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Autore: AlexSupertramp    29/06/2020    7 recensioni
Dopo aver saputo della relazione tra Hayama e Fuka, Sana decide di sparire e non tornare più a scuola e tutto quello che succede nel manga/anime non accadrà mai, compresa la famosa dichiarazione in TV di Kamura. Dopo quattro anni Akito ritrova una lettera di Sana, la stessa lettera che lei scrive durante le riprese de "La villa dell'acqua".
Cosa c'è scritto e cosa è successo in questi quattro anni? Riusciranno Sana ed Akito a ritrovarsi dopo così tampo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4
 
Frammenti di passato e presente
 
 
Settembre 2003
 
Le luci della città contribuivano a tenerla sveglia, nonostante la stanchezza infinita che sentiva dopo aver girato quasi tre puntate del suo programma. Appoggiò la fronte contro il vetro dell’auto di Rei e sospirò, esausta, continuando a seguire con lo sguardo il susseguirsi di strade, cose e persone ad una velocità triplicata.
«Sei stanca?» le domandò Rei voltandosi solo per un’istante alla sua destra. Voleva controllare che espressione avesse, ma il suo viso era rivolto verso la parte opposta e, per evitare un incidente, dovette rinunciare al suo scopo.
«Tremendamente. Non vedo l’ora di buttarmi a letto», disse quasi scocciata. «Qual è il programma di domani?»
«Oh vediamo, devi registrare solo un episodio del programma e poi hai un servizio fotografico con Kamura per la pubblicità di una marca di abiti molto popolare».
«E per dopodomani?» incalzò senza spostare il viso dal finestrino.
«Beh ora non ricordo, dovrei consultare l’agenda. Sai ultimamente ti richiedono in tanti e…»
«Tienimi impegnata Rei», lo interruppe con quella richiesta che a Rei sembrò quasi d’aiuto.
 
Sana era tornata a casa nella metà del tempo previsto, bagnata e in lacrime, decisamente sconvolta. Il suo stato destò l’attenzione di tutti gli abitanti di quella casa, suscitando l’improvvisa preoccupazione di Rei. Lui, più di tutti, si sentiva estremamente protettivo nei confronti di quella ragazza e moriva dalla voglia di correrle dietro, lungo le scale che l’avevano riportata in camera sua. Fu un’eloquente occhiata della signora Kurata a fargli capire che forse la sua protetta aveva bisogno di riflettere su una serie di questioni irrisolte e che doveva farlo da sola.
In camera sua, con la testa affondata nel cuscino del suo letto, Sana proprio non la smetteva di piangere e di pensare ad Akito, a quello che era successo e, soprattutto, alle sue ultime parole che ancora le riecheggiavano in testa.
«Credevo che avessi smesso… di farmi piangere», espresse un pensiero a voce alta, una voce rotta dal pianto incessante. Il bip del cellulare la fece smettere per un secondo, il tempo necessario per leggere la mail di Naozumi che le era appena arrivata.
 
Gennaio 2004
 
«Akki, mi piacerebbe tantissimo visitare il tempio quest’anno», fu la voce di una Fuka fin troppo su di giri a distogliere l’attenzione di Hayama dalla vetrina di un negozio di elettronica. «Ma se ci sei già andata con i tuoi genitori», le rispose sorpreso del fatto che la ragazza volesse di nuovo scarpinare fin sulla cima di quel tempio per due volte nella stessa settimana.
«Lo so, ma non l’ho fatto con te», aggiunse accompagnando l’affermazione con un sorriso sincero. Quel connubio di tenerezza mandò Akito in ebollizione e, causa un forte imbarazzo, si voltò dal lato opposto alla ragazza limitandosi a confermare con un «Ok» la sua bizzarra richiesta.
E in quel momento il volto di Sana che presentava il suo solito programma, apparve in tutti i televisori esposti nella vetrina del negozio.
 
