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Autore: Carme93    10/06/2020    3 recensioni
Mara è un'adolescente come molte altre: insicura ma fintamente spavalda e odia il latino e la scuola.
Mara ha una famiglia allargata, una matrigna che proprio non sopporta e delle migliori amiche che non la considerano abbastanza.
Mara è logorata dalla gelosia e trova rifugio nell'alcool, almeno finché qualcuno non si fermerà ad ascoltarla.
[Questa storia si è classificata prima al contest "This is our place, we make the rules" indetto da mystery_koopa sul forum di EFP ed è vincitrice del Premio "Lover" per il miglior utilizzo del pacchetto; inoltre partecipa alla challenge "Slot Machine" indetta da Juriaka sul forum di EFP].
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di un anno scolastico'
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[Questa storia si è classificata prima al contest "This is our place, we make the rules" indetto da Mystery_Koopa sul forum di EFP ed è vincitrice del Premio "Lover" per il miglior utilizzo del pacchetto; inoltre partecipa alla challenge "Slot Machine" indetta da Juriaka sul forum di EFP con il prompt 18: "4 (Mara) è gelosa di 7 (Alisia) per un motivo ben preciso"].   3k3IrF.jpg










 
Il mostro dagli occhi verdi
 
 



 

 
25 gennaio
Notte
 
 




 
La musica che proveniva dal pub non era troppo alta e il marciapiede era affollato di adolescenti, molti dei quali brilli.
Una ragazza, minuta e tremante per il freddo, tanto poco era la stoffa che ricopriva il suo corpo, si allontanò dalla massa schiamazzante e si sedette su una panchina di cemento. Aveva lineamenti fini, ma la sua espressione era completamente svaghita. Si coprì il volto pallido con le mani, dopo aver spostato un ciuffo di capelli castano rossicci dietro l’orecchio.
«Mara».
La ragazza aggrottò la fronte e cercò di focalizzare il ragazzo che le si era avvicinato.
«Tutto bene? Ti ho visto uscire all’improvviso».
Mara non rispose. Sentiva un vago senso di nausea, che sembrava destinato ad aumentare e non aveva voglia di parlare, meno che mai con lui.
«Quanto hai bevuto?».
«Poco». Questa sera, si corresse mentalmente.
«Sicura? Hai una pessima cera».
«Grazie» sbottò infastidita.
Il ragazzo sbuffò. «Non intendevo insultarti» disse. «Alle volte sei troppo permalosa».
Mara si alzò di scatto per allontanarsi, per nulla incline ad ascoltarlo, ma un capogiro la colse all’improvviso e, complici i tacchi alti, rischiò di cadere, ma due braccia la trattennero.
«Ok, ho capito. Forse è meglio che ce ne andiamo». Mara non era del tutto d’accordo, ma non aveva voglia di rimanere lì da sola. «Chiamiamo Marica e Alisia».
«No» lo fermò Mara. «Sono impegnate». Non aveva alcuna voglia di essere lei a rovinare la serata, gliel’avrebbero sicuramente rinfacciato.
Il ragazzo arricciò il naso, ma annuì, poi si tolse il giubbotto e la costrinse a indossarlo.
«Non ti facevo così premuroso, Luca» disse Mara con una punta di acidità, ma in cuor suo apprezzò il gesto.
Lui non commentò, ma le chiese: «Devi tornare a casa?».
«No, dormo alla fermata dell’autobus».
«Odio quando sei così sarcastica» replicò Luca. «A che ora devi tornare a casa? Così va meglio?».
«Non sarei nemmeno dovuta uscire» rispose Mara imprecando contro i tacchi alti. «Mio padre è di turno stanotte. Sono uscita quando gli altri dormivano».
«Ammirevole» commentò Luca. Rimasero in silenzio finché non attraversarono la strada. «Mi dispiace per stamattina».
Mara non rispose sia perché non aveva voglia di parlarne sia perché la testa le girava sempre più forte e la nausea, come previsto, era aumentata.
«Vieni, sediamoci vicino alla spiaggia. Nessuno ci disturberà».
Raggiunsero una panchina e Luca fece per aiutarla a sedersi, ma Mara, presa da un forte conato di vomito, si divincolò e si piegò da un lato anche se non avrebbe voluto mostrarsi così debole davanti a lui.
«Scusa» sussurrò poco dopo.
«Non fa niente» replicò Luca. «Piuttosto, non è che stai bevendo troppo ultimamente?».
Mara s’irrigidì. «E tu che ne sai? E poi tutti bevono il venerdì sera».
«Stamattina non era sera» replicò lui. «E non tutti vanno in giro con una fiaschetta piena di liquore… è roba da film…». Mara tentò di allontanarsi, ma Luca la trattenne. «Aspetta, che ti prende? Lo sai che potresti stare male?».
«Che mi prende?» quasi urlò Mara, voltandosi verso di lui. La sua voce, leggermente stridula, risuonò nella spiaggia deserta. «Non puoi capire» disse scuotendo la testa.
«Provaci, no?».
E Mara iniziò a raccontare: aveva veramente bisogno che qualcuno l’ascoltasse.
 


 
 
