Capitolo 4
La
sposa
rubata
Come luce lei
brillava
Quando sposa
andò
Dove mai
l'avrà portata
Il signore che
la rubò
Da tre notti non
riposo
Resto ad
ascoltare:
È la
vipera che soffia
Soffia presso
l'acqua
(La sposa
rubata, Angelo Branduardi)
Era
una domanda che doveva porgli, di nuovo, perché in carrozza
Loki le aveva detto
qualcosa di vero, quando aveva fatto riferimento agli oscuri legami di
cui si
era circondato nel corso della sua scapestrata esistenza. Anche lei era
uno di
quelli? Sentiva il suo corpo vibrante e vivo come non era mai stato e
provava
già nostalgia per le sensazioni intense vissute solo pochi
istanti prima. Aveva
conosciuto il desiderio e l’amore e le sue gambe cingevano
ancora i fianchi
stretti di Lord Odinson.
E lui
non le aveva promesso niente – né Sigyn si era
messa a chiedere altro se non di
essere amata come le sue mani, la sua bocca e i suoi sguardi feroci
promettevano. Gli sfiorò con la punta delle dita la mascella
diritta e virile risalendo
fino allo zigomo affilato, in una carezza stupita, ammirata: quante
notti aveva
sognato di essere tra le sue braccia e come era diversa ogni cosa, ora
che lui
la stringeva a sé? Piegò le labbra in un broncio
lieve. Avrebbero dato a Loki
la colpa e la responsabilità di quella fuga. Ecco
l’ennesima storia dell’avventuriero
spavaldo e giramondo che seduce la fanciulla e la rapisce: un dramma di
cui Sigyn
era la protagonista di nome, ma non di fatto, la cui voce non contava
nulla. A
chi sarebbe importato che lei desiderasse fuggire e che amasse Loki? A
nessuno. La sua volontà, che l’aveva
spinta nel cuore della notte a
scappare in punta di piedi, veniva vista come il capriccio di un
animaletto
grazioso e raggirabile. Ma Sigyn non si sentiva così
innocente. Era
diventata l’amante di Lord Odinson perché la sua
anima non era del tutto pura;
provava ancora fitte di gelosia cocente al pensiero delle donne che lui
aveva
amato nel corso dei suoi lunghi viaggi; vederlo ridere o scherzare con
altre
dame la rendeva insofferente e di malumore quanto le attenzioni di Loki
euforica. L’estate prima aveva fatto ogni cosa per rimanere
sola con lui,
finché un pomeriggio si erano ritrovati troppo vicini e Lord
Odinson l’aveva
guardata nell’identico modo in cui la fissava ora: con
curiosità e desiderio e
soddisfazione e qualcosa d’indefinibile e oscuro, accentuato
dal sorriso
laterale e sbieco che le aveva rivolto. Si erano baciati fino ad avere
le
labbra gonfie, a perdere il senso del tempo. Lui aveva riso dicendole
che il suo
aspetto delicato era quello di una fata, ma il suo lo spirito
appassionato era
di una strega – ma non una qualunque, specificò,
quella che condannò un famoso
conte alla perdizione.
“Colpa
sua, che si lasciò incantare,” aveva ribattuto
Sigyn, altera e sfacciata e
felice.
Loki
era rimasto in silenzio, come se fosse in cerca della risposta giusta
da darle.
Quando aveva parlato, la sua voce le era parsa più bassa e
roca del solito. “Oh,
avete ragione, mia signora. Voleva perdersi con lei e abbandonarsi al caos.”
Sigyn
lo sapeva: suo padre, temendo uno scandalo, non sarebbe mai andato a
denunciare
la sua scomparsa a Scotland Yard[1],
ma l’avrebbe fatta cercare e, quando l’avesse
trovata, non sarebbe rimasto
nemmeno un momento ad ascoltare le sue spiegazioni. L’avrebbe
fatta sposare con
l’uomo che reputava giusto per lei, condannandola a
un’esistenza piatta e
perbene: una settimana prima si era messo in testa di presentarle un
conte già
vedovo e con figli, manierato e cortese, ma capace solo di fare
discorsi vecchi
e vuoti. L’idea di essere sfiorata da lui la ripugnava nella
misura in cui
desiderava le mani di Loki su di sé. Sì, il suo
amore per il fratello del duca
sarebbe stato bollato come una fantasia o, peggio ancora, un capriccio
indotto
in cui era caduta perché ingenua. Al pensiero si
sentì ribollire il sangue
nelle vene, perché sentiva di appartenere
all’alchimista e a nessun altro,
anche se percepiva, era cosciente, di quanto lui fosse spregiudicato.