Nonostante le strade fossero ancora bagnate a causa del violento temporale della notte precedente, il cielo era tremendamente azzurro, dimentico di tutta la violenza di cui si era reso protagonista solo poche ore prima. Akito, come aveva già previsto lui stesso insieme a tutto il resto del Creato, non aveva chiuso occhio e camminava a stento verso l’ingresso della scuola, mosso da chissà quale forza a lui sconosciuta.
Tsuyoshi, come da copione, si palesò accanto a lui salutandolo con una pacca sulla spalla: «Ciao Akito, come va… ehi, ma che hai combinato?» domandò l’amico, sorpreso di vederlo non solo trasalire al suo leggerissimo colpetto ma anche perché il rossore scuro che gli circondava gli occhi non era certo un segno di buon auspicio. Ora due erano le cose, pensò Tsuyoshi: o aveva passato la notte a correre per tutta la città, cosa probabile, o non aveva dormito nonostante fosse rimasto nel suo letto, cosa ancora più verosimile.
«Non ho dormito», si limitò a fornire la spiegazione essenziale affinché Tsuyoshi capisse che quel giorno l’umore di Akito avrebbe raggiunto la quota più bassa degli ultimi dieci anni.
«Oh, ieri volevo telefonarti ma poi sono uscito con Aya, eh beh sai in certi momenti tu non riempi proprio i miei pensieri e quindi…», iniziò a raccontargli la sua giornata quando Akito si voltò verso di lui con un’espressione mista di rabbia e pena. Era decisamente stanco.
«Sì scusa, comunque volevo chiederti della lettera. Hai deciso cosa fare?» domandò curioso, stringendosi nel cappotto.
«È venuta a casa mia».
«Di chi parli?»
«Di Sana», e il labbro inferiore di Tsuyoshi raggiunse la stessa quota dell’umore di Akito.
 
Marzo 2004
 
La torta di compleanno per Sana troneggiava sul tavolo del ristorante come una regina nel giorno della sua incoronazione. Questa volta le cose erano state fatte in grande perché, ad organizzare le celebrazioni, era stato Kamura. La tristezza della ragazza era una cosa alla quale lui proprio non riusciva ad essere indifferente e, sperando di strapparle uno di quei sorrisi contagiosi che ormai erano diventati sempre più rari, le aveva regalato quella serata in compagnia dei suoi cari più stretti: sua madre, Rei, la signora Shimura e naturalmente lui, Naozumi Kamura.
«Buon compleanno Sana» le dissero in coro, un coro che riuscì per un attimo a colmare il vuoto che sentiva dentro. Guardò Kamura e gli rivolse un sorriso di ringraziamento. Quello di certo non apparteneva all’album “the best of”, ma era già qualcosa, pensò il ragazzo sorridendole di rimando. Sana si guardò intorno, dopo tutto quella giornata non era stata affatto male e se escludeva il fatto di aver avuto un’intera giornata libera dal lavoro – quindi libera per pensare -, poteva addirittura definirsi abbastanza felice. Un sentimento certo momentaneo, ma sempre lontano dallo stato di tristezza che la avvolgeva quando si fermava a pensare.
Di colpo la sua attenzione fu catturata dal tavolo accanto, dove un bambino che rideva di gioia aveva appena scartato il suo regalo di compleanno: il modellino di un dinosauro. E la sua felicità svanì.
Era stata breve ma intensa.
 
“So che è stata una serata difficile ma lo sai, io ci sono sempre per te. Vorrei che ne potessimo parlare da vicino, che ne dici se ci vedessimo stasera? N”.
Avere la capacità di fare due cose contemporaneamente era, a detta di molti, una prerogativa tutta al femminile. Una prima rivincita verso quella che era diventata una vera e propria guerra per la parità dei sessi e, forse, anche un elemento per dichiarare quella che per qualcuno era la fin troppo palese superiorità delle donne. Tuttavia, nonostante Sana appartenesse al genere in rosa, proprio non ci riusciva a fare due cose contemporaneamente per cui, decisa a rileggere per la milionesima volta la mail di Naozumi, trascurò bellamente il suo caffellatte che divenne in poco tempo più freddo di un ghiacciolo.
Giocherellava con il cellulare in attesa di ricevere l’ispirazione giusta per rispondergli ma sapeva perfettamente che, ispirazione o non, una risposta gliela doveva. Almeno quella, considerato ciò che era successo la sera prima e il fatto che aveva letteralmente lasciato Naozumi a friggere nell’olio dell’impazienza in attesa di ricevere sue notizie.
“Hayama mi ha abbracciata, e non stavo così bene da anni”. L’aveva scritto sul serio? Sussultò come se ci fosse stata una scossa di terremoto. In un secondo cancellò quel messaggio e, sorprendendosi del fatto di stare combattendo davvero con troppe personalità di sé stessa, scrisse un semplice “Ti aspetto alle sette.” E inviò.
 
