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Autore: Minako_    16/06/2020    7 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
incomprensioni.
 

Un po’ indispettito, Shinichi suonò nuovamente quel campanello a poca distanza dalla sua mano. Picchiettò impaziente le dita sul muro, aspettando di veder comparire Ran appena oltre la porta di casa, ma ciò non accadde.
Senza realmente volerlo cominciò ad avvertire un senso di ansia attanagliargli la base dello stomaco, e dopo poco sbuffò sonoramente.
Era almeno la quarta volta che suonava, ma nessuno era ancora venuto ad aprirgli. Come sempre Kogoro doveva essersi recato in centrale presto, ma Ran?
Cercò di mantenere la calma solo per non impazzire, ragionando sulla causa del suo silenzio dal pomeriggio prima.
Forse non si ricordava della colazione… non passo da una vita.
Era vero. Era probabilmente da prima del compleanno di Sonoko che non passava la mattina, fra imbarazzi vari e situazioni paradossali. Tuttavia era abbastanza presto, e si stupì nel non trovarla in casa. Borbottando iniziò a scendere gli scalini, avvertendo ad ogni passo la coscia lanciargli fitte doloranti.
Dopo tutta la notte insonne immobile nel letto, quella mattina a freddo aveva iniziato a fargli male non appena aveva messo piede a terra. Così si ritrovò a zoppicare notevolmente, e farsi tutti quegli scalini non era certo un toccasana. Fra imprecazioni varie, quando finalmente si ritrovò per strada, estrasse spazientito il telefono dalla tasca dei pantaloni. Quel dannato display segnava ancora nessuna notifica, ragion per cui Ran non si era neanche fatta scrupolo di sentirlo.
Forse è già a scuola.
Emettendo un lamento sommesso si rimise a zoppicare per strada, cercando di mantenere la calma.
Se non è nemmeno a scuola, devo inventarmi qualcosa.

Complice quella coscia ridotta così, impiegò davvero più tempo del previsto per arrivare a scuola. Ma quando infine oltrepassò la soglia, si dimenticò perfino di quelle fitte e iniziò a guardarsi in giro nervosamente. Avendo saltato la colazione, era comunque arrivato abbastanza presto, ragion per cui non c’erano ancora molti studenti. Iniziò seriamente a preoccuparsi quando infine non la incontrò nemmeno nei corridoi e nella classe ancora praticamente deserti. Ragionò velocemente, e provò il tutto e per tutto: la palestra.
Ormai la gamba bruciava terribilmente, ma non volle darci troppo peso. Perfino un po’ sbandando, prese a scendere le scale verso la palestra, e quando, dopo notevole sforzo, ci arrivò la trovò ancora immersa nel buio.
Merda.
A quel punto, ormai, si ritrovava nel panico. Al telefono non rispondeva dal pomeriggio prima, e ora non riusciva a trovarla da nessuna parte. La sua mente piena zeppa di casi misteriosi e delitti a sangue freddo iniziò a fargli susseguire una carrellata di immagini davvero molto poco rassicuranti. In quel momento, essere un detective, non aiutava a mantenere la calma.
Ormai iniziando a sudare freddo, non seppe nemmeno lui dirsi il perché, decise di uscire dalla palestra per dare un’occhiata al campo esterno. Quando, dopo essere stato chiusi dentro al buio, vide il sole oltre la porta, rimase per un attimo accecato. Si portò una mano al viso, cercando di mettere a fuoco i dintorni. E, dopo almeno un minuto, la vide.
Immediatamente tutti i muscoli del suo corpo si rilassarono quando adocchiò la figura esile di Ran in tuta sportiva correre nel campo di fronte a lui. Ormai completamente rassicurato sul fatto che stesse bene, si sentì invadere dal nervosismo. Che diavolo le era preso?!
Ancora zoppicando si avvicinò ai bordi del campo, e si mise a fissarla attendendo che quest’ultima completasse il giro e incappasse in lui. Ci volle relativamente poco perché Ran si dirigesse verso di lui, e quando alzò il viso accorgendosi di lui, rallentò di poco.
Shinichi la vide mentre si rendeva conto di non essere sola, e lentamente smetteva di correre per iniziare a camminare un po’ affaticata verso di lui. Era abbastanza sudata, notò Shinichi un po’ perplesso, segno che doveva essere lì da un po’. E, quando alla fine fu ad una distanza tale da poterla vedere meglio, notò che aveva un’espressione abbastanza afflitta. Sebbene avesse voglia di prenderla in giro e, perché no, fare un po’ l’offeso, decise dopo aver visto la sua faccia di rimanere in silenzio. Preferì scrutarla ancora un po’, giusto il tempo necessario per capire cosa stesse succedendo, per il semplice fatto che il suo intuito da detective gli stava dicendo che qualcosa non andava. Tuttavia anche quando Ran si bloccò a poca distanza da lui, non disse nulla, appoggiandosi alle ginocchia per riprendere fiato. Un po’ dubbioso Shinichi si chiese se era il caso indagare, poiché da quei pochi indizi non stava realmente capendo dove fosse il problema.
Ragiona, pensò velocemente. Ieri aveva gli allenamenti. Forse è andata male.
Si schiarì un po’ la voce e, con tono più dolce possibile si rivolse a lei, che ancora provava a prendere fiato dopo quella corsa.
« V-va tutto bene? », chiese incerto lui, appoggiandosi un po’ di più alla gamba sana per non gravare sull’altra che ormai stava facendo davvero male.
In tutta risposta Ran si rimise diritta, ma non lo guardò realmente in faccia. Sempre più perplesso Shinichi la guardò mentre distrattamente si levava un ciuffo di capelli dagli occhi, e si legava i restanti in una coda disordinata. Aveva davvero un aspetto terribile, ma non osò farglielo notare.
« … è andata male ieri con il corso? », provò facendo un passo incerto verso di lei.
Quando Ran lo vide avvicinarsi zoppicando vistosamente, sgranò gli occhi.
« Ti fa male? », domandò a bruciapelo, fissandolo finalmente negli occhi. A quella domanda Shinichi sgranò gli occhi stupito, non capendo immediatamente a cosa si stesse riferendo.
« Io… cosa? », chiese confuso.
« La botta di ieri », disse con tono stanco lei, indicandogli la coscia.
« Ah, questo… no, niente di che », mentì velocemente, liquidandola. « Allora? », la incitò invece, sulla spine.
Ran non parve molto convinta della sua risposta, e gli lanciò un’occhiataccia. Shinichi alzò gli occhi al cielo, e la voglia di ribatterle fu così prepotente che dovette trattenersi dal non sbottare.
Ormai la sua pazienza era al limite, e lei continuava imperterrita a stare zitta senza spiegarsi. Ormai al limite fece per richiederle quale fosse il problema ma, finalmente, lei lo precedette.
« I miei genitori mi hanno detto che vogliono parlarmi », esclamò infine Ran con voce grave.
Shinichi si zittì proprio nel momento in cui aveva aperto la bocca, per poi fissare disorientato la ragazza davanti a lui. La vide mentre distoglieva lo sguardo da lui, per mettersi ad osservare un punto indefinito alla sua sinistra, con gli occhi che lentamente divenivano lucidi. Sempre attraverso il suo sguardo da osservatore, notò come iniziasse a stringersi convulsamente la maglietta bianca della tuta, e capì che stava cercando in qualche modo di trattenersi dal scoppiare a piangere.
« Oh », disse solamente Shinichi, non riuscendo davvero a formulare niente di meglio.
Rimasero in silenzio per un po’, entrambi nella confusione più totale, sebbene per due motivi completamente differenti.
Dal canto suo, Shinichi non stava realmente capendo perché fosse così disperata. Se davvero Kogoro le aveva detto così, voleva dire una sola cosa: voleva raccontarle di lui ed Eri. Si morse un labbro, facendo leva sulla sua mente per ragionare il più velocemente possibile. Cosa avrebbe dovuto dire lui, a quel punto? Il rischio di rovinare tutto era davvero dietro l’angolo, perciò provò a replicare con una domanda vaga giusto per raccogliere informazioni su quanto realmente Ran ne sapesse di quella storia.
« … di cosa, esattamente? », fece finta di niente.
