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Autore: Lapiuma    19/06/2020    0 recensioni
"Attrazione.
Tutti almeno una volta la sperimentiamo. É un formicolio delle dita, una corrente inarrestabile, i due capi di un elastico che dopo essere stati tesi allo spasimo, improvvisamente non possono fare a meno di ricongiungersi. È antica come il mondo, si intreccia alla nostra natura da sempre. È calamità magnetica, offuscamento della ragione, risveglio dell'animale. È tormento ed estasi, dolcezza di miele e sapido di lacrime.
È ciò che regola i nostri rapporti, che ci spinge a perpetuare la specie, che fa scoccare quel mostro chiamato amore. Sembriamo creati apposta per esserne interessati.
Ma a volte, l'attrazione va repressa, soffocata, condannata ad affogare in zone della nostra anima di cui non sappiamo il nome. Allora diventa afasia, tremore, rabbia, gelosia, instabilità. È un acido che corrode le viscere e un immenso roveto con cui imprigionare il cuore. È contraria alla nostra natura, aliena ai nostri istinti, morte dell'animale sotto la ragione. È squilibrio, violenza silenziosa; repressione dell'attrazione."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.
Io non dovrei essere qui, sotto queste luci, in mezzo a questa gente. Dovrei essere altrove, in un luogo dove i miei pensieri abbiano spazio e tempo per germinare; qua soffocano su se stessi, inebetiscono la mia lucidità. Il disagio mi serpeggia addosso, artigliandomi le viscere: ho come la sensazione che una mano invisibile me le strizzi dall’interno. Cerco invano di rassicurarmi, ripetendomi che il piano di Alice avrà successo, che, in fondo, lei è pratica di gesti plateali. Ma sono insidiata dal presagio terribile che quello che stiamo per fare non guarirà il dolore di nessuno e piuttosto sfregherà sale su ferite già sanguinanti. Per fortuna, Sofia è accanto a me ad infondermi la sua quieta sicurezza: mi sembra di respirarla come ossigeno, unico appiglio contro la deriva in questo tumultuare di corpi.
In realtà, il proposito di Alice è piuttosto semplice: umiliare Andrea davanti a tutti con una bella sfuriata all’antica, giocare pubblicamente a freccette mirando al suo cuore come a un bersaglio. Forse è un po’ rozzo e maldestro, ma dissuaderla si è dimostrato impossibile questo pomeriggio. Quindi, ora ci troviamo nel pieno svolgersi di questa squallida pantomima, sul fondale l’ennesima festa universitaria uguale a se stessa: una massa di persone che giocano l’una con l’altra, inneggiando a una narcosi di massa. “Sei sicura di volerlo fare?” Sofia tenta un’ultima volta di farla desistere. Ma Alice annuisce, continuando a scrutare la sala, ignorando le nostre preoccupazioni. Io, invece, vorrei prenderla da parte e scuoterla, gridarle e chiederle come diavolo pensa che io possa proteggerla se lei si sottopone così temerariamente al fuoco nemico. Allora, lei risponderebbe che io la voglio tenere in una gabbia dorata, che sono convinta che sia debole e fragile come un uccellino. E io piuttosto di assentire, mi morderei la lingua a sangue, ma non potrei negare che l’idea rassicuri la mia ipocondria. 
“L’hai già visto?” mentre glielo chiedo, spero che Andrea abbia cambiato idea, decidendo di non palesarsi stasera. Lei scuote la testa, ma non demorde: “No, ma Giacomo mi ha assicurato che ci sarebbe stato”. Giacomo. Le reazioni che il mio corpo ha al suo nome, sono improvvise, sregolate, del tutto prive di ragione: sulle guance mi fioriscono macchie scarlatte e le orecchie mi diventano incandescenti. Vorrei dire che sono sorpresa, ma mentirei: è da una settimana, da quando ho raccontato loro della sua visita, che il suo nome mi ronza perennemente in testa, facendosi beffe delle mie paranoie. Ho cercato di estirparlo in tutti i modi, ma lui riesce sempre a rimettere radici, come una pianta tossica ed infestante. Mi sono impedita di chiedere se sarebbe stato presente: immaginarlo accanto ad Andrea, raffigurazione plastica dei miei segreti, scatena dentro di me un’agitazione nevrotica, che nasconde un timore vigliacco. Temo che la vergogna che mi assale alla sua vista inquini la sintonia fremente e pura appena sbocciata tra me e Giacomo: i miei impulsi sono come un morbo che impesta tutto quello che incontra. Incrocio lo sguardo di Sofia, che sogghigna davanti al mio rossore. “Guarda che non mi piace” le mie bugie hanno la stessa consistenza dei pappi di un soffione. Lei scoppia a ridere, ma non infierisce oltre. 