“Tu
sapevi,” insistette, “sapevi abbastanza da avere
con te l’antidoto,” sussurrò.
Non voleva spezzare l’incanto, eppure era necessario
sollevare il velo del
dubbio, dopo essere stati corrosi dall’urgenza di aversi.
Loki,
sopra di lei, volle assaggiare una volta ancora le sue labbra,
appropriarsi
della loro morbidezza. Infilò un braccio sotto la sua
schiena ghermendole la
nuca, come se Sigyn potesse fuggire o lui volesse possederla ancora
più intimamente
di quanto non aveva fatto.
Lei
lasciò che la baciasse, tremando al pensiero della risposta
che avrebbe ricevuto,
vittima del desiderio che scuoteva ancora entrambi, avvinghiati uniti,
vicini.
Loki sapeva troppo – l’aveva salvata, ma a che prezzo?
Lord
Odinson si aspettava quella domanda. L’attendeva da quando
aveva scoperto di
ricercare l’attenzione della giovane figlia di Lord Vanir non
per Laufey, ma
per sé. Nelle lunghe sere trascorse nel suo studio, con un
bicchiere di whisky
ormai vuoto posato sulla scrivania ingombra di carte, appunti e formule
proibite, aveva immaginato nel dettaglio cosa sarebbe successo se
avesse
tentato di salvarla. Ogni piano elaborato, però, era stato
scartato; Loki si
era convinto che Sigyn sarebbe stata la sua rovina, ma la soddisfazione
non era
nella sua natura e, lentamente, senza nemmeno rendersene conto, aveva
cominciato
a cercare per proprio conto l’antidoto che
l’avrebbe strappata al suo mentore e
alla morte. Doveva portargliela via, rubargliela, farla sua, vederla
abbandonare ogni resistenza e invocare il suo nome, tenerla tra le
braccia come
stava facendo in quel momento. E Laufey era già sulle sue
tracce, probabilmente.
I suoi servitori a quell’ora erano entrati nella camera di
Sigyn e, non
trovandola, avevano sicuramente avvertito il loro capo. Laufey lo
avrebbe fatto
chiamare, sospettando immediatamente di lui? E Lord Vanir come si
sarebbe
mosso, scoprendo che la figlia era svanita nel nulla? Il vecchio
avrebbe
coinvolto Thor, senza dubbio. Sì, Loki aveva previsto ogni
mossa dei suoi
avversari, compresa quella domanda che veniva proprio dalle squisite
labbra della
sua incantevole e desideratissima amante, ma aveva lasciato spazio
anche
all’imponderabile, al caos che stravolgeva ogni piano.
Avrebbe messo a tacere
Vanir, conquistato il favore di Thor, ucciso Laufey prima che la
vendetta di
quest’ultimo si abbattesse su di lui.
E poi,
forse, le avrebbe confessato di aver avvelenato la stoffa usata per il
magnifico abito che l’aveva fasciata fino a poche ore prima,
che lui aveva
accarezzato e toccato incurante dell’arsenico mischiato ad
altre rare erbe indiane
– ma aveva bevuto anche lui un goccio d’antidoto,
mentre attendeva che la festa
a casa Vanir finisse.
Così,
seguendo l’intricata rete di trappole che aveva messo a
punto, rispose a Sigyn
negandole una completa verità che sarebbe stata troppo
difficile da spiegare o
da accettare, ma dandole una risposta che, pure, era abbastanza vicina
a essa.
Un inganno sottile e necessario, tanto da potersi spezzare in ogni
momento,
eppure, proprio per questo, più robusto.
“Conosco
le sue intenzioni, sì,” ammise. “So cosa
ha usato per avvelenarti. Mi ha
chiesto aiuto per la pozione,” le rivelò con voce
roca, sottilmente compiaciuta.
“E io ho creato il veleno e
l’antidoto.”
La
sentì irrigidirsi sotto di lui, la vide sgranare i begli
occhi grigi. Intuiva
che c’era dell’altro, aveva colto la
pericolosità insita nelle sue parole, si
era affacciata oltre il precipizio oscuro che era la sua anima contorta
e
assetata di conoscenza. Un sapere che non aveva prezzo, per cui era
disposto
anche a sacrificare la vita sua e degli altri, ma questo Sigyn ancora
non
poteva saperlo, né conosceva l’imponderabile, la
bestia oscura che gli
graffiava il petto. Lo avrebbe scoperto, però.
