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Autore: Master Chopper    09/06/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 17: Bluff

Dopo il pareggio tra divinità ed umani, serviva obbligatoriamente che qualcuno prevalesse: lo stallo, la tensione, l’attesa, era tutto insostenibile ora che la battaglia si spingeva verso la metà degli scontri previsti.

Ladies and gentlemen! Siamo tutti qui per sapere …” Sbraitò Adramelch, venendo seguito dal suo collega St.Peter: “… chi si porterà in vantaggio?!”

Un boato da ambedue i lati degli spalti rispose, agitando pugni ed ululando all’aria. L’eccitazione era alle stelle, e l’atmosfera vibrava come se il cielo si stesse preparando ad una tempesta.

“E allora non aspettiamo ancora! Conosciamo, piuttosto, chi rappresenterà l’umanità stavolta… !”

L’arena stavolta aveva le sembianze di una piazza popolare, con al centro una piccola fontana, e delimitata da piccole casupole appena sotto le prime file degli spalti. Alberi e fiori decoravano degli spazi verdi in quell’ambiente pietroso e grigio, probabilmente ripreso da una città realmente esistita.

 

“Proprio come i due precedenti sfidanti umani, questa donna ha una storia oscura, macchiata di sangue… e proprio come Josef Mengele, anche lei ha ottenuto il soprannome di angelo… sì, l’Angelo dell’Assassinio !”

Fece il suo ingresso con naturalezza, senza cerimonie o effetti speciali.

La ragazza, vestita con un lungo abito blu a righine bianche, camminò aggraziatamente, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi e dal fruscio della gonna a strascico.

“Durante la Rivoluzione francese era una criminale… durante l’Impero Napoleonico un’eroina !”

Portava un cappello blu con al di sotto un velo bianco, capace di incorniciarle pochi boccoli castani lungo il suo bel viso, perlaceo e innocente come quello di una bambola. Gli occhi grandi e gentili erano assottigliati per assecondare il sorriso benevolo.

“Fatto sta che, dopo quell’omicidio a Parigi, la storia sarebbe cambiata per sempre. Che ironia… la storia di un popolo cambiata da una pugnalata, come successe con l’assassinio di Cesare. Il nome di questa donna è…”

In completa, assurda, contrapposizione con quel suo aspetto del tutto normale, c’era un coltello. Un oggetto comune in cucina, ma quanto mai azzardato in quella situazione, soprattutto perché la ragazza lo stringeva senza troppo sforzo tra le mani, lasciandolo sfiorare appena con la lama quella gonna che rimbalzava ad ogni passo.

Infine si fermò, e resasi conto di essere sotto gli occhi di tutto quel pubblico, ringraziò dell’attenzione con un elegante inchino.

“Charlotte Corday !!”

 

Parte della folla umana rimase senza parole di fronte ad una tale bellezza. Per la prima volta era scesa in campo una figura quasi angelica, in completa opposizione contro i bruti, muscolosi o eccentrici uomini che avevano fatto la storia.

“E quella bella pupa sarebbe un’assassina ?!” Fischiò qualcuno, causando risate in cenno di approvazione e altri ululati perversi.

“Silenzio, razza di villici senza pudore !” Aveva urlato un uomo in parrucca bianca, dal viso terribile: “Quella donna è solo una bieca terrorista che ha minato la pace della grande Rivoluzione!” Si trattava di Maximilien-de-Robespierre, il fautore del Grande Terrore.

“Per l’amor del cielo, se penso che avrebbe potuto colpire noi, al posto di quell’omuncolo…” Si sventolava intanto un uomo corpulento, ma anch’esso con la parrucca: Georges-Jaques Danton, altro capo rivoluzionario.

“Oh! Pover’uomo! Oh! Pover’uomo!” Piangeva un terzo, con il volto nascosto tra le mani. Dopo aver fatto quella scenata, non appena si accorse che più nessuno lo stava guardando, il suo sguardo divenne freddo come il ghiaccio: “Oh… poco male.” E tornò a guardare la donna che ora camminava davanti a tutti.

Sollevò un pennello ed una tela, e ora con due occhi famelici si disse: “Sei tu, dunque! Finalmente ti mostri a me, per farti ritrarre in tutta la tua bellezza!” Si trattava del pittore Jacques-Louis David, celebre per aver ritratto l’assassinio più famoso della storia della rivoluzione, ma non l’assassina.

