Indicazioni piuttosto chiare
Il primo giorno era sempre il peggiore.
Tutto iniziava dal trovare un
maledetto posto libero nel parcheggio, proseguiva poi nel capire dove
fosse la segreteria e finiva nel farsi una fila di almeno
un’ora – se si era abbastanza fortunati –
soltanto per venire sballottolato da un capo all’altro del
campus, perché “non è a me che deve
chiedere”, e così arrivare nel posto indicato e
dover tornare indietro – dopo un’altra,
chilometrica, fila – perché “no, guardi,
deve parlare con la signorina in segreteria”. Era un continuo
andirivieni, fino a quando non si fosse impietosito qualcuno di fronte
agli evidenti segni di stanchezza.
Il caldo non aiutava, ma aumentava fatica e impazienza, mettendo a dura
prova i nervi.
Morgan prese una boccata d’aria condizionata, iniziando a
contare per evitare di esplodere: non era che il primo giorno, passato
il quale avrebbe avuto l’intero weekend per dimenticarlo. Il
segreto era, infatti, lasciarsi scorrere addosso quella giornata fino
all’ultimo secondo, fino a quando non avrebbe toccato il
letto della sua nuova sistemazione per dormire e svegliarsi non prima
di lunedì.
In fondo, quel girare a vuoto non era stato del tutto inutile: per
esempio, adesso sapeva dove si trovavano la mensa e la biblioteca,
nonché la facoltà di Belle Arti in cui gli
avevano detto di recarsi per la consegna dei moduli compilati e il
ritiro delle chiavi della propria stanza.
Anche dal fondo della fila di matricole si riusciva ad intravedere il
responsabile amministrativo che pareva la disponibilità e la
cordialità fatta persona…
Morgan sospirò stanco, ma pronto ad affrontarlo.
Il tipo non faceva che brontolare, borbottando di vacanze, Italia e
pizza… Non che fosse in disaccordo con il fatto che una
bella vacanza in Italia a mangiare pizza, magari in un posticino
caratteristico, sarebbe stato mille volte meglio del trovarsi
lì ad avere a che fare con novellini spauriti, a raccogliere
plichi di fogli e distribuire chiavi; tuttavia, non era giusto
traumatizzare quei poverini già dal primo giorno.
Quando toccò a lui, il responsabile non gli rivolse neanche
un saluto, prese le carte e alla domanda sulla stanza allo studentato,
gli rispose con una svogliatezza, nei modi e nel tono di voce
– come se stesse ripetendo la stessa solfa da ore a tutti
–, che lo rese ancora più insopportabile di quanto
non lo fosse stato da lontano.
«Sì, la chiave. La stanza è la 202 e la
dividerà con un altro ragazzo. Sì, funziona
così. No, non abbiamo singole disponibili. No, non posso
cambiare le cose».
Morgan evitò di replicare e, quando il responsabile
amministrativo lo ignorò passando allo studente successivo,
si allontanò dalla calca.
Perfetto, pensò facendo girare le chiavi
attorno alla punta
dell’indice. Il tintinnio del metallo, che cozzava sulla
plastica del portachiavi con il numero della stanza, scandì
i passi che lo portarono fuori dall’edificio.
Quanto ci metterò a trovare il dormitorio?
Poco, in effetti. Un’ora e mezza circa, durante la quale
aveva scoperto dove si trovassero le facoltà di Psicologia,
Ingegneria ed Economia.
E dello studentato nessuna traccia.
Avrebbe fatto prima a chiedere in giro, ma dall’aria spaesata
di chi incrociava per strada intuì che quella era la
giornata dedicata alle iscrizioni dei nuovi studenti. Probabilmente i
veterani erano rinchiusi nelle aule a studiare o sostenere esami.
Quella sì, che era la sua giornata fortunata!
«Serve aiuto?»
Morgan distolse lo sguardo dal cartellone con le peggiori indicazioni
di orientamento mai scritte e lo rivolse ad un ragazzo dagli sgargianti
capelli azzurri e lo smagliante sorriso. Non rispose, sorpreso di
trovare un soggetto tanto originale nella zona di…
«Sociologia. Stai cercando…?»
Arrossì, colto nell’atto di leggere nel maledetto
cartello la risposta che gli serviva.
«Il dormitorio» gli rispose, guardando altrove e
grattandosi la nuca in un gesto nervoso.
