In the
still of the night
3.
Ho
ricominciato a cacciare.
Il
desiderio di tornare ad immergermi nei boschi che circondano il Distretto era
forte, ma ho cercato ogni volta di resistere alla tentazione ed alla nostalgia.
La vita lentamente è tornata alla normalità, ma è anche diventata diversa allo
stesso tempo.
Da
quando mi alzo al mattino fino al momento in cui mi infilo sotto le coperte la
sera, mi sono resa sempre più conto delle ore che rimangono vuote, in cui non
c’è davvero qualcosa per cui valga la pena darsi da fare.
Ho
cercato di instaurare una routine che potesse mantenermi occupata sia con il
corpo che con la mente, ma non sempre è stato facile. All’inizio ho trascorso
molto tempo con mia madre, l’ho osservata mentre organizzava gli spazi nella
nostra nuova casa e stilava un elenco di tutto quello che poteva servirci.
Erano pochissime cose in effetti, perché avere un vincitore dei giochi in
famiglia ti assicurava una scorta di beni che poteva bastare per una vita
intera, anche due se si voleva abbondare.
La
lista, quindi, venne riempita più che altro con tutto ciò che l’avrebbe aiutata
nel suo lavoro di guaritrice: bende, garze, sciroppi e tutta una serie di
medicinali che fino a quel momento non aveva quasi mai potuto permettersi di
acquistare dal farmacista, merce troppo costosa per noi poveri abitanti del
Giacimento. La mamma è in grado di fare miracoli con le erbe officinali, ma
anche lei conosce i suoi limiti e, alcune volte, ha dovuto cedere alle
medicine.
Oltre
a sbrigare le piccole commissioni quotidiane per la mamma, ho mantenuto la
promessa fatta a me stessa e ho cercato di essere il più presente possibile per
Haymitch. Dal giorno in cui andammo insieme alla stazione è uscito pochissimo
di casa, giusto il tempo necessario per andare a procurarsi del liquore bianco
al Forno, poi tornava a rintanarsi dentro quelle mura, ad anestetizzare la
mente con l’alcol.
Io
e Peeta facciamo quel che possiamo, ma non è facile. La sua casa è un vero e
proprio disastro. Abbiamo scoperto che non dorme mai la notte, ha paura del
buio. E quando si addormenta, di solito durante il giorno, ha sempre un coltello
stretto nelle mani. La prima volta che lo svegliai con il semplice intento di
fargli mangiare del brodo, che la mamma aveva preparato in abbondanza, ha
rischiato di piantarmelo nel braccio, ma fortunatamente non c’è riuscito.
I
pomeriggi di solito li trascorro insieme a Peeta, a casa sua. La sua famiglia
continua a vivere nel piccolo appartamento sopra la panetteria, quindi è stato
l’unico a trasferirsi al Villaggio dei Vincitori e adesso si ritrova a vivere
da solo nella nuova casa, che è decisamente troppo grande per lui. Anche la mia
lo è: si sta larghi in una casa che conta cinque camere da letto, ma noi almeno
siamo in tre.
Di
solito non abbiamo gran che da fare, ed anche se restiamo in silenzio le ore
sembrano trascorrere lo stesso in maniera piacevole. Effie ad un certo punto,
come se volesse salvarci dalla noia in qualche modo, ci ordina di affinare un
talento da mostrare al pubblico di Capitol City durante il Tour; i mesi che
mancano all’evento ci saranno utili per capire cosa ci piace fare.
Peeta
non ha avuto problemi a trovare il suo: è bravissimo a disegnare. Da quando si
è trasferito ha adibito una stanza del piano terra a studio, in cui poter
creare i suoi disegni e le sue tele. Io non ho la più pallida idea di cosa
mostrare loro. E mi rifiuto categoricamente di prendere in considerazione il
canto, quando Peeta me lo propone.
So
che, secondo lui, il mio canto è la ragione che lo ha fatto innamorare di me
alla tenera età di cinque anni. Dimenticare le sue parole nell’arena mi è impossibile.
