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Autore: _Lightning_    22/06/2020    7 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Episodio 1
IL CACCIATORE DI TAGLIE

Parte I

 

“Cattura se riesci, uccidi se necessario.”
— Dal Codice della Gilda dei Cacciatori di Taglie



 

Città di Agruss, Pianeta Zygerria, 9ABY

Vivo o morto. Era il suo tipo di contratto preferito. Libertà d’azione, spazio di manovra e uscita d’emergenza incluse nel pacchetto.

Tutti lussi da non sottovalutare, nel claustrofobico labirinto di stradine che si intersecavano ai piedi delle ziqqurat della capitale zygerriana. Il sole picchiava con vivida forza sul beskar cromato ogni volta che superava le nette linee d’ombra dei gradoni che incombevano sui quartieri bassi.

Ringraziò l’isolamento termico della calotta e aspirò più a fondo nell’atmosfera temperata del casco, captando un refolo di odori esotici sull’onda del vento caldo. Spezia, principalmente, e il tanfo bruciato dei suoi scarti, ma anche un profumo dolciastro di fiori che si propagava dai giardini pensili sovrastanti. La miscela risultante gli si appiccicò sgradevolmente al palato.


Rallentò di poco il passo quando si trovò del tutto nella penombra megalitica, rasentando il muro scrostato di una delle tante palazzine di mattoni in duraclast compresse tra loro fino a stritolarsi. Lo raggiunse un secco grugnito da parte della Wookiee alle sue spalle, e seguì la sua direttiva inchiodando prontamente all’angolo successivo, il palmo già adagiato sul calcio del blaster. Qui.

Gettò un’occhiata alla visione periferica del casco, individuando dietro di lui la non troppo discreta montagna di pelo rossiccio che cercava invano di non rendersi troppo visibile, a scapito dei due metri e mezzo d’altezza e del letale fucile bowcaster che imbracciava. La vide bloccarsi di colpo e ruotare l’enorme capo incorniciato dalla criniera, col naso arricciato e rivolto verso l’alto come se avesse colto una scia degna di nota.

Din si concesse un sussurro interrogativo che non trapelò oltre l’elmo, trasmesso direttamente dal suo vocoder al comlink auricolare della Wookiee:

«Ikko? Cosa c’è?»

Ikkothnayyrl, che, fortunatamente e dopo varie storpiature, aveva accettato il nomignolo affibbiatole senza alterarsi, scosse la testa e brontolò in modo poco comprensibile mentre lo superava con una singola falcata. Lui accolse l’invito implicito a sbrigarsi, segno che il loro bersaglio era in imprevisto avvicinamento.

Imboccò il vicolo a piè sospinto, il calcio del fucile Amban che gli batteva ritmico contro la schiena, avendo cura di mascherare le proprie impronte tra le molte altre, umanoidi e non, impresse nel terreno polveroso. L’aria era ferma, deserta: la maggior parte degli abitanti si era già rifugiata nelle proprie abitazioni per trovare riparo dal sole cocente di mezzogiorno.

Si accostò all’ingresso prescelto, niente più di una porta automatica in falso legno incassata nel muro, a malapena visibile se non cercandola – e l’avevano cercata eccome, per un’intera mattinata di appostamenti sui tetti sbiancati dal sole. A giudicare dall’agitazione della Wookiee, che gli copriva le spalle continuando a fiutare l’aria in un implicito sprone a darsi una mossa, era decisamente quella giusta.

Divelse la centralina di comando nello stipite facendo leva con la vibrolama, e bastarono poche mosse per riarrangiare i cavi e udire il sibilo d’apertura della porta. Fece cenno col capo a Ikko di entrare per prima, e la seguì dopo aver riassemblato alla meglio il pannello. La porta si richiuse dietro di lui, sprofondandoli nella densa penombra di una casa-negozio priva di finestre.