Al di sopra di tutti loro, una donna seduta comodamente su di un letto di veli e cuscini, rideva graziosamente con il mignolo piegato davanti alla bocca. Servi e paggetti le facevano aria con giganteschi ventagli di piume di pavone.

“Che adorabile fanciulla!” Trillò la regina Marie Antoinette, adornata da rose  bianche, “Mi piace la moda da campagnola rivisitata, è così mignonne.”

Nel frattempo gli dèi non prendevano affatto in considerazione i signori della Rivoluzione, o la Delfina di Francia, bensì storcevano il naso guardando un’altra schiera di individui, più in disparte tra le fila umane.

“Non ci credo… un’altra volta hanno scelto per gli umani uno sporco criminale.”

Infatti puntavano proprio un quartetto di persone dalle quali tutti gli altri esseri umani si erano preventivamente allontanati.

“Nessuno può capire… no, loro non possono capire.” Ripeteva un uomo occhialuto, con la testa abbassata e raccolta tra le ginocchia. “Non possono capire cosa vuol dire trovarsi davanti un corpo morto… e volerne altri, e altri, e altri e altri e…”

“Ma nel caso di quella lì ha ucciso una sola persona!” Strillò una donna bionda, abbracciata ad un uomo circa della sua età. Lui annuì, per poi scoppiare a ridere: “E va benissimo così! Non siamo certo noi a dover giudicare cosa è giusto o sbagliato fare… noi, della peggior specie!”

A rispondere ai serial killer cannibale Jeffrey Dahmer, ed ai due assassini delle brughiere, Ian Brady e Myra Hindley, fu un uomo dal viso truce ed incupito.

“Gente buona o gente cattiva. Chi ha ucciso tanti, e chi ha ucciso uno. Ciò che importa è che quella donna abbia provato la sensazione… la madre di tutte le soddisfazioni: osservare l’ultimo respiro di una persona alla quale hai appena tolto la vita! Non c’è niente di meglio al mondo.” Ted Bundy aveva gli occhi spiritati, come se stesse vivendo un’estasi. 

Loro erano la feccia dell’umanità. Loro avevano ucciso uomini, donne, bambini ed anziani nei peggiori dei modi e poi ne avevano anche brutalizzato i resti. Loro erano i killer.

Ma Charlotte Corday, killer anch’ella, non mostrava alcuna somiglianza con loro.

Lei sorrideva, guardando il portale opposto a quello da dove era entrata. Non c’era nessuno tra la folla a distrarla, nemmeno un caro a cui rivolgersi per farsi incoraggiare in quel momento così speciale.

 

“E ora lasciamo entrare lo sfidante… dalle fila degli dèi!”

Il portone si spalancò, lasciando che una folata di vento raggiungesse l’arena. Non ci volle molto però, affinché quella brezza diventasse una corrente fortissima. Gli spalti ne vennero investiti, ma prima tra tutti proprio Charlotte fu costretta ad abbassarsi la gonna con un gridolino, e a tenersi il cappello in testa.

“Sarà lui a porre fine all’umanità, com’era da principio il suo compito?!”

Una figura saettò nel cielo come un proiettile, ma improvvisamente si fermò a mezz’aria con braccia e gambe spalancate. Aveva l’aspetto di un bambino, e come tale sprizzava energia da tutti i pori, soprattutto dal suo sorriso a trentadue denti bianchissimi e zannuti.

“La divinità più conosciuta, sin da tempi immemori, nella landa selvaggia e spietata che fu il Mesoamerica!”

Indossava un’armatura di pietra rossa a forma di scaglie, con un gonnellino di piume blu, gialle bianche e nere, mentre sui suoi polsini e sulle sue ginocchiere erano verdi. Invece, il capo era adornato da una specie di corona in legno, con una criniera di piume anch’esse verdi. La sua pelle era scura, però i suoi occhi gialli, da rettile, brillavano come due stelle.

“Dal fascino inconfondibile! Il serpente piumato bello come la giada… libero come il vento… splendente come il sole dell’alba…”

E nel momento in cui si posò per terra, leggero come una piuma, tutto il vento si unì in una colonna d’aria che esplose verso il cielo, perforando le nuvole. Con la luce del sole più puro che ora illuminava perfettamente la figura di quel ragazzino come un riflettore, chiunque rimase a bocca aperta per la meraviglia.

“Quetzalcoatl !!”