Ma io non sono più riuscita a cantare niente da quando Rue mi ha chiesto di
farlo, mentre moriva.
Non
sopporto che siano riusciti a togliermi qualcosa di così innocente. Di
conseguenza, la sola idea di condividere qualcos’altro che amo con gli abitanti
di Capitol mi fa ribrezzo.
Ma
ho ancora diversi mesi per inventarmi qualcosa.
La
notte continua ad essere il momento peggiore della giornata, anche se va un
pochino meglio rispetto all’inizio. La maggior parte delle volte riesco a
dormire tutta la notte senza svegliarmi urlando, ma questo non significa che i
brutti sogni siano spariti. Anche se non ricordo del tutto quel che ho sognato,
la mattina mi sveglio intontita e stranita; ho sempre l’impressione di non aver
riposato affatto.
Lascio
una lucina accesa sul comodino tutte le sere, così le volte in cui un incubo mi
porta via dal sonno la vedo e riesco a capire subito dove mi trovo. In qualche
modo, capisco di aver smesso di urlare per gli incubi perché Prim non mi
raggiunge più nel letto. Mi basta fare qualche passo lungo il corridoio per
raggiungere la sua camera, e vederla dormire tranquilla nel suo letto calma
tutte le mie paure.
È
durante una di queste notti che accade: sono scesa in cucina per prepararmi una
tazza di latte con il miele e, seduta al tavolo della cucina, ho guardato il
sole sorgere. Un’alba limpida, chiara, bellissima. Nessuna nuvola in cielo. Il
canto del gallo, lontano, che annuncia l’arrivo del nuovo giorno.
È
la mattina perfetta per la caccia, ho pensato.
E
così l’ho fatto.
Sono
uscita senza far rumore e ho raggiunto la nostra casa al Giacimento, disabitata
ma ancora intera. I pochi mobili che possediamo li abbiamo lasciati qui perché
non c’era nessun reale motivo di portarli con noi: le case dei Vincitori sono
tutte già lussuosamente arredate. Abbiamo preso i nostri pochi averi, svuotato
l’armadio… ma io ho lasciato qualcosa.
Gli
abiti che uso solitamente per cacciare e gli scarponi sono ancora qui, così li
indosso velocemente e altrettanto velocemente esco, raggiungo il solito punto
debole della recinzione ed entro nei boschi.
In
tanti disapproverebbero quello che sto facendo, ma non mi importa.
I
miei piedi ritrovano subito il tragitto familiare che mi porta all’albero cavo
e alle mie armi, l’arco e le frecce che ho usato così tante volte. In confronto
all’arma che Capitol ha preparato per gli Hunger Games il mio sembra quasi
rudimentale, un reperto da museo, ma a me piace proprio per questo.
Con
l’arco e la faretra in spalla intraprendo il solito percorso che mi porterà al
laghetto dove pesco con Gale; vedo i lacci e le trappole piazzate lungo la
strada, alcune sono piene ma gli animali sembrano morti da giorni. Capisco che,
da quando lavora nelle miniere, non sempre riesce a controllarle con regolarità.
Un
senso di malessere mi opprime a quella vista, così prendo una decisione
all’istante. Risistemo le trappole e comincio il mio giro di perlustrazione.
Da
diverse settimane, la mia routine prevede anche la caccia e il recupero delle
prede cadute nelle trappole. Sgattaiolo fuori casa sempre alla stessa ora,
prima che la mamma e Prim si sveglino, mi cambio nella casa al Giacimento e
fuggo nei boschi. Ho sempre con me una bisaccia piena di cibo e il thermos col
tè, anche se la bevanda che ci metto dentro è fredda e non bollente. Siamo
ancora in estate.
Stanotte
ha piovuto ed il terreno è molle sotto gli scarponi. L’odore di bagnato mi
riempie le narici e l’umidità dell’aria fa sì che la camicia mi si appiccichi
subito alla pelle. Una zanzara ronza accanto al mio orecchio ed io la scaccio
via con la mano.
