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Autore: lmpaoli94    17/06/2020    0 recensioni
Bronx, anni 60’
Forse questa può essere la solita storia di odio razziale per la conquista di una libertà che è solo un’utopia.
Forse questo può essere un racconto come tanti altri che vengono pubblicati sperando che qualcuno lo possa leggere e capire il messaggio che si vuole trasmettere.
Ma alla fine quello che voglio è dire che il fatto che racconterò in questi capitoli ha una distanza di sessant’anni ma è così attuale che sembrerà di essere nel presente.
Perché anche se la schiavitù in Nord America e l’Aparthied in Sudafrica sono stati aboliti (apparentemente), i fatti che i due protagonisti desiderano portare a compimento lascerà in qualche modo riflettere, anche solo per pochi secondi.
Giusto per dire: ma davvero esiste tutto questo? Perché l’odio deve essere più forte su tutto? Perché impariamo a odiare? È la nostra mente che è malata?
Domande a cui personalmente non posso rispondere. Io mi limito solo a riflettere.
Per fare in modo come ciò possa avvenire.
Per fare in modo che un giorno di questi tutto il male dell’uomo non avvenga mai più.
Ma in fondo al mio cuore, questo è solo il mio desiderio… e il tuo qual è?
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Sentivo un profondo senso di paura invadermi la mente.
Giunto in una via del quartiere popolata dalla maggior parte da gente di colore mi sentivo come se fossi in trappola.
Anche se ero in compagnia del mio amico Trevor, sentivo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di molto grave.
< Steve, che cosa stai aspettando? >
Visibilmente titubante, mi apprestavo a cambiare idea al riguardo.
< Trevor, non dovevamo… >
Ma mentre rimasi impalato dinanzi al portone del palazzo dove Trevor abitava, il portiere dell’edificio ci viene incontro con fare minaccioso.
< Trevor. Che significa tutto questo? >
< Non so di cosa sta parlando, signor Bell. >
< Hai forse intenzione di prendermi in giro? Il tuo amico non può rimanere qui. >
< E’ solo venuto a prendere qualcosa a casa mia. Poi toglieremo il disturbo. >
< Allora non ci siamo per niente capiti: voi qui non potete stare. >
Trevor, insistendo al riguardo, non mi avrebbe mai cacciato per nessun motivo.
< Trevor, andrò al lavoro con i vestiti che ho addosso. Non ti devi preoccupare per me. >
< Assolutamente no. Non puoi presentarti con quegli stracci. Adesso vieni nel mio appartamento e ti prenderai il mio miglior vestito per la chiesa. >
Non potendo cambiare idea in nessun modo, mi decisi di accettare per non tardare più del dovuto.
Ma quando Trevor si apprestava a seguirmi, il portiere del suo palazzo lo bloccò una seconda volta.
< Steve, raggiungi il mio appartamento. Io vengo subito. >
< Sei sicuro che non hai bisogno di una mano? >
< Devo solo parlare con il portiere. Ci metterò poco. >
Rimanendo a distanza di sicurezza per non farmi vedere dal mio amico e dall’impiastro del portiere, riuscivo a sentire tutto quello che potevano dirsi.