Ottobre 2004
 
«Buon compleanno Akito», recitarono i presenti. Nonostante l’avversione di Akito Hayama verso i compleanni fosse cosa ormai nota anche ai muri della scuola, Fuka e Tsuyoshi non vi avevano certo badato. La più discreta Aya si era chiesta invece se quella piccola festa a quattro facesse davvero piacere al loro taciturno amico ma, di certo, non aveva osato imporre la sua visione delle cose ad una troppo entusiasta Fuka, eccitata al pensiero di rifilare al suo ragazzo una “vera e propria festa di compleanno coi fiocchi”, per dirla con il suo strano accento. Akito invece, seduto dal lato della persona più importante della serata, non sapeva proprio come reagire a quella che aveva definito, nella sua testa, la fiera dell’entusiasmo inutile. Poi pensò di colpo al fatto che già una volta qualcuno aveva deciso di trascinarlo a quella fiera per festeggiare il proprio compleanno e anche in quell’occasione, alla fine dei conti, non aveva saputo come reagire se non presentandosi a mani vuote.
«Ehi, ma a che pensi?» Gli chiese Fuka, un po’ frustrata per il fatto di non possedere capacità telepatiche. A volte capire Akito era veramente molto difficile. «Mh?» rispose lui rivolgendole uno sguardo confuso. E furono gli occhi di lei, colmi di gioia e speranza che lo fecero tornare al tavolo insieme ai presenti, i quali erano in attesa che spegnesse le quattordici candeline disposte in circolo sulla torta.
 
«Come ti senti adesso?» la domanda di Tsuyoshi era quanto mai pertinente ma anche un po' retorica. Akito lo guardò, ingoiando un pezzo di sushi avanzato dalla cena della sera precedente. Alzò le spalle e non rispose. Tsuyoshi però sapeva bene cosa gli passasse per la testa perché sapeva perfettamente che rivedere Sana era qualcosa che lui desiderava da tanto. Indipendentemente dai risvolti narratigli.
«Ok, bene. E ora cosa pensi di fare?»
«Non lo so, per adesso finisco di pranzare», lo informò con un atteggiamento disinteressato. «Va bene, ma lei come ti è sembrata?» Tsuyoshi insisteva, cominciando a perdere la pazienza.
«Come al solito… come una che parla, tanto, ma che non ti fa mai capire un bel niente di quello che dice».
«E questo è tipico di Sana», convenne il suo amico occhialuto. Si sentiva sinceramente dispiaciuto per non essere in grado di aiutare quei due. Insomma, lui ci aveva provato ma Sana era sempre stata più ottusa di un angolo di 180° e i suoi sforzi si erano rivelati vani in ogni occasione. Per non parlare di Akito e del suo famoso orgoglio, la cui notorietà aveva fatto ormai il giro del paese. Sospirò in segno di sconfitta. «Però in quella lettera lei ha scritto delle cose importanti. Come può non tenerne conto?» rifletté accompagnando quel tono pensieroso con un’espressione confusa disegnata in viso. Le teorie elaborate in quegli anni diventavano sempre più difficili da tenere in piedi, e il fatto che Sana stesse ufficialmente con Naozumi Kamura era il dato di fatto più complesso da mettere da parte.
«Ho un’idea: perché non la inviti alla festa sulla spiaggia?» Propose Tsuyoshi, fin troppo entusiasta.
«Ma sei diventato scemo? E poi io non ci vengo a quella stupida festa», concluse arrabbiato ma anche decisamente imbarazzato.
 
Febbraio 2005
 
Rei le aveva detto che la capitale inglese era considerata da tutti come una specie di santuario della recitazione e lei si era fatta trascinare in quell’avventura che l’avrebbe vista protagonista per i successivi sei mesi. Insomma, la sua carriera andava alla grande ma il suo desiderio di sfondare a teatro stava diventando sempre più forte e alla fine si convinse di frequentare quella prestigiosa accademia d’arte drammatica.
Respirò l’aria fredda di Londra a pieni polmoni. Dalla sua camera d’albergo riusciva chiaramente a vedere in lontananza le luci intermittenti del London Eye e si immaginò per un attimo in una di quelle carrozze, ferma in cima alla ruota, a guardare la gente diventare formiche sotto i suoi occhi. Pensò alle altezze e le venne in mente che una cosa del genere non avrebbe mai potuta farla con Hayama.
«Che cosa stai facendo, in questo momento?» domandò al vento, appoggiando i gomiti sulla ringhiera del balcone. Ormai non sapeva più nulla di nessuno dei suoi vecchi amici e, considerato il fatto che ormai aveva deciso di diplomarsi alle medie da privatista, dubitava seriamente che le cose sarebbero cambiate.
La suoneria del cellulare la riportò immediatamente alla realtà. Il numero sconosciuto la fece sussultare e così, con una voce tremante, rispose incerta.
«Credo che non ti faccia bene uscire all’aria aperta senza nemmeno una sciarpa».
«Naozumi? Sei tu? Ma come fai...»
«Se abbassi lo sguardo, troverai una risposta alla domanda che stavi per farmi». E lo trovò lì, appoggiato all’auto di un taxi con le quattro frecce accese che guardava in alto verso il suo quarto piano.
«Avevo un’incredibile voglia di fish and chips», la informò.
 