Oggi
è domenica. È il giorno della settimana che aspetto di più da quando ho
ricominciato a frequentare i boschi, perché è l’unico giorno libero della
settimana per Gale.
Non
sono ancora riuscita a incontrarlo. Sebbene non sia la prima domenica che vengo
qui, lui non si è mai fatto vedere. La domenica cerco sempre di rimanere più
tempo nel bosco, e lo faccio proprio nella speranza di imbattermi in lui. So
che controlla le trappole perché durante il tragitto di ritorno le trovo sempre
vuote e posizionate in modo diverso. So anche che sa che sono qui fuori: chi
altri porterebbe la selvaggina a sua madre mentre lui è in miniera?
Sembra
quasi voler farmi capire che non vuole avere nulla a che fare con me.
Stamattina
scelgo di usare una tattica diversa. Raggiungo il luogo dove ci incontriamo di
solito e preparo tutto: lascio la bisaccia ed un thermos sul solito sasso ed
accanto vi posiziono dei rametti a forma di freccia per indicargli la strada
che ho preso. Carica di arco, faretra, un altro thermos ed un paio delle
focaccine di Peeta, mi dirigo verso il laghetto. Ogni tanto lascio altri
rametti per fargli capire che deve seguirli: deve capire che stavolta non ho
nessuna intenzione di essere ignorata.
Stavolta
non aspetto molto. Gale, bisaccia in spalla, arriva mentre io sto sistemando i
bastoni che usiamo spesso come canne da pesca. Resto immobile, e lo stesso fa
lui. Osservo la sua figura alta e robusta, i capelli scuri che la luce del
mattino illumina appena. Ho cercato e atteso così tante volte il nostro
incontro, e adesso non so cosa fare. Non so cosa dire.
Come
le altre volte, Gale viene in mio soccorso.
-
Hey, Catnip – il suo saluto spezza il silenzio e, quasi contemporaneamente, la
mia immobilità.
Corro
verso di lui e gli getto le braccia al collo mentre le sue mi circondano la
schiena. Calde lacrime mi rigano le guance mentre ripenso al nostro ultimo
abbraccio, al giorno della mietitura e a tutto quello che esso aveva rappresentato
per lunghe settimane. Un addio. Ma non è stato così.
Vorrei
dirgli che sono riuscita a mantenere la promessa che gli avevo fatto quel
giorno, che sono sopravvissuta contro tutte le probabilità più avverse e che
sono tornata per rendergli la vita impossibile, ma uno strano singhiozzo mi
rende impossibile spiccicare anche solo una parola.
-
Dai, Catnip, va tutto bene – mormora, la sua mano mi accarezza la schiena nel
tentativo di farmi calmare. – Cosa penserà il tuo fidanzato se ti vede tornare
in queste condizioni?
Invece
di farmi ridere, la sua battuta mi fa rabbuiare. Sciolgo l’abbraccio e mi
asciugo le guance sulle maniche della camicia, evitando il suo sguardo.
-
Non è davvero il mio fidanzato – mugugno. Il singhiozzo è scomparso così com’è
venuto. – E non voglio parlare di questo.
In
realtà dovrei dargli delle spiegazioni a causa di tutto quello a cui ha
assistito, sia in televisione che qui al Distretto, ma non è questo il reale
motivo per cui ho voluto incontrarlo. Non c’è davvero un motivo, ad essere
sincera. Ma una domanda, che preme da giorni sulla punta della lingua, esce
dalle mie labbra.
-
Perché mi eviti?
-
Non ti sto evitando – risponde Gale. – Ho solo pensato che non fosse una buona
idea farci vedere insieme, adesso che…
-
Sì, come no – lo fermo, non credendo neanche a una delle sue parole. – Pensano
tutti che siamo cugini. Che male c’è ad incontrarsi tra cugini?