Ran si morse spasmodicamente un labbro, facendosi perfino male.
Da quando il pomeriggio prima suo padre le aveva detto di tenersi libera la domenica successiva con sguardo serio, il mondo le era caduto addosso. Le aveva spiegato che lui e sua madre avrebbero dovuto parlarle, e mai si era rivolto a lei con quel tono se non in un’altra, sola occasione nella sua vita. Era assurdo come si ricordasse così nitidamente quando, a soli cinque anni, si era ritrovata ad ascoltare i suoi genitori che le dicevano come si sarebbero separati per un po’. Era la stessa espressione, lo stesso tono di voce usato in quel giorno di ormai tanti anni prima, e perfino il dolore al petto che provò fu identico. E, al suono di quelle parole, capì subito a cosa si stesse riferendo. Dopotutto, erano anni che si stava preparando a quel discorso, ma quando fu il momento arrivò come un fulmine a ciel sereno.
Divorzio.
Al solo pensiero le saliva la prepotente voglia di piangere, e lo stomaco le si rivoltava così veloce da farle salire la nausea. Dopo tutti quei anni, aveva internamente sperato che quel giorno non arrivasse mai, complice il fatto che più e più volte aveva notato come i suoi genitori si volessero ancora bene, seppur ogni volta qualcosa gli impedisse di tornare veramente insieme. E ci aveva sperato, con tutte le sue forze, cercando ogni pretesto per spingerli una nelle braccia dell’altro. Erano rimasti nel limbo della separazione per così tanto tempo, che era arrivata a pensare che probabilmente non avrebbero mai divorziato davvero. Evidentemente, non era così.
Cercando di trattenere quelle stesse lacrime che dalla sera prima stava versando, alzò velocemente lo sguardo sul ragazzo di fronte a lei, e provò a parlare con voce ferma. Il risultato fu pessimo.
« Penso… credo… che vogliano dirmi che divorzieranno », mormorò con voce rotta. Lanciò un’occhiata nervosa a Shinichi, sperando vivamente che almeno lui, in mezzo a tutto quello schifo, sarebbe stato capace di consolarla. Era così convinta che lui avrebbe fatto almeno un passo verso di lei, magari per abbracciarla o semplicemente per rassicurarla, che quando dopo un po’ non fu così, si sentì, se possibile, ancora peggio.
Stupita, sgranò un po’ gli occhi guardandolo con più attenzione. Vide finalmente la sua espressione, totalmente persa e sbalordita, accompagnata tuttavia da una curvatura delle labbra che somigliava disgustosamente ad un piccolo sorriso.
Lui stava… sorridendo?
« Divorzio? », ripeté con un tono di voce che la fece solo arrabbiare ancora di quanto già non fosse. Era un misto di incredulità e scetticismo così evidenti, che si sentì una bambina particolarmente tarda che non capiva qualcosa di irrimediabilmente banale.
« Credo che tu ti stia sbagliando », disse con tono ovvio, facendola sentire nuovamente stupida. Shinichi scosse la testa, mettendosi le mani in tasca.
« Magari vogliono solo parlarti di altro », alzò le spalle. « Forse vogliono solo rimarcarti di nuovo quanto io sia inaffidabile », il suo sarcasmo fu la gocciolina che fece traboccare il vaso.
Strinse i pugni, mentre le lacrime lasciavano spazio ad uno sguardo di fuoco, che riscosse Shinichi dalla sua insensata leggerezza. Arretrò di istinto, mentre Ran troneggiava a poco a poco su di lui visibilmente arrabbiata.
« Credi che io sia stupida? », domandò.
« Non l’ho mai pensato », Shinichi tornò serio, e cercò con tutte le sue forze di reggere il suo sguardo che emanava lampi.
« Tu non lo hai visto », non ascoltò nemmeno la sua risposta, alzando di un tono la sua voce già abbastanza tremante.
« Mi ha parlato con una faccia… », sperò con tutto il cuore che Shinichi comprendesse la gravità della cosa ma, ancora una volta, lo vide incerto, mentre si dondolava sulla gamba sana. A quella vista si ritrovò a provare così tanta delusione, che solo per togliergli dalla faccia quell’espressione indifferente, ebbe la voglia di tirargli un calcio sulla coscia fasciata. Resistette comunque al suo posto, imponendosi di non fare scenate.
« Va bene, non preoccuparti », sbottò infine, non ricevendo alcuna risposta da lui, e in quel momento sentì in lontananza la campanella rimbombare. Trafelata si accostò agli spalti lì a fianco, acchiappando con mani tremanti di rabbia la sua felpa e la cartella. Senza degnarlo di uno sguardo fece per superarlo in fretta, ma esasperata sentì la sua mano trattenerla per un braccio.
« Ran, dai », lo sentì dire con tono esasperato. « Calmati e ragioniamoci insieme ».
Continuando a non guardarlo, di istinto gli diede uno strattone così forte che in un primo momento si domandò se non lo avesse buttato a terra. Ma quando non lo sentì cadere o arretrare troppo, non se ne curò ulteriormente.
« Io te ne ho parlato, ma mi hai solo presa in giro », sentì nuovamente le lacrime salirgli agli occhi, ragione in più per non guardarlo mentre sputava a voce alta tutta la sua frustrazione. Non aspettò nemmeno la risposta, e quasi corse lontana da lui.
Quando si ritrovò dopo realmente poco negli spogliatoi femminili, si appoggiò alla parete sentendosi al sicuro. Ben presto, tuttavia, si rese conto di ciò che era appena successo, e avvertì le gambe cedere. Si lasciò andare ad un pianto così disperato che dovette portarsi le mani al viso per soffocare i singhiozzi al suo interno, ringraziando mentalmente che non ci fosse nessuno intorno a lei.
Prima i suoi genitori, e ora Shinichi.
Come diavolo aveva potuto essere così indifferente ad una notizia del genere, quando lei stava male dalla sera prima? Improvvisamente fu come se quegli ultimi mesi non fossero mai esistiti, e lui fosse nuovamente lo Shinichi di quindici anni che non prendeva mai nulla sua serio e faceva il saccente con lei.
Era stata una sciocca, a pensare davvero che fosse cambiato così tanto.
Dopo tutto quello che avevano passato, come aveva potuto essere così gelido con lei? Con rammarico ripensò alle due notti passate con lui, e a come lui era stato così dolce nei suoi confronti.
Dov’era in quel momento quello stesso Shinichi? Per un singolo, folle istante, pensò se sua madre non avesse fondamentalmente ragione.
I detective fanno solo soffrire.
Quella frase le tornò in mente come un fulmine a ciel sereno, e faticò a ricordare quando gliela aveva sentita pronunciare. Solo un bel po’, si ricordò di quel giorno in quel bar, dove dovevano incontrarsi. Avvertendo un po’ di nausea, rammentò ance di come fosse presente Conan.
Quando ripensò a lui, si sentì ancora peggio, e per la prima, vera volta, si sentì davvero in collega con lui. Ebbe l’irrefrenabile voglia di rinfacciargli le sue continue bugie, e si stupì di ciò per il semplice fatto che non era davvero da lei, e mai le era venuto lontanamente in mente. Ma la delusione cocente sommata alla preoccupazione per i suoi genitori stavano generando in lei un tale tumulto interiore da farle pensare alle cose peggiori, e rendendosene conto si sentì profondamente sbagliata. Non era da lei un comportamento del genere, così si impose di trascinarsi sotto la doccia, sperando vivamente che quest’ultima la facesse rinvenire un po’. Impostò il rubinetto sull’acqua fredda e non appena la sentì sulla pelle e sul viso ancora intriso di lacrime, si strinse nelle braccia come a volersi sostenere in completa solitudine.
Per la prima, vera volta in vita sua si sentì così.
Completamente da sola.