“Perché
hai atteso stanotte?” gli sibilò flebile e decisa.
L’alchimista
piegò le labbra in un ghigno ironico e mesto; con la mano
libera, scostò una
ciocca bionda dalla sua fronte.
“Avrebbe
trovato un altro modo. Dovevo impedirglielo, facendogli credere fino
alla fine
che il suo piano si sarebbe realizzato stanotte.”
Di nuovo,
non si trattava di una menzogna, ma nemmeno della totale
verità: era qualcosa
nel mezzo – un inganno, volto a celare la parte
più bieca della vicenda, quella
che Sigyn sospettava e Loki, ancora, nascondeva. L’avrebbe
persa, altrimenti, e
non era disposto a farlo. Non era sazio di lei, di loro, della sua
pelle morbida
e dorata, delle sue labbra dolci, del suo corpo snello e teso
intrappolato
sotto il suo. L’aveva catturata e la desiderava ancora.
L’avrebbe persa
comunque, forse, ma non quella notte maledetta che
già si trasformava in
un’alba grigia e fredda[2].
Sigyn
legò l’una all’altra le informazioni
scoperte. L’intrigo in cui Loki era
invischiato le apparve davanti in maniera più nitida; non
immaginava ancora che
ad avvelenarla era stato il bell’abito che lui le aveva
sfilato di dosso, ma
era un dettaglio trascurabile rispetto alla portata del gesto in
sé.
“Mi
hai avvelenata.” Ora che lo aveva detto le sembrò
più vero – e spaventoso. Ed
era nel suo letto, stretta a lui, senza difese. Aveva l’odore
di Loki addosso,
il sapore dei suoi baci su ogni curva del suo corpo. Aveva seguito il
drago
nella sua caverna lasciandosi irretire dalle sue carezze e ora si
trovava tra
le sue spire meravigliose crudeli[3].
“Ti
ho salvata.” Loki la strinse con più forza
strappandole un bacio sul collo
capace di farla comunque tendere; la sua voce aveva assunto un tono
secco e
graffiante, che non ammetteva repliche. “Era il modo
più sicuro. L’unico
sicuro,” puntualizzò torvo.
Sigyn
doveva – poteva – credere alle
sue parole? Aveva offeso la sua famiglia
fuggendo con un uomo dall’anima oscura, ma nel suo sguardo
lupesco la ragazza
riconobbe una scintilla del tormento in cui Loki era rimasto incastrato
nei
mesi in cui l’aveva baciata, corteggiata e frequentata
sapendo che un altro
voleva farla sua.
“Stavo
per morire, eppure non sono mai stata così viva come
stanotte,” gli confessò.
“Perché
sono qui?”
L’alchimista
non le rispose, ma nella penombra le loro labbra si cercarono ancora,
insolenti
e disperate, nervose come le loro mani e i corpi avvinghiati e corrosi
da un
desiderio sublime e maledetto. Non era destino che si amassero, ma
questo,
ancora, Sigyn non poteva immaginarlo, Loki non voleva dirlo.
♥
Thor
era ancora in veste da camera quando Lord Vanir e Theoric bussarono
alla sua
porta. Li ricevette e ascoltò il racconto della sparizione
di Sigyn e l’accusa
che vedeva coinvolto il suo introvabile fratello. Gli chiesero dove
fosse, lo
pregarono di non proteggere ulteriormente Loki, colpevole di aver
corrotto una ragazza
innocente, invaghita dei suoi modi affascinanti e insolenti. Era stato
davvero
lui? Aveva osato macchiarsi di un gesto così orrendo, capace
di rovinare per
sempre la vita di una donna? La voleva fino a quel punto?
Pensò alla sera prima
e decise che suo fratello era senz’altro degno
di un piano tanto crudele.
Si
chiese cosa avrebbe detto o fatto il vecchio Odino e fu preso dalla
voglia di
risolvere la questione personalmente, una volta per tutte, e
intervenire a
costo di mettersi definitivamente contro Loki, così
sfuggente e perfido,
incapace di accontentarsi di ciò che la vita gli offriva o
di conquistare ciò
che desiderava se non con l’inganno. Se avesse dimostrato
alla famiglia di
Sigyn di voler essere per lei un buon marito, loro avrebbero davvero
rifiutato
a oltranza la sua proposta?
