta.
« Ma smettila ».
Un secondo bambino si fece avanti, guardandola alzando gli occhi al cielo.
« Non faresti paura ad una mosca », commentò con sguardo indifferente.
« Non è vero! », lo rimbeccò la bambina, e per un attimo Ran rimase bloccata a guardare il loro battibecco. Di istinto le venne da sorridere, mentre quell’innocente diverbio continuava a poca distanza da lei, semplicemente per il fatto che in quei due bambini ci rivide lei e Shinichi.
Un po’.
La sua voce le rimbombò in testa senza poter far niente per frenarlo. Era stato un dialogo davvero  troppo simile a quello avvenuto quella prima notte insieme, quello successo appena un’oretta prima. Infatti, quando un senso di deja-vu l’aveva colta, si era improvvisamente zittita, arrossendo un po’. Aveva cercando di massaggiargli la pomata con un tocco più leggero, ma aveva visto la sua smorfia dipinta in viso.
« Noi donne siamo più forti di voi bambini! », sentì in lontananza la bimba continuare a discutere con il suo compagno, con tono fiero.
« Ma se frignate sempre! ».
Così va meglio?
La sua mano ormai si muoveva creando piccoli cerchi sulla sua coscia, e senza rendersene conto gli stava alzando un po’ il pantaloncino della tuta. Ormai era uscito una sorta di livido che si allargava fin sotto il pantaloncino, e pensò che dovesse davvero metterci un po’ di pomata anche lì. Tuttavia non si osò troppo salire con la mano, limitandosi all’area a poca distanza dal suo inguine.
« Io non frigno mai! ».
Era quasi ipnotizzata dal suo stesso movimento della mano, su quella coscia così tesa a poca distanza da lei, che per un po’ rimase in silenzio senza intercettare il suo sguardo. Avevano battibeccato fino a poco prima sul fatto che avesse detto a Sonoko di loro due, e da allora Shinichi non aveva molto pronunciato parola. Si era definitivamente zittito quando si era seduto su quel lettino, con lei che aveva preso a passargli la mano con movimenti lenti sulla coscia, davvero in un punto molto sensibile. Sebbene gli facesse male, ben presto quest’ultimo passò in secondo piano quando aveva avvertito la sua mano sempre più delicata sulla pelle. Era leggera, ma premeva scostando con noncuranza il suo pantaloncino.
Sebbene fosse già successo ben altro fa di loro, mai lei aveva osato tanto con lui. E sentendo dentro di sé emozioni contrastanti e fin troppo febbricitanti far capolino, aveva preferito tacere.
« Ran-neechan? ».
Ran rinvenne dai suoi ricordi con un balzo, e si voltò velocemente quando si sentì chiamare così. Non seppe come, ma voltandosi così velocemente per un attimo si vide davanti lui.
Conan.
Rimase un attimo spiazzata, mentre il ricordo di quel viso così dolce per un attimo lasciava il posto ad un Conan decisamente più preoccupato, mentre la guardava con espressione grave, attraverso i suoi grandi occhiali.
Ran-neechan, ho fatto per caso qualcosa di male?
« Scemo, devi chiamarla Ran-san, non è tua sorella! ».
Ran scosse la testa energicamente, togliendosi per un attimo dalla testa la voce di Conan. Doveva concentrarsi, altrimenti quel primo giorno sarebbe stato un disastro.
« Adesso basta, bambini », disse con tono deciso, cercando di calmare gli animi di quei due che continuavano a punzecchiarsi.
« Forza, vi faccio vedere qualche altra mossa, va bene? ».
E, riguadagnandosi la loro attenzione, iniziò l’allenamento.

 