Ottobre
 


Un suono acuto riempì la camera, illuminata fiocamente dai raggi solari che penetravano da una tapparella non completamente abbassata, e Mara, fino a quel momento profondamente addormentata, si mosse sotto una pesante coltre di coperte mugugnando infastidita, automaticamente allungò una mano cercando a tentoni lo smartphone sul comodino, ma urtò l’abatjour che cadde sul tappeto.
Mara imprecò e si mise a sedere di scatto. Una fitta alla testa, però, la costrinse a richiudere gli occhi. Li riaprì lentamente e fissò il comodino: vuoto. Dov’era il cellulare? Sul punto di avere una crisi di nervi, ˗ doveva spegnere la sveglia perché le stava per perforare i timpani ˗, si alzò e lo cercò in mezzo ai vestiti accatastati sul pavimento, ma non c’era. Si guardò intorno e individuò la borsetta su una sedia, la raggiunse e vi rovistò all’interno: finalmente trovò il cellulare e spense la sveglia.
La stanza ripiombò nell’agognato silenzio, ma il resto della casa si stava animando.
Sbuffò e si buttò nuovamente sul letto coprendosi il più possibile: indossava ancora il vestito della sera prima ed era fin troppo corto e leggero per quel periodo dell’anno.
Nemmeno cinque minuti dopo, però, la porta si spalancò. La ragazza nascose istintivamente la testa sotto il cuscino. Bussare no?
«Mara, sono quasi le sette e dieci. Alzati o farai tardi».
Quella voce. Quella. Come osava dirle come comportarsi!
«Mara».
«Sto dormendo» mugugnò. La testa le faceva troppo male e non aveva alcuna voglia di litigare.
«Alzati, è tardi. Tra meno di venti minuti dovremmo uscire. Non capisco perché ti ostini a mettere la sveglia a quest’ora».
«Non sono cazzi tuoi» sbottò alzando la voce e lanciandole addosso il cuscino. Si fissarono in cagnesco per qualche secondo.
Alessandra era vestita elegantemente, ma con la consueta sobrietà di chi non ama apparire. Evidentemente quella mattina sarebbe andata all’Università dove teneva un corso a Ingegneria. Roba che Mara non avrebbe mai capito. Quando Alessandra lavorava a casa indossava jeans e maglietta e a volte sembrava giovane quanto lei. Che rabbia.
«Senti, Mara, non tollero che mi rispondi in questo modo!» sbottò Alessandra abbandonando i modi gentili di prima.
«Non me ne frega un cazzo di quello che tolleri o meno» replicò calcando sulla parolaccia. «Tu non sei mia madre». Adorava ricordaglielo, anche perché lei tendeva a dimenticarlo fin troppo spesso.
Alessandra strinse le labbra e annuì. «Hai ragione. Ringrazia che tuo padre ha avuto il turno di notte, però. Appena si alza gli racconterò che sei uscita senza permesso, sei tornata all’alba e ti sei ubriacata». Mara la fissò con odio. «Sbrigati e non costringermi a svegliarlo adesso».
Mara avrebbe voluto ribattere, ma sapeva fin troppo bene di essere in grossi guai e non era il caso di svegliare il padre a quell’ora.
Alessandra uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Mara con la testa che scoppiava sempre di più si gettò nuovamente sul letto, senza nemmeno coprirsi. Trattenne a stento un singhiozzo: non le avrebbe dato una simile soddisfazione. Rimase in quella posizione per almeno dieci minuti.
«Mara».
Non si mosse. La porta si chiuse e qualcuno si avvicinò al letto.
«Che stai facendo? Alessandra è furiosa!». Mara affossò la testa sul materasso. «Dai alzati. Gli altri stanno facendo colazione e tu non sei neanche vestita».
«Lasciami in pace» bofonchiò Mara.
«Stavolta papà ti ammazza» sbottò l’altro.
«Daniele, lasciami in pace».
«Mara». Questa volta il suo nome fu pronunciato in tono supplichevole. «Non puoi saltare la scuola! Per giunta quando papà è a casa!».
«Di che hai paura?» sbottò Mara voltandosi finalmente verso di lui.
Daniele era un ragazzo di media altezza e tutto sommato carino. Il suo problema principale era il carattere: troppo remissivo. Daniele sbuffò e non rispose, anzi andò dritto al suo armadio ­˗ ci voleva coraggio per aprirlo ˗ tirò fuori un paio di jeans e una maglia a caso.
«Io quella roba non la metto» lo avvertì. «Non ho più tredici anni».
«Beh, con quel vestito a scuola non puoi venire» replicò lui.
«Non hai risposto alla mia domanda».
«Muoviti, vado a dire ad Alessandra che stai arrivando. Se ti vedesse così…».
Mara sbuffò ancora e si prese la testa, che ormai le pulsava parecchio, tra le mani. Sapeva di che cosa aveva paura suo fratello: che loro padre le facesse fare la fine di Paolo, il fratello più grande. Sospirò e cercò dei leggins nell’armadio e una maglia lunga, poi corse in bagno. Lì c’era Mattia il più piccolo della famiglia.
«Ciao, Mara» le disse sorridente. «Guarda, mi sta cadendo un dente».
Mara assunse un’espressione disgustata. «Che schifo» sbuffò e lo spinse fuori ignorando le sue lamentele.
Aprì l’acqua della doccia e gettò via i vestiti della sera prima, strappando anche il collant per la fretta.
Di solito la doccia la rilassava, soprattutto grazie alla musica. La sua famiglia era enorme e quella casa troppo piccola: non era semplice ritagliarsi del tempo solo per sé. Quella mattina, però, non solo era in ritardo ma i ricordi della sera prima le ritornarono prepotentemente alla mente.
Era uscita con Marica e Alisia le sue migliori amiche, che conosceva dal primo anno di liceo, o almeno credeva di conoscerle: più trascorreva il tempo, più le appariva chiaro che non la considerassero alla loro altezza.
Si lasciò scivolare sul piatto della doccia e non trattenne più le lacrime.
Solitamente suo padre e Alessandra non le permettevano di uscire la sera durante la settimana e, in generale, non apprezzavano che lei se ne andasse in giro di notte per locali – senza contare che non avevano una buona opinione di Marica -, ma, per non essere da meno delle sue amiche, la sera prima era uscita di nascosto approfittando del fatto che il padre fosse di turno. Affrontare Alessandra era un’altra cosa. Inoltre Daniele aveva tentato di coprirla, ma sicuramente non era stato in grado di mentire a lungo: lo immaginava balbettante alla ricerca di una scusa.
L’acqua scorreva sulla sua pelle e diveniva sempre più tiepida.
Rivedeva nitidamente Marica e Alisia con i loro bei vestitini. Le amiche non avevano apprezzato il suo perché non era firmato. Naturalmente Marica e Alisia non potevano capire, loro avevano sempre il meglio.
Erano andate in una specie di pub, dove facevano anche musica, e si erano messe a bere. Aveva ordinato le loro stesse bevande, ma non era accaduto nulla: era come se più si sforzasse di essere come loro, più risultasse diversa.
Si abbracciò le gambe con le braccia e sospirò.
«Mara!». Daniele bussò alla porta. «Che stai facendo? Sono le sette e trentacinque! Faremo tardi».
Non rispose.
«Mara!».
«Arrivo» rispose meccanicamente. Chiuse l’acqua, si asciugò rapidamente e si vestì.
«Se speri che ti lasci a casa, te lo puoi scordare, piuttosto entrate tutti alla seconda ora» sibilò Alessandra fissandola.
«Sono pronta!» replicò Mara a tono.
Accese il phon tentando di asciugarsi i capelli in fretta. Sarebbero stati orribili. Quella giornata stava cominciando malissimo! «Sono pronta» ripeté quasi dieci minuti dopo.
«Le otto meno un quarto. Hai battuto ogni record. Non so perché ancora non ho svegliato tuo padre. Muovetevi. Prima accompagno i piccoli».
Accompagni i tuoi figli, la corresse mentalmente Mara. Lanciò un’occhiata al fratello che non fiatò.
 