Ma su
suo fratello correvano voci orrende e Thor sapeva che non tutte erano
semplici maldicenze;
aveva cercato di scoprire qualcosa di più sui suoi
esperimenti, sui veleni e i
segreti proibiti cui si dedicava seguendo una tradizione che affondava
nei
secoli, al tempo dei primi alchimisti o di quando veggenti e streghe
camminavano su questo mondo. In parte, la fascinazione di Loki per
l’oscurità
derivava dagli interessi altrettanto oscuri del loro defunto padre. Da
lui Loki
aveva ereditato l’astuzia e la spregiudicatezza, assieme
all’arte di
architettare trucchi e trappole. Erano due farabutti con un titolo
nobiliare
addosso, pirati incapaci di fermarsi di fronte ai divieti morali
– e ce
l’avevano nel sangue, quell’insaziabile desiderio
di conoscere. Sigyn era
rimasta intrappolata dalla brama feroce di suo fratello di avere ogni
cosa, si
era lasciata incantare dal suo sorriso beffardo e dalle sue battute
argute e
ora lui, Thor, doveva rimediare. Eppure, tradire Loki non era nei
piani. Doveva
trovarlo prima che altri lo facessero e convincerlo a ragionare.
Lord
Vanir era invecchiato di dieci anni in una notte. Le rughe che gli
solcavano il
volto magro si erano fatte più profonde, gli occhi chiari,
liquidi e mobili, si
guardavano attorno come se Sigyn potesse comparigli davanti
all’improvviso; gli
tremavano le mani nodose, su cui spiccavano le vene bluastre. Chiamava
la
figlia bambina mia e raccontava di come
assomigliasse a sua madre. Thor ricordò
che, anni prima, l’uomo aveva sofferto per la perdita
improvvisa dell’amata
moglie, ma pensò anche che Sigyn era una giovane donna
innamorata. Gli sembrò
fragile e patetico nella sua supplica, quanto Theoric nervoso e
incapace di
fare altro che chiedere il suo aiuto.
“Loki
non è qui,” sospirò. “Vi
accompagnerò nella nostra tenuta di campagna, ma vi
devo avvisare: dubito che lo troveremo lì o in qualsiasi
altra delle nostre
proprietà.”
“La
sua casa in città è vuota,” disse
Theoric. “Dove altro può averla portata? In
un ostello? In un altro paese?” azzardò.
“Se
sono insieme.” disse. Loki la voleva, certo, ma agire in
maniera tanto plateale
e rischiosa non gli si addiceva non perché mancasse di
coraggio: un simile
atteggiamento cozzava con la sua natura calcolatrice e infida. Thor lo
conosceva bene e il doloroso ricordo delle giornate passate a cacciare
insieme
gli ferì il petto.
“Vostra
Grazia! Così ci offendete!” esplose Vanir.
“Se
sono insieme, mio lord, varrebbe la pena di considerare
l’idea di unirci non
solo nella loro ricerca. Se l’ha convinta a fuggire, avete la
dimostrazione che
mio fratello è davvero interessato a
Sigyn,” sottolineò Thor con forza,
fissando entrambi i suoi ospiti negli occhi. Lo stava facendo ancora
una volta.
Stava difendendo Loki come aveva fatto per una vita intera, giurando di
combatterlo per poi proteggerlo alla prima occasione utile, nonostante
sapesse
quanta oscurità si celasse nell’animo
dell’altro, ma senza sospettare nulla
dell’abito avvelenato.
♥
La
casa di Odino è piena di traditori.
Loki
si aspettava che Laufey lo guardasse negli occhi scandendo con lentezza
quella
frase vera, dal sapore di una condanna. Ogni muscolo e nervo del suo
corpo
agile e nervoso era pronto a scattare, a pugnalare al cuore o alle
spalle il
vecchio mentore, ma l’altro si limitò a guardare
il giardino che si stendeva
sotto la propria finestra con le braccia allacciate dietro la schiena e
la
bocca piegata in una smorfia dolorosa. Le dita di Lord Odinson
sfiorarono il
bracciolo in pelle della poltrona su cui si era seduto con
l’abituale
noncuranza, cercando di mascherare la tensione.
“Indossava
l’abito, ieri sera?” gli domandò a un
tratto Laufey con voce roca, gracchiante.
