Capitolo sesto: The River
I heard that evil comes disguised
Like a city of angels
I'm walking towards the light
Baptized in the river
I've seen a vision of my life
And I wanna be delivered
In the city was a sinner
I've done a lot of things wrong
But I swear I'm a believer
Like the prodigal son
I was out on my own
Now I'm trying to find my way back home
Baptized in the river
I'm delivered
I'm delivered
(“The River”- Good Charlotte feat. M. Shadows and
Synyster Gates)
La nobiltà del Regno
di Napoli ci mise poco più di una settimana per raccogliere tutte le
informazioni possibili su Juan Borgia e, ovviamente, esse tendevano a metterlo
nella luce peggiore. Così il Conte Sanseverino, il Principe di Melfi
Caracciolo, il Marchese Gesualdo e il Duca Caldora chiesero di essere ricevuti
dal Principe Alfonso e, nel pomeriggio di qualche giorno dopo, vennero accolti
nella Sala del Trono.
I quattro nobili
storsero già la bocca nel vedere che Alfonso sedeva sul trono che era stato di
suo padre, e questo poteva anche andare visto che, almeno ufficialmente, quello
era il suo posto, ma sullo scranno alla sua destra stava proprio quel maledetto
Borgia. Era inaccettabile che il figlio bastardo di un Papa corrotto e
depravato sedesse sullo scranno del legittimo erede del Regno di Napoli! Per
fortuna, pensarono i Baroni con soddisfazione, grazie a quello che loro avevano
da dire, ben presto Alfonso avrebbe cacciato via il Borgia rimandandolo da dove
era venuto e quella riprovevole ostentazione avrebbe avuto fine.
“Buon pomeriggio,
miei signori” li salutò con cortesia il Principe. “Sono molto curioso di
conoscere i motivi che vi hanno spinto a richiedere con tanta insistenza questo
incontro.”
“Vostra Maestà, il
motivo è molto semplice” esordì il Duca Sanseverino. “Da giorni ormai siamo
molto preoccupati per il fatto che il qui presente Juan Borgia, Gonfaloniere e
Capitano Generale dell’esercito papale, abbia raggiunto una posizione di
eccessiva influenza presso la vostra corte. Non è ammissibile che il Regno di
Napoli debba prostrarsi ai piedi del Papa Borgia, di cui il figlio è
chiaramente un tramite.”
Alfonso era solito
dare il meglio di sé quando aveva l’occasione di parlare davanti a persone di
rango: allora sapeva sfoggiare una bella parlantina e anche un modo di fare
sicuro e determinato, da vero sovrano. Questa era una caratteristica che lo
aveva aiutato molto nel periodo in cui era ostaggio del Re di Francia. Pertanto
il giovane sfoderò uno sguardo penetrante e replicò in tono deciso alle
insinuazioni dei quattro nobili (con grande sorpresa di Juan, che decisamente
non si aspettava un Alfonso tanto risoluto).
“L’onorevole Duca di
Gandia Juan Borgia, Gonfaloniere e Capitano Generale dell’esercito papale, non
è affatto qui per conquistare il mio
Regno, bensì per proteggerlo da future nuove minacce da parte di invasori
stranieri. Sappiamo bene, purtroppo, cosa significherebbe un altro assalto da
parte dei Francesi, il cui Re è tuttora convinto di avere diritto a questa corona. E’ dunque un grande vantaggio, per il
Regno di Napoli, che Re Carlo sia al corrente del fatto che siamo protetti
dall’esercito papale che, a sua volta, è alleato alle forze militari del
Marchesato di Mantova, dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e della
Repubblica di Venezia.”
“Vostra Maestà, siete
ancora molto giovane e inesperto delle reali alleanze politiche” intervenne in
tono suadente il Marchese Gesualdo. “E’ proprio per questo che noi vi abbiamo
chiesto di riceverci. Non potete assolutamente fidarvi del Papa Borgia e della
sua presunta protezione e tanto meno
di quest’uomo! La nobiltà del Regno ha il dovere di proteggere il suo sovrano,
perciò abbiamo mandato i nostri uomini più fidati a Roma, per ottenere
informazioni su Juan Borgia.”
“Informazioni di cui
voi dovete assolutamente essere messo al corrente, per il vostro bene e per
quello del Regno” riprese Sanseverino.
Oh,
certo, volete proteggermi. Magari come mi avete protetto quando Re Carlo ha
invaso il Regno, costringendomi a scappare a piedi, come un vagabondo? Il
vostro aiuto mi è stato veramente prezioso quando il sovrano francese mi ha
fatto torturare nelle segrete, pensò Alfonso, con
un lampo di odio negli occhi. Tuttavia scelse di dissimulare la propria rabbia
e di rispondere con l’ironia.