Appena arrivati a scuola, Mara scese dalla macchina senza salutare. Sapeva che sarebbe stata una pessima giornata e non aveva alcuna voglia di entrare, ma suo fratello naturalmente non la pensava allo stesso modo. Ignorò le sue lamentale e continuò a percorrere il cortile svogliatamente, chiedendosi se vi fosse una via di fuga.
Mara guardò il cellulare e si accigliò. «Sono le 8:14» disse sperando che Daniele si rassegnasse, dopotutto saltare la prima ora sarebbe stato un miglioramento di quella giornata. Non comprendeva proprio suo fratello e il suo interesse per la scuola. Probabilmente lui era l’unica consolazione del padre. Lei voleva molto bene a Daniele, senza di lui sarebbe impazzita, ma quel giorno l’avrebbe volentieri strozzato: solo lui poteva fermare il loro insegnante di filosofia e chiedergli se poteva chiudere un occhio per il loro ritardo.
Il professore annuì e si rivolse a Mara: «Chi hai la prima ora?».
«Aristano» rispose lei a denti stretti. «Lo so che è tardi. Non c’è problema, vado dal vicepreside».
«Aspetta. Sono sicuro che Aristano non avrà problemi a farti entrare» replicò il professore.
Quella mattina non ne andava una giusta.
«Che hai fatto ai capelli?» le chiese immediatamente Alisia.
Mara deglutì e non replicò. Non una domanda sul suo ritardo, non una su come stesse.
«Avresti potuto almeno stirarli» la rimproverò Marica.
Mara si nascose dietro il libro di letteratura: non era colpa sua se non poteva farsi le mèches come Marica e se non aveva i capelli chiari e leggermente mossi di Alisia.
«Fammi copiare gli esercizi di geometria analitica» chiese Marica ad Alisia.
«Posso darteli io» disse Mara di slancio, che non voleva essere sempre messa da parte.
«Tu, perché li hai fatti?» chiese sorpresa Alisia.
«Poi te li facciamo copiare anche a te» sbuffò Marica.
Compassione. Ecco cosa c’era nella sua voce. Niente di più, niente di meno. Lei era quella stupida e brutta: non aveva i voti di Alisia e neanche la furbizia di Marica.
«Mara, sei con noi?».
Si trattenne dallo sbuffare e fissò l’insegnante d’italiano palesemente seccato. «Non mi vede?».
Qualcuno rise. Marica le fece un cenno con il capo approvando chiaramente e questo le diede coraggio.
Lo sguardo dell’insegnante divenne ancora più infastidito. «Continua a tradurre il classico».
«Quale traduzione?».
Le risate divennero più forti.
«Ma, professore, non vede che capelli ha stamattina Mara? Anche un cieco vedrebbe che ha qualche problema» intervenne Marica.
Mara s’irrigidì e non la guardò. Ancora con questi capelli? Che cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva attardarsi di più, se fosse stato per lei non sarebbe uscita in quelle condizioni. Prese un bel respiro e tentò di darsi un contegno per non dare a vedere che se l’era presa.
«Basta così!» sbottò il professore sbattendo una mano sulla cattedra. «Leggi da Fores effregit… verso 88…».
Mara s’imbronciò, ma obbedì. «Fores effregit atque in aedis irruit/ alienas; ipsum dominum atque familiam…».
«Omnem familiam… non mangiarti le parole e non leggere in quel modo, sembri una bambina di prima elementare!».
Quanto odiava il latino! Mara ignorò il rimprovero e riprese a leggere con lo stesso tono strascicato. «…mulcavit usque ad mortem; eripuit mulierem/ quam amabat».
«Fermati. Traduci».
Mara si passò una mano tra i capelli fissando il libro senza vederlo, non avendo idea di come comportarsi: inventarsi la traduzione? Confessare di non averla fatta? Ma che avrebbero detto Marica e Alisia? Che lei era la solita stupida? Eppure nemmeno Marica aveva idea di come tradurre quel periodo né ben altro, non per nulla aveva avuto il debito in latino per due anni di fila. Alisia, invece, era brava in tutto quello che faceva. Lei sì che era un’amica preziosa. Eppure c’era un modo di far colpo su Marica. «I fori sfregiò…».
«Quali fori? Che significa fores?» la interruppe seccato il professore.
«Non significa fori?».
Marica e molti risero. Ecco, in quelle occasioni, Marica sembrava quasi fiera di lei, lodava quel suo atteggiamento che Alisia non avrebbe mai assunto perché troppo fine ed elegante. Alisia non faceva queste figure. Alisia non prendeva mai degli impreparati.
«Mi piacerebbe incontrare i tuoi genitori al prossimo colloquio. Non ho ancora avuto modo di conoscerli» affermò il professore Aristano.
Non che si sia perso qualcosa, pensò Mara sofferente alla sola idea di suo padre e Alessandra a un colloquio insieme. Senza contare che non ci teneva proprio che Alessandra si avvicinasse troppo alla scuola, quello era il suo territorio, e lei non era nessuno per invaderlo. Sua madre. Lei sì che le avrebbe evitato quelle continue umiliazioni. Non l’avrebbe costretta a uscire di casa in quelle condizioni, né, meno che mai, ad andare a scuola dopo essere rientrata tardissimo. E se per questo, se ci fosse stata sua madre, non sarebbe dovuta uscire di nascosto.
Nervosa e totalmente disinteressata alla lezione ˗ senza contare Marica e Alisia che borbottavano a bassa voce, ridacchiando e ignorandola ˗, chiese di uscire. Il professore fece una smorfia ma le diede il permesso.
Mara vagò un po’ per i corridoi alla ricerca di qualcosa che la distraesse e migliorasse la giornata, ma non c’era nessuno in giro. Andò in bagno, c’era puzza di fumo e delle cicche nel lavandino, ma a parte questo anche lì regnava il silenzio. Sbuffò e uscì, conscia che sarebbe stato meglio tornarsene in classe. Tornando indietro sentì il bidello parlare con un ragazzo, forse di prima, e allontanarsi con lui.
Presa da uno strano capriccio decise di approfittarsene, entrò nel gabbiotto e prese la scatola con i gessetti. Lanciò un’occhiata al corridoio: completamente deserto. Prese una manciata di gessi e li spezzò in tanti pezzettini. Era consapevole che l’avrebbero presa in giro, se l’avessero beccata: si stava comportando come una bambina. Dopo qualche minuto smise, per quanto quel dispetto le desse sollievo, ma, quando fece per lasciare il gabbiotto, scorse qualcosa che non avrebbe dovuto esserci: una fiaschetta dal colore scuro e con l’etichetta abbastanza ingiallita spuntava dal borsello del bidello. La prese e l’aprì. Il liquido all’interno emanava un odore strano, quasi di vino. Avrebbe dovuto rimetterla a posto, ma Marica e Alisia si sarebbero divertite ad ascoltare quella storia e avrebbe guadagnato un sacco di punti. Alisia non avrebbe mai rubato quella fiaschetta, non tanto per una questione di correttezza, quanto perché era troppo schizzinosa.
Ebbe solo un attimo di tentennamento: Daniele non avrebbe approvato. Lui, però, non violava mai le regole. Questo pensiero la fece infuriare, agguantò la fiaschetta e si allontanò, rintanandosi in bagno.
Chissà che liquore era. La sera prima si era data delle arie ordinando quello che prendevano le altre, ma adesso non aveva idea e in realtà non le interessava. L’aprì e bevve un sorso. Tutto d’un colpo. La gola bruciò all’improvviso. Tossì per qualche minuto e gli occhi divennero lucidi. Decisamente era più forte del drink che avevano bevuto al pub. Prese fiato e bevve ancora, sentendo la testa leggermente più leggera, forse dopotutto le faceva bene. Appoggiò le spalle al muro e bevve ancora. Presto Alessandra, Alisia, Marica, suo padre, Daniele, Aristano non furono che delle figurine ridicole che galleggiavano davanti ai suoi occhi.
 