***


« Ran-neechan? ».
Ran non si voltò neanche, preferendo rimanere impassibile sul suo libro di inglese aperto davanti a lei. Cercò con tutte le sue forze di non girarsi verso la porta, dove Conan aveva appena fatto capolino con voce abbastanza mielosa.
« Dimmi, Conan-kun », replicò senza guardarlo, stringendo fra le mani la biro.
Per un attimo lui non rispose, preferendo guardarla un po’ più attentamente. Infine, dopo un po’, fece un passo incerto in camera sua, dondolandosi un po’ sui piedi.
« Ran-neechan, ho fatto per caso qualcosa di male? », domandò titubante.
La diretta interessata si morse un labbro, fissando intensamente il suo libro. Rimase zitta, non sapendo bene cosa rispondere, per il semplice fatto che, dal pomeriggio prima, nei suoi confronti si sentiva a disagio. Non sapeva nemmeno lei come spiegarlo, ma ormai quel bambino le provocava un tumulto interiore davvero imbarazzante. A quel pensiero si sentì così sbagliata che inevitabilmente arrossì, e di istinto si voltò verso di lui.
E’ solo Conan…
Sì, era solo Conan. Aveva cercato per tutto il giorno di ripeterselo nella testa, e di biasimarsi per ciò che aveva iniziato a provare con lui. Era dannatamente sbagliato, e pensò addirittura di star impazzendo.
Aveva provato a giustificarlo, magari pensando che si fosse preso una leggera cotta per lei, e per quel motivo giocava a fare il fidanzatino con lei.
Sì, lo aveva scusato così, per tutte quelle volte in cui le aveva accarezzato la mano mentre camminavano insieme, o le si era avvicinato di istinto sotto la coperta mentre guardavano un film. Ma dopo il pomeriggio prima, mentre lo stava medicando da quella botta presa a calcio, ormai non riusciva nemmeno più a mentire a sé stessa.
Non era normale che un bambino la guardasse così. Non lo era, e basta. Perché un bambino non può conoscere cosa sia l’attrazione, men che meno guardare qualcuno così, con un desiderio nello sguardo che le aveva fatto tremare le gambe. Aveva lui qualcosa che non andava, o era lei?
E, seppur anche lui si fosse invaghito della sua “sorellina”, per quale motivo le provocava un simile caos nella testa? Ogni singola parte del suo corpo sembrava non collaborare, quando quei due occhi si mettevano a fissarla così intensamente, per il semplice fatto che se si dimenticava di tutto il resto e si concentrava solo su di essi, si dimenticava che colui che aveva di fronte avesse solo sette anni.
Sette anni.
Rabbrividì sulla sedia.
« No, Conan-kun, sono solo occupata », la sua voce era così falsa che perfino un estraneo avrebbe capito che stesse mentendo. Difatti Conan alzò un sopracciglio, e fece un ulteriore passo verso di lei, rimanendo poi fermo a poca distanza.
« Non mi parli da ieri, Ran ».
Ran lo guardò per la prima, vera volta da quando si era presentato in camera sua, e si sentì un po’ rintontita.
Aveva definitivamente abbandonato il tono di voce mieloso di prima, e perfino l’onorifico che usava sempre con lei. E, nuovamente, la stava fissando come un bambino non dovrebbe mai fissare qualcuno.
Deglutì, sentendosi agitata.
« Non è vero », replicò piccata, tornando a guardare il suo libro di inglese. Tuttavia, in quell’esatto momento, la sua attenzione fu catturata da altro.
Appena oltre il libro, i suoi occhi si misero a guardare avidamente una foto che le provocò un dolce ricordo.
Lei. E lui. In gita.
« Smettila ».
Quando sentì la voce di Conan rispondere duramente, guardò intensamente il viso di Shinichi incorniciato a poca distanza da lei. E le sembrò che fosse lui a parlare.
« Devi smetterla tu », in realtà si sentì come se stesse rispondendo a quel viso stampato, mentre la sua voce si incrinava.
Ma lui rimase uguale, con quell’espressione imbarazzata mentre le teneva una mano sulla spalla. Non le venne nemmeno da ridere, come di solito accadeva quando si metteva a guardare quella foto, al pensiero di come era stata scattata. Sonoko, una spinta, e lei che gli sbatteva addosso.
« Devi smetterla, Conan-kun », ripeté mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, continuando a non guardarlo in faccia.
Non sapeva nemmeno lei come continuare, per il semplice motivo che non si osava dire a voce alta ciò che le vorticava in testa da un po’.
Il suo cuore prese a battere forte, mentre la testa formulava rapidamente una serie di frasi inconsulte a una velocità tale che la stordì.
Devi smetterla di accarezzarmi.
Devi smetterla di fissarmi come se fossi attratto da me.
Devi smetterla.