Aveva trascorso l’intera giornata sdraiata a letto, cosa che non era proprio da lei. Aveva pregato Rei di disdire il disdibile e per fortuna, quel giorno la sua agenda non era stracolma come un uovo.
Continuava a fissare il soffitto, il dorso della mano poggiato sulla fronte e i lunghi capelli ramati che si aprivano a ventaglio sul materasso, una musica un po' troppo triste continuava a riecheggiare tra le pareti della sua stanza.
Se in quegli anni si era chiesta se fosse stata brava a mentire agli altri, in quel momento si rese conto di non essere stata poi un fenomeno nel mentire a sé stessa. Alla fine i nodi erano giunti tutti al pettine e lei capì d’improvviso il significato di quel proverbio.
«Oh mamma, e adesso che faccio?» Continuava a domandarsi decisamente avvilita. Dei tocchi leggere alla porta la fecero cambiare posizione dopo chissà quante ore, così spostò il viso in direzione del suono. «Non voglio vedere nessuno», disse soltanto, convinta che dietro quella porta ci fosse Rei preoccupato come al solito.
«Posso entrare?» Ma la voce dolce di sua madre confutò la sua teoria, spingendo gli angoli delle sue labbra verso il basso. «Mamma…» Era bastato sentire la sua voce per farle sciogliere in un secondo quel nodo che ormai aveva firmato un contratto di permanenza nella sua gola.
Misako Kurata entrò nella stanza di sua figlia con la più dolce delle espressioni possibili.
«Perché stai piangendo?» Le chiese guardandola con un lieve sorriso.
«Io… non lo so, non riesco a smettere», riuscì solo ad ammettere senza poter fornire una valida risposta a sua madre.
«Dovresti chiederti il perché e, soprattutto, dovresti accettare la risposta. E ricordati che si è crudeli solo quando si feriscono le persone di proposito. Tienilo a mente mia cara.» Disse quelle parole accarezzandole dolcemente i capelli, prima di aggiungere: «Non pensi di esserti nascosta abbastanza?» Sana non capì, e la guardò confusa.
«Non credi sia arrivato il momento di affrontare la situazione e di tornare a scuola? In fondo nella vita si ha bisogno anche degli amici e i tuoi, ne sono certa, sono ancora lì che ti aspettano»
 
Marzo 2005
 
Akito ricordava perfettamente quand’era il giorno del suo compleanno e ricordava anche quanto fosse forte la sua voglia di dimenticarlo. Non la vedeva da anni ormai, da quando non era più tronata a scuola dopo le riprese di quel film. Da quando lui aveva accettato di stare con Fuka e di provare a dimenticare tutto quello che non era mai successo nella realtà, ma solo nella sua testa.
L’incontro per ottenere la tanto sospirata, quanto rimandata, cintura nera si avvicinava sempre più e lui non faceva altro che allenarsi dal mattino alla sera. Stava trascurando tutto, anche la scuola, anche gli amici, anche lei.
Il televisore acceso in salotto gli diede il bentornato e, nonostante non desiderasse altro che farsi una doccia e dormire, si soffermò per un istante a guardare le immagini che si susseguivano veloci a causa di uno zapping incalzante di sua sorella, un po' troppo annoiata. Poi il quadro si fermò di colpo su di lei, che veniva intervistata insieme a lui. Dallo sfondo che c’era dietro le loro figure capì che si trovavano all’estero. In realtà fu la mail di Tsuyoshi, arrivata come un fulmine in un giorno di sole ad indurlo a sferrare l’ennesimo calcio contro la parete del corridoio.
Prese di nuovo il telefono, tanto per essere sicuro che era proprio Tsuyoshi a dover malmenare il giorno seguente. Quelle parole “Ehi, hai visto la tv? Sana è insieme a Naozumi” furono la causa del violento lancio di cui fu protagonista il suo cellulare, prima di rompersi in mille pezzi.
 