 


«Allora, vieni o no?».
Mara strizzò gli occhi e si rivolse a Marica. «Eh?» Non aveva ascoltato una sola parola e si sentiva stordita.
«Allora stai male sul serio?» le chiese Alisia arricciando il naso. «Stammi lontano, non voglio beccarmi l’influenza per colpa tua».
Mara fece per raccontar loro della fiaschetta che ora era nascosta nel suo zaino –il bidello non avrebbe mai osato cercarla – ma qualcosa la bloccò: loro non erano veramente interessate oppure si sarebbero preoccupate per lei. Marica si era premurata di sincerarsi delle condizioni di Alisia l’anno prima quando era stata male per una strana dieta che seguiva. Erano perfettamente al corrente che lei avesse vomitato in bagno perché era la scusa che aveva usato con il professore Aristano, quando aveva mandato una sua compagna a cercarla perché non rientrava in classe. Persino Vittoria Fullino era stata gentile con lei, Vittoria con la quale di solito nemmeno parlava! Non riusciva proprio a comprendere perché Marica non la considerasse come Alisia. Sospirò confusa, probabilmente a causa del liquore.
Ripensò alla fiaschetta e si chiese se avesse potuto riempirla nuovamente, dopotutto avevano un armadietto dei liquori a casa ˗ suo padre l’aveva chiuso a chiave quando aveva scoperto che Paolo se ne serviva con i suoi amici. Che smacco per il grande maresciallo! ˗ e non sarebbe stato difficile aprirlo senza essere vista. Alle volte pensava di essere invisibile, anche per i suoi stessi familiari.  
Con quei pensieri e la testa che iniziava nuovamente a pulsare, rifiutò l’invito a pranzo di Marica. Tanto non avrebbe sopportato le moine di Alisia versa la madre di Marica, che la credeva chissà quale signorina per bene, mentre suo padre non era che un Capitano dei Carabinieri e sua madre un’insegnante universitaria. Che differenza c’era tra lei e Alisia? Anche suo padre era un carabiniere e Alessandra era ingegnere. Eppure Mara non piaceva alla madre di Marica per quanto si sforzasse. Non era stupida, conosceva bene la causa: sua madre. La signora Ghizzi, però, era solo un perbenista del cavolo, d’altronde aveva tradito il marito infinità di volte prima del divorzio e si permetteva di giudicare gli altri.
Mara attese con Daniele l’arrivo di Alessandra, ma evitò i suoi tentativi di conversare e altrettanto silenziosa fu in macchina.
Appena tornata a casa ignorò il padre in cucina e si fiondò in camera sua e nel suo letto. Non si sentiva per niente bene e non aveva voglia di affrontarlo. Daniele fu gentile come sempre e provò a convincerla ad andare a pranzare, ma lei rifiutò. Non fu altrettanto facile liquidare il padre, che non sembrava intenzionato ad accettare una risposta negativa. Come se fosse veramente importante il cibo. Perché non si preoccupava di quanto lei stesse soffrendo a causa sua? Era irritante che si preoccupasse per lei dopo quello che le aveva fatto. Non voleva. Era così falso.
«Mara, ti senti la febbre?».
Continuò a non rispondere e scacciò con forza la mano che il padre aveva accostato alla sua fronte. Non era più una bambina, perché si ostinava a non comprenderlo?
«Non ho la febbre» sibilò.
«Che hai allora?» insisté lui.
Mara si chiese se Alessandra avesse fatto la spia, ma conoscendola aveva già cantato. Eppure suo padre non le aveva ancora urlato contro.
Le bruciava lo stomaco, probabilmente non avrebbe dovuto bere a stomaco vuoto. «Lasciami in pace».
«Come vuoi. D’altronde lo so che cos’hai».
«E cos’ho?» chiese con sarcasmo senza riuscire a trattenersi. Sicuro che avrebbe tirato fuori la storia delle mestruazioni. Gli uomini erano così scontati!
«Sei tornata a casa alle quattro del mattino puzzando di alcool. È il tuo corpo che reagisce ai bagordi. Dubito che dipenda dalla coscienza che rimorde, ho la vaga impressione che tu non ne abbia una. Non so più che fare con te» sbuffò suo padre.
«Mandami da Paolo allora» lo provocò.
«Sei in punizione» replicò lui non cadendo nella provocazione. Ma, attardandosi sulla porta, aggiunse: «Non mi costringere a farlo».
Mara sgranò gli occhi e, con il cuore che batteva forte, si sollevò, ma ormai suo padre si era chiuso la porta alle spalle. Allora aveva ragione lei! Oh, gliel’avrebbe rinfacciato a Daniele! Per la rabbia scagliò il cuscino lontano.
Si sfogò prendendo a pugni il materasso e piangendo tanto a lungo che alla fine si addormentò. Quando si svegliò la camera era completamente al buio e su di lei troneggiava Alessandra con un’espressione strana. Si tirò indietro per mettere le distanze tra loro.
Apparentemente, però, Alessandra non aveva intenti bellicosi, ma le chiese semplicemente di andare a fare merenda con i fratelli. Ma lei al momento aveva un solo fratello in quella casa, glielo ricordò e le disse anche che non era una bambina e che dovevano smetterla di trattarla in quel modo. Le urlò quello che avrebbe voluto dire al padre qualche ora prima, ma non era stata capace.
Alessandra sospirò e seccata lasciò la stanza senza insistere ulteriormente. Che cos’era quella scintilla nei suoi occhi? Stanchezza? L’aveva ferita? Mara scosse la testa: lei era la sua Nemica Numero Uno e non avrebbe permesso di ingannarla e passare per la vittima. L’unica vittima era Mara: Alessandra le aveva rubato la sua famiglia! Suo padre aveva lasciato la moglie, si era risposato, aveva messo al mondo un bambino nuovo di zecca, aveva già spedito uno dei vecchi molto lontano e aveva detto molto chiaramente che presto la stessa sorte sarebbe toccata anche a Mara e Daniele. Non aveva più bisogno di loro. Ed era colpa di Alessandra.
Nonostante la rabbia, però, non sarebbe riuscita a saltare anche la cena, così pregò Daniele di portargliela in camera, ma il ragazzo tornò a mani vuote affermando che se voleva mangiare, avrebbe dovuto andare di persona.
Mara s’infuriò e si rifiutò ben decisa a non dargliela vinta: bella figura ci avrebbe fatto il maresciallo se la figlia fosse finita in fin di vita all’ospedale per non aver mangiato nulla! Per un po’ si crogiolò in quel pensiero. Magari il padre avrebbe anche capito che era colpa di Alessandra e delle sue scelte sbagliate, magari l’avrebbe cacciata e avrebbe richiamato la madre e Paolo. Tutto sarebbe tornato come prima.
La fame, però, alla fine ebbe la meglio sull’orgoglio e Mara si costrinse ad andare in cucina. Gli altri avevano già finito: Alessandra sparecchiava; il padre, Mattia e Ludovico, uno dei gemelli, giocavano con i lego sul tappeto; Daniele guardava un film stravaccato sul divano con Elisabetta, l’altra gemella, appoggiata al suo braccio. Piccola strega! Daniele era solo suo!
«Ti ho messo da parte la cena».
Mara lanciò un’occhiataccia ad Alessandra, ma si sedette comunque a tavola e iniziò a ingurgitare le patatine fritte, l’insalata e la cotoletta, con tanta foga nemmeno volesse affogarsi per fare un dispetto al padre.
 