Quando Sonoko quella mattina vide arrivare Shinichi zoppicando con il viso tirato in una smorfia sigillata perfettamente dietro due occhi spenti, subito non capì cosa non andasse. Almeno, finché non vide arrivare Ran dopo un bel po’, quasi in ritardo, con gli occhi gonfi e l’espressione vuota. La vide avanzare a testa basta verso il suo posto, senza rivolgere la parola a nessuno. Non si voltò neppure quando Shinichi le lanciò un’occhiata veloce, continuando a fissare i libri che stava prendendo dentro la cartella. La tensione che calò quando entrambi furono in classe, era così palpabile che presto tutti se ne accorsero, cominciando a zittirsi. Preferirono tutti tacere di fronte a loro due così, iniziando a chiedersi cosa fosse successo. Ma nessuno fu più preoccupato di Sonoko, la quale continuò a fissarli alternatamente per l’intera mattinata. Pensò presto che fosse successo qualcosa di grave, perché non li aveva mai visti così.
Un po’ esasperata dai due, quasi le venne mal di testa da quanto ragionò su cosa potesse essere successo. Possibile che ogni mattina ci fosse qualcosa che non andasse? Non potevano entrare mano nella mano come qualsiasi altra coppia normale di quella terra?
Evidentemente no.
Quella mattinata fu così lunga che per poco non riuscì a trattenersi dal balzare in piedi e urlare cosa diavolo stesse succedendo. Ma, inaspettatamente, resistette fino al suono dell’ultima campana. Velocemente si alzò e fece per avvicinarsi alla sua amica, ma qualcuno fu più rapido di lei.
Frastornata vide Shinichi arrancare fra i banchi in direzione di Ran, continuando a zoppicare probabilmente per la botta presa il giorno prima a calcio. La sua espressione era terribilmente seria, ben lungi dall’aver stampato la sua solita aria sarcastica o spocchiosa. Un brivido le attraversò le schiena, e come lei tutti intorno si ammutolirono quando notarono la scena.
Shinichi mormorò qualcosa all’orecchio di Ran, che anche con tutta la sua concentrazione non riuscì a captare. Tuttavia dovette dire, come al solito, qualcosa di sbagliato, perché vide Ran alzarsi di scatto senza nemmeno rivolgergli uno sguardo, per poi allontanarsi rapidamente fuori dalla classe. Sonoko e il resto della classe si congelarono sul posto, mentre lei scivolava fra i banchi con sguardo basso e chiaramente lucido. Scese così il silenzio collettivo, perfino dopo parecchi secondi dalla sua uscita dalla classe. Ormai completamente sparita dalla loro visti, gli occhi di tutti ricaddero su Shinichi, che erano rimasto fermo dove lei lo aveva lasciato, mentre si sosteneva al banco come meglio poteva, con la gamba dolorante un po’ rialzata da terra. Evidentemente ormai non riusciva davvero più ad appoggiarla, e per una volta Sonoko provò pena per lui. Aveva una tale faccia che capì davvero che fosse successo qualcosa di grave così, ormai appurato che la sua amica fosse ormai troppo lontana per raggiungerla, decise di avvicinarsi a lui. Silenziosamente lo affiancò e si mise a fissarlo, non sapendo bene cosa dirgli. Aveva quasi paura di fare domande, solo per un’eventuale risposta troppo brutta. Ma quando vide sul suo viso una smorfia dolorante quando poggiò il piede a terra, trovò finalmente il modo di attaccare bottone.
« Ho una proposta », disse non del tutto convinta. Shinichi si accorse finalmente di lei, per poi alzare gli occhi al cielo.
« Sonoko, davver- ».
« Io ti aiuto a tornare a casa », lo interruppe rapidamente. « E nel frattempo tu mi dici che diavolo è successo ».
Si zittì in attesa, mentre il ragazzo di fronte a lei la fulminava.
« Non ho bisogno di aiuto », borbottò sostenendosi ad un banco di distanza per fare un passo verso il suo posto, capendo da solo di quanto l’ultima frase fosse ridicola. Il nervo gli faceva così male che non riusciva davvero a stare in piedi, probabilmente per tutto lo sforzo fatto quella mattina. Tuttavia era ben lungi dall’abbassarsi dal chiedere sostegno a Sonoko, preferendo dandosi un’ulteriore spinta per acchiappare la sua cartella.
« Ma davvero? », la voce sarcastica della biondina lo irritò, ma ormai completamente instabile valutò per un secondo se non avesse davvero ragione lei.
Avrebbe di gran lunga preferito appoggiarsi a Ran, ma era abbastanza ovvio come lei non volesse parlargli. Tra le altre cose, con il passo furioso di poco prima, non si sarebbe stupito se si fosse già trovata lontana dall’edificio.
« Puoi aiutarmi senza farmi il terzo grado? », sapeva che era una domanda inutile, ma volle provarci lo stesso. Difatti, Sonoko rise senza allegria, per poi mettersi al suo fianco e prendergli un braccio, per poi passarselo intorno alle spalle.
« Sapevo che eri scemo, ma non pensavo fino a questo punto ».

Shinichi pensò che tutto ciò fosse davvero strano.
Per almeno quattro, validi motivi.
In primo luogo, stava uscendo da scuola zoppicando vistosamente. Un po’ amaramente pensò a tutto ciò che il suo corpo aveva dovuto subire nell’ultimo anno, e si chiese come diavolo poteva ancora essere vivo dopo tutto il dolore subito. Certo, era un semplice nervo infiammato, ma sommato a tutto il resto era un altro punto a sfavore sulla sua ripresa post APTX.
Cercò di tralasciare questo ragionamento, per pensare al motivo numero due: si stava reggendo a Sonoko Suzuki, che stava davvero facendo leva su tutte le sue forze per sostenere il suo peso.
Non gli era mai capitato di essere così vicino ad una ragazza che non fosse Ran, e per un attimo si sentì davvero a disagio, sebbene la presenza di Sonoko in lui non suscitasse alcuna emozione particolare.
Trattenendo il suo sgomento, notò inoltre come quest’ultima fosse stranamente silenziosa. Cosa strana numero tre.
Raramente qualcuno o qualcosa riusciva a zittirla, ragion per cui era davvero anomalo.
Infine, con suo sommo disappunto, intercettò almeno una decina di occhiatine maliziose e divertite, e pensò che tutti stessero pensando qualcosa di davvero poco lusinghiero su loro due. Insieme.
« Penso di star per vomitare », borbottò Sonoko al suo fianco, mentre sentivano qualcuno alle loro spalle prendergli in giro, chiedendo se ora stessero insieme.
« Forse è meglio se mi stacchi », replicò a disagio Shinichi, ma quando fece per camminare da solo, sentì la gamba cedergli sotto il suo peso. Quando lo vide andare quasi giù, Sonoko sbuffò sonoramente e malamente lo riprese.
« Senti, non posso permetterti di cadere e sbattere la testa », disse stizzita. « Devo sapere cosa è successo, e se muori no lo saprò mai ».
« Ah, grazie », replicò sarcastico lui, vedendo finalmente il cancello oltre di loro. Erano finalmente fuori, senza più occhiate o risolini fastidiosi.
« Ma quanto diavolo pesi? Dovresti metterti a dieta », bofonchiò lei.
Shinichi si zittì per non discutere ulteriormente. Non ne aveva davvero voglia, l’unica cosa che voleva era tornare a casa e pensare al da farsi, e rimediare al gran casino che aveva appena combinato, seppur senza volere. Era ancora in silenzio che pensava ad un eventuale piano, quando Sonoko al suo fianco lo scosse.
« Allora? », esclamò spazientita Sonoko.
« Cosa? », borbottò Shinichi, sapendo benissimo dove volesse andare a parare.
« Devi dirmi cosa è successo, erano questi i patti! ».
« Veramente io non ho accettato niente ».
« Giuro che se non parli ti tiro un calcio su quella maledetta coscia ».
Sapeva bene che poteva farlo. Come aveva già fatto ben altro, nella sua vita.
Come dirgli, nel bel mezzo di una recita scolastica, che avrebbe dovuto afferrare Ran e baciarla.
Davanti a tutti.
O come mandare un messaggio con una foto di Ran e Okita parlare sommessamente, solo per farlo ingelosire e provocare una sua reazione nel bel mezzo della gita scolastica.
Non volle continuare a ricordare ogni singolo momento in cui Sonoko aveva provato il tutto e per tutto per combinare i suoi piani assurdi, per cui prese un respiro profondo. Ragionò un bel po’ prima di prendere parola, per cercare di non apparire eccessivamente nel torto e sorbirsi la sua inevitabile predica.