«Dove stai andando? Le lezioni non sono ancora finite», lo informò seguendolo come un’ombra seguirebbe chiunque essere umano dotato di volume tridimensionale.
«In palestra», si limitò a fornirgli l’essenziale, come sempre.
«Mh… ti accompagno.» Tsuyoshi era diventato ancora più insistente.
«Non dovresti andare in classe?» gli chiese spazientito.
«Beh mi sono ricordato che devo fare delle compere in centro». Tsuyoshi gli camminava dietro cercando di tenere il passo di Hayama. Aveva come l’impressione che il suo amico stesse cercando di seminarlo.
«Guarda che non mi serve la balia», si limitò a dire con un tono spazientito.
«Ma che dici, è che devo andare nella tua stessa direzione», lo informò l’amico puntandosi un indice sotto il mento. «Pensavo: se per Sana le parole che ti ha scritto quattro anni fa non hanno più importanza, perché mai si è affrettata a raggiungerti a casa tua nel bel mezzo di un diluvio?» Domandò a sé stesso più che all’amico.
Akito non gli ripose limitandosi ad un’alzata di spalle. «Cioè io non lascerei mai Aya a casa mia per correre dietro ad un fantasma del passato. Non sei d’accordo Akito?»
Questa volta Hayama si fermò per un attimo, il tempo giusto per darsi uno slancio in avanti e avanzare di circa tre passi in uno. L’unica risposta che seppe fornire al suo amico fu semplicemente quella di dileguarsi, lasciando Tsuyoshi nel bel mezzo del suo contorto ragionamento.
 
Ottobre 2005
 
«Non mi sembra vero di essere a Tokyo», rivelò lei mentre passeggiavano insieme in quel parco non troppo lontano dal centro città. Il fatto di essere così noti a volte diventava un serio problema. Per fortuna Kamura era un vero e proprio esperto nell’eludere le folle e alla fine riuscivano sempre a passare inosservati, o quasi.
«Già, sembra passato un secolo», aggiunse lui voltandosi leggermente verso il profilo di lei. Riuscì a scorgere un leggero sorriso su quel viso troppo impegnato a guardare per terra. Era incredibile come Sana riuscisse ad essere quasi un’altra persona sul palcoscenico, tanto da far dubitare persino a sé stesso di quanto avesse sofferto in quei mesi. Nonostante tutto, stare lontana dalla sua città non le aveva fatto poi così bene e, Kamura ne era certo, se non fossero tornati a casa la sua vitalità extra-riflettori si sarebbe spenta per sempre. Ora doveva solo impegnarsi ad alimentare quella piccola fiammella.
La sua mano si mosse alla ricerca di quella di lei e quando la trovò, si scoprì sorpreso nel vedere che Sana non si era allontanata. Al contrario aveva accolto quel tocco caldo cercando a sua volta le sue dita. Probabilmente l’espressione di Kamura fu fin troppo sorpresa per passare inosservata: «Che c’è? Mi piace quando mi prendi per mano». A quelle parole tanto attese, il suo cuore perse un battito per ritrovarne poi tre tutti insieme dopo solo un istante. Decise che quello era il momento giusto e successe tutto in pochi minuti. Lui che tacitamente la pregava di fermarsi, due corpi uno di fronte all’altro e una distanza tra due labbra cancellata giusto in tempo, per evitare ripensamenti.
Quella volta lei riuscì a trattenere il solito pianto che giungeva puntuale ogni volta che lui le si avvicinava, se non per una minuscola lacrima solitaria quasi invisibile ad occhio nudo.
 
