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Autore: Master Chopper    21/06/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 23: I Still Try To Find My Place

Il dio misterioso assisteva a tutto ciò, e nel mentre il sorriso era sparito dalle sue labbra. Ripensava a quando, non molto tempo prima, aveva evocato Dante Alighieri per porlo nella sua schiera di combattenti.

 

A differenza di personalità più che entusiaste di prendere parte a quello scontro come Ramsess, il quale aveva subito iniziato a corteggiare Boudicca e Charlotte, o Masutatsu e Guy Fawkes, quel grigio uomo aveva fatto solo due cose: si era guardato attorno e poi, con la stessa espressione mesta, si era allontanato.

Non aveva una meta, perché quello era il capolinea dell’aldilà, eppure aveva preferito sottrarsi alla vista di chiunque.

Immediatamente il dio misterioso lo aveva inseguito, scioccato: “M-Ma… perché te ne vai? Ti sto dando l’opportunità di salvare l’umanità!”

Dante, sorprendentemente, si era fermato. Ma solo per voltarsi appena, rifilandogli un’occhiata solitaria e malinconica come un freddo pomeriggio piovoso. Nuvole grigie temporalesche scivolavano nei suoi occhi.

“Questo è il luogo oltre la vita?” Aveva domandato, al che l’altro gli aveva dovuto dare conferma. “E allora non c’è nulla per me qui, da vedere.”

“Cosa dici?” L’inseguimento era andato avanti per un po’ “Non ti interessa impedire che il genere umano venga distrutto dagli dèi?”

“Tempo fa… ti avrei detto no. Io? Salvare gli umani ed andare contro al volere degli dèi? Certo che no, mai e poi mai mi sarei sognato una simile blasfemia… eppure ora che posso vedere davvero com’è il mondo dopo la morte, mi rendo conto di quante cose ho pensato erroneamente. Giusti e corrotti, eroi e malvagi, radunati nello stesso luogo e con uguali possibilità… non esistono infedeli, non esistono pene, né salvezze eterne.” Aveva strizzato quegli occhi tristi: “Siamo tutti uguali sotto un cielo che non ci accetta.”

“Proprio per questo dovresti impedire una simile brutalità, ora che ne hai l’occasione !”

“Ma… perché? Questo mondo non potrebbe semplicemente… finire ?”

 

Eppure dopo… era successo qualcosa.

Il dio misterioso era perso ancora in quel ricordo, quando l’immediatezza di una scena incredibile lo distrasse.

 

La seconda trasformazione di Dante era stata accompagnata da una luce tenue, ma che inspiegabilmente sembrava aver catturato tutti i colori circostanti per rendere l’atmosfera ancor più grigia e smunta. Sembrava come se una ballata lenta risuonasse nell’aria morta, alla danza delle vesti del poeta, ora di un rosso pallido. Le scaglie laviche sulla sua pelle erano scomparse, lasciando posto ad una pelle cinerea, attraversata da crepe, come su di un viso di porcellana infranto.

Anche l’arma tra le sue mani era cambiata: non più una frusta, ma costituita da una lunga e rigida impugnatura e terminante con due lame ricurve che quasi si chiudevano a cerchio, come una falce di luna.

“Forma del Purgatorio !” Così aveva esclamato.

Hastur non si era lasciato impressionare, ma anzi continuava a covare rantolii disgustosi, strisciando a destra e a sinistra. Entrambi, nella loro calma riflessiva, si stavano preparando ad attaccare.

 

“La tensione è palpabile, ladies and gentlemen!” Urlarono gli annunciatori “Entrambi gli sfidanti si sono svelati in una nuova forma! Chissà quali nuove sorprese ci potranno riservare ?!”

Ed in un attimo, tutto riprese:

Hastur spalancò tutti i suoi occhi, puntandoli su Dante. Fu come se un ghigno si fosse spalancato nell’oscurità sotto la sua maschera, dopodiché scomparve.

Si materializzò sussurrando parole arcane e proibite alle spalle del poeta, il quale per la sorpresa dovette spiccare un balzo ed allontanarsi.

“Si allontana! Dante Alighieri ha smesso di contrattaccare?!”

Non appena però l’uomo rimise piede per terra, quella figura inquietante gli apparve sopra la testa, mulinando i suoi tentacoli in aria. Lui riuscì ad evitarli, osservandoli schiantarsi sul suolo che calpestava un istante prima. Il terreno era stato schiacciato, diventando una profonda spaccatura, simile ad un’impronta animale: gli attacchi di Hastur si erano fatti più pesanti, ma non per questo meno veloci e letali.