Quella notte, quando fu sicura che tutti stessero dormendo, si recò in cucina. Sapeva che il padre teneva la chiave dell’armadietto degli alcoolici insieme a quelle della macchina, convinto che nessuno l’avrebbe toccate. Le prese e cercò di aprire l’armadietto senza fare troppo rumore.
Un paio di volte tese l’orecchio per captare ogni possibile movimento, ma la casa continuò a essere silenziosa.
Prese una bottiglia di whisky, con cui riempì la fiaschetta, e una di brandy, poi richiuse l’armadietto e rimise le chiavi al loro posto.
Non contenta, individuò lo zaino di Mattia su una sedia, lo aprì e tirò fuori un paio di quaderni da cui strappò le pagine che presumeva fossero i compiti per il giorno dopo. Finalmente anche il principino della famiglia sarebbe stato nei guai.
Infine adocchiò il robot di lego che Mattia aveva costruito con loro padre e gli diede un calcio sfasciandolo.
Sorrise.
Si ritirò in camera e ripose la fiaschetta nel suo zaino, poi si sedette sul letto e bevve un sorso di brandy. Tossì e si accorse che aveva lo stesso sapore del liquore di quella mattina: il bidello beveva brandy. Chissà che sapore aveva il whisky.
Ben presto tutti i volti, tutti i problemi, ricominciarono a galleggiarle davanti agli occhi, divenendo più leggeri, quasi inesistenti.
 
 
 
 
 


 
25 gennaio
Notte
 




 
«Wow» commentò Luca. «Brandy, whisky, ti tratti bene, eh?».
Mara non replicò. Aveva gli occhi lucidi puntati verso il buio di fronte, quasi cullata dal suono del mare che s’infrangeva sulla riva.
«Quindi è da ottobre che ti porti dietro quella fiaschetta?» chiese Luca.
«Sì. Mi sono ripromessa di riprendermi quello che è mio. L’alcool mi aiuta».
«Sicura?».
«Sì».
La voce di Mara aveva tremato. Non era sicura, ma non l’avrebbe ammesso davanti a lui.
«E ce l’hai fatta?».
«No» ammise Mara.
«Posso chiederti cos’è successo a tuo fratello Paolo? Quando siamo entrati noi, lui faceva il terzo, vero?».
«Sì, era stato bocciato» sospirò Mara. «Quando l’hanno sospeso per l’ennesima volta, mio padre l’ha iscritto a una scuola militare. Ma è solo un modo per toglierci dai piedi. Vedrai, presto manderà via anche me e Daniele».
Luca si accigliò. «Non credo. Tuo fratello non mi sembra il tipo da portare tuo padre all’esaurimento».
«Non capisci allora? Noi non gli serviamo più. A volte penso che i miei sforzi non servano a nulla. Mio padre non si è accorto di nulla in questi mesi» sospirò Mara.
 
 




