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Autore: DrarryStylinson    15/06/2020    1 recensioni
Stiles è frutto di un esperimento genetico mal riuscito: metà uomo e metà lupo. Quando l’animale prende il sopravvento, la rabbia e l’istinto di far del male al prossimo sono impossibili da controllare. Solo un altro come lui potrebbe avere le capacità per fronteggiarlo.
Derek, rimasto solo al mondo e con un conto in sospeso con Stiles, si offre volontario per diventare anch’egli un mezzo lupo per poter così catturarlo.
Quando però la verità viene a galla entrambi dovranno rivalutare le loro posizioni in questa sorta di guerra.
Sterek!AU
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

Eravamo entrati in tangenziale da pochi minuti. Cora si era slacciata la cintura per sporgere la testa dal finestrino aperto e guardare l’elicottero che passava sopra le nostre teste. “Riallacciati la cintura” le dissi. Lei non mi ascoltò e io non insistei. Laura stava cambiando stazione radio e, quando sentì un famoso assolo di chitarra, smise di premere tasti a caso. La mamma stringeva il volante con entrambe le mani e le nocche erano diventate quasi bianche. Mi lanciava occhiate indecifrabili dal retrovisore. “Mamma!”. L’urlo di Laura rimbombò nella macchina facendomi sobbalzare. “Stiles!” gridò mia madre con una voce acuta e spaventata. Sterzò con il volante e vidi di sfuggita il fianco della macchina investire l’ombra comparsa improvvisamente in mezzo alla carreggiata. Allungai una mano per prendere quella di Cora ma non ci riuscii. La macchina cominciò a ribaltarsi mentre le urla delle mie sorelle si facevano più acute. I vetri dal mio lato si ruppero e mi tagliarono un braccio e il volto conficcandosi sotto la pelle. Cercai di chiamare mia madre ma mi morsicai la lingua che prese a sanguinare. La macchina si fermò. Mi fischiavano le orecchie e sentivo odore di benzina. Aprii gli occhi, ritrovandomi a testa in già. Ansimai di dolore quando una fitta mi trapassò la gamba. “Mamma?” la chiamai con un filo di voce. “Laura?”. Guardai mia sorella Cora. Era incastrata tra due sedili e il collo penzolava in una posizione innaturale. “Cora?”. Le fiamme cominciarono a sollevarsi. Dalla bocca mi usciva sangue che aveva cominciato a colarmi sulle guance ed entrare nel naso. Cercai di slacciare la cintura ma qualcosa la bloccava. Dal finestrino distrutto vidi due gambe. Tentai di chiedere aiuto ma non ce la feci. I piedi nudi di quello sconosciuto calpestarono i vetri sull’asfalto. All’improvviso l’interno della macchina venne illuminato dal fuoco che aveva cominciato a divampare. Tossii a causa del fumo. Il fischio nelle orecchie diminuì e udii la voce di mia madre. “Salva loro”. Solo due parole ero riuscito a sentire prima di vedere un braccio allungarsi verso di me e strappare la cintura, che mi segava il collo, con le unghie troppo lunghe per appartenere ad un essere umano. Persi i sensi e quando rinvenni mi trovavo sull’asfalto. La luna piena fu la prima cosa che vidi, la seconda fu l’ombra che si stagliò davanti ad essa. Era una persona ma aveva gli occhi di un giallo brillante, come oro. Respirai affannosamente, spaventato. L’ombra si allontanò e io la seguii con lo sguardo. Si riavvicinò all’auto rovesciata e si piegò per guardare al suo interno. Le fiamme si erano alzate e il fumo, che mi riempiva i polmoni, era scuro e fitto. Aprii le labbra per chiedere a quel misterioso individuo dagli occhi fluorescenti di salvare la mia famiglia quando due fari mi abbagliarono. Una macchina si era avvicinata a noi. La portiera si aprì e qualcuno urlò: “non osare farlo!”. Era una voce aggressiva e da uomo. L’ombra si rimise in posizione eretta e si portò una mano dietro la testa. Vidi il suo viso, a causa del chiarore delle fiamme. Era sudato e aveva le guance ricoperte di peli, le orecchie erano appuntite e dei denti affilati spuntavano dalla sue labbra. Gorgogliai un lamento di stupore e altro sangue schizzò dalla mia bocca. L’ombra con il viso da lupo mi osservò un’ultima volta poi spiccò un balzo e, senza alcuna difficoltà, scavalcò la macchina e non la vidi più. Guardai la macchina in fiamme e la sola cosa che riuscivo a vedere era: 6 QGM 387. Il resto era offuscato. Un paio di lacrime caddero dai miei occhi mentre tornavo a fissare la luna, così bella e letale. Quell’uomo, lo stesso che aveva urlato contro l’ombra dagli occhi gialli, mi prese da sotto le ascelle e mi trascinò lontano. Si inginocchiò accanto a me e, tenendomi per mano, parlò al telefono con i soccorsi che stavano già giungendo sul posto. In lontananza, cominciavo a sentire il suono delle sirene. Udii una donna urlare. “Ma-mma” balbettai privo di forze. Era lei che stava gridando. Riconoscevo la sua voce. Fu in quel momento che l’auto, sotto i miei occhi spalancati e velati di lacrime, esplose.