« Ran sospetta che i suoi genitori stiano per divorziare », cominciò lentamente.
« Cosa?! ».
Improvvisamente non sentì più il sostegno di Sonoko, e per poco non cadde a terra completamente preso in contropiede. Cercò di sostenersi come meglio poté sulla gamba sana, e dopo un po’ ringraziò che Sonoko si accorse del suo disagio e lo acchiappò per un braccio.
« Ma cosa stai dicendo?! », esclamò nuovamente, visibilmente scossa.
« Me lo ha detto stamattina », provò a spiegarsi, ma lei non gli diede ulteriore tempo per continuare.
« E perché ce l’ha con te? », domandò a bruciapelo, nella confusione più totale.
« Perché stamattina, quando me lo ha detto, sono stato… come dire… ».
Una merda.
« … forse un po’ freddo, ecco », borbottò distogliendo lo sguardo.
« … freddo? », ripeté lei, iniziando a fissarlo male.
« Forse si aspettava altro da me, ma il fatto è che non sap- ».
« Mi stai dicendo », lo interruppe lei scuotendolo per quello stesso braccio con cui lo stava reggendo.
« Che lei ti ha detto che i suoi vogliono divorziare, e tu non hai fatto niente per confortarla? » rincarò la dose, iniziando a mettere insieme i pezzi.
« E’ più complicato di così! », replicò Shinichi messo alle strette.
« Ma davvero? », lo canzonò lei.
« Non c’era nulla da consolare! », sbottò lui arrossendo, visibilmente a disagio.
« Il divorzio dei suoi genitori non era un buon motivo per consolarla?! », insistette spazientita.
« I suoi genitori non stanno per divorziare », esplose infine, zittendola.
Sonoko sgranò gli occhi, rimanendo per un attimo senza parole. Provò dopo un po’ ad aprire la bocca, ma non riuscì a formulare nessuna frase di senso compiuto.
« Lei lo ha immaginato, ma probabilmente sabato Kogoro ed Eri le diranno che vogliono tornare insieme », concluse Shinichi, con voce più bassa rispetto a prima. Si passò la mano libera dalla sua stretta sul viso, cercando di controllarsi. Si rese conto di aver avuto una reazione esagerata poco prima, quindi volle a tutti i costi riacquistare una parvenza di calma.
« Tornare insieme? », ripeté Sonoko sorpresa. Lui annuì stancamente.
« Sì. Lo sospettavo da un po’ », riprese. Si sentiva stravolto, sia fisicamente che interiormente.
« So di per certo che quel week-end che lui ha detto di essere stato via per lavoro, in realtà era con Eri », concluse.
Sonoko arrossì lievemente al pensiero di loro due insieme, ma cercò di non farci caso. La sua testa ora era piena di informazioni discordanti, e faceva fatica a rimettere a posto tutti i pezzi di quella situazione irreale.
« Ma perché non glielo hai detto? », domandò infine, innervosita.
« E cosa le dicevo?  », la voce di Shinichi si alzò di nuovo, e perse nuovamente la pazienza.
« Loro dopotutto, se glielo stavano nascondendo, dovevano avere un buon motivo… e se questo fosse perché non era una cosa seria? », sbuffò. « E se glielo avessi detto e lei si fosse illusa? L’avrei rivista piangere, esattamente come quando avevamo cinque anni! ».
Prese una pausa, imponendosi di calmarsi. Gli stava venendo un mal di testa tremendo, così si massaggiò bruscamente le tempie.
« Sai bene quanto ha sofferto Ran quando si sono separati », ricominciò ad occhi chiusi e con quel mal di testa martellante nella testa.
« E pensi davvero che avrei voluto rivederla illudersi per poi stare di nuovo male? », concluse, ormai totalmente disorientato.
Fra di loro scese un silenzio strano, rotto solo dal suo respiro accelerato e dall’incredulità dipinto sul volto di Sonoko.
« Ma… ma dovevi dirglielo! Insomma, avete litigato per questo malinteso! », sbottò sotto shock, iniziando a gesticolare frenetica.
« Sì, certo », fece una smorfia lui. « Come se me ne avesse dato il tempo. E comunque, come ti ho già detto, devono dirglielo loro. Non posso rovinare questo momento, lo sta aspettando da tutta la vita, e dovrebbe sentirlo dai suoi genitori, come è giusto che sia ».
Sonoko rimase senza parole, fissando il ragazzo che aveva di fronte.
Raramente si era ritrovata dalla sua parte, se non in due rare occasioni.
Una era stata quando Ran le aveva raccontato di come lui si fosse dichiarato a Londra, sotto il Big Ben. E quando le aveva domandato la sua risposta, e lei aveva rivelato di non aver risposto niente, si era ritrovata a provare quasi tenerezza per lui.
Lei non aveva risposto. Ma si poteva essere più ridicoli di così?
Il ragazzo che ti piace si dichiara, e tu che fai? Lo lasci lì, in piedi, senza pronunciare parola.
Sì, Shinichi in quel momento le aveva fatto pena. E per la prima volta si era ritrovata dalla sua parte.
La seconda volta era in quel preciso momento, e mentre lo fissava e notava il suo sguardo da cane bastonato, si domandò se in fondo non lo prendesse eccessivamente in giro.
Era un fanatico, certo.
Aveva mille difetti, e spesso non lo sopportava.
Ma non poteva negare a se stessa quanto tenesse davvero a Ran, e quella ne era la prova. Era rimasto zitto, non aveva nemmeno provato a difendersi per evitare quella litigata, solo per non dirle una verità che, sapeva, era giusto essere rivelata da altri. Si ritrovò a dargli fondamentalmente ragione, ma ciò non migliorava la situazione.
Pensò a come dovesse sentirsi in quel momento Ran, delusa sia da lui, sia dai suoi genitori. Il suo cuore saltò un battito, provando davvero dispiacere per lei.
« Cosa facciamo ora? », chiese piano. Lo vide alzare le spalle, mentre tornava ad appoggiarsi un po’ meglio a lei.
« Aspettiamo », sospirò. « In ogni caso, non ho la certezza assoluta, quindi non mi oso nemmeno dirle nulla prima di loro », sentenziò riprendendo a camminare.
« Ma così rimarrete in lite per giorni! », contestò Sonoko.
« Proverò a parlarle, ma dubito ne abbia davvero voglia », fece una smorfia. « Prima in classe glielo ho chiesto, ma non mi ha nemmeno risposto ».
« Lasciala sbollire, magari domani con calma vorrà », abbozzò un sorriso incerto Sonoko, guardandolo di sottecchi.
« Non so », ammise lui. « Per lei è un argomento delicato, e penso davvero di essere sembrato un insensibile, oggi ».
« Ma non potevi fingere? », chiese lei improvvisamente. « Far finta di niente e consolarla ».
Lui la guardò con uno sguardo indecifrabile, che la lasciò interdetta.
« No », disse dopo un po’, con voce sommessa.
No.
Niente più bugie.

Fecero il restante tragitto immersi nel più totale silenzio e quando infine giunsero davanti al cancello di casa sua, Sonoko lo salutò con un cenno un po’ triste del capo. Shinichi la ringraziò piano, per poi trascinarsi dentro con la sola voglia di farsi una doccia calda. Pensò anche di dare un’occhiata alla coscia, e magari cambiare la fasciatura. Andare da un medico era completamente fuori discussione, non ne aveva davvero voglia, perciò si illuse che sarebbe bastato passarsi ancora un po’ di crema per alleviare il dolore. Maledicendo tutti i gradini che lo separavano dal piano superiore, arrancò su lanciando un’occhiata veloce al telefonino.
Ancora nessuno messaggio.