Per la mezz’ora seguente, attendiamo che arrivi. Sofia tenta di convincerci a ballare, ma Alice è un fascio di nervi e io trovo sempre qualsiasi scusa per evitare la derisione di massa; in compenso, i temerari in pista offrono un ottimo spunto per ingannare il tempo: dimenano le braccia e i fianchi, cercando vanamente di indovinare il ritmo tra i fumi dell’alcol. Mi sembrano la versione squallida e ridicola dei ballerini grotteschi e selvaggi di Toulouse-Lautrec. A un tratto, però, quello che stiamo facendo inizia a parermi soltanto infinitamente stupido, ridicolo persino: oramai è quasi mezzanotte e se Andrea non si è ancora palesato, dubito che comparirà questa sera. Sto per farlo notare ad Alice, quando insieme a Giacomo varca l’entrata sulla nostra sinistra. È qui. C’è un istante, in cui il mio petto si stringe in uno strano viluppo, in cui un brivido mi increspa la pelle, che mi lascia momentaneamente nuda e disarmata: mi soffermo ad osservarlo e non riesco ad evitare che mi noti. C’è un istante, in cui il suo sguardo si illumina, in cui sillaba un ciao e mi rivolge il suo buffo saluto, che riduce le mie ansie a volute di fumo: mi scruta sfacciatamente e non riesco ad impedirmi di sorridere. 
Seguono una cascata di secondi, in cui io mi riscuoto, ricordandomi di Andrea al suo fianco, e tento di fargli capire che devono allontanarsi, ma lui mi risponde con uno sguardo stranito e poi è già troppo tardi, perché anche Alice li nota ed emette un verso che suona come un lamento e un ruggito insieme. Mi chiedo se è al corrente di come mai il suo amico si dovesse trovare qua oggi, ma dalla sua esitazione deduco di no: sono divisa tra un’isteria un po’ sadica e un presentimento catastrofico. Mi affretto dietro Alice, che praticamente sta marciando verso di loro: di nuovo, mi trovo combattuta tra un orgoglio colmo di tenerezza e una preoccupazione venata di paura. Quando li compariamo davanti, lo stronzo sembra sorpreso: articola più volte qualche sillaba a vuoto, facendo scorrere lo sguardo avanti ed indietro su noi tre fino a fissarlo sulla fiamma al centro. Ed insospettabilmente, sono sorpresa anch’io, perché ad assalirmi non è la tanto temuta vergogna, ma una repulsione indomita e furiosa, che mi fa prudere le mani. Solo in ritardo, Giacomo torna ad insinuarsi nel mio campo visivo, ma, una volta che vi è compreso, è come se la sua figura avvincesse le mie iridi, precludendomi di guardare altrove. Ed essere indagata a mia volta, stranamente, non mi pare nemmeno un affronto così insostenibile. Mi fa un cenno con il mento, toccandosi le ciocche scure, i capelli, li hai tagliati? Annuisco, sfiorandomi il caschetto corto, improvvisamente conscia del mio aspetto, che di solito ignoro senza alcuna cura. Sorride, poi sillaba: “Mi piacciono”. Cerco disperatamente di impedirmi di arrossire, ma è impresa vana sotto il suo sguardo. Appena se ne accorge, il suo sorriso diventa più ampio. 