La visione notturna del casco si attivò in automatico, dipingendo il mondo di un verde adimensionale. Un unico ambiente dalla metratura esigua si apriva dopo un breve disimpegno, su cui si affacciavano altri due vani ancor più angusti, che creavano angoli favorevoli. C’era una sola via di fuga, quella da cui erano appena entrati. L’ideale per un’imboscata.

Avanzò e colse il lucore degli occhi della Wookiee, sospesi sopra quello che, innegabilmente, era un laboratorio di spezia: il bancone, un tempo destinato alle vendite e ora invaso di alambicchi, provette e bilance di precisione; le fiochissime lampade da lavoro rossastre rimaste accese, e il sentore stordente di esalazioni chimiche non lasciavano adito a dubbi.


Quindi, Amon Baath si era davvero dato alla manifattura vera a propria. Un cambio di carriera non molto più etico e legale della fornitura di forza lavoro per estrarre la materia prima della spezia nelle miniere, ma altrettanto redditizio. A nessuna toga del Senato, imperiale o neorepubblicano che fosse, dispiaceva un tocco di spezia per rallegrare i propri comizi galattici, né faceva troppe domande sulla provenienza.

Nel fuggevole lampo di quei pensieri, aveva già controllato a blaster spianato che la sala centrale, la latrina e lo stanzino che fungeva da dormitorio per almeno mezza dozzina di trafficanti fossero liberi. Bene: la loro soffiata era arrivata alle orecchie giuste, evitando quelle del bersaglio principale.

Ikko armeggiò con la bandoliera che le attraversava il petto, sganciandone quella che riconobbe come una bomba fumogena. Approvò con una lieve inclinazione del capo: meglio stordire il bersaglio evitando di attivare la spezia fotosensibile con esplosivi o granate accecanti. Si accosciò poi dietro un mobiletto che gli dava visuale sull’ingresso, il blaster puntato, in una posizione che avrebbe potuto eventualmente mantenere per ore. Tolse la sicura al blaster. Anche la Wookiee cercò di rendersi meno vistosa, chinandosi su un ginocchio nella penombra.

Attesero.

Avvertiva il cuore rimbalzare nel petto con quel gradevole ritmo un poco accelerato che precedeva l’azione, pronto a pompare sangue e adrenalina a cervello e muscoli. Era una sensazione che finiva sempre per mancargli. Lo ammise di sfuggita, un pensiero che si avvitò tra le righe rettilinee degli istinti primari di attacco e fuga, in quel momento acuiti.

Allentò la presa sul calcio del blaster, un dito alla volta partendo dal mignolo, per poi serrarla di nuovo in un’onda minuta che seguì un suo respiro rallentato. Un gesto calmante, di raccoglimento prima dello scontro; un gesto che era stato assorbito da anni nei rituali meccanici di ogni incarico e che adesso compì coscientemente.

Eppure, era una taglia facile. Aveva abbattuto e catturato obbiettivi più ostici e pericolosi di un trafficante ed ex-schiavista zygerriano. Di certo, ne aveva avuti di più insoliti. Il più insolito di tutti lo attendeva ora nella stiva della Razor Crest, ed era il motivo per cui non poteva permettersi di morire in modo stupido in un sudicio laboratorio di spezia su un pianeta in rovina.

Ruotò il capo verso Ikko: lei gli rivolse un sorriso tutto zanne che baluginò nella penombra asfissiante. Non volle immaginare come pensava di
accogliere Baath, ma pensò ancora una volta ai vantaggi della clausola vivo o morto su una taglia. Intero non era specificato. E dopo anni di schiavitù nelle miniere di spezia, non sarebbe certo stato lui a negare a Ikko il gusto di strappare le braccia a uno Zygerriano in fuga, se si fosse arrivato a tanto. Il pelo attorno al collo della Wookiee era più rado e scolorito, a testimonianza dello stretto collare-shock che aveva indossato costantemente durante la prigionia.

No, concluse, vivo non era una priorità, per nessuno di loro due.

Fu in quell’istante che la Wookiee emise un basso e lungo mugolio vibrante, aggiungendovi un cenno del bowcaster già incoccato in direzione della porta. Sta arrivando, lo fiuto.