“Sì,”
rispose Loki. Se l’avesse scoperto, la sua fine sarebbe stata
quella di essere
sepolto vivo sotto sei piedi di terra, ma fuggire o sparire equivaleva
ad
ammettere di aver nascosto Sigyn. Doveva lasciare Londra non appena i
sospetti
su di lui si fossero allentati e, per fare questo, aveva bisogno di
dirottare
l’attenzione dei suoi molti nemici altrove.
Il prezzo per un piano così
ardito era rischiare il collo andando a fare visita proprio al proprio
maestro,
il più pericoloso dei suoi avversari.
“Com’era?”
insistette l’uomo stringendo le dita fino a farsi sbiancare
le nocche.
L’alchimista
ricordò il raso verde che accarezzava le curve di Sigyn, la
sfumatura viva di
colore che ne esaltava la carnagione dorata, la bocca appena schiusa
che lui
aveva assaggiato dopo averle dato una fiala con l’antidoto.
Non voleva
condividere col mostro che aveva davanti l’immagine di lei, eppure.
“Incantevole,”
decise infine.
“Dove
può essere andata? La sua famiglia sospetta di te:
stamattina è andata da tuo
fratello,” l’informò Laufey voltandosi
con lentezza nella sua direzione.
Lord
Odinson non si mosse e sostenne lo sguardo del mentore con fermezza.
“Se
sospettano di me,” ghignò, scandendo ogni parola,
“è perché tu mi hai
chiesto di avvicinarla. Era nei nostri piani che immaginassero una
nostra fuga
d’amore, ricordi? E mentre loro avrebbero cercato
d’incastrare me, tu avresti
fatto con lei ciò che dovevi,” concluse tra i
denti.
Il
vecchio studioso soppesò il discorso dell’altro.
Non c’erano falle né dubbi
nelle sue frasi puntuali e acute. Era stato lui a coinvolgerlo in quel
piano
che, all’improvviso, si era trasformato in un orrendo incubo.
“L’hai
mai desiderata?” lo affrontò infine a bruciapelo.
Loki
rise buttando il capo all’indietro, ma nei suoi occhi
scintillava un bagliore
sinistro. “Mi sono esposto, Laufey,”
puntualizzò alzandosi. “Ho avvelenato il
vestito che indossava. Per te. Perché fosse finalmente tua,”
insistette,
nascondendo abilmente il brivido che gli correva lungo la schiena al
pensiero
di lei tra le sue braccia: aveva ancora il suo profumo addosso, il
sapore dei
suoi baci sulle labbra. Si era macchiato di una colpa infinitamente
grande –
aveva tradito l’uomo che lo aveva riportato in Inghilterra e
lei, lasciandosi
corrodere da un fuoco che gli aveva infiammato l’anima fino a
bruciarla, ma
nonostante fosse consapevole della rete in cui si era invischiato e che
lui
stesso aveva contribuito a tessere con pazienza, non provava alcun
rimorso.
Voleva Sigyn a tutti i costi. L’idea che Laufey, con le sue
mani sciupate e
macchiate dal sole dei Tropici, con le sue spalle già curve
e i denti marci[4],
potesse sfiorarle la bocca, i fianchi rotondi o il seno sodo, gli era
intollerabile e faceva scaturire nel suo petto un rancore sordo e senza
nome,
una gelosia smisurata che gli serrava lo stomaco e la gola. Avrebbe
dovuto
ucciderlo in quell’istante; valutò la
fattibilità di una simile azione,
considerò che nessuno al mondo si sarebbe messo a piangere
per la morte di quel
grandissimo bastardo.
Lo
studioso reietto lo aveva ascoltato in silenzio. Era a conoscenza delle
voci
che circolavano sul suo giovane amico e Sigyn. Era vero, aveva fatto di
tutto
per alimentarle, invitando l’altro a visitare il
più spesso possibile la casa
di Lord Vanir e qualsiasi altro ambiente la ragazza frequentasse per
soddisfare
il suo bisogno di conoscerla tramite la voce dell’altro. Non
si era mai
concesso di sospettare di Loki perché troppo sicuro di
sé, del suo piano e,
soprattutto, della bramosia che il figlio di Odino nutriva verso le
arti
occulte. No, l’uomo di fronte a lui non avrebbe sacrificato
la conoscenza del
mistero della vita e della morte per amore di una ragazza, eppure
Laufey sapeva
quanto il desiderio, troppo spesso, infiammasse i lombi offuscando la
ragione.