Non che se lo aspettasse. Con un sospirò lo ripose malamente nella tasca dei pantaloni, pensando nuovamente a quel malinteso con Ran. Solitamente in passato, ogni qualvolta avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato,  era sempre bastato gironzolarle un po’ intorno per calmarla e far tornare tutto come prima. Eppure quella mattina le era parsa davvero sconvolta, e non così propensa a seppellire l’ascia di guerra. Sicuramente il fatto che il discorso fosse così grave per lei non aveva aiutato, e ripensandoci avrebbe potuto perlomeno dire qualcosa di meno stupido. Era ancora convinto di aver fatto bene a non mentirle, ma forse ribatterle in quel modo ai suoi occhi doveva essere sembrato davvero offensivo. Quando fece l’ultimo scalino si maledisse interiormente per essere sempre così maledettamente impacciato nelle relazioni con gli altri, e si chiese se davvero la sua vita non ruotasse davvero troppo intorno a gente assassinata o rea di aver commesso reati. Forse nella sua crescita si era perso qualcosa, e mentre era intento a leggere libri su libri, gli altri avevano sviluppato un’empatia a lui del tutto sconosciuta.
Aprì la porta del bagno con una spallata spazientita, mentre la rabbia per come si era comportato cominciava a bruciargli lo stomaco.
Distrattamente si tolse la cravatta, e sovrappensiero iniziò a sbottonarsi la camicia.
Avrei potuto evitare di prenderla per stupida. Almeno quello!
Quella non era stata davvero una buona mossa. Così come smontare qualsiasi sua teoria.
Adesso che le dico?
Buttò la camicia a terra senza curarsene troppo, e ben presto la seguirono i pantaloni. Sedendosi lì a fianco, cominciò a togliere la fasciatura che Ran il giorno prima gli aveva fatto con così tanta cura, e al pensiero avvampò un poco. E dire che appena ventiquattro ore prima lo aveva medicato, e guardato con uno sguardo davvero abbastanza chiaro. Solo un idiota non ci avrebbe letto di tutto, in quei suoi occhi, e in quel momento non seppe davvero dirsi quanto avrebbe voluto tornare indietro solo per rivederla così vicina a lui.
Ad interrompere questi suoi pensieri contorni fu ciò che vide una volta tolta la fasciatura. Un po’ sgomento notò un grande livido e anche un po’ di gonfiore, laddove il nervo gli pulsava così tanto. Si annotò mentalmente di mettersi quella dannata pomata una volta finita la doccia, per poi alzarsi in piedi traballando un poco. Si infilò nella doccia, aprì l’acqua e iniziò a lavarsi pigramente.
Finchè, pochi minuti dopo, non trasalì.
Sentì chiaramente il campanello di casa rimbombare fin lì, e immediatamente chiuse il rubinetto, rimanendo immobile. Dapprima pensò di aver sentito male, ma quando questo suonò di nuovo non ebbe più dubbi. Frettolosamente aprì la doccia, acchiappò il primo asciugamano che trovò e se lo mise in vita.
Chi altro avrebbe potuto venirlo a trovare?
Assolutamente nessuno.
Doveva essere lei. Per forza.
Mise da parte in un angolo del cervello il fatto che lei possedesse le chiavi di casa sua, attribuendo questa incongruenza col fatto che forse, dopo quella mattina, non si osava entrare senza avvertirlo. Illudendosi ancora di più, scese le scale speranzoso, non avvertendo nemmeno il dolore alla  coscia ad ogni scalino.
Non seppe come si ritrovò ben presto davanti al portone e, senza nemmeno controllare, certo della propria deduzione, aprì il cancello e poco dopo la porta.
« Ma sei nudo?! ».
Shinichi sobbalzò quando, dal cancello in fondo al vialetto, non vide affatto entrare Ran, bensì qualcun altro.
« Mamma?! », esclamò raggelando, e di istinto indietreggiò.
« Shin-chan, ma ti pare aprire la porta così?! », continuò lei trascinando la sua valigia, sotto un cappello abbastanza vistoso e un paio di grandi occhiali scuri.
Rimase così sconvolto che non si premurò nemmeno di ribattere, piuttosto arretrò ancora per ripararsi dalla vista di quest’ultima, che nel frattempo aveva tirato un sospiro di sollievo quando aveva intravisto l’asciugamano stretto malamente in vita.
« Scusami, Shin-chan », continuò senza notare l’evidente disagio del figlio, entrando finalmente in casa e chiudendosi la porta alle spalle.
« Ma tuo padre è passato a salutare il dottor Agasa, e ho lasciato le chiavi a lui », si giustificò.
« N-non fa niente », borbottò Shinichi, e fece per ritornare di sopra abbastanza in fretta per evitare un possibile interrogatorio sul perché fosse corso alla porta in quello stato. Tuttavia, quando fece per fare il primo scalino, si voltò riprendendo un po’ di lucidità.
« Ma perché siete qui?! », esclamò sorpreso, mentre sua madre riponeva gli occhiali nella borsa e gli rivolgeva uno sguardo un po’ offeso.
« Tu, piuttosto », lo fissò da capo a piedi. « Chi stavi aspettando, per correre in questo modo alla porta? ».
Ecco.
Come previsto, Shinichi avvampò vistosamente e arrancando iniziò a salire le scale.
« Nessuno », borbottò, ma facendo così attirò solo ulteriormente l’interesse di sua madre, che vedendolo zoppicare e scorgendo il livido appena sotto l’asciugamano, si fece avanti preoccupata.
« Si può sapere che hai fatto? », esclamò preoccupata, avanzando verso di lui.
« Niente, mamma, davvero. Mi sono fatto male giocando a calcio, lasciami tornare su… fa freddo ».
Apparentemente quella scusa resse, perché Yukiko lo guardò un po’ imbronciata ma si zittì. Lo vide salire le scale incerto, trovandolo realmente molto strano.
Alzò le spalle, cosciente che avrebbero avuto tutta la sera per parlare o, più probabilmente, per strappargli di bocca le ultime novità.

Quando tornò sotto la doccia, Shinichi pensò che le cose non potessero davvero andare peggio di così.
Aveva litigato con Ran, aveva una gamba fuori gioco, e come se non bastasse i suoi genitori avevano avuto la geniale idea di fargli una sorpresa.
Non aveva davvero voglia di sorbirsi un qualche discorso imbarazzante di sua madre, men che meno gli sguardi allusivi di suo padre al quale, come sempre, non sarebbe sfuggito nulla del suo stato attuale. A volte gli dava davvero fastidio non potergli mai nascondere niente, e considerando la quantità di cose successe ultimamente, si chiese se sarebbe riuscito a celare qualcosa a Yusaku Kudo.
Con orrore ripensò a quando Ran aveva dormito lì, e si congelò sul posto.
Si era ripresa tutto? Il pigiama, le sue cose, perfino quei suoi elastici per capelli che lasciava ovunque?
Iniziò a pensare velocemente sotto il getto d’acqua, per il semplice fatto che suo padre, trovati ben pochi indizi, avrebbe subito fatto due più due. Sua madre non sarebbe stata da meno, e pensare di doversi sorbire le sue battutine dopo ciò che era accaduto quella mattina, lo fece innervosire al solo pensiero. Sbuffando sonoramente uscì in fretta dalla doccia, e si asciugò malamente. Avvertì chiaramente le goccioline dei capelli ancora fradici far capolino sulla maglia pulita che si mise, e l’idea di medicarsi la coscia passò velocemente in secondo piano.
Ragiona, cosa si è portata questo week-end?
Abbastanza agitato si guardò intorno, e sentì un brivido quando adocchiò uno spazzolino rosa sul mobile al suo fianco. Ci si buttò sopra, prendendolo così velocemente che per poco non rovesciò il barattolo che lo conteneva, e se lo mise in tasca.
Con lo stomaco che faceva una capriola all’indietro ripensò a quando lei gli aveva chiesto se avesse potuto lasciarlo lì, per le volte in cui magari si sarebbe fermata a dormire. Si ricordò bene della sua faccia bordeaux mentre glielo chiedeva, mentre si fissava i piedi dondolandosi su di essi. Era così carina che non riuscì davvero a dirle di no, e non provare uno strano piacere quando comprese appieno il significato di quello stupido spazzolino.
Lei avrebbe dormito ancora da lui. Era questo il significato intrinseco in quell’innocuo oggetto che ora teneva in tasca. Sorrise amaramente, pensando che appena due giorni prima quello stesso spazzolino avesse provocato in lui una sensazione così forte.
Uno spazzolino.
Sbuffando e sentendosi un po’ accaldato, uscì poi di scatto dal bagno, e si diresse in camera sua. Spalancò la porta, guardandosi presto in giro alla ricerca di qualcosa fuori posto.