Le divinità scoppiarono in un boato di ammirazione e meraviglia, siccome mai una delle loro avanguardie aveva fatto un’entrata in scena così magnificente.

“Il quinto scontro del Ragnarok, tra questi due sfidanti quanto più diversi… inizierà adesso!”

 

La folla degli dèi era ora in fermento per l’apparizione della loro avanguardia. In particolare, un dio dalla pelle nera come il carbone e con un mantello di pelle di giaguaro aveva un ghigno trionfante in volto e se la rideva in continuazione. La sua risata crebbe, crebbe e crebbe, fin quando non era diventata qualcosa di fastidiosissimo per gli dèi circostanti.

“Ehi, ma insomma! Si può sapere che ti prende? Sei forse impazzito?”

A quella domanda il dio Tezcatlipōca si rilassò finalmente sul suo seggio, ridendo più sommessamente.

“Io… io credo proprio che questa sia l’occasione giusta per far brillare ancora una volta quel bastardo. Già… quel maledetto genio bastardo.”

“Genio?” Ripeterono gli altri, non comprendendolo. Allora il dio, considerato la stella nera del pantheon mesoamericano, iniziò a raccontare.

 

In una terra amorfa, paludosa e sulla quale aleggiavano nebbie mefitiche, l’origine dei tempi era la cosa più interessante che fosse successa.

Lui, Tezcatlipōca, era stato mandato ad indagare sul perché qualsiasi cosa gli dèi creassero venisse distrutta brutalmente.

 E, proprio mentre con la sua barca solcava lentamente quel lago, la minaccia lo raggiunse. Si erse dai flutti un coccodrillo antropomorfo, ma con lunghi capelli di donna e centinaia di mostruose bocche sparpagliate ovunque. Cipactili, questo il nome della bestia distruttrice, ruggì famelica.

“Sciocco dio! Pensavi di porre fine al mio banchetto?!” E si avventò su di lui, spezzando parte della barca tra le sue mascelle.

Il dio avrebbe potuto anche contrattaccare, se quell’attacco a sorpresa non l’avesse colto disarmato, rendendolo quindi impotente. E proprio quando la paura non sembrava abbastanza, realizzò che con il suo morso Cipactili gli aveva strappato via anche il piede destro.

Urlò selvaggiamente dal dolore, mentre la barca iniziava ad affondare e le acque putride lo raggiungevano, per inglobarlo definitivamente nel regno, e nel pasto, della bestia. Ma proprio quando ogni speranza sembrava aver abbandonato lui, prode e coraggioso dio guerriero, la sua morte venne rinviata: tra gli occhi serrati dalla paura, percepì solo qualcosa di potente schiacciarsi davanti a sé, come una pressione mastodontica.

Un istante dopo rinsavì, rendendosi conto di quanto fosse successo. Il paesaggio di fronte a lui era cambiato: ora nell’acqua si era spalancata una voragine, grande quanto un’isola, schiacciando verso una profondità insondabile qualsiasi cosa vi si trovasse, compreso quindi Cipactili. Gocce di sangue, frammenti di ossa e organi, ridotti appena in particelle, rimasero sospesi in aria per poi venir anch’essi trascinati nel vuoto.

Anche Tezcatlipōca a quel punto sarebbe sprofondato, assieme al suo relitto, in quel baratro, ma una mano lo sostenne in volo.

Sollevò lo sguardo verso il cielo, e lì trovò proprio il dio di quel reame celeste: poco più di un bambino, dall’aspetto. Non sembrava per niente una divinità, così senza fronzoli né ornamenti, ma solo un bimbo con capelli verdi morbidi come la peluria di un pulcino e due occhi spalancati sul mondo, che lo fissavano senza però parlare.

Quetzalcoatl, detto il serpente piumato, gli aveva appena salvato la vita nonostante fosse il più piccolo degli dèi del suo pantheon.

 

“Ecco perché dico che quel moccioso è un mostro.” Ridendo ancor di più, il dio sollevò la gamba per mettere in mostra il moncherino al posto del piede. Sulla caviglia fece notare che era stato legato un nastro, terminante con un ninnolo a forma proprio di serpente piumato.

“Ma è molto talentuoso e potente! Questo scontro potrebbe durare una manciata di secondi…”

Intanto, in un angolo più inosservato delle tribune, il trio di dèi disertori stava confabulando.

“Hai sentito quello che si dice su Quetz?” Chiese Fobetorre al dio misterioso, che annuì senza però scomporsi.