 
Novembre
 




Mara sbirciò rapidamente il professore: le dava le spalle. Ne approfittò e tirò fuori il cellulare. Si collegò e cercò su Google quella benedetta versione di Cesare. Se fosse riuscita a trovarla e passarla anche a Marica, l’amica l’avrebbe senz’altro rivalutata; persino Alisia sembrava in crisi. Era la sua occasione per dimostrarsi l’amica migliore.
Eccola!
Per fortuna Cesare si trovava facilmente. Emozionata fece lo screen e lo inviò su WhatsApp alle sue amiche. Non si era mai sentita tanto intelligente.
«Feniri».
La voce del professore la fece sussultare e il cellulare le scivolò dalle mani. Ecco che faceva la sua solita figura da stupida. Nessuno dei suoi compagni osò ridere in quel momento, ma era una magra consolazione.  
«Il cellulare, grazie» disse Aristano. «E questo vale per tutti, mettete i cellulari sulla cattedra, immediatamente».
Si alzò un mormorio di malcontento, ma nel giro di pochi minuti erano ritornati tutti a lavoro, anche Mara alla quale Aristano non aveva ritirato il compito. Tanto quale sarebbe stata la differenza? Avrebbe comunque preso un voto basso.
Alla fine delle due ore, Aristano raccolse i compiti, poi disse a Mara: «Mi aspetto di vedere i tuoi genitori al prossimo ricevimento o li convocherò io».
Mara, su consiglio delle amiche, non lo riferì al padre e impedì a Daniele di ricordargli il ricevimento. Che senso avrebbe avuto? Sapeva bene quello che sarebbe accaduto: suo padre sarebbe andato al colloquio, sarebbe tornato a casa furioso e avrebbero litigato. Probabilmente avrebbero litigato anche prima del colloquio. E lei non ne aveva alcuna voglia. Anni prima trovava quasi divertente scontrarsi con il padre e farlo arrabbiare: dopotutto lui l’aveva allontanata da sua madre e non poteva perdonarglielo.
Fu un errore, però, sottovalutare Aristano, che mantenne la parola e convocò i suoi genitori. Mara non sapeva come avrebbe potuto sopportare un professore del genere fino al diploma.
Anche quella volta, però, il padre si comportò stranamente e, anziché urlarle contro com’era sua abitudine, disse che voleva parlarle da solo nello studio di Alessandra. A Mara non piacque trovarsi in quella situazione: era in campo nemico e non era come la sua stanza, dove poteva tirare tutti i peluche che voleva al padre per fargli capire quanta poca importanza desse alle sue parole. A sorprenderla ancora di più fu Mattia, che li raggiunse nello studio. Gli lanciò un’occhiataccia, chiedendosi perché dovesse sempre cercare attenzioni.
«Che cosa c’è?» chiese il padre. Mara sbuffò: perché non lo mandava via? E perché Alessandra doveva essere presente? Che rabbia vederla lì in piedi accanto a suo padre. Ma chi si credeva di essere?
«Ho preso un’altra nota» ammise il bambino.
Mara ghignò: era l’ennesima nota che prendeva per non aver fatto i compiti, ma finora non c’era stata nessuna reazione significativa da parte di Alessandra e del padre. Incrociò le braccia al petto, pronta ad assistere alla scena, ma ancora una volta fu delusa: né suo padre né Alessandra si arrabbiarono, anzi lo invitarono a portare uno dei suoi quaderni e poi ad andare a guardare i cartoni con i gemelli e Daniele.
«Non è che i compiti spariscono da soli» s’intromise Mara con una punta di cattiveria.
Il padre non commentò, ma aprì il quaderno e lo lanciò sulla scrivania: le pagine erano state palesemente strappate.
Mara s’irrigidì, ma non disse nulla. Il battito del suo cuore accelerò.
«Allora?» quasi urlò suo padre.
«Allora cosa?» ebbe il coraggio di replicare.
Il padre assunse un colorito rossastro. «Sei stata tu! Che cos’hai in testa, Mara?».
«Non so di cosa tu stia parlando».
Lui la fulminò con lo sguardo, poi si coprì il volto con le mani. «A che gioco stai giocando?».
«Quale gioco?» rispose lei.
«Adesso smettila» replicò Alessandra.
«Tu non impicciarti. Non sei mia madre!». Se le piaceva ricordarglielo, le piaceva ancora di più farlo davanti a suo padre.
«Vado di là» disse allora Alessandra.
«Avanti» sbottò Mara. «Che aspetti? Rimproverami! Che ti ha detto quel cretino di Aristano? Dei miei voti? Del fatto che ho provato a copiare la versione di latino?».
«Mara, che cosa ti ha fatto un bambino di sette anni?».
Quelle parole la ferirono profondamente: suo padre non stava pensando a lei, ma a Mattia. Giusto, il figlio suo e di Alessandra. Come aveva potuto pensare che si potesse preoccupare per lei? La figlia combinaguai che non studiava ed era così simile all’ex moglie? Quanto era stata stupida.
Non aspettò nemmeno che la mandasse in camera sua, ma lo lasciò lì da solo senza ascoltare i suoi richiami. Chiuse la porta a chiave e tirò fuori la fiaschetta dallo zaino. Bevve un lungo sorso, sperando che facesse effetto al più presto.


 
 
Bere questa volta, però, non sarebbe stato abbastanza: Alessandra e Mattia le avevano rubato suo .
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 

 
Dicembre
Vacanze di Natale
 
 


Mara amava le vacanze, tanto quanto odiava la scuola. O almeno era così di solito: essendo in punizione, era costretta a stare tutto il giorno in casa con Daniele e i figli di Alessandra.
Alessandra aveva anche osato offrissi di aiutarla con le materie scientifiche. Mara però, sapeva che lo faceva soltanto per accontentare suo padre e non perché gliene fregasse qualcosa.
Ma non era solo quello il problema: non riusciva a proteggere Daniele dai gemelli e da Mattia. Durante il periodo scolastico era più semplice, ma ora erano tutti a casa e i più piccoli pretendevano sempre di fare qualcosa insieme.
Lei, però, non avrebbe sopportato di perdere Daniele, perciò s’impegnò per tenerlo lontano dagli altri, tanto che lo convinse persino di voler studiare, ma solo con il suo aiuto.
Un pomeriggio il padre era di turno, Alessandra stava lavorando a un progetto importante e loro non avevano il permesso di avvicinarsi al suo studio. Mara stava pensando di cancellarle il lavoro, ma sicuramente Alessandra si era premurata di fare una copia di backup.
All’improvviso Mattia propose: «Facciamo un gioco tutti insieme?». I gemelli furono subito d’accordo. Daniele, al quale era stato affidato il compito di controllarli e non disturbare Alessandra, annuì, ma Mara non poteva permetterglielo.
«Non possiamo» disse subito.
Elisabetta le lanciò un’occhiataccia. «Tu rovini sempre tutto».
«Senti, mostriciattolo, stai zitta».
Le due ragazza si fissarono con rabbia.
«Dai, Mara non fare così» tentò Daniele.
Perché sempre lei? «Dobbiamo fare chimica, me l’hai promesso».
«No, gioca con noi» insisté Elisabetta,
«Sì, dai» disse anche Mattia.
Ludovico li fissò in silenzio senza dire nulla.
«Mettiamolo ai voti» propose Elisabetta.
«Assolutamente no». Mara sapeva che avrebbe perso. I tre mostri si sarebbero alleati. «Dobbiamo studiare o vuoi che dico a mio padre che non l’hai fatto nemmeno oggi?».
Elisabetta era molto intelligente, ma non amava molto studiare e per questo era stata rimproverata più volte. Lei le lanciò un’occhiata di fuoco, ma Mara sapeva di aver vinto. «Vado a prendere il libro di Chimica». Non avrebbe voluto studiare con loro tra i piedi, ma in camera sua così da poter chiacchierare con Daniele, ma lui doveva controllarli e non li avrebbe lasciati soli.
Al suo ritorno Elisabetta era letteralmente appesa al collo di Daniele e Mattia era abbarbicato al suo braccio. Una rabbia incontrollata montò nel suo petto e spinse con forza la ragazzina, che strillò.
Elisabetta inciampò cadendo sul tavolino di legno. «Sei una cretina» le urlò contro.
Ludovico, fino a quel momento seduto sul divano, si alzò e si frappose tra la gemella e Mara, ma lei era preda di quella strana furia che la spingeva ad agire: tirò uno schiaffo a Ludovico e avrebbe continuato a colpirlo se Daniele non fosse intervenuto. Ansimando, deglutì e si allontanò prima che accorresse Alessandra, allarmata dalle loro grida. Si fermò nel corridoio il tempo sufficiente per sentire il rimprovero rivolto a Daniele e l’intervento di Elisabetta in sua difesa.
Mara si appoggiò al muro e cercò di riprendere a respirare normalmente. Avrebbe preferito che incolpassero lei: Elisabetta aveva vinto. Si sentì sopraffatta e si nascose in camera sua. Dopo qualche minuto la porta si spalancò. «Daniele» disse sorpresa. Forse non l’aveva perso!
«Che cazzo ti è saltato in mente? Che problemi hai?».
Le parole rabbiose ma basse di Daniele la ferirono. Lui non diceva mai parolacce, ma anche quella rabbia era nuova.
«Perché hai alzato le mani sui gemelli?».
«Che te ne frega?» ribatté. «Loro non sono nostri fratelli». Perché non voleva comprenderlo? Erano soltanto loro due contro gli altri.
«Lo sono. E anche se non lo fossero, non avresti dovuto farlo!». Si passò una mano tra i capelli. «Io non so più che fare. Papà sta impazzendo con te».
«Lui si vuole sbarazzare di noi! Ci manderà in qualche collegio sperduto o alla scuola militare. Vuole solo una scusa! Svegliati, Daniele!» sbottò con urgenza nella voce.
Daniele scosse la testa. «Se c’è qualcuno che si deve svegliare sei tu. Papà non ce l’ha i soldi per mandarti in collegio e dubito che alla scuola militare ti vogliano. E smettila con questa storia! Paolo è maggiorenne, se fosse voluto tornare, sarebbe tornato. Ti ostini a vedere solo quello che vuoi tu! Stai distruggendo la tua vita e quella degli altri!».
Mara rimase senza parole, poi strillò e cominciò a prenderlo a pugni spingendolo fuori dalla stanza.
Daniele si era lasciato corrompere. Daniele aveva scelto di assecondare il padre. Daniele non aveva scelto lei.
 