“E
allora lei dov’è, amico mio?”
insistette.
L’alchimista
lo squadrò dall’alto in basso. “Verrei
qui, se fosse con me? Sarebbe un gesto
stupido e folle,” sentenziò freddamente.
“A
meno che tu non voglia imbrogliarmi,” ragionò il
vecchio.
“Chiedi
che fine ha fatto agli uomini che dovevano portartela. Forse ti fidi
troppo di
loro,” insinuò Loki crudele, consapevole di aver
condannato degli innocenti a
una fine tremenda. Un altro sorriso sghembo e astuto gli
attraversò le labbra.
“Pensaci, Laufey. Lei era incantevole, inerme,”
sibilò. “Il suo cuore aveva
appena cessato di battere, ma era ancora calda.”
Scoprì i denti bianchi e
regolari vedendo l’altro impallidire e credergli, almeno
per il momento
– gli faceva comodo farlo, doveva allontanare dal suo braccio
destro i
sospetti, ne aveva bisogno per non annaspare nella disperazione.
Loki
sentì il sangue fluire nelle sue vene al ritmo sostenuto del
suo battito
accelerato. L’ennesima trappola era scattata e, con tutta
probabilità, aveva
guadagnato qualche giorno di respiro. Com’era patetico il suo
mentore, che si
struggeva per una ragazzina appena entrata in società,
com’era pericoloso il
suo piano – ucciderla per evocare un’altra
– quanto era stato insistente nel
chiedergli che profumo avesse la sua pelle, ignaro che
quell’aroma lo inebriava
e acuiva il suo desiderio! Ora ne pagava il prezzo e il dolore che lo
dilaniava
era solo una minima parte di quello che lo attendeva in futuro.
Eppure,
Laufey non era l’unico pazzo nella stanza. Era quasi sera, e
Sigyn era rimasta
nella casa in cui l’aveva nascosta, di cui nessuno, nemmeno
Thor sapeva niente.
Si congedò, allontanandosi con passi lunghi e misurati e
facendo attenzione che
nessuno lo seguisse, ripetendo mentalmente le prossime mosse da
compiere. Avrebbe
passato un’altra notte con lei, sarebbe riuscito ad
allontanare da sé l’attenzione
di Laufey e di Vanir convogliandola su qualcun altro e poi
l’avrebbe portata
sul continente. Il padre e il fratello di Sigyn erano già
andati a bussare alla
porta di casa Odinson e credevano certamente che lui fosse fuggito
nella tenuta
di famiglia, in campagna; al loro ritorno, Loki li avrebbe attesi
dimostrando
come nella sua casa londinese non ci fosse traccia alcuna della
ragazza. A quella
dove Sigyn l’aspettava non sarebbero mai riusciti a risalire,
perché intestata a
un nome fittizio[5].
Non si trattava della soluzione migliore, ma certamente era quella
più
indolore. Ciò che avrebbe dovuto fare, sarebbe stato pararsi
di fronte a Laufey
e sparargli in mezzo agli occhi, per poi dare la sua casa alle fiamme,
non
prima di aver rubato ogni suo appunto utile e distrutto il resto.
♥
Il pomeriggio
aveva lasciato il posto a una sera fredda e umida e Sigyn non era
ancora
riuscita a finire la lettera che si era ripromessa di scrivere a suo
padre. La fuga
con Loki era stata troppo repentina per comporre anche solo un
biglietto, e la
ragazza sentiva di dover giustificare le proprie azioni di fronte a una
famiglia molto amata che l’avrebbe cercata fino allo
sfinimento. Per tre volte si
era convinta di aver messo su carta le sue motivazioni in maniera
chiara e
precisa e altrettante aveva stracciato ogni foglio. Il suo desiderio
più grande
era che accettassero la sua decisione e si convincessero della forza
dei suoi
sentimenti verso Loki Odinson: il ricco fratello di un duca che le
avrebbe
permesso di vivere nell’agio – anche questo aspetto
si era premurata di
sottolineare, nelle varie versioni della missiva, ma le rendite
dell’affascinante
e astuto alchimista non l’interessavano come avrebbero
dovuto. Era lui, col suo
sguardo chiarissimo e aguzzo perennemente tormentato da una sete
insaziabile,
con la sua ironia pungente e taglientissima, col suo modo di fare
misurato e
sicuro di sé, a incantarla. Indossava un abito color avorio
che lui l’aveva pregata
di indossare e il ciondolo danese appartenuto alla strega.