< Trevor, se la tua famiglia viene a sapere… >
< Nessuno verrà a sapere niente, Signor Bell. E molto dipende anche da lei. >
< Se pensi che io rimanga in silenzio, ti sbagli di grosso. >
< Signor Bell, lei deve capire che Steve è mio amico e farei qualsiasi cosa per lui, aiutandolo in ogni frangente. >
< Davvero? E credi che il tuo amico farebbe lo stesso? >
< Certo. Lei non sa l’amicizia che ci ha legato in tutti i questi anni. >
< Non voglio sapere i tuoi affari privati, ma l’amicizia che ti lega con quel ragazzo bianco deve finire alla svelta, altrimenti finisce male. Appena qualche uomo bianco verrà a sapere dalla vostra amicizia profonda, non ci metterà molto a punirvi. >
< Perché i bianchi vorrebbero distruggere la nostra amicizia? Non ha senso. >
< Credi che questo mondo abbia senso, Trevor? Sei solo un ragazzo di 14 anni. Non sai ancora bene come va il mondo, e sicuramente non sarò io che te lo spiegherò. Ma se vuoi farti delle amicizie, meglio se li fai con i tuoi simili. I bianchi non sono nostri amici. Loro uccidono e distruggono tutto quello che costruiamo. Il loro odio risale da molti secoli e vedere tu insieme a quel ragazzo, non farà altro che peggiorare la situazione. Mi devi ascoltare, Trevor. Per il bene di tutti. >
< Lei cosa centra in questa situazione, Signor Bell? >
< Sono il portiere di questo palazzo, Trevor. Sono venti anni che lavoro qua dentro. E non permetterò che la mia vita venga rovinata dalla tua amicizia. Mi sono spiegato? >
< La smetta di dire cose senza senso, Signor Bell > replicò Trevor con tono insistente < Io e Steve rimarremo amici. Che le piaccia oppure no. Puoi parlare anche con i miei genitori, se vuole. Ma sappia che non mi fa paura. Non mi potranno tenere nascosto e imprigionato per tutta la mia esistenza. >
Mentre Trevor cercava di tutto per prendere le mie difese, io non sapevo cosa pensare al riguardo.
In fondo il suo portiere aveva ragione: la nostra amicizia era solo la miccia di un odio radicato nella mente dei miei simili.
La mia famiglia e tutte le altre persone di questo quartiere malfamato, non avrebbero mai permesso che io e il mio amico potessimo essere felici.
< Adesso devo proprio andare, Signor Bell. Il mio amico Steve ha bisogno di me. >
Non replicando alla risposta del mio amico, Trevor mi raggiunse il più velocemente possibile senza dirmi niente al riguardo.
< Hai sentito tutta la conversazione? > mi domandò il mio amico.
Non volendo fare la figura dello stupido, mi limitai a fare un cenno d’assenso con la testa.
< Non voglio tornare sull’argomento. E nessuno mi farà cambiare idea su di te. >
< Grazie, Taylor. Questo significa molto per me. >
 
 
Una volta entrato nell’appartamento del mio amico, mi resi conto di non essere mai stato a casa sua.
Sapevo che Trevor era di famiglia benestante, ma il lusso che vidi andava ben oltre la mia conoscenza-
< Trevor, il tuo appartamento è bellissimo > mormorai sorpreso < Perché continui a rimanere qui nel Bronx? Tu e la tua famiglia potete aspirare a un quartiere molto diverso da questo. >
Trevor, fissandomi con sguardo serio e sincero, si limitò a dire che la sua famiglia aveva ormai fatto radici in questo luogo.
< Questo appartamento appartiene alla mia famiglia da generazioni. Non vogliamo per nessun motivo dimenticare le nostre radici… E poi come potrei stare senza di te? >
Contento dalle continue parole piene d’affetto nei miei confronti, distesi il mio viso con un sorriso.
Andando in camera del mio amico, Trevor mi fece vedere il suo vestito migliore.
Indossandolo con molta accuratezza, vidi che mi stava alla perfezione.
< E’ davvero bellissimo, Trevor. >
< Ti ringrazio. Puoi tenerlo fino a fine giornata. Me lo restituirai quando avrai finito il tuo turno al forno, d’accordo? >
< Ho una paura matta di sciupartelo o di strappartelo. Se ciò dovesse accadere, non potrei mai perdonarmelo. >
< Tu non ci pensare, ok? Adesso meglio che raggiungi il tuo posto di lavoro. io invece devo andare a scuola prima che sia troppo tardi. >
Passando di nuovo dinanzi al portiere del palazzo, Trevor e il Signor Bell si squadrarono una seconda volta, senza però dire una parola.
< Trevor? Andiamo? >
< Sì. Arrivo. >
 
 
Appena entrai nel forno in cui dovevo iniziare a lavorare, la titolare dell’attività mi squadrò malamente con sguardo attento e severo.
< Tu sei Steve Richards? >
< Sissignora. Sono io. >
Mentre i suoi occhi si spostarono verso l’orologio, potei vedere anch’io di essere in perfetto orario.