Guardò l’orologio a muro alla parete di camera sua e si sentì quasi a disagio nel constatare che mancavano solo cinque minuti alle sette. Aveva deciso cosa indossare solo pochi minuti prima, ricoprendo il tutto con un montgomery beige e un cappello scuro. Si era seduta sul letto della sua stanza in attesa che Kamura arrivasse, come promesso, alle sette di quella stessa sera. Aveva le mani sudate ed era emozionata, ma non di quel sentimento di ansia felice che si prova quando il tempo da trascorrere prima che inizi il momento gioioso era troppo. Le sue emozioni vertevano verso quella negatività che proprio non riusciva a rinchiudere nella parte più profonda della sua anima. Era giunto il momento delle spiegazioni e lei non si sentiva affatto pronta. Il suono del campanello la distolse da quei pensieri.
Il Naozumi Kamura che si ritrovò davanti assomigliava solo lontanamente a quello che aveva visto il giorno precedente, poco prima che Hayama tornasse nella sua vita come una valanga in pieno inverno.
Era triste ma, nonostante lei avesse capito perfettamente il suo stato d’animo, le rivolse un sorriso sincero e, lei ne era convinta, innamorato.
«Ciao Sana. Vorrei portarti in un posto».
 
Aprile 2006
 
«Ragazzi ma ci pensate? Siamo finalmente studenti delle superiori. Non credete che dovremmo festeggiare?»
«E perché mai? Non saremo nemmeno gli ultimi», commentò Akito senza troppa voglia, distruggendo completamente l’entusiasmo di Tsuyoshi. Senza approfondire oltre quella conversazione, mise un braccio introno alla spalla di Fuka e la trascinò lontano dall’altra coppia che si allontanava dal comprensorio scolastico.
Quando furono abbastanza lontani, Akito lasciò le spalle della sua ragazza per nascondere le mani in tasca, provocando in Fuka un’espressione mista alla confusione e alla delusione.
«Ti va un gelato?» Le chiese continuando a guardare davanti a sé. Lei, di risposta, diede un’occhiata in giro trovando poi una panchina non troppo lontano, per poi rivolgere il viso ad Akito. «Possiamo sederci un attimo?» Gli chiese soltanto, raggirando la sua proposta. Lui acconsentì tacitamente.
«Sai, ieri stavo sfogliando l’annuario scolastico. Ci sono talmente tante belle foto, sono ricordi che custodirò gelosamente per tutta la vita», iniziò a raccontare e Akito aveva come l’impressione che quella sarebbe stata una conversazione decisamente impegnativa.
«Poi mi sono resa conto che nelle ultime due foto di gruppo lei non c’è e mi sono chiesta cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente».
«Di chi parli?» Chiese Akito, temendo di aver capito invece fin troppo bene il soggetto di quel discorso. Si sentì di colpo irrequieto.
«Lo sai benissimo di chi parlo. Certe volte penso che se lei fosse tornata a scuola noi…»
«Ma che sciocchezze dici». Cercò di sembrare convincente, nonostante si fosse fatto quella stessa domanda un milione di volte.
«A volte mi sento così stupida. Ad avere paura di un suo ipotetico ritorno… mi dico che non devo sentirmi così, perché tu sei innamorato di me. No?»
Lui si voltò verso di lei, in preda all’imbarazzo e anche ad un leggero panico. Si sentiva messo alle strette da qualcuno che credeva non sarebbe mai stata in grado di farlo. Non per mancanza di coraggio, certo che no. Semplicemente per non rovinare tutto.
«Sana non tornerà a scuola, stai serena.» Disse lui, sollevato per aver trovato una via di fuga.
«Io non posso più evitare di non vedere certe cose… e so bene che alla fine è anche colpa mia. Perché avrei potuto fare le cose con calma, capire se iniziare a frequentarsi fosse giusto o meno. Ma io lo volevo troppo» concluse abbassando lo sguardo per evitare quello di lui.
«Fuka io… non capisco.»
«Mi chiedo perché in questi anni tu non mi abbia mai baciata, abbracciata o…  fatto altro.» Sospirò con una punta di amara sensazione di sconfitta.
«Ma io, ecco… non pensavo badassi a questo genere di cose», disse arrampicandosi su degli specchi estremamente lisci. Approfittando della scusa dell’imbarazzo evitò il suo sguardo fin quando potette, perché sapeva bene che quelli erano solo i primi nodi venuti al pettine. E di certo lui non era affatto il tipo da trascurare certe cose o al quale non piacessero. Si sentiva improvvisamente scoperto.
«Mi piacerebbe non dover più pensare di essere stata solo la sua sostituta nel tuo cuore.» Si limitò a dirgli prima di alzarsi in piedi, dandogli le spalle, affinché non vedesse le sue lacrime.
 