Din annuì secco, sbuffando brevemente dal naso: il sentore acre di spezia che ristagnava nel negozio iniziava a trapelare attraverso il filtro, misto agli umori pungenti tipici dei felidi. Si tenne pronto a dare il segnale per lo schermo fumogeno.

Il sibilo della porta che si apriva innescò il fiotto d’adrenalina – distinse Baath, una sagoma agile dalle orecchie aguzze in controluce sulla soglia, avvolta in vesti stracciate – e raggiunse la nuca con un pizzicore bruciante nel momento in cui si richiuse, in sincrono con il primo colpo di blaster e col suo segnale:

«Ora

La granata atterrò con precisione tra le zampe dello Zygerriano, il laser colpì il comando d’apertura della porta e un fiotto di fumo nerastro scaturì dall’ordigno. Din attivò la visione termica.

«Skug!» imprecò tra le zanne Baath, ruotando sui talloni agili per slanciarsi verso l’uscita, solo per trovarla bloccata e far stridere inutilmente gli artigli contro il legno sintetico.

Din scattò in piedi dal suo riparo, pronto a piantare la canna del blaster tra le scapole aguzze del felide e intimargli la resa, quando questi si voltò di scatto, menando un fendente alla cieca che stridette innocuo contro il beskar dell’elmo. Din incassò il colpo e trattenne a malapena l’istinto di premere il grilletto.

Vivo o morto, certo... ma la differenza era di ben trecento crediti.

Scartò quindi di lato, caricando poi il gomito contro costole di Baath e riuscendo a sbalzarlo contro il muro. Invece di rimanere stordito, lui schizzò di nuovo via verso l’interno del laboratorio, sfoderando un blaster-derringer celato e mancando di un soffio la sua spalla col getto d’energia. Il laccio che aveva appena scagliato dal polso fu deviato e schioccò nel vuoto, mancando le sue caviglie, e Din imprecò tra sé: aveva dimenticato quanto potessero essere sfuggenti ed energici i felidi.

Non tentò comunque di fermarlo: la foschia torbida e l’olfatto stordito dal coacervo di spezia, muffa e polvere fumogena impedirono al trafficante di realizzare il suo errore, e si ritrovò con un bowcaster premuto sul muso. Ikko, sbucata dalla nebbia come un’apparizione, ringhiò dal profondo della gola intimandogli l’alt, senza però aprire il fuoco.

Baath emise un verso terrorizzato a mezza via tra un soffio ferino e un guaito, ma non mollò comunque la presa sul blaster e roteò su se stesso nel futile tentativo di tenere entrambi sotto tiro.

Din si avvicinò di un singolo passo, rilassando le spalle. Rinfoderò pacato la propria arma, aggiudicandosi l’attenzione di quella nemica. Fece un cenno impercettibile verso Ikko, quel tanto che bastava per far scattare lo sguardo di Baath in quella direzione e farglielo distogliere altrettanto rapidamente alla vista della sua mole, sempre più evidente man mano che il fumo si diradava.

«Puoi arrenderti. O posso dire alla Wookiee di portarti i suoi saluti dalle miniere di Kessel.»

Ikko liberò un ruggito da far tremare le pareti, manifestando la chiara impazienza di mettere in pratica le usanze sanguinarie di Kashyyyk. Il suono del blaster di Baath che rimbalzava per terra lo seguì subito dopo, e i ltrafficante si inginocchiò saggiamente con le zampe intrecciate dietro la nuca, gli occhi da felide ridotti a irose fessure con la pupilla verticale appena visibile.

«Feccia mandaloriana,» sibilò quando Din lo afferrò per la collottola, issandolo in piedi di peso per assicurargli le manette ai polsi.

Din lo trascinò verso l’uscita con la medesima rudezza che gli avrebbe riservato se non avesse aperto bocca, lasciandosi scivolare addosso l’insulto. Ikko sfondò la porta bloccata con una spallata, lasciando che l’intensa luce del primo pomeriggio fendesse la penombra. Una piccola folla di abitanti curiosi e allarmati si era radunata oltre la soglia a causa del tumulto, ma bastò la vista della Wookiee e del suo spallaccio d’ordinanza neorepubblicano per disperderla rapidamente.