-
Non voglio parlare di questo – mi zittisce. Solleva la bisaccia, inarcando un
sopracciglio. – Che ci hai messo qui dentro? Pesa una tonnellata!
Ha
cambiato discorso. Faccio finta di non averci fatto caso e cerco di
assecondarlo, come ho imparato a fare così bene negli ultimi tempi con tutto quello
che mi circonda. – La nostra colazione.
Ci
sediamo sulla sponda del lago, proprio dietro alle canne da pesca. Gale fa un
fischio mentre rivelo il contenuto della bisaccia: panini ripieni di pollo
freddo, focaccine, biscotti, arance e frutta secca. E i due thermos pieni di tè
che ci siamo trascinati dietro.
Forse
mi sono lasciata prendere la mano ed ho preso troppo cibo per solo due persone,
ma quello che non mangiamo adesso possiamo tenerlo per più tardi. Il sole mi suggerisce
che devono essere passate da poco le sette del mattino; abbiamo tutta la
giornata davanti.
Io
e Gale mangiamo e beviamo il tè mentre il sole, che comincia ad essere già
molto caldo nonostante l’ora, illumina la piatta superficie del lago. Quando i
pesci abboccano, facciamo a turno per tirarli fuori dall’acqua e per mettere
delle nuove esche negli ami.
Complice
il cibo che siamo impegnati a mangiare, nessuno di noi due dice più una parola.
Ma anche adesso che abbiamo finito e abbiamo la pancia piena non facciamo alcun
tentativo di iniziare un discorso. Restiamo in silenzio.
Ho
la testa posata sulle ginocchia mentre guardo Gale: è steso sulla schiena e si
sorregge con i gomiti mentre tiene gli occhi chiusi, la pelle del viso baciata
dal sole. Come la mia, anche lui ha quel tipo di pelle che si scurisce subito
non appena il sole ci si posa sopra. Mi chiedo se sia un problema essere così
abbronzati quando, in teoria, la maggior parte del tempo la si trascorre
sottoterra, nelle miniere di carbone. Dove il sole non arriverebbe per sbaglio
nemmeno tra cinquecento anni.
Se
il Distretto avesse dei Pacificatori diversi da quelli che ci ritroviamo
sarebbe già in guai seri: è vietato cacciare, per di più quando per farlo sei
costretto a spingerti oltre il limite segnato dalla recinzione. Da noi però
tengono la bocca chiusa e fanno finta di niente: come la maggior parte dei
cittadini, bramano anche loro un po' di carne fresca.
Anche
io potrei essere nei guai se sapessero che mi trovo nel bel mezzo della foresta.
La mamma mi ha fatto capire benissimo che non sono più costretta a procacciare
cibo per me e per loro, ed anche se faccio di tutto per non fargli capire dov’è
che vado tutte le mattine, ho il sospetto che lo sappia. Mi conosce come le sue
tasche, ed immagino che certi comportamenti siano difficili da mascherare.
Come
se intuisse i miei pensieri, Gale inizia a parlare della mia famiglia.
-
Qualche volta ho guardato gli Hunger Games insieme a loro, per non farle stare
da sole. Un paio di volte è venuto anche Rory con me.
Rory
è uno dei fratellini di Gale ed ha più o meno l’età di Prim. Sapere che non
erano da sole ad affrontare quel supplizio mi conforta. – Non deve essere stato
facile per loro – mormoro.
-
Non è stato facile per nessuno – Gale si mette seduto con uno scatto e afferra
un’arancia. Se la rigira tra le mani. – Sai che al Forno avevano organizzato
una colletta per gli sponsor?
Scuoto
la testa. Non ne avevo idea. Da quando sono tornata non sono ancora stata al
Forno, ed in teoria non dovrei più avere un vero motivo per andarci. Quasi tutta
la selvaggina che prendo nei boschi la porto ad Hazelle, la mamma di Gale, e
quello che avanza lo do a Peeta, che è davvero un asso in cucina. Non ho più
bisogno di venderla o barattarla con chi frequenta il Forno.