Gli allenamenti erano stati particolarmente duri quel giorno e Akito ne fu estremamente felice. Concentrarsi sul karate gli aveva sempre permesso di ritagliarsi il suo personale angolo di benessere e da quell’angolo erano sempre stati tagliati tutti fuori: la sua famiglia, i suoi amici, Fuka, e perfino lei. Ma, puntuale come un orologio, la conversazione della sera precedente insieme al profumo dei suoi capelli bagnati lo avevano colpito in pieno viso non appena aveva smesso di pensare a come difendersi durante una simulazione con il suo maestro.
Strinse i pugni talmente forte da riuscire a percepire le unghie penetrargli la carne, si sentì improvvisamente perso perché non aveva la più pallida idea di cosa fare. Avrebbe voluto rivederla perché quelle poche ore non gli erano affatto bastate. Ma rivederla voleva dire anche discutere di nuovo su loro due, semmai esistesse un loro due, e lui non aveva ancora le idee troppo chiare. Pensò poi alle parole di Tsuyoshi e al fatto che potessero avere un senso. D'altronde il suo amico non era a conoscenza del loro abbraccio, del suo abbraccio a lei, e nonostante ciò si era interrogato sulle reali motivazioni che avevano spinto Sana a correre letteralmente a casa sua. Spesso si era interrogato sui suoi sentimenti, soprattutto negli ultimi mesi della sua vita. E anche in quell’occasione non riusciva a non chiedersi se quello che aveva sempre provato per Sana non fosse altro che riconoscenza per averlo salvato da sé stesso.
 
Dicembre 2006
 
Era stata Sana a decidere di festeggiare la vigilia di Natale insieme a Naozumi all’istituto Kamura, nonostante lui le avesse proposto ogni sorta di alternativa affinché lei potesse ridere e divertirsi. Ma aveva considerato anche il fatto che a Sana i bambini piacevano da morire, senza contare l’inspiegabile buon umore di cui la ragazza si era circondata da qualche settimana a quella parte.
Sempre bardati come due spie del governo, i due attori si erano presentati all’istituto appena in tempo per iniziare la cena della vigilia, insieme a qualcosa come venticinque bambini di tutte le età.
«Ti prego, falla ancora… quella faccia è troppo buffa», la pregò uno dei bambini più piccoli e Sana, con uno dei suoi sorrisi da “best of” riprese per la milionesima volta ad imitare le numerose espressioni di Naozumi alla vigilia di ogni prima a cui lei aveva assistito. Il solo fatto che lei ridesse di gusto, come non accadeva spesso, fece dimenticare al ragazzo il fatto che la sua fidanzata lo stesse palesemente prendendo in giro davanti a tutti i presenti.
Poi l’attenzione di lei fu catturata da un bambino solitario, che mangiava in silenzio in un angolo dell’enorme tavolo imbandito. Per un attimo i presenti sparirono di colpo e si ritrovò sola insieme a quel ragazzino imbronciato che le rievocò un turbinio di ricordi dolorosi. La tristezza di quel bambino solo la fece sentire in colpa, perché si rese conto di averlo abbandonato mettendo al primo posto la possibilità che lei potesse essere felice lontano dalle due persone che le avevano spezzato il cuore.
 
«Ma questo è…»
«Sì, il posto in cui tu, finalmente, hai deciso di non respingermi più. Circa due anni fa» concluse lui, tenendo la mano di lei stretta alla sua. Per niente al mondo avrebbe lasciato quella presa, nemmeno in un momento decisivo per la loro storia.
«Naozumi mi dispiace per ieri sera, non so cosa mi sia preso. Rivederlo per me, è stato come un fulmine a ciel sereno.» Sana ammise con una estrema onestà il fatto che rivedere Hayama l’aveva letteralmente sconvolta. Ma Kamura lo sapeva, perché la conosceva ormai come le sue tasche.
«Non devi scusarti, te l’ho già detto. In fondo è normale sentirsi in quel modo nel rivedere una persona importante»
Sana fu sconvolta dalla lucidità con cui Kamura aveva pronunciato quelle parole e non seppe cosa rispondere.
«Lo so che Hayama per te è e sarà sempre importante, e io posso accettarlo credimi. Ma, allo stesso tempo, non pensi che quello che abbiamo costruito fino ad oggi sia qualcosa di altrettanto importante?»
«Ma certo che lo penso, se non ci fossi tu nella mia vita non saprei proprio come fare», disse sinceramente guardandolo negli occhi. Lui sorrise e le accarezzò il viso con il dorso dell’indice, perché si fidava ciecamente di lei.
«Solo che, io non…»
«Ascoltami Sana, io per te farei qualsiasi cosa credimi. Scalerei una montagna con su solo un paio di sandali se tu lo volessi. Ci sarò sempre, ti supporterò sempre e lo so che tu hai bisogno di questo. Come ne hai avuto per tutti questi anni, nonostante tutto.»
Le sue parole la fecero sentire piccola e indifesa, perché era dannatamente vero. Non sapeva spiegarsi perché, dopo aver saputo di Fuka e Akito, si fosse sentita così distrutta, ma ciò di cui era certa era l’appoggio che Kamura le aveva sempre offerto. A volte anche senza volere nulla in cambio. Si spaventò improvvisamente all’idea di dover cambiare tutta la sua vita rimettendosi in gioco e, di getto, si lanciò verso di lui cercando le sue braccia affinché la stringessero. Naozumi si sentì di colpo sollevato.
«I sentimenti cambiano così come le persone. Ti prometto che mi impegnerò al massimo affinché tu possa essere felice insieme a me, perché ti amo e amare significa anche questo.»
A quelle parole sussultò un istante, perdendo tutto il coraggio che aveva racimolato nelle ore precedenti per comunicargli la sua decisione.
 