“E allora?” Insistette il dio degli incubi, sconcertato dal non notare alcuna reazione. “Credi che Charlotte gli darà filo da torcere in combattimento? Quello è più forte di Prometheus ed Enkidu messi insieme, mentre a livello di magia rivaleggia con Baphomet e Sun Wukong. A meno che lei non sia più forte di Vlad e Masutatsu…” Ma venne interrotto proprio dal suo interlocutore.

“Niente affatto. Charlotte non ha speranze, potrebbe venir polverizzata in meno di una frazione di secondo.”

Ammit e Fobetore sgranarono gli occhi, allibiti: “M-Ma allora…?”

“Questo però… !” Intervenne prontamente il dio misterioso, sollevando l’indice “… se dovessero scendere in combattimento. In caso contrario, credo proprio che la vittoria sia assai facile da conquistare.”

Nonostante quei due non riuscissero a comprendere il significato di tali parole, vennero presto distratti da un suono inconfondibile: la tromba d’inizio era stata suonata.

“ED È COSÌ CHE IL RAGNAROK HA INIZIO !”

 

L’attenzione fu istantaneamente catturata dai due combattenti.

Cosa avrebbero fatto? Quale sarebbe stata la loro prima mossa? Con quale strategia sarebbero giunti alla vittoria?

Quetz agì per primo: parlò.

“Ehm… scusa, signorina? Io sono venuto qui per lo scontro, ma non c’è quello con cui mi devo battere. Tu sai per caso dove devo andare? Pensavo fosse questa l’arena, ed è pure iniziata la battaglia …”

Quel tono implorante e confuso fu l’unica cosa che risuonò nello stadio, echeggiando nelle menti di dèi e umani di tutto il mondo e di tutti i tempi. Nel silenzio più incredibile che mai ci si sarebbe aspettato, per la prima volta nessuno sapeva cosa dire.

Durò appena un attimo, perché subito dopo Tezcatlipōca urlò dagli spalti: “Razza di idiota! È lei la tua sfidante!”

E, seguendolo, tutti gli altri dèi iniziarono a prendere a mali parole il dio, insultandolo per la sua lentezza mentale e poca perspicacia. Assordato da quel frastuono, Quetzalcoatl si tappò le orecchie con una smorfia infastidita.

“Ma che cavolo avete da urlare?! Eh? Ah, ciao Tezcatlipōca!” Salutò allegramente il suo amico, ricevendo in risposta solo altri insulti che però non riuscì a sentire.

Quando il bambino però spostò lo sguardo sulla persona con cui stava parlando prima, la ritrovò improvvisamente avvicinata ad un palmo di naso da lui. Nella sua completa distrazione, lei aveva azzerato la distanza che li separava.

“Certo.” Charlotte lo degnò del più gentile dei sorrisi. “Ti posso aiutare io, se ti va.”

 

“Uccidilo! Uccidilo ora che è distratto, quel cretino!” La incitarono gli umani, fischiando e perdendosi nei più selvaggi e svergognati versi, ebbri di una vittoria così facile.

“Che aspetti?! Che aspetti?! Fallo a pezzi!” Ringhiavano anche i serial killer, senza alcuna pietà verso l’imbranato dio.

Ma la francese, che a differenza dell’altro sentiva eccome i richiami dei suoi tifosi, si portò un dito alla bocca e si corrucciò in una smorfia contrariata.

“Cosa?!” Borbottò tra sé e sé.

“Ucciderlo? Non ucciderei mai un bambino.” Disse, mentre con un lampo di frenesia pura si era lanciata sul suo bersaglio, brandendo il coltello con entrambe le mani per affondarlo nella sua testa indifesa.

Gli spettatori trattennero il respiro, sorpresi da quell’imprevedibile scatto, come un raptus di follia.

E durante il tempo di quel breve, ma interminabile sussulto, esplose un boato.

Qualcosa, più veloce di un proiettile, slittò al fianco del viso di Charlotte. Le dipinse una scia di sangue sulla guancia, proprio al di sotto di uno dei suoi occhi, apatici e privi di luce, così come di qualsiasi stupore persino in una situazione tanto inconcepibile.

Il suo stesso coltello era stato respinto, volando all’indietro: fu quanto le bastò capire, per immobilizzarsi, diventando gelida sia nel corpo che nel sangue. La lama cadde a terra alle sue spalle, interrompendo così il silenzio con un fragore che rimbombò nell’aria.