All’apparenza gli sembrò tutto in ordine, e calmandosi si ricordò di come perfino le cose del gatto le avesse portate lui a casa sua.
Un attimo.
Il gatto!
Quel dannato gatto che aveva fatto delle corse chilometriche per tutta casa, annusando, mordicchiando, e graffiando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Si portò una mano al viso, esasperato. Non poteva davvero mettersi ad aspirare tutta casa sperando di togliere eventuali peli. E forse, stava diventando perfino ridicolo. E paranoico.
Pensa a cose evidenti, dannazione!

Un po’ riluttante scese al piano inferiore, e cercando di non far rumore, si mise a sbirciare in giro. Con sollievo non incontrò sua madre durante questa ricerca abbastanza bizzarra, e quando alla fine si mise a quattro gambe per sbirciare sotto il divano del salotto, pensò un po’ sconvolto che sembrava un criminale intento a nascondere le prove di un delitto.
Mai tornare sulla scena del crimine.
Era la prima regola. Ma non se ne curò troppo, preferendo guardarsi ancora meglio intorno. Constatò come tutto fosse normale, e tirò un sospiro di sollievo.
Forse era salvo.
« … tutto ok? ».
La voce di suo padre lo congelò mentre si trovava ancora a terra, intento a scrutare scrupolosamente il tavolino del salotto. Fin troppo velocemente saltò in piedi, ma quando si resse sopra la gamba sbagliata gemette piano, portandosi una mano alla coscia. Riluttante si voltò, per incontrare l’espressione un po’ stupita di Yusaku Kudo, che stava cercando di dare un senso a ciò a cui aveva appena assistito.
« Sì! », annuì Shinichi deciso, abbozzando un sorriso storto. « E’ che pensavo di aver visto… qualcosa ».
Yusaku alzò un sopraciglio, mentre teneva ancora in mano il caffè fumante che si era appena preparato. C’era qualcosa in suo figlio che non lo convinceva per niente, ma preferì lasciar perdere.
« Tua madre voleva cenare fuori », gli spiegò, tornando in cucina con noncuranza.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, seguendolo pigramente.
« Come mai questa sorpresa? », non voleva apparire scocciato, ma la voce che gli uscì di bocca sottolineava tutto il suo disappunto. Yusaku lo riguardò di tralice, iniziando a mettere insieme i primi pezzi.
« Abbiamo interrotto qualcosa? », domandò sorridendo placidamente. Shinichi trasalì e, arrossendo un po’, distolse lo sguardo.
Sì. Decisamente avevano rovinato qualcosa.
« Semplicemente non pensavo che tornaste, tutto qui », bofonchiò suo figlio sedendosi con una smorfia sullo sgabello lì vicino.
« Dovevo solo recuperare dei documenti, abbiamo già il ritorno organizzato per domenica pomeriggio », spiegò tranquillamente Yusaku. « Tu piuttosto, cosa hai fatto alla gamba? ».
« A calcio. Non ho visto l’altro giocatore e l’ho investito ».
La sua risposta fu così sincera, così semplice, che suo padre nuovamente lo guardò un po’ stralunato. Davanti a lui Shinichi si era portato il viso alla mano, sorreggendolo con un’espressione pensierosa.
Si trattenne dal ridere, per il semplice fatto che c’era sicuramente molto altro sotto che il ragazzo di fronte a lui non gli stava dicendo. E, conoscendolo, sapeva bene che solo dopo un accurato quanto snervante interrogatorio di sua moglie sarebbe riuscito a cavargli qualche risposta. Era solo questione di tempo.
Difatti non fece in tempo ad aggiungere altro che Yukiko apparve con un grosso sorriso, dirigendosi verso Shinichi e tirandogli una guancia facendolo sussultare.
« Quanto mi è mancato pizzicarti! », esclamò suscitando il suo fastidio.
« Mamma dai », borbottò lui, portandosi una mano alla guancia arrossata.
« Ma cosa ci fai in tuta », lo guardò scocciata, portandosi le mani alla vita. « Va a cambiarti, andiamo fuori a cena! ».
Shinichi alzò vistosamente gli occhi al cielo, chiedendosi cosa avesse fatto di male quel giorno. Avvertendo il suo fastidio, Yusaku provò ad aiutarlo, prima che sua madre iniziasse a tampinarlo. Talvolta, risultava davvero snervante.
« Si è fatto male a calcio », le spiegò piano. « Forse è meglio rimanere a casa », buttò lì.
Shinichi lo guardò con somma gratitudine, ma Yukiko non era certo tipo da arrendersi così facilmente. Mise su l’espressione più imbronciata che conoscesse, per poi sbuffare.
« Deve solo salire in auto e sedersi a tavola », contestò. « Dai Shin-chan, dillo anche a Ran! ».
Si giocò la carta della sua ragazza, certa che quest’ultima avrebbe convinto quel suo figlio davvero poco collaborativo e decisamente troppo solitario. Tuttavia, quando pronunciò il suo nome, Shinichi si rabbuiò un poco, e si mise a fissare un punto lontano della cucina.
Scese un silenzio strano fra di loro, e ben presto Yusaku capì il perché di quel suo comportamento così strano.
Non ci voleva un genio per capire che avessero litigato, o semplicemente qualcosa non andasse. Ragion per cui lanciò un’occhiata a sua moglie, che come lui era rimasta un po’ di sasso. Non sapendo bene come uscire da quella tensione, si schiarì la voce e posò infine la tazza sul bancone. Cercò di parlare prima che Yukiko potesse iniziare i suoi interrogatori, ma proprio mentre faceva per aprir bocca, con orrore lei lo precedette.
« Avete litigato? ».
Ecco, appunto.
« Mamma, per favore », Shinichi si alzò di botto, e zoppicando fece per andarsene.
« Cosa è successo? La hai fatta arrabbiare? », il tono di Yukiko divenne sospettoso, mentre affiancava suo figlio con espressione grave.
« Perché deve essere sottointeso che sia colpa mia?! ».
« Ah… è colpa sua? ».
Shinichi si zittì, fissandola in cagnesco.
« Ecco, appunto. E’ colpa tua! », ripeté Yukiko, per poi prenderlo per un braccio notando la sua fatica nel camminare.
« Non ne voglio parlare! ».
Yusaku scosse la testa, provando assoluta pena per suo figlio. Probabilmente quell’interrogatorio sarebbe andato avanti per tutto il tragitto fino in camera sua, dove infine lei si sarebbe chiusa dentro e lo avrebbe esaurito fino allo sfinimento.
Si girò sospirando, e si diresse verso l’armadio alla sue spalle. Ripose distrattamente la scatola di caffè che aveva preso in precedenza, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Lentamente acchiappò la causa del suo interesse, e se lo portò davanti al naso.
Una bustina di the allo zenzero?
Da che avesse memoria, né sua moglie, né suo figlio avevano avuto mai avuto nelle preferenze quel simile gusto. In più non c’era alcuna scatola, c’era solo quella bustina singola, come se qualcuno se la fosse portata da casa.
In più Shinichi non era davvero tipo da prepararsi il the, ragion per cui dubitava che sarebbe riuscito a finirsi un’intera scatola.
No, qualcuno doveva averla lasciata lì, per fare colazione magari.
Qualcuno.
Sorrise sotto i baffi, e senza pronunciare parola ripose la bustina al suo posto. Dopotutto, come tutte le liti, sarebbe tornata la pace. E, forse, a Ran avrebbe fatto piacere prepararsi colazione con quel suo, particolare the…

 

***


Quando quel mercoledì mattina suonò la sveglia, Ran avrebbe voluto volentieri spegnerla e far finta di niente. Per qualche minuto lo fece, rigirandosi nelle coperte e sistemandosi un po’ meglio.
Aveva dormito davvero poco quella notte, e quando alla fine si era addormentata erano almeno le tre e mezza. Ecco perché in quel momento si sentisse così esausta e per nulla riposata, e sicuramente il pensiero di andare a scuola non migliorava la situazione.