 

 


Mi sollevai di scatto a sedere sul divano artigliandomi la maglietta e annaspando alla ricerca d’aria.
“Derek, grazie al cielo!” esclamò Stiles preoccupato.
Arricciai il naso alla puzza di paura e panico che iniziai a sentire. Poi capii che ero io, quell’odore veniva dal mio corpo.
“Non riuscivo a svegliarti” disse Stiles agitato.
Lo guardai solo per un secondo prima di portare gli occhi sulle mie mani modificate dagli artigli. Mi ero trasformato nel sonno. Inspirai profondamente tentando di riprendere il controllo. Mi ero addormentato sul divano e avevo sognato. Niente di più, non c’era motivo di perdere la testa.
Vidi Stiles infilare una mano in tasca e tirare fuori una delle sue solite stecche. Strappò l’involucro coi denti e me la offrì. Feci una smorfia e scossi la testa, non volevo drogarmi di liquirizia.
“Ti può aiutare” cercò di convincermi. Si sedette al mio fianco e mi prese la mano da lupo con la sua. “Fidati di me” aggiunse.
Mi specchiai nei suoi occhi e, in quel riflesso, vidi il blu dei miei.
Stiles avvicinò la stecca alla mia bocca e io aprii le labbra. La strinsi tra i denti e, appena la toccai con la lingua, venni invaso da una potentissima sensazione di benessere. Era come fluttuare in assenza di gravità. Lo fissai stralunato mentre il mio respiro si calmava e il cuore decelerava. Mi appoggiai allo schienale del divano morsicando la stecca alla liquirizia e continuando a guardare Stiles.
“Non riuscivo a svegliarti” ripeté ricambiando il mio sguardo smarrito, in cerca di una spiegazione.
Sapeva, dal mio odore, che qualcosa di brutto mi era appena successo.
“Solo un incubo” cercai di tranquillizzarlo senza riuscirci granché.
“Doveva essere davvero terribile” sussurrò stringendomi la mano e assorbendo il mio dolore emotivo senza rendersene neppure conto.
“Era più un ricordo” ammisi.
Stiles comprese. “Scusa” mormorò.
“No. Non fare così” lo fermai prima che potesse cominciare a sentirsi in colpa. Non avrei potuto sopportarlo. Lui sorrise, tristemente, ma non poté fare a meno di esalare rimorso. Tolsi la liquirizia dalla bocca e la lanciai sul tavolino. Presi Stiles per le guance e lo baciai con impeto. Lui ricambiò con urgenza e mi morsicò le labbra.
“Vorrei averti conosciuto in altre circostanze” mormorò riprendendo a baciarmi con foga.
Sapevamo entrambi che, in una situazione normale, non ci saremmo mai conosciuti. Lui sarebbe morto da piccolo, a causa del morbo di Batten, e io avrei continuato a vivere la vita con la mia famiglia senza nemmeno sapere della sua esistenza. Forse avrei letto di lui sul giornale o avrebbero fatto un servizio al telegiornale riguardo al padre proprietario di un’azienda multimiliardaria che in pochi anni aveva perso sia la moglie che il figlio. Lo avrei compatito ma la mia vita non sarebbe cambiata di una virgola.
Non c’erano altre circostanze in cui ci saremmo potuti conoscere. Ero quasi sei anni più grande di lui e non conoscevamo l’uno l’esistenza dell’altro, per cui non risposi a quell’osservazione totalmente insensata e continuai a baciarlo con irruenza e spingendolo per farlo sdraiare sul divano.
Poggiò la testa sul bracciolo e la gettò all’indietro per lasciare libero accesso alla sua gola che azzannai con denti umani. Gemette morsicandosi le labbra e allargando le gambe per lasciarmi accomodare. Senza perdere tempo, affondai contro di lui e nel frattempo gli tirai la maglietta verso l’altro. Sollevò il busto per farsela togliere poi prese la mia per il colletto e me la fece passare dalla testa.