Ogni volta che Dante si spostava, il Re Giallo  spariva dalla sua visuale per materializzarsi nei suoi angoli ciechi. Il lasso di tempo tra l’apparizione e l’attacco che ne seguiva era sempre lo stesso, tuttavia il poeta non poteva sempre schivare alla stessa velocità, né riprendere a muoversi con la stessa immediatezza. Vedendosi quasi sfiorare da quei tentacoli distruttivi, con la pressione dell’aria che esplodeva in boati a pochi millimetri dai suoi timpani, poteva sentirsi al centro di un ciclone in costante movimento.

Se si fosse spostato da un piccolissimo spazio sicuro, sarebbe stato travolto da quei flutti oscuri.

“Dante …” Mormorò in apprensione sua moglie Gemma, stringendo le mani come in segno di preghiera. Anche tutta l’umanità si contorceva nella preoccupazione che se mai quegli attacchi avessero centrato il loro campione, tutto sarebbe stato perduto.

Purtroppo, quando tutti meno se lo aspettarono, avvenne: un tentacolo finalmente riuscì a sfiorare Dante. Fu un tocco leggerissimo, appena accennato e che coprì a stento una superficie di un millimetro sulla spalla dell’uomo. Tuttavia, un secondo dopo, da quel punto esplose un fiotto di sangue che andò a macchiare la maschera giallastra di Hastur.

Gli occhi del Re Giallo riflessero quel colore cremisi, e divennero lucidi per le lacrime di commozione, nell’euforia di quella piacevole vista.

Ci fu solo un sussurro: “Ti… ho… preso… che… bello …”

Il poeta impallidì sotto quel mostruoso sguardo, e dovette far fronte ad una paura viscerale appena sorta in sé per muoversi con ancora più velocità. Spinse il suo corpo al limite, fronteggiando degli attacchi ora altrettanto più rapidi e frenetici.

“Lo avete visto ?” Si dissero intanto gli déi. Un sogghigno collettivo si sparse tra di loro, venendo percepito come una minaccia per la razza umana. Ed effettivamente, il motivo di tanto giubilo, era qualcosa di cui fu impossibile non preoccuparsi: Hastur non era stato ferito.

Nonostante il colpo portato a segno, a differenze delle volte precedenti, stavolta non gli era stato restituito e così il dio aveva potuto continuare ad attaccare con sempre più foga.

Ed ora, nonostante gli sforzi sovrumani del poeta, quegli attacchi avevano iniziato a collidere sempre più frequentemente, sollevando altri schizzi di sangue nell’aria. Altre gocce rosse sulla maschera gialla di Hastur, che ormai era diventato solo un incubo di caos e follia.

I suoi movimenti erano come una tempesta di oscurità, qualcosa che in natura non si era mai visto e non sarebbe mai potuto esistere.

 

“È… la… fine …” Così fu tutto ciò che si sentì pronunciare dalla bocca di Hastur, quando affondò tutti i suoi tentacoli, uniti per formare una gigantesca lancia nera, contro il suo bersaglio.

E quei tentacoli, così come erano stati scagliati, vennero afferrati e bloccati nell’arma di Dante.

“La fine ?” Ripeté la voce del poeta. Non era di certo la voce di qualcuno che si era arreso, ed anzi fuoriusciva da una bocca incrinata appena in un sorrisetto spavaldo.

Di fronte a quell’espressione beffarda Hastur, e tutti gli déi, sussultarono per lo shock.

L’arma di Dante, simile non per altro ad un’arma medievale europea utilizzata per catturare criminali a distanza, aveva serrato le sue lame attorno agli arti di Hastur, lasciando le loro punte appena a qualche centimetro di distanza dalla sua faccia. Quando la scostò, poté rivelare il suo volto al nemico, spiazzandolo con uno sguardo tagliente. “Questo è solo l’inizio… della tua fine !”

E mentre la divinità si rendeva conto di essere caduta in trappola della sua stessa avidità, il poeta si era già mosso, più veloce di quanto prima avesse finto di schivare: dopo essersi voltato di centoottanta grandi, aveva sollevato l’arma soltanto per poi schiantarla a terra, e con essa sbatté al suolo anche Hastur.

Producendo uno schioppo viscido, come un polpo schiacciato su di uno scoglio, l’armatura del Re Giallo si crepò, spaccandosi in più punti. La confusione sorprendentemente non gli lasciò percepire alcun dolore, ma quando provò a rialzarsi sentì il mondo vorticare fin troppo velocemente attorno a sé.