Dell’abito di raso
verde non c’era più traccia. Tirò su le
gambe accoccolandosi meglio sulla poltrona,
in attesa che lui tornasse. Al pensiero che avrebbero trascorso di
nuovo la
notte insieme, strusciò senza accorgersene le ginocchia tra
loro, lasciando
scorrere una mano sulla gonna chiara che la copriva: lo voleva.
Il suo
corpo fremeva al pensiero delle labbra di Loki che lo percorrevano
accarezzando
ognuna delle sue curve tremanti. Allo stesso modo, le sue mani
desideravano
esplorare ancora il corpo agile e scattante contro cui si era stretta,
fatto di
muscoli tonici che spiccavano sotto la pelle. Il dolore piacevole e
imprevisto
che aveva provato facendo l’amore con lui
era qualcosa di cui si era
accorta di aver bisogno. Eppure, c’era qualcosa, in Loki, che
ancora le
sfuggiva. Aveva creato il veleno e
l’antidoto, mettendo a repentaglio la
sua vita per salvarla. Sigyn credeva alle sue parole e non dubitava di
essere l’oggetto
della vendetta di un uomo che già si era accanito con la sua
famiglia, eppure
la freddezza con cui Loki aveva organizzato il suo personale piano per
salvarla
la spaventava, il racconto che le aveva fatto nascondeva ancora delle
ombre. In
attesa che l’alchimista tornasse e nelle pause necessarie
dovute alla mancanza
d’ispirazione per la difficile lettera per suo padre, aveva
visitato ogni
stanza della casa, curiosando in cerca di dettagli o indizi che le
rivelassero
qualcosa in più dell’uomo che amava. Aveva vagato
per corridoi e sale, soffermandosi
sui titoli dei volumi contenuti nelle numerose librerie, su qualche
spada
antica dall’elsa istoriata con pietre preziose che
campeggiava appesa nei vari
salotti. Si era fermata unicamente di fronte a una porta chiusa a
chiave.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Mi stavate
già dando per dispersa **? È stata una settimana
veramente brutta e ha ragione
un noto scrittore contemporaneo, si scrive quando si sta bene, pure
quando si
regalano sfighe ai personaggi. Alcuni di voi hanno azzeccato quale,
anzi quali
fiabe siano racchiuse in questa “Fable!AU”.
Credo di aver detto tutto quanto
nelle note. Come sempre, ogni dettaglio inserito, anche caratteriale,
è
assolutamente coevo con i personaggi del periodo.
Il
riferimento incessante al ciondolo della strega ovviamente
avrà un senso e prima
che lo diciate: no, Loki non poteva fuggire immediatamente da Londra.
Nella prima
versione di questa storia (mentale) faceva esattamente così,
ma c’erano troppe
cose che non mi tornavano e nel prossimo capitolo Loki ve le
spiegherà.
Spero
che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando
leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Anche se non
rispondo pubblicamente a tutte le recensioni le leggo appena arrivano e
mi
commuovo ogni volta♥.
Ah, prossima
settimana arriva DAVVERO “Solo un accordo”!
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo – e io lo so
perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice, e vedere
che alcuni di voi
tengono nel proprio spazio su Efp le mie storie o trovano il tempo di
lasciarmi
due righe mi rende felice come Loki mentre abbracci il Tesseract, ecco.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che
trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
[1]
Che all’epoca, 1857, già c’era.
Considerate che Sigyn è una donna nobile e che
il buon nome della famiglia e la sua personale reputazione verrebbero
messe a
repentaglio se la polizia venisse a conoscenza della sua sparizione.
[2]
È una voluta ripetizione.
[3]
La metafora del drago e della principessa l’ho usata in Solo
un accordo (tipo
sempre) in Oltre l’inganno e in qualche altra parte e
sappiate che ci tengo abbastanza.
[4]
L’immagine è un po’ schifosa, ma
considerate che la vita media nel 1850 in Gran
Bretagna superava di poco i cinquant’anni e in cinquantenni
di metà Ottocento
non assomigliano assolutamente ai nostri. Lo stato della medicina era
quello
che era soprattutto per quanto riguarda i denti: tenete presente che
Lev
Tolstoj a trentacinque anni era già sdentato, che Washington
portava una dentiera
in legno, se non vado errata.
[5]
Come detto anche nel capitolo precedente.