Gennaio 2007
 
Akito la guardò sorpreso, cercando di interpretare le emozioni e i sentimenti che lo stavano assalendo in quell’istante. La decisione di Fuka di trasferirsi in un’altra scuola lo aveva colto davvero alla sprovvista.
«Sai che amo la ginnastica e mi piacerebbe tremendamente diplomarmi per diventare un’insegnante affermata. Per la mia preparazione, la Jimbo non potrebbe darmi il futuro che desidero».
Lui la guardò e si accorse subito dell’espressione triste della sua ragazza nel pronunciare quelle parole.
«Ma… avresti potuto parlarmene. La scuola in cui andari è lontana, e noi…» non riuscì a finire la frase. «Credimi Akito, ci ho pensato veramente tanto. Ci scambieremo delle email, se lo vorremo entrambi ma ormai ho deciso, e i miei sono d’accordo.»
Una folata di vento gelido si intrufolò tra i loro capelli distogliendo entrambi dal turbinio di tristezza in cui erano piombati. Lui, che non era mai stato un tipo troppo espansivo, si lanciò verso di lei e la abbracciò forte lasciandola completamente interdetta.
«Mi mancherai», riuscì solo a dire.
«Anche tu, Akito.»
Terminò quella conversazione districandosi dalle sue braccia e fuggendo via, consapevole di aver preso quella decisione con fin troppo ritardo.
 
Riprendere in mano l’uniforme scolastica la fece sentire improvvisamente indifesa ma, in fin dei conti, sua madre aveva ragione. Non aveva più nessun senso nascondersi ancora e lei era stanca di vivere come un’adulta nel corpo di una sedicenne. Aveva bisogno di leggerezza, dei suoi amici e anche di commettere qualche sciocchezza perché si era negata per fin troppo tempo. Accarezzò con la punta delle dita la gonna a pieghe decisamente più corta di quella che aveva indossato nell’unico anno di scuola media, impostò poi la sveglia per  il mattino seguente non riuscendo ad evitare di sentire il battito del suo cuore che aveva ripreso di nuovo la sua folle corsa.


 
*Note d'autrice*

Salve a tutti, eccomi con l'aggiornamento. Questa volta è lungo quanto i dieci comandamenti di Mosé ma proprio non me la sono sentita di dividerlo in due parti. Non ci sarebbe stato un filo logico conduttore e questo capitolo è importante proprio perché fa da legante a quanto scritto prima e a quanto posterò in seguito.
Bene detto ciò, scusandomi per avervi provocato il bruciore agli occhi, spero che almeno ne sia valsa la pena. Come avrete notato, i sentimenti sono un pò confusi proprio perché dietro a tutta la vicenda ci sono troppe cose non dette ma provate, e troppi legami instaurati su sentimenti che sono tutto tranne che d'amore. E ora capirlo e accettarlo diventa veramente difficile, considerando poi i soggetti diciamo che sarà un'impresa titanica.
Aspetto con ansia i vostri commenti e di sapere cosa ne pensate. 
Vi ringrazio tutti come sempre, siete la mia giuoia.
Al prossimo aggiornamento
Alex
   
 
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