Si ubriacò per l’ennesima volta. Ormai forse aveva più alcool che sangue nelle vene. La rabbia non svanì e pianse a lungo.
 
Non le bastava più ubriacarsi.
 
 
 
*


 
 
25 gennaio
Mattina
 
 



«Vado io prima» quasi urlò a Daniele, entrando di corsa in bagno e sbattendogli la porta in faccia.
«Sbrigati» le disse lui.
Quella giornata doveva essere perfetta, Mara si era persino svegliata prima del solito. Aprì l’acqua e aspettò che fosse ben calda.
Non vedeva l’ora di andare a scuola e mostrare la nuova tuta che aveva comprato il giorno prima con le sue amiche. Non si era mai sentita tanto affiatata con loro!
L’acqua le accarezzava il corpo e lei si rilassò, pregustando quella giornata: finalmente qualche ragazzo si sarebbe accorto di lei, magari uno della quinta con cui condividevano la palestra.
Per un attimo ripensò a quello che era accaduto il giorno prima.
 
Era felicissima. Salutò con un bacio sulle guance Marica e Alisia che l’avevano riaccompagnata a casa.
Era stata una giornata fantastica. Finalmente si era sentita a loro livello. Ed era bastato così poco che quasi rideva di tutto quello che aveva passato in quei mesi. Quanto era stata stupida.
Ignorò i gemelli, Mattia e Daniele che studiavano al tavolo della cucina e si diresse in camera sua. Appoggiò le buste sul letto e fece una giravolta. Fantastico.
«Mara, dobbiamo parlare».
Ed ecco che Alessandra andava a rovinarle il momento, ma non gliel’avrebbe permesso. «Scusa, devo studiare». Più gentile di così?
Alessandra si accigliò. «I tuoi libri sopporteranno la tua mancanza ancora un po’, tanto sono abituati».
Mara s’impose di non lasciarsi provocare. «Devo essere interrogata». Il che era probabile visto che stava finendo il quadrimestre ed era piena di insufficienze.
Alessandra sbuffò e chiuse la porta dietro di sé. «Hai qualcosa che mi appartiene».
«Io?» sbuffò Mara. «Non so di che parli».
«La mia carta di credito è sparita».
«E da me che vuoi?».
«Mara, il portafoglio era sul tavolo della cucina stamattina».
«E allora? Perché accusi me? Lo vedi che ce l’hai con me?».
«L’ho già chiesto agli altri e mi hanno detto di non essere stati loro».
«E non sono stata nemmeno io».
«Ok, ma ti avverto, andrò a fare la denuncia e i carabinieri risaliranno a chi ha usato la carta».
«Perché me lo stai dicendo?».
«Stamattina ti sei giocata la scuola. Ti ho vista insieme ad Alisia e Marica».
«E perché non mi hai detto nulla? Perché non hai chiamato papà?» chiese Mara sorpresa.
«Perché tuo padre impazzirà di questo passo e saltare la scuola non è la fine del mondo, ma rubare sì».
«L’ho solo presa in prestito» disse Mara, consapevole che avrebbe solo peggiorato la situazione mentendo ancora. Tirò fuori la carta dal proprio portafoglio. «Volevo comprarmi solo dei vestiti» disse.
Alessandra si riprese la carta e annuì. «Perché non ce l’hai chiesto?».
«Perché mi avreste detto di no. Come sempre».
«Per il semplice fatto che non puoi spendere i soldi in vestiti che non ti servono».
«Non ce li ho da restituirteli» tagliò corto Mara. Quel discorso sull’uso responsabile dei soldi l’aveva sentito fin troppe volte.
«Non fa niente. Che questa cosa rimanga fra noi, però, tuo padre non sarebbe felice di sapere che ti sei messa a rubare soldi per casa».
Mara la fissò sorpresa: non si sarebbe mai aspettata un aiuto da parte sua.
«Comunque gli dirò che ti sei giocata la scuola, non posso nasconderglielo… anzi se glielo dicessi tu, sarebbe meglio».
«Mi ucciderà» disse Mara odiandosi per quella conversazione con la sua Nemica Numero Uno.
«Non è la peggior cosa che hai fatto negli ultimi tempi».
Mara incrociò le braccia al petto. «Diglielo tu, non mi va di parlargliene» disse e tirò fuori il libretto delle giustificazioni porgendoglielo eloquentemente. Alessandra sospirò e firmò lei stessa.
«Sarebbe meglio che tu parlassi con le persone».
«Non sono…».
«…affari miei. Io non sono tua madre, lo so» disse Alessandra. «Buono studio. E se hai bisogno di un aiuto con matematica e fisica, chiedi a me non a Daniele. Non sono tua madre, ma sono ingegnere».
 
Era stata la conversazione più civile mai avuta con Alessandra.
Scacciò quei pensieri per non rovinarsi quella giornata e quasi corse fuori dal bagno, bramosa, per una volta, di andare a scuola.
 