« Ran, io… ».
« Smettila di chiamarmi così! ».
Finalmente si voltò, portandosi le mani alle orecchie e chiudendo gli occhi ormai colmi di lacrime. Aveva alzato di un tono la voce, e ringraziò che suo padre non fosse in casa.
« Lo vedi cosa stai facendo? », sbottò ormai con un nodo alla gola, riaprendo gli occhi e guardando il viso stupito di Conan. Era lì, ancora in piedi, che la guardava spaesato.
« Non vedi cosa mi stai facendo? », ripeté, e si rese conto di star quasi perdendo il lume della ragione. Ma ormai era il suo cuore a parlare, non la testa. E si ritrovò a dire a voce alta ciò che aveva avuto sempre paura anche solo di pensare.
« Tu sei Conan-kun », balzò in piedi, sovrastandolo. « Tu devi esserlo ».
Conan sbarrò gli occhi, mentre il suo cuore perdeva un battito. Aveva sospettato da un po’ che le sue basse difese dell’ultimo periodo avessero creato ulteriori dubbi in Ran, ma vederla così fuori di sé lo lasciò completamente inerte.
Non riuscì a risponderle, mentre sentiva ogni fibra del suo corpo iniziare a irrigidirsi.
« Perciò smettila », riprese Ran, stringendo i pugni lungo i fianchi.
« Smettila di trattarmi come lui, ti prego. Non farmi dubitare di te, perché a questo punto io non lo reggerei. Non ora. Non dopo questo, dannazione! », prese di colpo la cornice con loro due sorridenti a Kyoto, per poi buttargliela addosso mentre velocemente usciva da quella stanza. A grandi falcate si ritrovò in salotto e, senza neanche prendere la giacca, uscì rapidamente da casa. Fece così velocemente le scale per al terzo scalino, complici le lacrime che le appannavano la vista, scivolò. Sentì i freddi scalini sotto di lei, mentre si rimetteva in piedi traballando. La storta appena presa le fece scappare un singhiozzo, ma questo non la rallentò. Doveva correre via da lì, da lui.
Da quello stesso ragazzo che era ancora immobile in camera sua, quella foto che li ritraeva in mano, e il petto a pesargli come un macigno. Provò a pensare rapidamente a come risolvere quella faccenda, ma non gli venne in mente nulla.
Lei aveva dei dubbi.
Come avrebbe fatto a farle cambiare idea a quel punto, era davvero difficile a dirsi.
Era tutta colpa sua, tutta colpa dei suoi capricci. Aveva abbassato la guardia, e si maledì interiormente.
Sarai contento, ora.
Conan fissò il viso di Shinichi in quella foto che teneva ancora fra le mani, con una smorfia sul viso.
Volevi che lo capisse, no? Per questo la stuzzicavi…
Sospirò. Si avvicinò alla scrivania e quasi lanciandola ripose la cornice dov’era in precedenza.
Ci avrebbe pensato il giorno dopo, a come risolvere la situazione. In quel momento non aveva davvero le forze.
Ciò che non sapeva era che non avrebbe mai avuto il tempo di sistemare le cose, perlomeno non nel corpo di Conan…

 