“L-L-Ladies and gentlemen…” I due presentatori deglutirono a vuoto, sconvolti quanto il pubblico.

“Persino per noi è difficile decretare cosa sia successo! Charlotte h-ha… e Quetzalcoatl ha…! Unbelievable !”

Riprendendosi dalla sorpresa, gli dèi scoppiarono all’unisono in una grande risata isterica, forse più per il sollievo che per qualche altro motivo.

La voce di Tezcatlipōca si levò di nuovo tra la folla, e stavolta il dio si erse in piedi per parlare direttamente al suo amico: “Ehi, Quetz! Fagliela pagare! Ora dovresti aver capito che la devi uccidere, no ?”

Ma il dio ricoperto di piume semplicemente si voltò verso di lui, e con voce naturale ribatté: “Ma che dici, Tezcatlipōca? Questa signorina ha detto che mi aiuterà a raggiungere lo scontro! Sarai forse scemo?!”

-Da che pulpito!- Fu il pensiero univoco di dèi ed umani, entrambi abbastanza sconcertati, anche se i primi reagirono con la stessa irritazione ed indignazione di prima, riprendendo ad urlare improperi vari.

 

Al contempo, Ammit e Fobetore erano sbalorditi dai recenti avvenimenti quanto gli altri, tuttavia si accorsero che il loro collega non mostrava lo stesso sconcerto. Al contrario, sorrideva e ridacchiava come suo solito, cosa al quanto sinistra.

“Ma è davvero… davvero stupido.” Realizzò Ammit.

“E non solo.” Il dio misterioso lo guardò, mostrandosi sogghignante: “è anche merito della Sefirot donata a Charlotte Corday… ovvero Chesed, la Benevolenza.”

“E cosa farebbe? Non sembra avere poteri magici, o d’attacco.” Intervenne Fobetore, indicando il coltello che era stato respinto.

“No, infatti, ma trasforma in arma una dote predominante in Charlotte: il modo in cui cela l’istinto omicida al bersaglio del suo assassinio. Con questo potere, lei potrà attaccare Quetzalcoatl tutte le volte che vorrà, senza mai far trasparire le sue reali intenzioni.”

Il dio degli incubi ammise la sua sorpresa, sapendo che ciò avrebbe fatto piacere al collega. “Però… perché l’attacco non è andato a buon fine ?”

“Questo …” Mostrando così un attimo di tentennamento, il dio misterioso si morse l’unghia del pollice, rabbuiandosi in viso “Questo temo potrebbe essere un bel problema.”

 

“Signorina, è inciampata ?” Domandò serenamente Quetzalcoatl, avvicinandosi alla ragazza che aveva appena cercato di ucciderlo. Lei, impercettibilmente si era già asciugata dalla stilla di sangue sulla sua guancia candida. Tuttavia, proprio quella guancia era diventata improvvisamente rossa.

“Ehm, oh cielo! Che imbarazzo, sì!” Arrossita per la vergogna, indietreggiò nascondendosi il volto tra le mani.

“No, dai! Non c’è alcun problema.” Assalito dai sensi di colpa, anche a causa della sua inesistente esperienza con l’altro sesso, il dio non seppe proprio cosa fare.

D’altro canto, mentre lui esitava, non poteva proprio immaginare che il viso nascosto di Charlotte fosse in quel momento corrucciato per escogitare la prossima mossa.

“Il mio… coltello.” Domandò flebilmente lei, distraendosi dall’imbarazzo. Finse di guardarsi attorno, ma il dio, coraggiosamente, glielo indicò per terra. “È lì, signorina! Vado a prender-”

“No, no. Vado io, non ti scomodare, per favore !” Lo interruppe l’altra, arrossendo ancor più forte. Il dio si tenne in disparte per non far aumentare i sensi di colpa.

 A quel punto, tra la tensione crescente nell’aria ed i sussulti sospesi della folla, lei si voltò ed andò a recuperare la sua arma.

“Sei una cuoca, signorina ?”

A quella domanda, come un lampo di luce, qualcosa balenò nella mente di Charlotte.

 

Vide quel coltello nelle mani di qualcun altro che glielo stava porgendo.

“Con questo taglierà anche la carne più ostinata, mademoiselle!”

Sorrise, inspirando a pieni polmoni. Le sembrò quasi di rivivere quella Parigi, immaginandosi carri e carrozze, distinti signori e dame che passeggiavano tra i boulevard fioriti in quell’estate.