L’idea di rivedere Shinichi e affrontarlo la rendeva così nervosa che aveva passato gran parte della notte a torturarsi le mani e sentire un peso incontrollabile alla base dello stomaco, che anche in quel momento pareva soffocarle il respiro ad ogni movimento. Rimase nel letto ancora un po’, per poi sbuffare e spostare le coperte con un calcio frustrato. Non aveva scuse per non andare a scuola, e non aveva mai saltato un giorno in vita sua. La sua coscienza era troppo forte, e per un attimo la maledisse quando constatò come si sentisse già in colpa al pensiero di non presentarsi quel giorno. Così si impose di alzarsi, e distrattamente lanciò un’occhiata al suo cellulare sul comodino.
Un po’ titubante lo prese in mano, e come un automa si diresse nella cartella dei messaggi ricevuti. Con una smorfia adocchiò l’ultimo messaggio ricevuto appena la sera prima, e lo rilesse per l’ennesima volta.
Domani vorrai parlarmi?
Avrebbe tanto voluto scrivergli no, ma si limitò ad non rispondergli nemmeno. Con stizza buttò il telefono sul letto, e si diresse velocemente in bagno. Non sapeva nemmeno lei di quella sua reazione così esagerata nei suoi confronti, e si stupì di provare ancora così tanta delusione per la discussione della mattina prima.
Solitamente, anche durante le liti più pronunciate, bastava mezza giornata e ogni traccia di rabbia svaniva, e tornavano ad essere i soliti amici di sempre. Eppure, a distanza di un giorno ormai, ancora avvertiva la collera alla base dello stomaco, e si trovava a disagio perfino lei nel provare una simile sensazione.
Stranita pensò che non si era sentita così nemmeno quando aveva scoperto la verità su Conan, e provò per l’ennesima volta in poche ora a capire il perché.
Pensierosa aprì il getto d’acqua nella doccia, iniziando ad insaponarsi i capelli.
Le tornò così in mente l’espressione indifferente di Shinichi, mentre lei gli apriva il suo cuore e la sua tristezza, e di istinto irrigidì tutti i muscoli del suo corpo.
La verità era che le aveva fatto davvero male, quel suo comportamento. Specialmente perché lei c’era sempre stata, per lui.
Sempre.
Lo aveva perdonato, supportato, cercato di giustificarlo perfino nei momenti in cui era difficile anche solo scusarlo per un terzo di ciò che aveva fatto alle sue spalle. Aveva sempre cercato di essere forte, mandare giù le delusione, sempre e solo perché il pensiero di perderlo era così attanagliante che al solo immaginarlo le mancava il respiro.
E, quando infine aveva avuto bisogno di lui, Shinichi si era messo a prenderla in giro.
Forse il suo era semplicemente questo. Un accumulo di cose non dette, delusioni sopperite per troppo tempo.
L’amore è zero.
Forse la regina del tennis aveva ragione. Amaramente ripensò ai suoi genitori, a tutti quegli anni passati a litigare, vivere separati… a tutti i suoi impegni per riavvicinarli senza, ovviamente, aver successo. Forse era davvero questo l’amore: per quanto ti sforzi, il risultato è davvero sempre una sconfitta.
Mandò giù l’impellente voglia di piangere, per il semplice fatto che ormai aveva gli occhi così gonfi che le dolevano.
Concluse quella doccia velocemente, giusto per non rimanere inerte lì a pensare ancora, e ancora.
Oltre tutti i problemi che in pochi giorni erano affiorati, dopo il litigio con Shinichi e le preoccupazioni, era almeno dal pomeriggio prima che sentiva anche questo: il senso di colpa.
Aveva esagerato, con lui? Se la stava prendendo troppo?
Odiava il pensiero di essere passata per esaltata ai suoi occhi, e di non stargli parlando forse per aver frainteso le sue parole o i suoi gesti. Dopotutto, per quanto fosse cambiato, non era certo la persona più estroversa del mondo, e forse lo aveva preso così in contropiede da lasciarlo senza parole.
Però… però…
Davvero faticava a giustificarlo ancora. Avrebbe semplicemente potuto abbracciarla, darle una pacca sulla spalla, sarebbe bastato davvero poco. E invece, niente.
Scuotendo la testa iniziò ad asciugarsi frettolosamente i capelli, guardandosi infine allo specchio.
Trasalì quando notò quelle occhiaie così marcate, gli occhi gonfi e rossi, e il viso pallido. Distolse lo sguardo solo per non vedersi ancora ridotta così, e si spazzolò i capelli con fin troppa foga.
Si mise così a fissare il barattolo con il suo spazzolino, e dopo un po’ si rese conto di cosa ci fosse davvero all’interno.
Tre spazzolini.
Uno rosa, uno blu e uno piccolo verde.
Serrò la mascella, mentre quello spazzolino faceva capolino nei suoi ricordi.
Conan.
Non sapeva nemmeno lei il perché, ma non lo aveva ancora buttato. E così eccolo lì, e immediatamente nella sua testa tornarono i mente diverse immagini.
Loro due, mentre la sera si lavavano i denti.
Loro due, quel giorno in cui si presentò con due pigiama in tinta e, ridendo, glielo porse.
Loro due, in quel bagno.
Avvampò al ricordo di tutti quei dannati bagni con Conan, sentendosi improvvisamente a disagio.
Ci siamo lavati la schiena a vicenda, vero Conan-kun?
Perché? Perché ora le tornavano in mente tutti quei momenti imbarazzanti? Li aveva seppelliti in un angolo del suo cervello, convinta di esserci passata sopra e averli perfino dimenticati. Ma in quel momento, in collera con Shinichi, e delusa da lui, ebbe nuovamente l’irrefrenabile voglia di rinfacciargli tutto, solo per farlo sentire come lui aveva fatto sentire lei la mattina prima.
Sbagliata.
Stupida.
Delusa.
Non era da lei, no che non lo era. Non era mai stata una persona così, ma ormai sentiva la terra cederle sotto i piedi. Quando aveva scoperto la verità non aveva realmente avuto tempo di sentirsi così troppo male, per il semplice susseguirsi di avvenimenti che l’avevano inevitabilmente portata a concentrarsi su di essi. L’ospedale, il coma, l’Organizzazione.
Era troppo presa da altro, per avere troppo tempo per arrabbiarsi con lui. E infine, quando si era risvegliato, era stata troppo felice per aver davvero voglia di alzare un polverone.
Spense con un sospiro scocciato il phone, e non si preoccupò nemmeno di aver ancora metà capelli fradici. Si mise la divisa con movimenti frenetici e infine uscì dal bagno, dirigendosi in cucina.
Non aveva davvero fame, per cui appoggiò le mani sul tavolo e si sostenne ad esso chiudendo gli occhi.
Era ancora in quella posizione pensierosa, quando trasalì presa in contropiede.
Qualcuno aveva appena suonato alla sua porta.
No, per favore.
Si portò una mano alla fronte, cercando di calmarsi.
Perché sei venuto qui.
Provò a far finta di niente, sperando che colui dall’altra parte della porta si arrendesse e se ne andasse. Tuttavia non accadde, e nuovamente il campanello rimbombò in casa.
Non riesco ad affrontarti ora.
I suoi piedi camminarono automaticamente verso la porta, mentre si imponeva una calma che non riusciva a realmente a trovare.
Rischierei di dirti cose che non penso.
L’ennesimo squillo la obbligò a mettere la mano sulla maniglia, e girarla.
Trattenendo il respiro aprì la porta, per trovarsi davanti a lei colui che stava accuratamente evitando dal giorno prima. Alto, con sguardo spazientito, così bello che le tremarono le gambe ma anche così scuro in viso da renderla nervosa.
« Non rispondi neanche più ai messaggi, ora? ».
Ran fece una smorfia improvvisa, rimanendo in piedi di fronte a lui. Meno di qualche settimana prima era stata lei stessa a pronunciare quella frase, sgridandolo per aver deliberatamente ignorato Ayumi. Perciò rimbeccarsi lo stesso rimprovero le diede abbastanza fastidio.
« Dormivo », alzò le spalle, guardandolo con sguardo di sfida.
« Non si direbbe », commentò indicando il suo viso e le sue profonde occhiaie.