«Ah, sì. Avrei dovuto immaginarlo dalle
chiavi». Il ragazzo ridacchiò, accennando con la
testa verso il dito da cui pendevano.
Morgan aggrottò la fronte: anche i suoi modi erano sfacciati
come il colore dei suoi capelli.
«Ah, non preoccuparti! Anche io, al mio primo giorno, ho
fatto almeno una decina di volte il giro del campus, prima di
trovarlo!» Il ragazzo gli si avvicinò per
prenderlo sottobraccio e voltarlo nella direzione da cui era venuto.
«Non è difficile! Vai dritto, in fondo, verso
l’uscita. Sulla destra hai l’edificio di Arte e a
sinistra proprio lo studentato. Non puoi sbagliare: lì, dove
c’è la mensa».
«Ok», annuì convinto e sorpreso da tanta
praticità. «Torno indietro… Sinistra,
vicino la mensa» ripeté per memorizzare e
verificare di aver compreso.
Il ragazzo confermò con un cenno e quel sorriso che pareva
splendere più del sole che non gli dava tregua –
almeno, il sorriso, non lo faceva grondare di sudore ma, al contrario,
soltanto rimestare lo stomaco e colorare le guance.
Aveva degli occhi, poi. Rosa, fucsia… viola? Ma era legale
che brillassero in quel modo?
«Magari facci un salto, in mensa»,
ammiccò lui. «Hai un’aria un
po’ disidratata», ridacchiò stringendosi
nelle spalle come a scusarsi della sincerità. «Ma
evita la signora dall’aria imbronciata… Non
vede di buon occhio i nuovi studenti, soprattutto quando non sanno che
devono prima attivare il badge e poi ordinare».
Morgan cercò di tenere a mente tutte quelle informazioni
aggiuntive e prestare meno attenzione alle sue labbra.
Chissà se erano-? Scosse la testa e si
divincolò
dalla sua stretta, a disagio per la confidenza che si era preso, ma,
soprattutto, per le proprie reazioni.
Stava impazzendo per il caldo! Sì, per forza. Altrimenti non
riusciva a spiegarsi perché…
Perché non riuscisse a distogliere lo sguardo dal suo viso.
Il ragazzo continuò a parlare come nulla fosse.
«Ma adesso che lo sai, vai tranquillo! Anche se ti consiglio
di fermarti all’edificio di Medicina, già che ti
viene di strada. È proprio quella sciccheria architettonica
piena di vetrate e piante nell’atrio. Hanno una caffetteria
in terrazza da mozzare il fiato! E il miglior caffè,
ovviamente – ah, i medici! Con quel camice
bianco…». S’interruppe con aria
trasognata. «Ti ci porterei volentieri, ma purtroppo devo
scappare… La mia amica mi sta uccidendo con lo
sguardo», ammiccò e indicò con un gesto
dietro di sé.
L’amica in questione, un bel tipetto dai capelli chiari,
sorrise e salutò con un cenno della mano, come se si
conoscessero. Morgan ricambiò d’istinto e per
buona educazione, intontito dal fiume di parole di lui.
«Sarà per la prossima volta! Ci si vede».
Fu quel saluto a svegliarlo dal torpore e riuscì solo a
cogliere un assaggio dell’ultimo, vispo sorriso, prima che il
ragazzo si voltasse.
«Grazie! Alla prossima!» esclamò
d’impeto.
Lo vide girare appena la testa con espressione sorpresa e lusingata
insieme.
«Morgan!»
Morgan distolse lo sguardo al richiamo e individuò un volto
amico – il primo, in quella mattinata infernale. Gli rivolse
un cenno, prima di riportare gli occhi dov’era il ragazzo con
cui stava parlando che, sfortunatamente, era già di spalle e
lontano.
Sospirò, dandosi dell’idiota per come si era
comportato – forse, era stata solo colpa del caldo e della
stanchezza e non dei suoi occhi e del suo sorriso.
«Morgan! Tutto bene? Chi era quello?»
Già, realizzò d’un
tratto. Chi era?
Rise divertito, scrollando le spalle. «Non lo so»,
tagliò corto. «Tu che ci fai qui?»