All’inizio Alice si limita a squadrarlo, riducendolo a un silenzio terrificante; quando, però, lui fa per parlare, la sua voce vibra nell’aria come una coltellata: “Andiamo fuori, qui le tue stronzate si perdono fin troppo facilmente”. Giacomo indugia, guardandoci confuso, mentre Andrea deglutisce, scegliendo saggiamente di tacere. Di nuovo, le parole di Alice sono lame: “Ah, già, che stupida! Dimenticavo di aver a che fare con un codardo che si para il culo con gli amici! Tanto perché non ti perda nei prossimi eventi, il coglione qui presente mi ha tradita”. Il suddetto coglione trasalisce, mentre sul volto dell’altro si dipingono prima l’incredulità e poi il disgusto. “Che cazzo hai fatto?” le parole erompono dalle sue labbra in un ringhio. L’imputato trasalisce una seconda volta, ma rimane zitto, fissandosi i piedi. Non pensavo si sarebbe mostrato così remissivo: se non volessi strozzarlo, mi farebbe quasi pena. Alice si produce in una risata acida, corrosiva, prima di superarli ed uscire dal locale. Fuori, ci accoglie il gelo notturno e qualche campanello di intrepidi fumatori, mentre in fondo alla via una ragazza sta rigettando l’anima dentro a un tombino, assistita da un’amica chiaramente poco più sobria di lei. Noi occupiamo il centro della strada, schierandoci in due file contrapposte: da un lato, io, Sofia e Alice, dall’altro Andrea. Giacomo, invece, rimane nella terra di nessuno, in chiara difficoltà. Mi lancia un’occhiata di sottecchi, ma non so cosa rispondergli. 
“Sei una stronza” sono sorpresa che il primo a parlare sia Andrea “lo sei sempre stata, ma stasera ti sei davvero superata”. La mia lingua schiocca come una frusta, non riesco a trattenermi: “Non ti permettere, bastardo”. Quando rivolge lo sguardo su di me, ho un brivido: c’è un’ombra nera nei suoi occhi che sembra realizzare i miei presentimenti. “Scommetto che non sa nemmeno di cosa stiamo parlando, vero?” sputa le parole fuori dai denti, ignorandomi e rivolgendosi direttamente ad Alice. Sto per ribattere, punta sul vivo, ma lei mi scocca un’occhiata ammonitrice, inducendomi a tacere. Obbedisco, facendomi violenza: in fondo è assurdo, io so benissimo di cosa stanno parlando! No? Mi volto verso Sofia, ma lei alza le spalle, scuotendo la testa, non so a che cosa si riferiscano. “Questo riguarda te, non me” Alice ribatte, alzando il mento. Ma io noto subito come apre e stringe i pugni, in preda al nervosismo. Ma di che cosa diavolo stanno parlando? Getto uno sguardo a Giacomo, ma lui sta fissando Andrea, corrucciato. Si è improvvisamente incupito, e una ruga gli solca la fronte; immediatamente, sento l’istinto inspiegabile di avvicinarmi per spianargliela. L’altro sta ricambiando il suo sguardo e, se non fossi offuscata dalla rabbia nei suoi confronti, giurerei che sembra immensamente triste, gravato da un peso troppo massiccio. Attendo una risposta, ma il silenzio si tende nell’aria per alcuni istanti di troppo: che sta succedendo? Sento un grumo di tensione concentrarmisi nel petto, mentre loro tre, Andrea, Alice e Giacomo, sembrano impegnati in una conversazione silenziosa. Per l’ennesima volta, mi rivolgo verso Sofia, ma lei pare ignorare quanto me le cause dello spettacolo assurdo che ci si svolge di fronte. 
“Dimmi che non è vero” Giacomo sussurra, ma c’è un’incrinatura nella sua voce, che mi fa rizzare i peli sulla nuca: attraverso vi filtra un dolore puro e ferino, a stento trattenuto. Sta fissando Andrea, ma questo pare incapace di sostenere il suo sguardo. Si volta, dandogli le spalle. “Ti prego, dimmi che mi sto sbagliando” il tono di supplica nella sua voce mi strazia e vorrei andargli vicino, sanare queste ferite assurde e sconosciute. Ma sono come ghiacciata, paralizzata sul posto e Andrea continua a non rispondere. Anche Alice sembra aver improvvisamente perso ogni ardimento e si tormenta le mani, alternando lo sguardo fra i due. Per qualche attimo, è come se la notte si tramutasse in vetro e fosse sufficiente un solo movimento per mandare tutto in pezzi: mi accorgo di trattenere il respiro. Poi, finalmente, l’interrogato si decide a rispondere: “È così”. Sono due parole smozzicate, estorte a forza e sussurrate, eppure detonano come fossero tritolo: Giacomo emette un verso animale e si piega in due, come se una pallottola gli avesse aperto le viscere, mentre Andrea inizia a tremare in modo nevrotico. Il grumo di tensione dentro di me diventa incandescente, mi brucia l'ossigeno nei polmoni. Percepisco Alice ingoiare bruscamente il respiro, mentre Giacomo si rialza; e cerco, invano, di soffocare la stessa sorpresa, quando mi accorgo, dalla sua postura, dalla sua espressione, che il suo dolore è mutato in furia.