***


Shinichi arrancò a fatica verso il cancello di casa sua, zoppicando vistosamente. La coscia gli lanciava delle fitte così lancinanti che per un attimo, di ritorno a casa, aveva dubitato di riuscire di arrivarci. Eppure, seppur a fatica, ce l’aveva fatta. Cominciò ad armeggiare con la sua sacca sportiva, e dopo un po’ di lavoro trovò infine le chiavi. Aprì il cancello e si fece avanti, pregustandosi già il divano e un pomeriggio di totale pace. Fu così che in fretta si buttò su quest’ultimo, acchiappando pigramente il telecomando a poca distanza da lui. Accese distrattamente la televisione, iniziando a fare zapping. Alla fine decise per il telegiornale, e iniziò a guardarlo in silenzio.
Troppo in silenzio.
Con una smorfia si guardò un po’ intorno, mentre una cocente delusione si faceva strada in lui.
Come aveva sospettato, l’assenza di Ran si fece così prepotente da lasciarlo un po’ imbronciato, mentre sospirava rassegnato. Non si interessò nemmeno al servizio su un caso particolarmente brutale di omicidio avvenuto ad Osaka, appuntandosi solo mentalmente di chiamare Hattori per chiedere se se ne stesse occupando lui. Sbuffando nuovamente posò infine lo sguardo sulla fasciatura sotto i suoi pantaloncini, e improvvisamente al ricordo arrossì.
Dopo tutto ciò che era successo fra di loro non pensava di potersi sentire così a disagio con lei per una cosa del genere, eppure quella sua mano che scendeva e risaliva lentamente sulla sua pelle lo aveva reso nervoso. Erano rimasti in religioso silenzio, e per un attimo si era perfino dimenticato di essere un po’ offeso con lei per aver detto a Sonoko di loro due, sebbene capisse il motivo. Ultimamente stava diventando davvero insistente e perfino un po’ prepotente, e ragionandoci sperò che ora gli desse un po’ tregua.
Te la fascio…
Lo aveva sussurrato, e nell’immediato era rimasto un po’ deluso quando non aveva più avvertito la sua mano addosso. Aveva annuito distrattamente, mentre la guardava di spalle recuperare il necessario per la fasciatura. Sebbene fossero al chiuso in infermeria, continuava ad avere davvero molto caldo. E si maledisse quando capì che era quella vicinanza e quel tocco di Ran a renderlo così, perché, ci ragionò in quel momento lucidamente sul divano, ormai non riusciva più a controllarsi con lei. Dopo tutto ciò che era successo, continuava ad avvertire quello strano impulso di ancorarla a sé, e i suoi pensieri erano tutt’altro che casti. Aveva immaginato che, una volta accaduto, si sarebbe calmato e finalmente quei suoi impulsi per Ran avrebbero cominciato ad essere controllati. E invece eccolo lì, mentre sentiva ogni fibra del suo corpo fremere al suo solo tocco su un coscia.
Pervertito.
Deglutì. Ricordò infine come, quando aveva iniziato a passargli la fasciatura, aveva quasi pensato di prenderla e baciarla prepotentemente. Ci aveva ragionato un po’, chiedendosi se non fosse davvero troppo fare un simile gesto in infermeria, con il rischio di essere sorpresi da qualche professore che passava da lì. E, dopo che Ran aveva finito la medicazione e aveva infine alzato lo sguardo su di lui, si era perso nei suoi occhi come ormai capitava sempre più frequentemente.
Anche lei era rimasta un attimo interdetta, sotto il suo sguardo dubbioso, mentre una mano ancora gli accarezzava la coscia creando cerchi immaginari quasi involontariamente.
Dovresti smetterla.
Shinichi al suono di quelle parole era trasalito, mentre un deja-vu lo coglieva lasciandolo stordito. Ran lo aveva pronunciato questa volta con tono dolce, guardandolo un po’ rossa in viso. L’ultima volta che si era rivolto a lui così, era ancora Conan e il contesto era tutt’altro che cordiale.
Di fare cosa?
Aveva domandato con voce roca, avvicinandosi piano al suo viso, fissandole le labbra.
Di guardarmi così.
La sua voce ormai gli arrivava quasi ovattata, mentre si accostava ancora un po’ di più. Ormai era davvero a poca distanza dal suo viso, ma si bloccò solo per riguardarla negli occhi. La vide arrossire ancora un po’, e a suo volta sentì le gote accaldate.
Ran lo guardò e lo trovò così irrimediabilmente carino, che sorrise. Di istinto ebbe l’impulso di eliminare quella minima distanza da lui, ma quando fece per farlo sentì in lontananza la campanella scolastica rimbombare. Riprendendosi un attimo dal momento, ragionò velocemente e, compreso che ore fossero, rimbalzò lontana lui. Lasciandolo un po’ interdetto, aveva acchiappato la sua cartella in fretta e furia, borbottando qualcosa sul fatto che fosse tremendamente in ritardo. Infine, guardandolo un’ultima volta, aveva trattenuto a stento una risata. Era ancora seduto sul lettino, inclinato in avanti dove lo aveva lasciato, con un’espressione persa e imbronciata. Aveva cercato così di rimediare avvicinandosi velocemente, e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Ti chiamo dopo!

Shinichi sorrise al ricordo, guardando il telefono. In quel momento doveva essere ancora all’allenamento con i bambini, ragion per cui si costrinse a portare pazienza e aspettare la sua chiamata.
Tuttavia, almeno tre ore dopo, e ancora nessuna notizia, decise infine un po’ nervosamente di mandarle un messaggio.
Messaggio a cui non rispose, nemmeno dopo quaranta minuti dal suo invio.
Un po’ dubbioso, ormai alle nove e mezza di sera, Shinichi riprese in mano il telefono, chiedendosi se fosse il caso di telefonarle.
Stai diventando paranoico.
Sbuffò, e preferì non disturbarla. Se fosse successo qualcosa, dopotutto, qualcuno lo avrebbe avvertito.
Magari è solo stanca e si è addormentata.
Con questa giustificazione cercò di non pensare negativamente, mentre infine saliva arrancando gli scalini che lo separavano da camera sua. E quando, dopo essersi preparato svogliatamente, si mise a letto, si sentì più solo che mai, con quel telefono che continuava a non squillare…


 

   
 
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