« Cosa vuoi? », lo interruppe Ran sospirando, e sperando vivamente che se ne andasse in fretta. Sentiva ancora dentro di sé tutta la rabbia repressa attanagliarle lo stomaco, e aveva come il tremendo sospetto che non sarebbe stata in grado di contenerla ancora per molto.
« Parlarti », replicò lui subito, facendo un passo verso di lei. « Posso? », domandò ironico, quando vide che lei non si spostava per lasciarlo passare.
« C’è mio padre », mentì Ran, nervosa.
« Ma davvero? », borbottò Shinichi, guardandola male. Lei sostenne il suo sguardo con decisione, come per avvalorare la frottola appena pronunciata.
« … Niente bugie dovrebbe valere anche per te, sai? ».
Al suono di quella frase, Ran  vide nero.
Non doveva dirle una cosa del genere. No.
E, senza davvero poterci fare niente, tutta la sua rabbia le esplose dentro.
« Pensi davvero di essere nella posizione di potermi dire una cosa del genere? », le parole le uscirono così acide che per poco non riconobbe nemmeno la sua voce.
« No, dico solo che tuo padre non è in casa, e tu non hai nemmeno voglia di ascoltarmi », la rimbeccò lui, facendo un ulteriore passo avanti sbattendo un po’ contro di lei. Tuttavia solo così riuscì ad oltrepassare la soglia, e chiudersi infine la porta alle spalle. Cercò di non far caso al fatto che, non appena l’aveva spinta leggermente, lei si era ritratta come colpita da una scossa invisibile. Gli fece male vederla allontanare così da lui, ma preferì seppellire la delusione in fondo al suo cervello.
« Hai ragione! Non ne ho davvero voglia », disse Ran, stringendo i pugni, arretrando ancora un poco verso il salotto. Shinichi la superò facendo finta di niente, per poi posare la sua cartella sul divano. Infine si voltò, rimanendo comunque a distanza, guardandola di sottecchi.
« Ascoltami solo un momento », provò a usare un tono di voce dolce, solo per calmarla un po’. Tuttavia non servì nemmeno questo, perché le provocò solo un ulteriore sguardo di fuoco e un sorriso abbastanza inquietante sul volto.
« Mi spieghi cosa non capisci? », domandò con voce rotta.
Smettila di insistere.
« Non mi sento ancora di parlare con te, perché diavolo non sei capace di darmi un po’ di tempo?! ».
Non voglio dirti quelle cose. Non le penso, non farmi perdere la ragione, ti prego.
« Un po’ di tempo? », ripeté lui sbalordito. « Ran, davvero non capisco perché tu sia così arrabbiata », sbottò infine.
« E’ vero, forse sono stato un po’… freddo, ma davvero non era mia intenzione ».
« Non è mai tua intenzione, vero? ».
Shinichi si ammutolì, mentre Ran abbassava il viso con le spalle curvate.
« Non era tua intenzione lasciarmi sola quel giorno, a Tropical Land », iniziò piano, mentre un brivido gli percorreva la schiena.
« Eppure lo hai fatto ».
Fermati, non continuare.
« Non era nemmeno tua intenzione metterti contro l’Organizzazione criminale più pericolosa del Giappone e, guarda un po’, lo hai fatto ».
« Questo ora cosa c’entra », borbottò Shinichi, provando a dare un senso a quella discussione così paradossale.
« C’entra tutto! », alzò finalmente il volto verso di lui, mentre continuava a stringere convulsamente i pugni lungo i fianchi.
« Ogni volta tu ti giustifichi così, non lo vedi?! », proseguì, mentre le lacrime facevano capolino nei suoi occhi e le appannavano la vista.
« Dici sempre che non lo fai apposta, che “non volevi”, che lo fai per il “mio bene”… e dai per scontato che io debba sempre accettarlo, perdonandoti sempre e comunque! ».
Shinichi ebbe l’irrefrenabile voglia di ribattere, e stava anche per farlo finché, in realtà, non seppe davvero cosa rispondere.
In fondo alla sua testa sentì un campanello d’allarme mandargli un messaggio chiaro, e la prepotente consapevolezza di come lei avesse ragione far capolino nella sua mente. Si sentì pervaso da una sensazione di disagio così profondo che rimase immobile, senza parole, mentre assimilava quella verità sbattuta in faccia con così tanta amarezza. La guardò ammutolito, e notando le sue lacrime, gli venne la nausea.
Ancora lacrime. Per lui.
« Io posso anche continuare a scusarti, Shinichi », aggiunse lei stancamente. « Lo faccio da sempre. Ma se ti chiedo di lasciarmi stare per un giorno, un maledetto giorno! », alzò la voce di un tono.
« Tu perché ti ostini a insistere! ».
Abbassò la testa, sentendosi un emerito idiota. Rimase a fissarsi le scarpe per un po’, non sapendo cosa dire o fare. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi a lei, chiederle scusa, e cercare di sistemare le cose. Ebbe per un singolo momento perfino l’intenzione di dirle la verità sui suoi genitori, ma presto decise di rimanere sulla sua posizione.  La consapevolezza che se le avesse detto come stavano le cose avrebbe placato la sua delusione e chiarito un sacco di questioni, gli fece bruciare lo stomaco. Ma non poteva, non poteva davvero.
Con un sospiro la riguardò, pensando di rimanere zitto e avvicinarsi a lei. Ma quando la vide così lontana da lui, non osò muoversi. Aveva paura che per la prima, vera volta lei avrebbe rifiutato qualsiasi suo gesto di affetto. E quella consapevolezza gli fece abbastanza male. Così male che sentì perfino un po’ di irritazione far capolino in lui, quando si ripeteva le sue parole nella testa.
Posso anche continuare a scusarti, Shinichi.
Deglutì, e un moto di offesa lo attanagliò.
Lo faccio da sempre.
E, prima di riuscire a trattenersi, parlò.
« Parli come se non facessi altro che deluderti », disse flebilmente, e la vide sgranare gli occhi.
Ran si morse un labbro, chiudendo gli occhi nella disperata ricerca di un po’ di calma.
Non replicare. Peggioreresti la situazione.
« Forse è così ».
Non seppe davvero ne come, ne quando la sua bocca si mosse. Eppure avvertì in lontananza la sua voce bassa pronunciare quelle esatte parole, e sorpresa da se stessa riaprì gli occhi un po’ sgomenta. Lo fece giusto in tempo per veder attraversare sul viso di Shinichi un’espressione affranta, sorpresa, e perfino sofferente.
Incredibile come ci si possa pentire di tre semplici, piccole parole. Ma nell’esatto momento in cui si rese conto di ciò che aveva appena detto, non riuscì davvero a ragionare ulteriormente. Provò a prendere un po’ d’aria, e cercare di rimediare, ma si ritrovò paralizzata e incapace di emettere alcun suono.
Voleva urlargli che non era così, che non lo pensava davvero. A parlare era stata la rabbia, la delusione, l’incapacità di accettare quella situazione che le ronzava incessantemente in testa da quasi tre giorni. E, come valvola di sfogo, sul suo cammino, aveva intercettato lui, conscia che non sarebbe mai davvero riuscita ad farlo arrabbiare con lei o allontanarlo. Tuttavia dovette ricredersi, quando lo vide ammutolirsi davanti a lei, e fissarla in silenzio. Aveva gli occhi così sgranati e sgomenti che non riuscì ulteriormente a sostenere il suo sguardo, così si ritrovò rapidamente a fissarsi i piedi. Dopo un tempo che le parve infinito, e la testa che era in totale black-out, riuscì infine a riguardarlo timidamente, solo per scoprirlo ancora immobile ma ora con lo sguardo lontano da lei, oltre le sue spalle. Quando si accorse che lo stava fissando, sempre nel più totale silenzio, si voltò per prendere la cartella alle sue spalle e attraversare il salotto verso di lei. Ran rimase ancora immobile, troppo spaventata per poterlo nuovamente affrontare e, quando si accostò a lei per poi superarla, si fermò per un solo secondo oltre la sua spalla. Avvertì come se stesse per dirle qualcosa, ma dopo poco lo sentì allontanarsi nuovamente, forse avendo cambiato repentinamente idea. Dopo poco, sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi piano.
Era rimasta di nuovo da sola.

 

   
 
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