Sfruttando quell’esitazione, l’arma di Dante lo liberò dalla presa, soltanto per potergli indirizzare un colpo portato con l’asta in piena gola. Mentre Hastur finiva lungo disteso a terra, vide il poeta stagliarsi su di lui, con alle spalle il sole.

“Alzati.” Ordinò, con una calma feroce.

E la divinità provò realmente ad alzarsi, ma quando volle posare la mano per terra, questa gli venne scostata dalla punta del bastone nemico. Mentre, sbilanciato, ricadeva al suolo, Dante lo intercettò con una sferzata di colpi talmente tanto rapidi da poter essere visti a fatica da occhio umano.

Stavolta fu il volto di Hastur a venir schiacciato al suolo, e da quella prospettiva percepì davvero il peso del mondo gravargli addosso, schiacciandolo e calpestandolo in una valanga di disgrazia.

“Hastur rimane giù  !” Urlava la folla degli umani, quando anche i presentatori annunciavano: “Il Re Giallo viene costretto al tappeto e non sembra più rialzarsi! Astonishing! Che sia il momento di suonare già la campana di fine scontro ?”

 

Ed Hastur a tutti gli effetti rimaneva a tappeto, pressato dalla tensione che emanava quell’umano di fronte a sé.
In quel silenzio snervante, nel suo placido ed immobile riposo, immaginò una miriade di situazioni: come rialzarsi, riprendere l’attacco, ribaltare la sua condizione. Tutte quelle infinite possibilità, però, venivano annullate nella sua mente prima ancora di poter essere realizzate.

Tutto questo a causa di Dante, il quale semplicemente inchiodandolo al suolo con lo sguardo, riusciva ad instillargli l’idea che, qualsiasi cosa avesse voluto fare, lui l’avrebbe interrotta. Lo aveva già fatto, d’altronde. E non solo quando aveva intrappolato i suoi tentacoli, o quando gli aveva impedito di poggiare la mano a terra per rialzarsi.

“Sembra che tu abbia capito che ogni mia forma possieda un’abilità differente.” La voce dell’uomo interruppe quel flusso di pensieri. Era grave e terrificante.

“Non posso essere più protetto dal Contrappasso, ma… con la Previsione, ogni tuo attacco contro di me viene vanificato. Anche quando prima ho finto di farmi mettere alle strette solo per afferrarti, ho neutralizzato i tuoi attacchi, intercettandoli per ridurne la potenza.” E si sfiorò quelli che prima tutti pensavano fossero gravi ferite, ma in realtà erano solo piccoli graffi.

Una volta macchiatosi il pollice di sangue, se lo portò alla bocca per poi asciugarselo con la lingua. Intanto il suo sguardo si era indurito, proclamando una minaccia dal suo cuore di roccia:

“Ti giuro che ti distruggerò, Hastur !”

 

Mentre la folla umana esultava, inneggiando al loro rinato eroe, c’era qualcuno che in silenzio continuava a rimuginare. Il dio misterioso, nonostante avesse al suo fianco Charlotte che si esibiva in piroette vorticanti con la sua larga gonna, non aveva voglia di festeggiare.

-Ha cambiato idea, rispetto a prima… e questo soltanto perché …-

Quando lui e Dante avevano parlato, ed il poeta aveva espresso il suo assoluto rifiuto, si era protratto un lungo silenzio.

 

“In tutta la mia vita, tra tutte le inenarrabili vicissitudini che ha passato questo corpo marchiato dal dolore, dal tradimento e dall’umiliazione, mai c’è stato un palliativo che potesse placare i tormenti della mia anima… più del suo sguardo.

La incontrai quando avevo nove anni. Pioveva, era una giornata fredda, ma né l’acqua né il gelo mi potevano tangere, perché c’era quel focolare a riscaldarmi: lei sorrideva. Lei era bellissima, portava la primavera dove c’era l’inverno, e la pace nel mio cuore.

Dal secondo successivo, quando i nostri sguardi smisero di incontrarsi, iniziai a soffrire. Non potevo sapere il perché, e pensavo fosse ingiusta una simile condanna, ma fu ciò con cui convissi per lunghi anni.

Ero arrivato al punto da odiare quella situazione, quasi maledicendo il motivo per cui… no. Non avrei potuto.

Poi passarono altri nove anni, e tornò la primavera.

“Tanto gentile e tanto onesta pare”

Ma cosa mi saltava in testa? Non avrei potuto scrivere di peggio, un insulto più deprecabile per confinare quella bellezza a delle parole così mediocri. Non sarei mai riuscito a descriverla.