-
Sae la Zozza e gli altri hanno avanzato l’idea, e poi il passaparola ha fatto
il resto. Hanno partecipato in tantissimi, anche quelli che si sono tenuti alla
larga da quel posto per tutta la loro vita. Sae mi ha detto che se ti azzardi a
ringraziarli ti bandiranno per sempre.
Sorrido.
Mi sembra quasi di vederli: i bizzarri venditori e frequentatori del Forno
riuniti tutti quanti insieme, mentre offrono i loro pochi averi per aiutarmi a
sopravvivere nell’arena.
-
Deve essergli costato molto… sacrificare quel poco che avevano per sopravvivere,
per darlo a me.
-
Beh, a te e a Peeta. La colletta era destinata ad entrambi.
Il
tono freddo con cui sputa fuori quest’ultima frase mi mette in allarme.
Continuo ad osservarlo mentre si alza e si avvicina alle canne, mentre prende i
pesci appena pescati e cambia gli ami.
Non
riesco a riconoscere in questo Gale scontroso e sfuggente il mio migliore
amico, quello che conosco da quattro anni e con cui ho trascorso innumerevoli
giornate come questa. Da quando ci conosciamo non ci siamo mai rivolti una
parola brusca, un commento pensato apposta per ferirci. Neanche nei primi
giorni della nostra amicizia, quando pensava che gli stessi rubando le prede
dalle trappole. Posso solo sospettare che è stato il vedermi negli Hunger Games
a trasformarlo nella persona che ho ora davanti.
-
Gale, devo parlarti di me e di Peeta – inizio, ma vengo bloccata ancora.
-
Non voglio sapere nulla di voi due.
Taccio,
stringendo le labbra tra i denti. Intreccio le dita delle mie mani e mi
circondo le ginocchia con le braccia, poggiandoci sopra il mento. Adesso non mi
va più di stare con lui. Voglio tornare a casa, mettere più distanza possibile
tra me e la sottospecie di uomo ombroso in cui si è trasformato il mio migliore
amico. Persino la prospettiva di andare a dare fastidio a Haymitch sembra
migliore di questa.
Sento
Gale prendere posto accanto a me, ma non lo guardo più. Ho lo sguardo fisso
davanti a me e faccio finta che non esista. Faccio finta di essere qui da sola
come tutte le altre volte. Sono brava ad ignorare le persone, e lui lo sa bene.
Sbuffa quando non riesce a catturare la mia attenzione.
-
Katniss… Katniss, guardami – mi prende il viso tra le mani e mi fa voltare
verso di lui. Mi scruta con i suoi occhi grigi, gli occhi del Giacimento. Sono
identici ai miei, identici alla metà della popolazione del Distretto 12.
Mi
osserva senza dire nulla ed io mi astengo dal chiedergli cosa stia cercando,
che cosa voglia. Il suo comportamento ed il suo umore ballerino mi fanno girare
la testa. Se vuole farmi capire qualcosa, beh, dovrebbe sforzarsi un po' di più
e provarci, perché così di certo non andiamo da nessuna parte.
E
lo fa, abbassando il viso verso il mio per catturare le mie labbra tra le sue.
Ed
improvvisamente capisco. Capisco il suo umore, il suo comportamento. La sua
avversione ogni volta che il nome di Peeta si è intromesso nei nostri discorsi.
È
geloso.
Gale
trasforma subito il contatto in un bacio esigente, un bacio in cui sembra
voglia riuscire a trasmettere tutto quello che sta provando. Poggio una mano
sulla sua, ancora sul mio viso, e rispondo al bacio.
Sento
il sapore dell’arancia sulle sue labbra, nella sua bocca. È così diverso dal
sapore di Peeta. Le labbra di Gale non sono morbide come le sue. Non sanno di
cannella.
Non
sono le labbra di Peeta.
Mi
irrigidisco di colpo, sorpresa, e mi ritraggo da Gale. Sono a corto di fiato.