Mi slacciò con frenesia i jeans e io scalciai per toglierli il più velocemente possibile. Con solo i boxer addosso, mi sdraiai di nuovo sul suo corpo seminudo baciandogli il petto e soffermandomi sui capezzoli già turgidi.
Lui infilò una mano tra i miei capelli e mi spinse più giù senza troppa forza. Gli abbassai la tuta e gliela sfilai, poi ritornai sul suo ombelico infilandoci dentro la lingua e scendendo sempre più giù. Quando poggiai le labbra aperte sul suo membro coperto dall’intimo lui gemette rumorosamente e sprigionò un aroma di freschezza ed eccitazione.
Anche le mutande fecero compagnia agli altri vestiti sul pavimento.
Eravamo nudi, sudati e, uno sopra l’altro, ci dondolavamo in una frizione deliziosa scambiandoci baci esageratamente bagnati.
“Girati” sussurrai con urgenza. Lui si avvinghiò con i polpacci alle mie gambe e inarcò la schiena per venire incontro alle mie spinte. “Ti prego” aggiunsi quando vidi che non aveva intenzione di farlo.
Mi ignorò, risucchiando il lobo del mio orecchio nella sua bocca.
“Tutto bene?” chiesi rallentando le spinte fino a fermarmi e fu maledettamente faticoso.
“Sì” rispose baciandomi una spalla.
“Non vuoi farlo?” domandai per essere sicuro fin dove fosse disposto a spingersi.
“Non credo sia una buona idea” rispose avvolgendomi le spalle con un braccio. “Possiamo fare altro” propose infilando una mano tra i nostri corpi appiccicati di sudore e afferrando il mio sesso.
Gemetti contro il suo orecchio e lo guardai. “C’è una ragione particolare?” chiesi non potendo fare a meno di spingermi nella sua mano.
“Non sai niente di lupi, vero?” chiese retorico.
Aggrottai le sopracciglia e mi sollevai poggiando i gomiti ai lati della sua testa. “No” ammisi.
Stiles lasciò andare il mio membro. Sospirò e mi guardò dubbioso. “I lupi sono animali molto fedeli” esordì studiando le mie reazioni. “Quando scelgono il proprio compagno rimangono legati ad esso per tutta la vita” spiegò.
Percepii una punta di speranza esalare dal suo corpo, la stessa che avevo sentito quando ci eravamo incontrati la prima volta e, finalmente, compresi. Lui mi aveva già scelto. Mi aveva scelto quando ancora non mi conosceva e sentiva Talia raccontargli di me. Lui sarebbe stato solo per tutta la vita senza trovarsi nessun altro compagno perché il lupo mi aveva scelto quando aveva solo quindici anni.
“Non voglio obbligarti a stare legato a me” disse spaventato. Aveva paura che lo rifiutassi ma anche di costringermi a stare con lui contro la mia volontà.
Con lentezza mi alzai in piedi e, completamente nudo, mi diressi verso la camera. Emanò incomprensione e tristezza vedendomi allontanarmi. Presi la mia giacca di pelle, quella che mi aveva bucato sulle spalle con i canini al nostro primo incontro, e la portai in salotto.
Fece per alzarsi a sedere ma lo fermai. “Resta così” dissi sedendomi a cavalcioni sul suo bacino. Le nostre erezioni si erano affievolite ma, quando rientrarono a contatto, entrambi dovemmo trattenerci dal boccheggiare per il piacere. “All’inizio non capivo per quale motivo la portassi con me, ma ora credo di saperlo” mormorai.
Mi fissò confusamente mentre infilavo una mano nella tasca. Tirai fuori la sua fotografia spiegazzata e bucata i tre punti. Era ormai rovinata a causa di tutte le volte in cui l’avevo stretta tra le dita e infilzata con gli artigli.
Stiles la prese tra le mani e la osservò. Si riguardò in quella felpa rossa con in mano una mela già morsicata e con i capelli molto più corti. Sorrideva ad una persona non inquadrata e aveva un’espressione divertita come se avesse appena fatto una delle sue tipiche battute sarcastiche.
Stiles spostava lo sguardo dalla foto a me, sempre più scioccato.
“Mi sono sempre chiesto chi guardavi con così tanto affetto, ma ora lo so” dissi riprendendo la fotografia e rimettendola al suo posto. “Guardavi mia madre”.
Non sapeva cosa dire, ma il fatto che nessun sentimento negativo aleggiava nell’aria era un buon segno.
“Anche io ti ho scelto” dissi infine. “E credo che sia stato il lupo il primo ad accorgersene e obbligarmi a portare sempre con me una tua foto” confessai.