Era indefinibile, inafferrabile, incomprensibile. Vederla mi riempiva gli occhi di lacrime ed il cuore di urla. Lacrime ed urla di gioia? Di paura? Entrambe: gioivo incredibilmente di quella visione, ma temevo l’istante in cui l’avrei persa di nuovo.

E si trattava solo di un saluto. Un incontro fugace per le strade di quella città che condividevamo, nonostante lei sembrasse provenire ogni volta dal più alto dell’Elisio.

Cosa avrei potuto fare io, se non limitarmi a rispondere al suo saluto? Non ero… non sono mai stato nessuno al suo cospetto. Anche se fossi stato re o imperatore, sono sicuro che avrei sempre tremato, esitato, sentendo la sua voce ed incontrando il suo sorriso.

Ma tanto, alla fine, non sono mai stato nessuno: un insignificante volto per lei, tra tanti in mezzo alla strada. Mi chiedo cosa penserebbe se scoprisse quanti pensieri le ho dedicato, quante lacrime strazianti per la disperazione, quanti atroci dolori consumati nel silenzio della mia anonima vita.

Forse ne sarebbe spaventata. Forse ne sarebbe disgustata. Il mio amore le farebbe paura, le farebbe male.

E se così fosse, e solo allora, io mi sentirei peggio di quanto mai mi sia sentito in vita mia: non potrei vivere in un mondo così. Mi dispiace se posso farti paura, per questo io rimarrò solo un volto che incontrerai casualmente per la strada. Per favore però, ti chiedo solo di non smettere di salutarmi.”

 

E dopo giorni, anni, secoli, millenni… lui aveva smesso di ripensare a quella pagina bruciata e persa per sempre. Dante teneva lo sguardo basso sul terreno, non osava alzarlo ancora.

Prima era stato azzardato, spregiudicato: quel darsi le arie solo per buttare un occhio tra gli spalti dell’umanità e cercare quella persona. Avrebbe dovuto vergognarsi.

In fondo al suo cuore sapeva che, se davvero l’avesse rivista in quella situazione, e dopo ciò che era diventato, avrebbe preferito condannare se stesso piuttosto che  spezzare l’illusione della sua anonima vita e scoprire davvero cosa lei pensava di lui. Non avrebbe voluto saperlo.

Forse avrebbe vinto e salvato l’umanità, oppure tutto il genere umano si sarebbe estinto, ma non era questo l’importante: lui avrebbe continuato a non voler sapere niente.

 

“Distruggermi? Ma… cosa vuoi distruggere, davvero ?”

Si era distratto. Appena si rese conto di quel dettaglio, il poeta recuperò la concentrazione per guardare davanti a sé. Vide solo il terreno, come se non avesse mai davvero alzato lo sguardo.

“Il mio dominio è la follia.”

Hastur era dietro di lui, eppure quando si voltò non trovò nulla. Un eco, un sussurro alle sue spalle, ma poi ancora il vuoto. Ovunque si voltasse, poteva a stento sfiorare un’immagine evanescente, che strisciava fuori dalla sua visuale e spariva ancora ed ancora.

“E la follia non può che nascere dal genio, dalla creatività, da un intelletto superiore ed ispirato.”

Stufo di quell’incalzante voce che lo perseguitava, Dante decise di fare uso della sua Previsione per individuare l’avversario. Così fece, ma quando si voltò, tutto venne interrotto da un fragore quasi metallico.

Gli spettatori sussultarono per lo spavento.

Nessuno di loro aveva potuto prevedere quel tentacolo appena fuoriuscito dal terreno, al di sotto di Dante. E, a dirla tutta, nemmeno il poeta l’aveva davvero previsto.

Aveva sollevato l’arma in tempo per parare il colpo, che ora però rimaneva a pochissima distanza dal suo viso.

-Ho solo… reagito per istinto.- Sentiva la sua testa venir stretta in una morsa, mentre le vene sulla sua fronte pulsavano in una tensione febbrile.

Poi ne arrivò un altro, da una direzione ignota. Non riuscì nemmeno a vederlo stavolta, ma spazzò la sua asta in un movimento circolare, e l’impatto del colpo bastò a sbalzarlo all’indietro.

“Così, mentre tu mi sottovalutavi… io ho trovato il modo perfetto per ucciderti !”

Quella voce ormai non aveva provenienza, ma esisteva in uno antro ameno, proibito da qualsiasi buon senso. Era capace di far sgorgare stille di sudore freddo sulla pelle di Dante, nel mentre veniva sorpreso da una scarica di nuovi, incessanti colpi misteriosi.