“Gli uomini fidati di
cui parlate sono quelli che io definirei spie?”
domandò in tono soave.
“Chiamateli come vi
pare, Vostra Maestà, ma ci auguriamo che le informazioni che abbiamo ottenuto
tramite loro servano ad aprirvi gli occhi” ribatté il Duca Caldora. “Questi
uomini, leali servitori del Regno di Napoli, hanno parlato con molti testimoni,
tutte persone che hanno avuto modo di conoscere bene il Duca di Gandia e anche di combattere al suo fianco… se così si può
dire.”
A queste parole un
comprensibile nervosismo iniziò a turbare Juan, che si agitò sul suo scranno.
Maledizione, se quella gente aveva davvero parlato con qualcuno che aveva
partecipato all’assedio di Forlì le cose si sarebbero messe male per lui…
“Immagino che il
valoroso Capitano Generale dell’esercito papale non vi abbia raccontato ciò che
è accaduto durante l’assedio di Forlì” disse il Principe di Melfi Caracciolo,
con un sorriso compiaciuto. “I pochi sopravvissuti a quel massacro hanno
riferito che Juan Borgia è scappato, da codardo qual è, non appena si è visto a
mal partito. Ha abbandonato i suoi soldati alla carneficina compiuta dalle
truppe di Ludovico il Moro, giunto in appoggio alla cugina Caterina Sforza. E
voi riponete la vostra fiducia in un simile vigliacco? Non pensate che farebbe
lo stesso qualora le forze di Re Carlo dovessero tentare una nuova sortita? Del
resto, già una volta Juan Borgia è stato pesantemente sconfitto dall’esercito
francese…”
Juan era sempre più a
disagio, ma Alfonso non si lasciò smontare.
“Avete detto che i
soldati di Ludovico il Moro hanno compiuto un massacro contro l’esercito
papale. Ritenete che la colpa della sconfitta debba ricadere sul Gonfaloniere
Borgia? E’ stato per un suo errore se i suoi uomini sono stati attaccati?”
“No, non ci è stato
riferito questo. In realtà l’esercito di Ludovico Sforza era molto più numeroso
e ben armato delle truppe papali e le ha attaccate alle spalle, tuttavia Juan
Borgia è fuggito senza nemmeno provare ad affrontare il nemico e…” cercò di
replicare Caracciolo
“E dunque cosa mai
avrebbe potuto fare Juan Borgia contro un esercito più numeroso e meglio armato
che, oltretutto, ha attaccato a tradimento le truppe papali? Pensate che
avrebbe dovuto combattere una battaglia persa in partenza? Voi, Principe
Caracciolo, cosa avreste fatto? E voi, Duca Sanseverino? Non è forse vero che,
quando la battaglia è persa, i comandanti cercano di mettersi in salvo? E’ la
stessa cosa che ha fatto Re Carlo quando è stato sconfitto dalla Lega Santa” obiettò
Alfonso con un sorrisetto. “E, come ho detto prima, so bene che non sarà la
presenza del Gonfaloniere Borgia a incutere terrore ai Francesi, quanto l’idea
che il suo esercito, assieme alle forze della Lega Santa, si schiererà per
proteggere il Regno di Napoli da qualsiasi invasore.”
Juan non sapeva bene
se essere soddisfatto perché Alfonso lo aveva difeso o se sentirsi vagamente
preso per i fondelli, così com’era accaduto durante il famoso pranzo di tre
anni e mezzo prima… Tuttavia l’importante era che il Principe avesse chiuso la
bocca a quei Baroni invidiosi e malevoli.
“Se questo è ciò che
pensate, Vostra Maestà… ma non avete udito ancora la parte peggiore” riprese
Sanseverino. “Juan Borgia non è soltanto un vigliacco, è anche un uomo
depravato, corrotto e pervertito. Frequenta abitualmente locande, bordelli e
fumerie di oppio, lasciandosi andare alle peggiori dissolutezze. E’ un
assassino, un uomo senza scrupoli che, durante l’assedio di Forlì, non ha
esitato a torturare un ragazzo di quindici anni di fronte a sua madre!”
Ma
questi sanno proprio tutto? Che siano maledette le spie dei Baroni di Napoli!
Adesso Juan
cominciava veramente a sudare freddo. Ecco, quella era proprio la cosa che
Alfonso non avrebbe dovuto sapere mai e poi mai…
Il Principe impallidì
e strinse le labbra a quelle parole, le mani strinsero convulsamente i
braccioli del trono e i nobili si scambiarono un’occhiata soddisfatta: era la
reazione che volevano ottenere, i giorni del Borgia a Napoli stavano per
finire.