< Dove hai trovato quel vestito? >
< E’ il vestito che uso per andare in chiesa > mentii.
< Davvero? Eppure non ti ho mai visto nella casa del Signore… Anzi, non ho mai visto né tu né tutta la mia famiglia. >
< E’ solo un semplice vestito che usiamo nelle occasioni speciali. Non sono forse perfetto? >
Facendosi una grossa risata per le mie parole, la titolare replicò dicendomi che non era luogo adatto per lavorare in un forno.
< Pensavi davvero che avresti fatto il commesso? Lavorerai con mio figlio a fare il pane. Di conseguenza questo vestito è assolutamente fuori luogo. >
< Ah, capisco… Ma non avrebbe un grembiule in modo che io non possa sporcarmi? >
< Certo. Lo troverai nello sgabuzzino. >
< Grazie, signora. Mi metto subito al lavoro. >
Ma anche se mi apprestavo a raggiungere il retro dell’edificio, la titolare non smetteva ancora di fissarmi.
< Signora, posso fare qualcosa per lei? >
< Mi domandavo come la tua famiglia si potesse permettere un vestito del genere. Eppure credevo che fosse una famiglia povera… Il vestito che hai addosso, sembra appena uscito dalla sartoria. >
Irritato dai suoi sospetti, replicai che non si doveva impicciare dei miei affari.
< Tuo padre è un brav’uomo. Sono sicuro che non avrebbe mai rubato un vestito del genere… Ma tu, Steve? Tu saresti capace di fare qualsiasi cosa. >
< Farò finta di prenderlo come un complimento > risposi tagliando corto < Adesso posso iniziare a lavorare? >
< Sì, vai pure. Togliti subito dalla mia vista. >
 
 
Quando tornai a casa, sentivo tutta la fatica che attanagliava il mio corpo.
Mettendomi subito a sedere sul divano, mia madre mi squadrò malamente per i vestiti che avevo indosso.
< Steve, dove hai preso quella roba? >
< Me l’ha prestati… >
Non volendo rivelare le mie intenzioni, decisi di non rispondere a mia madre.
Ma avendo un sesto senso sulle cose dei propri figli, mia madre arrivò alla conclusione che qualcuno di molto vicino a me, mi aveva prestato il vestito.
< Te l’ha prestato il tuo amico Trevor, non è così? >
< Mamma, ti prego. Non ne voglio parlare. >
< Rispondi subito alla mia domanda! > gridò mia madre < Se tuo padre ti vede vestito così… >
< Cos’è che non dovrei vedere? >
Improvvisamente, lo sguardo di mio padre si fece rancoroso e rabbioso.
< Steve, che cazzo c’hai addosso? >
< E’ solo un prestito, papà. Domani lo riconsegnerò. >
< Ah, davvero? Credi che vestito così ti possa dare un’aria così importante? Ebbene, sei solo uno stupido fallito! >
Mettendomi le mani addosso per strapparmi il vestito tra le mani, mio padre riuscì nel suo intento mentre mia madre e gli altri miei fratelli mi fissavano senza fare niente.
< Sei uno sciocco! Chiedi aiuto ad un negro per risolvere i tuoi problemi?! Se il tuo amico è così ricco, per lui non sarà un problema comprare un nuovo vestito. >
< No! non farlo! >
Strappandomi la giacca, la camicia e i pantaloni che avevo in dosso, mio padre lì getto per strada dalla porta della cucina, rinchiudendomi subito dopo in camera mia.
< Stasera non mangerai. Così avrai tempo di riflettere cu cos’hai fatto. Mi hai capito?! >
Piangendo dalla disperazione per come si era conclusa la mia giornata, il cibo era il mio ultimo dei problemi.
Non era riuscito a mantenere la promessa di riconsegnare il vestito.
E oltre a sentirmi un debole, mi sentivo distrutto anche nell’orgoglio.
Non ero riuscito a difendermi e ciò mi rendeva rancoroso e rabbioso.
Ma la mia vendetta non avrebbe aspettato molto, andando contro al volere di un intero quartiere di tutta una nazione.
Ma questa è una storia che si evolverà solo più avanti.
   
 
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