La consapevolezza di ciò che ho appena scoperto, che ho ammesso a me stessa, agisce
con la stessa potenza di uno schiaffo in pieno viso. Non ho il coraggio di
aprire gli occhi e di incrociare quelli di Gale. Sento ancora la sua mano sul
volto, ma dopo pochi istanti il contatto svanisce.
Qualcosa
si posa sulla mia fronte. Un piccolo bacio.
-
Dovevo farlo. Almeno una volta – è un sussurro così flebile che riesce
ad arrivare alle mie orecchie solo perché si trova così vicino a me. Sento il
rumore di erba calpestata, i suoi passi che diventano sempre più rapidi, poi
più nulla.
Quando
trovo finalmente il coraggio di aprire gli occhi, di Gale non vi è più nessuna
traccia.
Ci
metto un po' a riprendermi.
Appena
ho l’impressione di avere la mente più sgombra rispetto a prima inizio a
raccogliere i resti della nostra colazione. Rimetto nella bisaccia quello che è
avanzato e i due thermos, lasciando sul terreno tutto il resto. Tolgo le canne
da pesca dall’acqua e noto i pesci, il bottino della mattinata. Gale non ne ha
preso neanche uno. Metto anche quelli nella bisaccia e comincio a camminare.
Il
mio passo è lento ma non voglio velocizzare l’andatura. Potrei approfittarne
per provare a prendere qualcosa con le mie frecce, ma scopro di non averne
alcuna voglia. L’euforia che avevo appena scesa dal letto è completamente
svanita.
Non
voglio pensare a quello che è accaduto ma mi costringo a farlo: è inutile cercare
di far finta che nulla di tutto questo sia accaduto. Il bacio di Gale mi ha
aperto gli occhi, occhi che fino a mezz’ora fa erano, a quanto pare, avvolti da
una patina che mi impediva di vedere le cose per quello che sono. Passo le dita
sulle mie labbra, come se sentissi ancora su di esse l’impronta di quelle di
Gale.
Le
labbra di Gale… le labbra di Gale sono state il colpo di grazia. Il suo bacio è
stato così inaspettato, ma se ci penso, è stato anche altrettanto necessario.
Se non fosse stato per lui ci avrei messo il doppio del tempo per capire quello
che mi sta succedendo.
Non
so come gestire questa nuova consapevolezza.
Decido
di non passare a controllare le trappole perché so che Gale lo ha fatto durante
il suo passaggio. Mi affretto quindi a posare le mie armi ed a percorrere
l’ultimo tratto che mi separa dalla recinzione.
Non
passo alla vecchia casa per cambiarmi gli abiti, non è necessario a questo
punto. Ho così tanti completi nuovi nell’armadio che posso anche permettermi di
perderne uno al Giacimento. Perdere, poi, è una parola grossa. Domani lo
troverò ancora sulla sedia dove l’ho lasciato stamattina.
Attraverso
il Distretto a passo svelto e a testa bassa, ma per fortuna e per una volta
nessuno sembra far caso a me. Così ci metto poco a raggiungere il Villaggio dei
Vincitori. Forse la fortuna continuerà ad assistermi e mi farà raggiungere casa
non vista.
Capisco
che i miei piani vanno a farsi benedire quando vedo Peeta seduto sui gradini
d’ingresso della sua casa, intento a tracciare qualcosa su un blocco da disegno.
Le mie guance vanno a fuoco e me ne vergogno, perché questa reazione alla sua
sola vista non fa altro che confermare la mia teoria.
Sto
cominciando a provare qualcosa per il ragazzo del pane.
Rallento
il passo mentre mi avvicino alla sua abitazione, che si trova proprio accanto a
quella di Haymitch. La mia è la successiva. Siamo vicini di casa in tutti i
sensi: dalla finestra della mia camera riesco a vedere il suo soggiorno.
Ma
davvero, Katniss?