Stiles, restando sempre sdraiato sul divano, sorrise e mi guardò come se fossi la persona più importante della sua vita e, molto probabilmente, era così: lui non aveva nessuno a parte me e, senza la mia famiglia, anche io avevo solo lui.
“Hai detto che mi amavi senza nemmeno avermi mai visto” ricordai la sua confessione. “Credo che per me valga lo stesso: il lupo si è innamorato di te solo guardandoti e io mi sono innamorato appena ho imparato a conoscerti”.
Prese la giacca di pelle, che ancora tenevo in mano, e la fece cadere sul pavimento insieme agli altri vestiti che ci eravamo tolti con frenesia. Mi prese per le spalle e mi tirò verso di sé. Mi abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo, baciandomi una guancia ispida di barba diventata troppo lunga. Stiles, in confronto a me, aveva solo qualche peletto sul mento e pochi baffi, sembrava che fosse ancora in una fase puberale perché i peli sul suo viso non avevano intenzione di crescere, a parte quando si trasformava, ovvio.
Incastrai le mani tra la sua schiena e il divano e ricambiai l’abbraccio.
Ripensai al sogno che avevo avuto, ai suoi occhi gialli che erano stati l’ultima cosa vista da mia madre prima che la macchina esplodesse.
“Possiamo riprovarci, se vuoi” propose allentando l’abbraccio.
“Guardami” dissi. Lui obbedì e mi fissò normalmente. Le pupille erano dilatate ma, nonostante questo, si vedeva la profondità di quegli occhi castani. “Non così” aggiunsi.
Capì subito cosa volevo che facesse. In un attimo l’oro prese il posto del marrone. Quelli erano gli occhi visti da Talia e ora avevo la certezza che mai li aveva guardati con disprezzo o paura, ma li aveva guardati con speranza, chiedendogli di salvarmi ed era così che, da adesso in poi, avrei ricambiato il suo sguardo: con gratitudine, per avermi salvato la vita trascinandomi fuori dalla macchina in fiamme, e con la speranza che avrebbe continuato a salvarmela.
Successe così: Stiles si voltò a pancia in giù dandomi il permesso di entrare dentro di lui. Non fu facile mantenere il lato umano una volta che il mio membro fu seppellito tra le sue carni. Per restare concentrato e non perdere il controllo vezzeggiavo la sua schiena bianca e sudata ricoperta di nei, stavo sviluppando un’ossessione morbosa per quella parte del corpo. Infilai il naso tra i suoi capelli e lo annusai senza ritegno inebriandomi del suo odore oltre che del suo corpo.
Fu appagante sentire i suoi gemiti quando venne macchiando il copridivano e fu sensazionale venire dentro di lui aumentando le spinte d’intensità. Sapevo che era la sua prima volta, per cui tenni sotto controllo i segnali chimici ma non captai nessun senso di dolore e nessun ripensamento. Essere licantropi voleva anche dire avere una soglia più elevata di dolore e sopportarlo meglio.
Ansimai contro il suo orecchio sdraiandomi completamente sul suo corpo nudo e bollente. Non volli uscire da lui. Desideravo stare al suo interno per sempre. Era così che mi volevo sentire per il resto della mia vita: sereno e in pace con il mondo.
“Derek” ansimò Stiles senza fiato a causa dell’eccitazione e del mio peso che lo comprimeva sul divano. “Credo che questa sia stata la cosa più bella che sia successa in tutta la mia vita” dichiarò.
Con un sospiro, lentamente, sfilai il mio membro dal suo corpo. Stiles gemette un’altra volta a quella sensazione. Gli baciai una spalla e mi sollevai, lui mi imitò con calma, testando quella sensazione di vuoto che stava cominciando a provare a causa della mia assenza, sfuggendo al mio sguardo e sedendosi di fianco a me con le cosce e le braccia ancora a contatto.
Lo afferrai per il mento e voltai il viso verso di me. “È stato fantastico” dissi facendolo arrossire più di quanto già non fosse. Le sue guance erano di un rosso vivace a causa dell’eccitazione ma vedere la sua faccia farsi quasi color porpora fu divertente. “Vorrei poter provare questo per sempre” confessai.
Stiles posò il mento sulla mia spalla, mi fissò intenerito emanando così tanto calore da renderlo accattivante.
“Puoi provarlo ancora, finché ne avrai voglia” mi blandì. La sua frase era stata poco più di un sussurro ma era come rimbombata nelle mie orecchie.
Senza farmelo ripetere due volte lo presi per i fianchi e lo sollevai per farlo mettere a cavalcioni sulle mie gambe. Affondai la schiena tra i cuscini e lo condussi sulla mia erezione non completamente formata.