Dritto, sinistra, mensa, edificio d’Arte…
Ripeté tra sé le indicazioni ricevute, mentre
cercava di condurre una normale conversazione e non pensare che
sì, quel ragazzo gentile poteva anche avere dei modi fin
troppo estroversi, ma ci aveva visto giusto: aveva davvero bisogno di
un bel bicchiere d’acqua per contrastare quelle temperature
africane.
Magari in sua compagnia.
*
Rosalya sogghignò sorniona. «Carino, eh».
«Oh, sì… Carin-Rosa!»
Alexy
arrossì vistosamente sulle guance.
«Alto, moro, occhi azzurri. E che mi dici dei
bicipiti?», sorrise maliziosa.
«Eh?!» Strabuzzò gli occhi, fermandosi
di colpo.
«Dai! Dopo che lo hai palpato ben benino, potresti anche
dirmelo».
Alexy desiderò sprofondare. «Non l’ho
palpato! È stata una reazione istintiva!
Solo per farmi
capire meglio».
«Oh, ha sicuramente capito. E
l’appuntamento?»
«Rosa, adesso basta!»
S’impuntò in imbarazzo. «Non
è successo niente di quello che stai pensando!»
«No, certo. Non ho mica assistito a come hai gonfiato il
petto quando hai capito che stava pendendo dalle tue labbra,
né a come ti luccicavano gli occhi». Rosalya
incrociò le braccia al petto, affrontandolo.
«È una matricola? Come si chiama? Cosa studia?
È fidanzato?» continuò a tempestarlo di
domande.
«Rosa, non faccio il terzo grado agli sconosciuti come te!
L’ho visto perso e mi sono avvicinato per aiutarlo»
le rispose, scuotendo la testa. «Cercava lo
studentato-».
«Ah», l’amica lo interruppe, eccitata.
«Scommetto che ha preso una camera in affitto!
Meraviglioso».
Alexy passò una mano tra i capelli con aria rassegnata:
quando Rosalya sghignazzava in quel modo non solo era inquietante, ma
sapeva anche che non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono.
Riprese a camminare, lasciando che lei gongolasse come se avesse appena
vinto alla lotteria.
«Non finisce qui, Alex». Rosalya puntò
contro di lui l’indice e lo fissò con aria
sorniona. «Dimmi almeno come si chiama, così
riusciremo a rintracciarlo facilmente!»
Alexy schiarì la gola, imbarazzato. «Non lo so.
Non gliel’ho chiesto… Morgan, forse? Mi
è sembrato che lo stessero chiamando così, quando
ci siamo allontanati».
Per fortuna gli sguardi omicidi di Rosa erano innocui, altrimenti
sarebbe morto sotto quei suoi occhi da gatta assassina.
«Il nome è la base del rimorchio»
sbuffò lei. «Non penso di doverti dare lezioni al
riguardo». Lo colpì giocosamente con il gomito sul
braccio.
«Ah-ah, sei davvero simpatica oggi»
ribatté.
Rosalya rise divertita. «Mi preoccupo solo per la tua vita
sentimentale! Da quant’è che non-?»
Gesticolò affinché il concetto fosse chiaro.
«Rosa!!» la rimproverò, bonariamente.
Tuttavia, la sua migliore amica aveva ragione: se quel ragazzo non
l’avesse affascinato – con quegli occhi e
quell’aria adorabilmente spaesata–, avrebbe dosato
meglio parole e atteggiamenti – e non gli avrebbe chiesto
indirettamente di uscire insieme.
«Se continui ad avere quell’espressione, di chi ha
appena avuto un colpo di fulmine, mi fai venire voglia di tornare
indietro a cercare questo Morgan», lo stuzzicò
Rosa.
Alexy sbatté le palpebre, basito. «Salteresti il
pranzo per questo?!»
L’amica finse di pensarci su, prima di cedere. «Oh,
be’… Hai ragione. Non sarebbe carino presentarmi
con lo stomaco brontolante».
Ridendo, si avviarono insieme verso la mensa.
Grazie per aver letto!
Mi sorprendo sempre a pubblicare in questa sezione… Comunque sia, questa sciocchezza è una vecchia one-shot che giaceva nel mio pc e che adesso mi sembra presentabile.
Il titolo proviene dalla battuta di Morgan nel primo episodio di Vita all’Università: “Eppure, un ragazzo davvero simpatico mi aveva dato delle indicazioni piuttosto chiare, ma penso di aver capito male”.