Metto
male un piede ed inciampo, riuscendo per un pelo a ritrovare l’equilibrio che
mi evita una caduta sulla ghiaia. Il mio spettacolino ha attirato l’attenzione
di Peeta, che ha sollevato gli occhi dal blocco e ride della mia goffaggine.
-
Inciampare non dovrebbe essere una mia esclusiva? – mi domanda divertito.
-
Forse non mi hanno aggiustato bene l’orecchio – borbotto. Mi avvicino a lui e
poggio le braccia sulla ringhiera delle scale.
È
questo che facciamo ultimamente: ci prendiamo in giro a vicenda. Sembriamo dei
bambini dispettosi, sempre pronti a punzecchiarsi.
Poteva
essere un segnale capace di spiegare il fatto che qualcosa stia mutando tra di
noi?
Oh,
cervello, dammi tregua!
-
Sei già di ritorno… mattinata fiacca? – mi chiede Peeta. Nel giro di un secondo
il suo sguardo si incupisce. – Che succede?
Haymitch
deve avere proprio ragione: il mio viso è un libro aperto, dove chiunque è in
grado di leggere tutto quel che mi passa per la mente. Anche Peeta sembra
capace di farlo. Che senso ha cercare di tenere tutto nascosto se, prima o poi,
uscirà comunque fuori?
-
Gale mi ha… noi ci siamo baciati – la frase, che ha appena preso forma nella
mia mente, viene subito sputata fuori dalle mie labbra. Detta in questo modo sembra
brusca e ancora più sgraziata del previsto, e questo lo devo solo alla mia
indelicatezza.
Il
viso di Peeta si indurisce subito ed io vorrei solo potermi prendere a pesci in
faccia. È turbato e ferito, e sono stata io a farlo stare male. – Perché me lo
stai dicendo?
Già,
perché? Eppure, la risposta la conosco.
-
Perché non lo volevo. Non è… quello che voglio – ammetto, sia a lui che a me
stessa. Dirlo, però, mi fa sentire un po' più leggera.
I
lineamenti del suo viso, da tesi com’erano, diventano più rilassati. Forse non
si aspettava questa risposta, forse ne aveva immaginata un’altra. O forse
ancora si aspettava questo genere di risposta da parte mia, ma con parole
diverse. Più immediate e comprensibili, non criptiche come quelle che ho usato
io. Qualunque sia il ragionamento che sta facendo nella sua mente, non me lo
dirà mai.
Mi
tende la mano e capisco che non è arrabbiato, anzi, sembra sollevato. La stringo
e, titubante, lo raggiungo sui gradini per sedermi al suo fianco. La mia testa
va subito a poggiarsi sulla sua spalla mentre mi cinge la schiena con un
braccio, la mano ferma sulla mia vita.
-
Ed ecco che le
acque iniziano a smuoversi.
Se siete arrivati
fino a qui: bentornati! Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
La ragione più
importante che mi ha spinta a scrivere questa storia – e questo capitolo – è stata
il voler sapere cosa sarebbe successo se la Collins non avesse lasciato
raffreddare l’amicizia tra Peeta e Katniss fino al fatidico Tour della Vittoria.
Ma forse lo avevate già capito, arrivati a questo punto! Non serve che lo
ripeta *che scema che sono*
Al di là delle ovvietà,
ho immaginato come sviluppare il tutto e una delle prime cose è stata
riprendere la famosa scena del bacio tra Katniss e Gale, rendendo la nostra tonta
eroina abbastanza sveglia
consapevole di ciò che prova, e per chi. Molto
probabilmente non sarà la Katniss che abbiamo conosciuto nei
libri, è
impossibile caratterizzarla nello stesso modo e con lo stesso intento
della sua
creatrice. Non mi permetterei mai una tale presunzione! E poi, immagino
che trascorrere più tempo con Peeta possa renderla
meno scorbutica e meno sulle sue, come se avesse un palo in culo fosse
in guerra contro il mondo e con se stessa in particolare. Staremo a vedere!
Vi ringrazio ancora
per tutto e… al prossimo capitolo!
Ciao!