Din guidò Baath con un guanto in una morsa sulla sua spalla. Lui si dimenò, torcendo il collo per guardarlo in faccia, o meglio, piantare gli occhi gialli nei suoi oltre il visore. Li mancò di qualche centimetro buono, fissando il metallo inerte del buy’ce.

«Ultimamente ne ho vendute un paio, di voi teste di beskar,» ringhiò poi, snudando le zanne. «L’affare peggiore della mia vita: ho dovuto rimborsare il cliente per la vostra “scarsa docilità


Din serrò la mascella, ma non perse un passo e si limitò a sospingere la taglia dinanzi a sé, con dei fantasmi incatenati che sfilarono fugaci nella sua mente in una pantomima di marcia. Li scacciò, dolorosi e al contempo proiezioni di false speranze. Forse, era meglio immaginarli morti, che fatti schiavi.

«Lo prendo come un complimento.»

Era una fortuna che avesse davvero bisogno di quei trecento crediti in più.

 


 


Note&Glossario

-Il pianeta Zygerria appare nella serie Clone Wars. Era il centro dell’Impero Zygerriano, noto per il traffico di schiavi, e strettamente legato all’Impero Galattico, a cui forniva forza lavoro. È qui implicato che, con l’ascesa della Nuova Repubblica, sia stato smantellato e gli ex-schiavisti siano diventati fuorilegge. La capitale non è mai menzionata, per cui Agruss è un nome di mia invenzione derivato da quello di alcuni personaggi zygerriani presenti nella serie.
-skug: insulto zygerriano.
-buy’ce (pronunciato bu-shey): è l’elmo mandaloriano con visore a T; la beskar’gam, che citerò più avanti, è invece l’armatura.
NB. Tutte le parole in Mando’a (sempre in corsivo) sono derivate dai libri di Karen Traviss, dal suo dizionario ufficiale e dal poco parlato che si sente in Clone WarsRebels. Le inserirò in modo che siano sempre deducibili dal contesto (un po’ come nei film quando si parlano lingue aliene), ma trovate sempre il glossario a piè di pagina per fugare ogni dubbio.


Note dell’Autrice:

Cari Lettori, grazie a chiunque sia arrivato sin qui <3
Questo primo capitolo è un po’ una "prova del nove": ho voluto ispirarmi all’apertura del primo episodio, introducendo una situazione quotidiana per Din Djarin, ovvero una taglia non troppo problematica, inserita però nel contesto post-serie. Spero di essere riuscita nell’intento, che era quello di farvi partire la sigla di The Mandalorian in testa nel leggere il titolo :’)

In linea di massima la storia segue anche la macrostruttura della serie, costruendo però una sottotrama più sviluppata. In soldoni: ci saranno altre taglie singole che porteranno avanti le vicende e il tutto è strutturato in otto episodi suddivisi in varie parti piuttosto brevi. Idealmente, ciascuna delle parti corrisponde a un PoV (sì, ce ne saranno diversi) e a quella che sarebbe una scena singola o comunque continuativa in un materiale filmato. Vedremo se riuscirò a mantenere questo proposito... per ora, vi posso dire che il teschio di Mudhorn identifica i capitoli PoV Mando, lo stemma dei Ribelli quelli di Cara Dune... e poi ce ne sono altri due, ma sono spoiler :D

E dopo avervi tediato con le note (ma spero non col capitolo) ringrazio tantissimo la mia Guascosa
Miryel per la pazienza infinita nel sopportarmi e supportarmi durante la stesura di questa storia, e che non paga di ciò mi recensisce anche, e Old Fashioned per aver lasciato un commento al prologo. E grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste, o hanno semplicemente letto <3
Alla prossima (e oya Manda!),

-Light-


 

 

 

   
 
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