Ed il sangue sulle strade…

Rinsavì appena in tempo, ora con il coltello tra le mani: “Sì, mi piace molto cucinare. Al monastero in cui venni cresciuta da piccola insegnarono a me e alle mie sorelle come farlo… così poi, quando venne chiuso, mi occupai della mia anziana zia cucinando per lei.”

Parlava ispirando tranquillità e amorevolezza, ma intanto si avvicinava ad un ignaro Quetzalcoatl, come un ragno che ammira la sua preziosa ed intrappolata preda in un gioco di riflessi argentei sulla ragnatela. Il riflesso argenteo sul coltello aveva le sembianze di un sorriso tanto gentile, quanto diabolico.

Fu un imprevisto, una casualità: forse era inciampata di nuovo, o il vento le aveva strappato il cappello dalla testa, fatto sta che quell’elegante copricapo d’altri tempi cadde in avanti.

Si ritrovò esattamente davanti al volto del dio, oscurando qualsiasi sua percezione per un istante. E quell’istante, in realtà Charlotte l’aveva premeditato ed atteso con precisione chirurgica.

-Oiseau de Proie !-

Si lanciò in avanti, turbinando con il coltello in una raffica di fendenti che tracciarono nell’aria un tornado di fugaci bagliori.

 

“Un altro attacco a sorpresa! Non c’è davvero tregua alla perfidia di Charlotte Corday!” Strillarono i presentatori, seguiti dalle acclamazioni della folla umana.

Fobetore ed Ammit guardarono allora il dio misterioso con uno sguardo più condiscendente: “Ecco cosa intendevi.”

“Sì, ma…!” Stavolta l’altro si morse l’unghia con così tanta forza da spezzarsela, sollevando uno spruzzo di sangue che gli macchiò la faccia. “…ma così è un cane che si rincorre la coda !”

Tutta quella rabbia e frustrazione parve immotivata, ma quando gli altri guardarono di nuovo l’arena si resero conto di cosa intendesse dire.

 

“Ma… ma…” Adramelech e St.Peter, con il fiato sospeso, tentennavano al posto di parlare. Infine, esplosero in un urlo: “Ma anche stavolta l’attacco non ha effetto !”

Infatti, sul campo di battaglia, Quetzalcoatl era rimasto immobile e, più sorprendentemente, incolume. Aveva solo sollevato una mano, stringendo per un lembo il cappello di Charlotte.

La ragazza, giunta alle sue spalle, si voltò con una goccia di sudore che le percorreva la tempia. Cercando a tutti i costi di placare il suo nervosismo, non riuscì a trattenere un brivido gelido quando vide l’espressione calma del dio che ora le porgeva il suo stesso copricapo.

“Signorina …” La sua voce piatta ed inespressiva la schiacciò al suolo. “Devi stare più attenta a correre con un coltello in mano.” Le fece notare un minuscolo taglio sul cappello, al che Charlotte ebbe ancor di più da trasalire.

-È riuscito non solo ad evitare tutti i miei attacchi… ma si è anche preso la briga di difendere il cappello! Quanto può essere veloce ?!-

Sentiva il cuore palpitare direttamente nella gola, ma l’assenza di qualsiasi cosa che seguì la aiutò a calmarsi. Non c’era davvero nessun pericolo, e se ne accorse solo quando tornò a pensare a mente fredda.

Forzò il sorriso più convincente che potesse: “Sì …”

-Se avesse voluto uccidermi l’avrebbe già fatto.-

Similmente, la domanda che tutti si ponevano era proprio:

-Ma Quetzalcoatl lo sa o no che deve ucciderla ?-

 

“Perché mai dovrebbe perdere tempo?! Quell’idiota sicuramente non ha capito nulla !” Sbraitò Robespierre, tirando una steccata con il suo bastone ad un essere umano lì vicino. Tuttavia, il colpo venne intercettato da una mano.

Era stato un uomo grande e grosso, dalla carnagione scura attraversata da pitture rituali, e con un gonnellino di foglie. Quel guerriero azteco pietrificò l’uomo più temuto durante la Rivoluzione con un’occhiata da far gelare il sangue.

“Tu! Tu… non hai idea di cosa è capace Quetzalcoatl, lui… che un tempo distrusse tutto il genere umano.”

E mentre quelle parole terrorizzarono chiunque le avesse ascoltate, nell’angolo dei serial killer qualcuno aveva una propria teoria.