"Voglio sentirtelo dire” per un attimo, è come se non riconoscessi la sua voce: stride contro i timpani come l'acciaio. Andrea scuote la testa, trattenendo a malapena un singulto: "Lo sai già". "Non mi importa" è irriconoscibile adesso, beffardo e crudele. "Perché me lo fai fare?" una curiosità sincera e una supplica vana. "Perché? Tu mi chiedi perché?! Cristo santo, ma non ti vergogni?" Giacomo ride ed è una risata rauca, senza la minima allegria, "Dillo e basta". Andrea deglutisce, sembra sul punto di vomitare, ma quando inizia a parlare, lo fa guardando l’altro negli occhi: “La ragazza con cui…” fa un gesto eloquente verso Alice “... era... era Isabella Marchesi”. 
Istintivamente il mio cervello si rifiuta di processare l’informazione: questo non è quello che ci aveva detto Alice; getto un’occhiata a Sofia per accertarmene, ma lei pare sbigottita tanto quanto me. Mi rifiuto di crederci; insomma, non può essere vero. Ma qualche secondo dopo, Alice si rivolge verso di noi, in volto una muta preghiera di scuse e un accenno di vergogna. Ci ha mentito. Ci ha ingannate e questo cambia tutto. Perché Isabella Marchesi non è un agglomerato di sillabe qualsiasi, no. Isabella Marchesi è un nome, una storia nota a tutti e, a quanto pare, la chiave per comprenderne un’altra sconosciuta. Isabella Marchesi: la ragazza che non conosci personalmente, ma che sembra essere ad ogni festa ed andare d’accordo con tutti; la ragazza che sbirci da lontano e che vorresti non invidiare, perché sembra davvero essere amichevole e gentile, anche quando sulla metro, mezza ubriaca, ti scambia per una sua amica; la ragazza che qualche mese dopo essere stata lasciata bruscamente dal suo ragazzo storico, tenta di porre fine alla sua vita, aprendosi le vene. Isabella Marchesi: la ragazza a cui fu preclusa la morte, ma a cui, per compenso, fu offerto di diventare l’argomento di conversazione preferito da tutti. La ragazza che fa luce sul dramma che mi si consuma davanti: perché il ragazzo che ora piange, ma stringe i pugni e rifiuta di disintegrarsi contro l’asfalto, non è solo Giacomo occhi di onice, ma è anche quel Giacomo, quel Giacomo Rosmini eletto a furor di speculazioni come causa del tentato suicidio dell’ex-fidanzata. Lo scruto, per la prima volta a conoscenza della sua identità, ma non percepisco nessuna estraneità: ho davanti la medesima persona capace di entusiasmarsi per la pittura veneziana e di parlare di tutto e di niente. Il suo dolore ora ha semplicemente trovato spiegazione. 
“Dimmi che è stata comunque colpa mia” cerca rinsaldare la voce, ma sotto infuriano cose indicibili, che la frantumano in schegge acuminate. “Dimmi che con lei non c’è stato niente, che te la scopavi e basta” un ordine, una preghiera, l’ultimo impeto di un naufrago verso un salvagente. “Dimmi che è vero… che è vero che si è aperta le vene per colpa mia” un singulto implode fra le sue parole, spezzandomi il cuore. 