Una serie di attacchi che però era tutt’altro che insensata, siccome pareva seguire un ritmo, come un crescendo incessante, ma che a volte discendeva e poi risaliva rapidamente, vorticosamente, rovinosamente. Si sarebbe potuti impazzire solo nel provare a leggerne il pattern, eppure era ciò che il sommo poeta era costretto a fare pur di sopravvivere.

 

“È… l’ignoto.” Tra le grida spaventate dell’umanità, la voce tremante di H.P. Lovecraft parve risuonare. Aveva parlato con un che di malinconico, nonostante nei suoi occhi si riflettesse il terrore.

“La più antica e viscerale emozione dell’uomo è la paura, e la paura più antica e viscerale è quella… dell’ignoto.”

 

All’estremo di uno sforzo fisico sovrumano, Dante si rese conto che, per quanto riuscisse a prevedere i colpi all’ultimo istante, ne seguivano così tanti in contemporanea da esser fisicamente impossibile bloccarli tutti assieme.

Da destra e sinistra allo stesso tempo. Dall’alto e dal basso. Da sotto terra, da dietro le sue spalle, oltre la guardia dell’arma, completamente in un suo angolo cieco.

-Non… ci… !- Le lacrime gli inondavano gli occhi per lo sforzo. -… riesco !-

E fu allora, mentre tutto ciò lo aveva fatto indietreggiare sull’orlo di un precipizio, che intravide finalmente il vero volto del suo nemico.

 

Hastur era sospeso al centro dell’arena, con ormai un rimasuglio del suo cencio giallo che, animandosi, si espandeva alle sue spalle come i raggi di un sole pallido. La pelle che era stata rivelata avrebbe potuto appartenere ad un essere umano, ma la conformazione era così deforme ed aliena da essere quanto più dissimile da qualsiasi forma in natura. E poi c’era il volto… qualcosa di assolutamente insano, inenarrabile, disgustoso, oscuro, lugubre: la perdizione di tutti i sensi in un abisso di terrore.

“Universal Collapse !”

Da quel corpo scaturivano come acqua da un torrente infinità di tentacoli in ogni direzione. Alcuni si immergevano nella terra come radici, mentre altri venivano scagliati in cielo, oscurando la luce del sole in un arco che poi ricadeva verso il basso, eclissando anche Dante nella loro pioggia torrenziale.

Tutto veniva avvolto e straziato, come se violente pennellate di bitume cancellassero la luce di una tela bianca. Così, pezzo dopo pezzo, pennellate di sangue dopo urla di dolore, Dante iniziò a cedere.

Era stato spinto nella trappola del suo nemico, risucchiato in un turbine oscuro.

Guardò Hastur e pensò di scagliarsi contro di lui. I tentacoli lo avrebbero fatto a brandelli, ma forse avrebbe potuto fermarli semplicemente colpendo il suo avversario.

Quest’ultima speranza venne cancellata quando il Re Giallo perse ogni forma tangibile, diventando solo un’esplosione di tentacoli che, inevitabilmente, lo investì anche dall’unica direzione che riteneva sicura. Non esisteva più l’occhio del ciclone. Era tutto morte.

 

“Beatrice… perdonami.”

 

“So I'll stay unforgiven

And I'll keep love together

And I'll be yours forever

I'll sleep close to Heaven”

-“Close to Heaven”, Breaking Benjamin

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Il flashback di Dante, che rappresenta una pagina di una specie di diario segreto, è ispirato al testo della canzone “Creep” dei Radiohead. Mentre il nome del capitolo richiama il testo di “Diary of Jane”, dei Breaking Benjamin. Tuttavia la canzone che fa da tema a questo scontro è quella citata nel finale, ovvero “Close to Heaven”, sempre dei Breaking Benjamin.

Mentre, parlando di Hastur, vorrei specificare che lui non è solo una creatura di Lovecraft, né è stata inventata da lui (a stento appare, solo nominato, in un suo racconto, però poi è stato inserito tra i Grandi Antichi postumo alla morte di Lovecraft). Ecco perché non ho voluto dare questa autorità al personaggio dello scrittore. Vi consiglio vivamente di ricercare l’origine di Hastur, e di come la sua influenza abbia raggiunto Lovecraft.

Per il finale ci vediamo… a domani!

P.S: Alla fine credo proprio che il settimo scontro avrà un lieve ritardo, causa che il 25 ho l’esame. Dopo di allora avrò tutta l’estate per scrivere (ma diciamo pure tutta la vita, visto che voglio guadagnarmi da vivere come scrittore)

   
 
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