“Quello che vi
racconterò adesso, Vostra Maestà, mi è stato riferito da un uomo fidatissimo
che ha parlato personalmente con un comandante spagnolo che ha combattuto
nell’assedio di Forlì, un testimone diretto, dunque, e sicuramente non di
parte, poiché era amico del Duca di Gandia prima che tutto questo avvenisse”
intervenne il Principe di Melfi Caracciolo. “Juan Borgia ha fatto catturare dai
suoi soldati il quindicenne figlio di Caterina Sforza e lo ha sottoposto ad
abusi e sevizie nella sua tenda, picchiandolo, brutalizzandolo e… beh, nemmeno
il comandante spagnolo poteva immaginare a quali depravazioni il Borgia si sia
spinto con quel povero innocente. Dopo di che lo ha trascinato sanguinante
sotto gli spalti del castello degli Sforza, malmenandolo, legandolo a una corda
e sottoponendolo a un orrendo supplizio sotto gli occhi di sua madre. Non
contento, gli ha addirittura tagliato un dito e alla fine ha ordinato che il
ragazzo venisse impiccato. Il poveretto si è salvato solo grazie all’intervento
del valoroso spagnolo, che lo ha liberato. Ecco, Vostra Maestà, questa è la
persona che avete accolto a corte, la persona alla quale accordate fiducia e
amicizia. Cosa ne pensate adesso?”
E’
falso, quelle spie non hanno parlato con Don Hernando de Caballos, queste
calunnie non possono venire da lui, pensò Juan,
sconvolto. Don Hernando non approvava la
tortura del giovane Sforza, è vero, ma non avrebbe mai messo in giro simili
calunnie. Abusi, depravazioni, percosse? Non c’è stato niente di tutto questo,
è vero che ho fatto torturare il ragazzo alla corda per costringere Caterina a
cedere, che gli ho tagliato un dito per ritorsione dopo che gli arcieri Sforza
mi avevano ferito alla gamba e che avrei fatto uccidere il prigioniero, ma
tutto il resto sono fantasie malate di qualcuno che vuole mettermi in cattiva
luce. E non può essere Don Hernando, no… la spia deve aver parlato con qualcun
altro, con Cesare, probabilmente!
“Vorrei ricordarvi,
Vostra Maestà, che il ragazzo che il Borgia ha abusato, seviziato e torturato
ha solo quindici anni, quanti ne avevate voi quando il Re francese vi ha
trattato nello stesso modo atroce” sottolineò Sanseverino. “Volete veramente
che sia un uomo del genere ad occuparsi della vostra protezione?”
I Baroni di Napoli
non nascondevano sorrisi trionfanti, mentre Juan si agitava sullo scranno,
sempre più teso e tormentato.
Alfonso si sentiva
sprofondare in un abisso di disperazione, rabbia e angoscia. Il vuoto che lo
aveva quasi inghiottito alla morte del Generale sembrava tornare a reclamare la
sua anima. Il dolore che lo straziava era devastante.
Tuttavia i terribili
anni come ostaggio di Re Carlo gli avevano insegnato a mascherare le emozioni,
a ostentare una forza che non aveva e a trarre energia dalla paura, per dare la
risposta giusta, quella che lo avrebbe salvato ancora una volta dall’orrore.
Sui alzò dal trono,
pallidissimo ma fiero. Non rivolse nemmeno un’occhiata di sfuggita a Juan, i
suoi occhi si puntarono su Caracciolo e gli altri nobili, che ormai credevano
di aver vinto la loro battaglia. Un silenzio glaciale incombeva sulla sala.
“Miei signori, ho
ascoltato con molta attenzione tutto ciò che mi avete riferito e questa è la
mia risposta” disse Alfonso, cercando di mantenere ferma la voce. “Se quello che
avete raccontato è vero, allora Juan Borgia è assolutamente la persona che mi
serve per tenere al sicuro il mio Regno.”
I Baroni restarono
sbigottiti.
“Vostra Maestà, ma…
avete compreso bene quello che vi abbiamo detto? Juan Borgia è un uomo
pericoloso, un assassino, un depravato che non si fa scrupoli a…” iniziò a
protestare Caracciolo.