“Il fato sta giocando con Charlotte …” Ipotizzò Ted Bundy. “È una guerra psicologica atta a schiacciare lei, e tutti noi, nella paura. Sappiamo che quel dio potrebbe ucciderla in un sol colpo, ma solo se gli andasse a genio… quindi, che lui lo sappia o meno che dovrà eliminarla, l’attesa ci torturerà fino alla risposta definitiva.” 

Come pedine sulla scacchiera degli dèi, quei piccoli e poveri umani ora vivevano nel terrore di andare incontro alla verità.

 

Charlotte, più consapevole di tutti, avanzò coraggiosamente verso il proprio avversario.

“Ti ringrazio.” Tese la mano in avanti e recuperò il suo cappello, adagiandoselo sulla testa.

“Oh, ma… mi è caduto di nuovo il coltello !”

“È impossibile che ci caschi di nuovo !” Strillarono all’unisono sia dèi che umani, colti alla sprovvista da quel momento così anticlimatico.

“Oh, davvero?! Mi dispiace, aspetta che lo cerco…” Mormorò il dio, girandosi ed offrendo le spalle alla ragazza.

“Ma è assurdo !” Nuovamente ci fu un grido unanime degli spettatori.

La ragazza francese ora aveva davanti a sé il dio, curvato e completamente scoperto. La loro vicinanza avrebbe reso impossibile schivare qualsiasi attacco.

Sì, ma come avrebbe attaccato, se non aveva il coltello? A questa domanda impellente, Charlotte era più che lieta di sorprendere chiunque con l’ennesima strategia.

Il coltello che le “era caduto chissà dove”, in realtà lo aveva tra le mani un secondo prima, ma nell’istante in cui si era ritrovata tra le mani il cappello, lo aveva nascosto al suo interno. Approfittando di quella distrazione capace di ingannare sia gli spettatori che il dio, ora aveva un’arma nascosta proprio sulla testa.

- Adieu …-

Affondò la lama verso il collo di Quetzalcoatl. Un collo che, contro ogni previsione, si era  girato.

“Signorina, scusa, ma non lo aveva in mano un secondo fa il coltello ?”

Lo stallo più incredibile della storia.

Charlotte si era pietrificata come una statua, rispecchiandosi negli occhi del dio che ora erano spalancati a pochi millimetri da lei. Lui si era voltato con un tempismo più che perfetto, lasciando che il coltello affondasse nel vuoto e fuori dal suo campo visivo. Ora infatti la mano di Charlotte era dietro la testa di Quetzalcoatl, con ancora il coltello serrato in pugno: lui non poteva vederlo, e lei non poteva muoversi.

Eppure lei si mosse, lasciando cadere l’arma.

“Oh, eccolo !” Improvvisando nella disperazione più totale, fu sorpresa di vedere la reazione sorpresa del dio quando sentì il suono del coltello che rimbalzava per terra.

Distraendosi così da quanto aveva detto un attimo prima, lui si chinò di nuovo per raccoglierlo.

Una distrazione che non si sarebbe dovuto permettere. Lo sbaglio più fatale che avrebbe potuto commettere.

 

“Charlotte ha… ha…” Persino ai presentatori morì la voce in gola, stupefatti da quanto stavano vedendo.

Charlotte Corday, sfidando ogni sciocca previsione ed assunzione illogica, in quel momento stava brandendo un altro coltello. Quell’arma in più che le avrebbe garantito la vittoria, e che ora sollevava sopra il suo inerme bersaglio.

Tuttavia si fermò. Esitò. E, nuovamente contro ogni aspettativa, lo nascose.

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Bentornati! Questo quinto scontro, come potete aver ben capito, è tra uno degli dèi più forti e l’umano più debole di tutte le avanguardie. Già, non volevo fare una battaglia convenzionale o alla pari, per quelle ci sarà tempo: piuttosto volevo creare una sfida in cui il più debole cerca di prevalere su di un avversario che potrebbe spazzarlo via con il minimo sforzo.

L’attacco di Charlotte Oiseau de Proie, che in francese significa uccello predatore, è una citazione ad uno dei brani che mi hanno ispirato in questa battaglia: “Oiseaux de Proie” della band post-rock francese Alcest. L’altra canzone, diciamo theme song, è “I’m Alive” degli Shinedown.

Bene, a domani con il proseguo!

   
 
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