Inaspettatamente è Alice a rispondere, sibilando stridula: “Non è mai stata colpa tua… nemmeno all’inizio, ma è sempre, sempre stata colpa sua”. Nonostante tremi visibilmente, fissa Andrea con un compiacimento sinistro, vagamente sadico: “La foto… quella foto di Isabella con quel ragazzo alla festa, l’ha fatta lui… è solo colpa sua” inizia ad applaudire, sfottendo il ragazzo “... proprio un’idea grandiosa quella di distruggere le relazione di un tuo amico, solo perché volevi scoparti la sua ragazza!”. Alla sua accusa, Andrea sembra rinfiammarsi di colpo: “Ma complimenti, complimenti davvero… continua pure a rifiutare il tuo ruolo in questa storia, a gettare merda sugli altri e dichiararti innocente! Chi cazzo è stato a farsi venire in mente l’intera faccenda, eh?! Sentiamo! Tu quella sera volevi solo farti notare, leccarmi il culo e guadagnarti un posto nel mio letto, quando mi fossi stufato di lei!” ora sta urlando ed è inutile cercare di ignorare gli sguardi che ci si sono puntati addosso: devono aver capito di che stiamo parlando, perché è come se percepissi mille minuscoli proiettili conficcarmisi nella carne. Siamo inerti davanti a un fuoco incrociato di recriminazioni e giudizi affrettati, ma l’unico dolore che percepisco è lo strazio delle parole di Giacomo. Mi sembra insopportabile che il ragazzo che ama la filosofia e saluta la gente in modo buffo, debba soffrire così atrocemente sulla pubblica piazza; voglio proteggerlo, permettergli di elaborare le sue emozioni in privato. Mi muovo prima di potermene pentire, attraversando la terra di nessuno e ponendomi di fronte a lui. In sottofondo sento Alice emettere un latrato di protesta, ma la ignoro. I nostri sguardi si incrociano e il suo brucia, è quasi troppo brutale e sincero per essere sostenuto: ora sai chi sono. No, Giacomo occhi di onice, io non so chi tu sia, perché mi rifiuto di credere che questa storia possa definire tutto te stesso: sarebbero queste le parole che vorrei dirgli, ma sono parole enormi e spaventose, capaci di portare alla luce emozioni abissali. Così, di slancio mi protendo verso di lui e lo abbraccio, nel tentativo piuttosto goffo di fargli da scudo con il mio corpo. Subito si irrigidisce, rimanendo immobile, ma, dopo qualche secondo, è come se un nodo si sciogliesse dentro di lui e qualcosa di caldo, come il battito del suo cuore, mi penetrasse sottopelle: le sue braccia mi stringono prima piano, poi sempre più forte, gli impedisco di andare in pezzi. Le sue lacrime mi bagnano la guancia e cerco di avvolgerlo ancora di più, di inglobare il suo dolore nell’intreccio delle mie braccia. “Mi dispiace” mormoro pianissimo a un soffio dal suo orecchio “mi dispiace tantissimo”. Il suo singulto si riverbera nel mio corpo, lungo le mie terminazioni nervose. I nostri corpi si modellano l’uno sull’altro, accordandosi in sintonia. Mi accorgo di stargli accarezzando la nuca e il collo, intrecciando le dita nelle corte ciocche arricciate: imbarazzata, faccio per ritrarmi, ma lui mi stringe a sé, invitandomi a continuare con un cenno della testa, simile a un cane affettuoso. Cerco di nascondere il sorriso che spontaneo mi sale alle labbra, ma lui deve percepirlo sagomarsi contro il suo collo, perché inizia ad accarezzarmi la schiena. Emetto un sospiro tremulo e realizzo che, per quanto stia confortando lui, stento a ricordare un altro momento in cui mi sia sentita così appagata e al sicuro. Il suo contatto si diffonde dentro di me come un’edera buona, che ovunque si radichi distribuisce linfa, anziché assorbirla. È una sensazione sconosciuta, ma piacevolissima, che al momento non ho la forza di rifiutare. Quando, dopo qualche istante ancora, ci separiamo, lui non smette di toccarmi, lasciando la sua mano sulla mia schiena. Constatiamo che Andrea, nel frattempo, debba essersene andato, mentre Sofia e Alice si sono allontanate di qualche metro e sembrano discutere in modo piuttosto concitato. La sola prospettiva di unirmi al litigio è sufficiente a farmi venire l’emicrania; fortunatamente intercetto lo sguardo di Sofia, che si limita ad annuire, come se avesse già compreso la situazione. La saluto con un gesto della mano, poi mi volto di nuovo verso Giacomo. Mi sta guardando: la fiducia nel suo sguardo mi annichilisce e mi rende un gigante. Così lo prendo per mano e ci dileguiamo nella notte.
   
 
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