“Appunto. E’ proprio
la persona di cui ho bisogno” lo interruppe Alfonso, gelido. “Avete parlato del
Re francese e di quello che mi ha fatto, ma dov’eravate voi quando ho avuto
bisogno di un rifugio? Mi avete forse aiutato a sfuggire alle grinfie di Re
Carlo? No di certo, avevate da pensare alle vostre terre e ai vostri
possedimenti. E ciò che riferite del Gonfaloniere Borgia non è poi molto
diverso da quello che si diceva in giro di mio padre, il temuto Re Ferrante, ai
tempi in cui bastava il suo nome per atterrire avversari e possibili invasori. Sono
veramente molto lieto che, finalmente, nel Regno ci sia di nuovo qualcuno che
non si fa scrupoli, qualcuno talmente spietato e crudele da non esitare a
prendere voi, le vostre mogli e i vostri figli e di farli passare per le
segrete di mio padre.”
I nobili
indietreggiarono, improvvisamente spaventati. In quel momento Alfonso sembrava
davvero il degno figlio del terribile Re Ferrante. Alcune guardie del castello
entrarono nella Sala del Trono e afferrarono i Baroni per le braccia.
“Le mie guardie vi
scorteranno fuori e voi potrete tornare alle vostre terre sani e salvi, per
questa volta. Ma guai a voi se oserete ancora alzare la testa e venire a dire a
me quello che devo o non devo fare”
intimò loro il ragazzo. “Come ben sapete, adesso ho a mia disposizione il
Gonfaloniere Borgia, quest’uomo feroce e inesorabile, e il suo nome diventerà
presto sinonimo di terrore e distruzione per tutti coloro che oseranno
minacciare me e il Regno di Napoli, voi per primi, con le vostre assurde
pretese e rivendicazioni! Andate pure, vi auguro una buona serata, miei
signori.”
Le guardie di Alfonso
scortarono fuori dal castello i quattro nobili, che furono ben felici di salire
sui loro cavalli e ripartire di gran carriera verso i loro possedimenti.
Il loro piano era
miseramente fallito. Altro che indebolire il Principe e privarlo dell’appoggio
degli odiati Borgia! Le loro parole avevano avuto il solo effetto di scatenare
ancora di più il suo odio contro di loro e adesso avrebbero dovuto tenere un
profilo molto basso per evitare di incorrere nella sua vendetta.
Forse non era stata
una grande idea ricordargli le torture subite da Re Carlo, quando essi per
primi si erano ben guardati dal portarlo in salvo e, anzi, avevano sperato che
il monarca francese lo uccidesse, per poi farsi avanti e cercare di guadagnare
favori e privilegi…
Nella Sala del Trono
erano rimasti solo Alfonso e Juan.
Il giovane Borgia,
ammirato per come il Principe lo aveva difeso, si era ripreso dallo
sbigottimento ed era in vena di scherzare.
“Il mio nome
diventerà sinonimo di terrore e distruzione? Bello, mi piace” commentò,
divertito. “Meglio però che non si sparga troppo la voce della mia fuga da
Forlì…”
La voglia di
scherzare gli passò immediatamente non appena Alfonso si voltò verso di lui,
gli occhi due pozze nere di dolore e desolazione.
“C’è qualcos’altro
che dovrei sapere di voi, Gonfaloniere?” gli chiese, una domanda dura e diretta
come una cannonata. “Non siete un eroe, ma questo l’avevo già capito anni fa,
quando veniste a portare la proposta di matrimonio di vostro fratello. E non mi
interessa, pure io sono un codardo, alla resa dei conti. E le vostre debolezze,
oppio, alcool e bordelli, riguardano solo voi. Ma ditemi, fino a che punto vi
dilettate ad abusare di ragazzini e a torturarli?”
Juan rimase
impietrito.
“Che dici, Alfonso?
Non avrai creduto davvero a quello che dicevano i Baroni, spero” replicò, improvvisamente
molto meno sicuro di sé. “Sai che il loro scopo è quello di allontanarmi da
Napoli e di privarti della protezione dei Borgia.”
“Lo so, infatti, ed è
solo per questo che vi ho difeso. Ma ora ditemi, ditemi pure, Gonfaloniere:
cos’altro c’è di voi che non so e che dovrei sapere?” ripeté Alfonso,
implacabile.
Juan si sentì come se
il terreno gli stesse franando sotto i piedi e le mura del castello si
richiudessero sopra di lui. Era finita, dunque? Ancora una volta aveva fallito
e sarebbe dovuto tornare a Roma, dal padre, con il capo chino e la vergogna
scritta in fronte?
Ma questo fallimento
gli bruciava troppo. No, questa volta non si sarebbe arreso, non poteva. Non
avrebbe rinunciato a quello che, per qualche settimana, lo aveva fatto sentire
in pace, sereno, come se avesse finalmente trovato una vera casa.
Non poteva rinunciare
ad Alfonso…
Fine capitolo sesto