Fu lui a dirigere i giochi: scelse il ritmo e quando baciarmi. Io tenevo solo le mani strette ai suoi fianchi e lo aiutavo quando percepivo che stava esaurendo le energie. Venni di nuovo dentro di lui e cominciai a toccarlo fino a che raggiunse il piacere sporcandomi la mano e il petto.
Restammo in quella posizione, come se ne valesse della nostra vita.
Lo facemmo altre due volte nel corso della notte. Entrai al suo interno sporcandolo e riempiendolo e drogandomi del suo odore, non potendo più fare a meno di lui. Era maledettamente bello dipendere da lui ma sapevo che poteva diventare pericoloso.
Andammo a letto e ci addormentammo nel giro di pochi minuti, stremati da tutto il sesso che avevamo fatto e che aveva impregnato persino i muri di casa. Al nostro risveglio, la prima cosa che Stiles mi chiese fu: “fai di nuovo l’amore con me?”. Non rifiutai. Il lupo scalpitò per uscire ma lo obbligai a restarsene buono e notai che anche Stiles si stava sforzando sempre di più per combatterlo, un paio di volte avevo visto i suoi canini crescere.
Forse un giorno avremmo potuto sfogarci senza paura e mostrare l’un l’altro anche il nostro lato animale creato dalla licantropia, forse un giorno saremmo stati liberi.

Poco più tardi mi resi conto che quello sarebbe stato l'ultimo bel ricordo associato a quella casa nel bosco.

Era pomeriggio inoltrato quando accadde.
Stavamo leggendo sul divano. Io ero seduto con le gambe allungate sul tavolino di fronte a me mentre Stiles era sdraiato e aveva infilato le punte dei piedi sotto la mia coscia. Era tutto pacifico e tranquillo, una situazione domestica e piacevolmente intima.
Lo sentimmo nello stesso istante: il motore di un elicottero che si stava avvicinando.
Stiles si sollevò con il busto mentre io poggiavo il libro sulle mie gambe.
“Forse sta solo passando” sperai.
Vidi il naso di Stiles arricciarsi per annusare. “Umani” dichiarò.
Odorai anche io. Qualcuno si stava avvicinando alla casa. Dopo l’odore sentimmo anche il rumore delle foglie e dei rami che si spezzavano e tanti battiti arrivarono alle nostre orecchie.
Mi alzai in piedi di scatto. “Dobbiamo scappare” esclamai. L’incubo era diventato realtà: ci avevano trovati, non eravamo più al sicuro.
Stiles non si mosse. Aveva il viso stravolto e spaventato. Si guardava attorno osservando quella casa che lo aveva tenuto al sicuro per oltre due anni.
Lo presi per un gomito e lo sollevai con uno strattone. “Andiamo” ordinai mentre gli occhi mi diventavano blu e il mio corpo iniziava a trasformarsi.
Anche Stiles cominciò la mutazione rapidamente. I tratti da lupo sovrapposero quelli umani.
Mi affacciai alla finestra più vicina. Il rumore dell’elicottero era diventato più energico, la forza delle pale scuoteva le piante della radura e molti uccelli si levarono in volo, intimoriti dal frastuono.
Spinsi Stiles per farlo uscire prima di me quando, improvvisamente, scappò in camera.
“Dove vai?” mi sgolai inseguendolo.
Prese il foglio poggiato sulla scrivania, con un indirizzo e un numero di telefono sconosciuti. Io rimirai quella stanza un’ultima volta, ripensando ai baci scambiati su quel letto sfatto e a tutto il sesso che avevamo fatto appena svegli.
Stiles si sporse oltre la finestra e poggiò i piedi nudi sul davanzale. “Derek, sei con me?” mi chiamò balzando oltre.
L’odore degli umani si era fatto più intenso e c’erano talmente tanti cuori che battevano che era impossibile sapere quanti fossero. Mi catapultai fuori dalla finestra e Stiles, di nuovo, cercò di tornare indietro.
“Il koala!” urlò.
Lo afferrai per un polso, infilzandogli accidentalmente gli artigli nella carne, e gli impedii di rientrare in casa.
“No! Devo prenderlo!” gridò.
I primi umani sbucarono dal folto della foresta. Erano completamente vestiti di nero e indossavano caschi a proteggere il viso. L’elicottero, sopra le nostre teste, ci ostacolava i sensi con il suo rumore insopportabile. Non dissero niente. Non ci chiesero di arrenderci, né ci diedero nessun preavviso. Aprirono il fuoco principalmente su Stiles, perché sapevano che guariva in fretta e dovevano impedirglielo.
Pensai che forse non avevano l’ordine di catturarci. Avevano l’ordine di ucciderci.


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