La realtà, però, si rivelò come sempre crudele. Mara dovette costatare che indossare vestiti diversi non la rendesse automaticamente popolare come Alisia e Marica. Inoltre i suoi compagni e i ragazzi di quinta erano così presi dalla loro partita di pallavolo, che nemmeno la guardarono. Si era solo illusa.
Sbuffò e senza farsi vedere dalla professoressa di ed. fisica si allontanò e si diresse negli spogliatoi.
Lì trovò Luca Defiano, un compagno di classe, stravaccato su una vecchia sedia che fissava il soffitto. Non lo calcolò e recuperò la fiaschetta dalla sua borsa. Poi si voltò e scrutò il ragazzo.
«Perché non giochi con gli altri?».
«Potrei farti la stessa domanda» rispose lui senza guardarla.
«L’ho fatta per prima».
Luca si strinse nelle spalle. «Io e Isaac non andiamo molto d’accordo ultimamente. Non è possibile giocare insieme, finirebbe male e io non ho bisogno di altri guai. Ho detto alla Rumeno di non sentirmi bene e sono venuto qui».
Mara sapeva che Luca aveva litigato pesantemente con il suo migliore amico, Aurelio Pantani, un altro compagno, e gli equilibri della classe erano stati stravolti. Lei stessa non avrebbe dovuto parlare con lui, gli ordini di Marica erano stati chiari e non poteva nemmeno darle torto: a causa di Luca, lei, Aurelio e altri del loro gruppo erano stati accusati di aver compiuto atti di bullismo ai danni di Samuele Vettori, altro compagno. Luca si era così trovato completamente isolato, in quanto l’altra metà della classe aveva troppi conti in sospeso con il loro gruppo.
Mara in quel momento, però, voleva solo un po’ di compagnia così gli porse la fiaschetta, ignorando per una volta Marica.  «Bevi, ti farà bene».
Luca si raddrizzò e la fissò. «Che è?».
«Brandy».
«Sei impazzita?». Il ragazzo sembrava profondamente ferito e aveva uno sguardo furioso. «È una trappola, vero? Mi dai da bere e poi chiami la Rumeno… o meglio Marica manderà qui la Rumeno, vero? Ne ho abbastanza di tutti voi, credevo di essere stato chiaro» quasi urlò e se ne andò, lasciandola da sola.
Mara bevve un lungo sorso: aveva proprio bisogno di un aiuto per sopravvivere a quella giornata tutt’altro che perfetta.
 
Chissà se questa volta ubriacarsi sarebbe bastato.
 




 
*
 



 
25 gennaio
Notte
 
 
 


«Mi dispiace veramente per stamattina» disse Luca, appena lei tacque. «Pensavo che fosse davvero un altro dei vostri scherzi».
«Non fa niente» sospirò Mara passandosi una mano sugli occhi per asciugarsi le lacrime. Non le interessavano minimamente le sue scuse e quella mattina sembrava così lontana.
«Comunque non avrei mai pensato che Fazi si portasse dietro una fiaschetta di liquore e il fatto che tu gliel’abbia fregata ha dell’assurdo».
Mara non rispose ma si appoggiò ancora di più al suo corpo alla ricerca di calore, sia perché ne sentiva bisogno emotivamente sia perché faceva sempre più freddo.
«Non dovresti bere così tanto».
«Mi fa sentire meglio» replicò Mara per nulla intenzionata a parlare di quello.
«Sicura? Da quello che mi hai detto no».
«Sì, all’inizio sì ma…».
«…non è abbastanza» concluse Luca abbracciandola. «Senti, io non so che cosa provi per la tua situazione familiare. Ma non è male avere una famiglia numerosa, te lo dico per esperienza, hai tante persone su cui poter contare. Per esempio Alessandra non mi sembra tanto male, ma tu sei gelosa di lei…».
«Ma che dici?» sbottò Mara liberandosi dalla sua stretta. Non era gelosa di Alessandra! Perché avrebbe dovuto essere gelosa di lei? Perché a lei tuo padre vuole bene, sussurrò una vocina cattiva nella sua testa. Strinse i pugni e ignorò le parole consolatorie di Luca. Non voleva starlo a sentire. Si alzò barcollando. Imprecò e si voltò verso di lui: non si era mosso e la fissava. Perché si stava preoccupando tanto per lei? Dov’era finito il ragazzo stupido che spalleggiava sempre Aurelio Pantani? Chi era quel ragazzo che la scrutava serio?
«Guardatevi, signore, dalla gelosia: è il mostro dagli occhi verdi, che irride al cibo di cui si nutre».
«Eh?». Le sue parole la riscossero. Che stava farneticando?
«Otello».
«E da quand’è che leggi Otello?» sbuffò. Stava scoprendo una persona completamente nuova e questo la turbava: chi erano veramente le persone che la circondavano? Marica e Alisia le volevano veramente bene? Erano veramente amiche, anche se lei molto spesso avrebbe voluto allontanare Alisia da Marica? Metterla in cattiva luce davanti a lei?
«Da quando sto cercando di recuperare le mie insufficienze e quella cretina della Tedesco ha detto a mio padre che forse dovrei leggere qualche libro in inglese».
Mara non commentò, ma accettò il suo aiuto e la sua offerta di accompagnarla a casa. Era completamente svuotata. Non si sarebbe mai aspettata che una conversazione con Luca, le avrebbe fatto quell’effetto.
 
«Hai qui la fiaschetta?» le chiese il ragazzo all’improvviso.
«Sì» disse lei stranita tirandola fuori dalla borsa. «Eccola».
Luca gliela prese e la gettò nel cestino più vicino.
«Ehi!» protestò Mara, sconvolta. Aveva tenuto con sé quella fiaschetta per mesi, forse più di quanto avesse utilizzato il cellulare e si sentì mancare all’idea di averla persa.
«Non ti serve. Se vuoi insultare qualcuno, insultalo Se vuoi prendere qualcuno a pugni, colpiscilo. Se vuoi dire a qualcuno che gli vuoi bene, diglielo. Non servono a niente le questioni di principio in questi casi. Lascia stare l’alcool».
Mara non rispose ma si disse che aveva ragione, che forse avrebbe dovuto seguire il suo suggerimento, dopotutto
 
I get drunk, but it’s not enough.


 
Angolo dell'autrice:
Ciao! :-)
Spero che la lettura sia stata di vostro piacimento. 
In questa storia ho trattatto una tematica alquanto delicata: l'alcolismo in età adolescenza. Naturalmente la vicenda narrata è totalmente inventata e non vi è alcun riferimento a fatti realmente accaduti. 
Vorrei sottolineare che la reazione di Mara nei confronti dei gemelli non è del tutto casuale: tra i vari effetti negativi di un'assunzione prolungata di alcol, vi è anche l'aggressività. 
La citazione conclusiva è un verso della canzone "Death by a Thousand Cuts" di Tylor Swift.

A presto,
Carme93

 
   
 
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