Capitolo 15
Le
labbra della ragazza che gli aveva servito l’idromele fino a
pochi minuti prima
erano più carnose di quelle di Sigyn, il suo seno
sicuramente più pieno e
largo. Le strappò un altro bacio, impaziente di soddisfare
la voglia improvvisa
che quella donna compiacente e bella gli ispirava. Non era lei,
ma lei
era perduta. Inavvicinabile come un fantasma, intoccabile come un
sogno. E
allora tanto valeva bere e pensare alla faida, allo scrigno e a Gudrun
dalle
trecce rosse e le lentiggini sul naso, che gli slacciava i pantaloni
nonostante
fosse abbastanza sveglia da capire che pensava ad altro – al
potere che gli era
scivolato via dalle dita, al trono, allo scrigno e a Sigyn, col suo
sguardo
liquido e grigio, carico di disapprovazione. Ma la scintilla
era una
bugiarda, che aveva preferito fuggire, anziché rivelargli
della maledizione da
cui non l’aveva liberata e ora non c’era
più tempo per fare nulla. Baciò la
ragazza con più foga e lei rispose con un trasporto
identico, figlio di un
desiderio sterile e breve che sarebbe durato fino alle prime luci
dell’alba e
non oltre, esaurendosi in carezze urgenti e necessarie sotto cui
sarebbe stato
più facile soffocare quell’unico momento di fatale
debolezza che aveva un nome
musicale di due sillabe e gli aveva aperto le porte
dell’oscurità: Sigyn.
Bugia, non era colpa sua se il suo spirito fiero e guardingo conosceva
solo la
malizia. Il potere era riuscito a corromperlo e lui aveva lasciato che
lo
facesse, compiacendosi per ogni trionfo ottenuto mentendo, per tutte le
vittorie strappate grazie a una mossa audace e astuta.
Il
giorno dopo Oddr, il fratello di Helgi, disse loro che non avrebbe
accettato l’accordo:
l’oro promesso non era abbastanza e la morte dei cognati del
fratello non sarebbe
servita a placare il suo rancore. Era una giornata grigia e
l’aria sapeva di
neve.
Loki
lo ascoltò e non nascose il disappunto. “Perderai
più di quanto ti offriamo
adesso. Non avrai nulla e stanotte, mentre noi berremo idromele, tu
riposerai
in Hel,” profetizzò con voce asciutta e cattiva.
Il vento gli agitava il
mantello chiuso sotto il mento, accanendosi su di lui come su tutti i
presenti.
“È
un
buon accordo ed è la legge. Credi di essere al di sopra
delle regole fatte dai
nostri padri?” tuonò Thor accanto a lui, offeso e
impaziente[1].
Oddr
non poteva rifiutare i tentativi di pacificazione di Helgi mediati da
Loki per
conto di Odino. Era un affronto non tanto alla casa regnante di Asgard,
che si
era esposta come garante, ma all’insieme di norme che
ordinavano i vari popoli
tra cui spiccavano gli Æsir.
“Principe
Loki, ho seguito mio fratello in ogni impresa. Abbiamo navigato e
commerciato
per anni e combattuto in molte guerre: sono sempre stato al suo fianco,
ma né
lui né mio padre sono stati giusti con me. Nessuna
ricompensa potrà cancellare
un testamento offensivo, una donna rubata, una vita passata
all’ombra,”
ribadì l’uomo con fermezza, ma nella sua voce
c’era una tristezza infinita.
L’ingannatore
fissò l’uomo dall’alto in basso. Si
trovava davanti a un guerriero alto e
forte, imponente persino, con negli occhi ambrati un dolore sordo, ma
non senza
nome. Un combattente che considerava la propria scelta ineluttabile e
ne comprendeva
il prezzo. Eppure, nonostante questo, aveva scelto di pagarlo,
perché da
quell’ombra Oddr non era uscito a emergere mai, neppure dopo
che il suo vecchio
padre era morto. Nel modo accorato in cui l’uomo aveva
perorato la propria
causa, Loki riuscì a riconoscere il barlume di una
similitudine graffiante.
Scosse il capo, inghiottendo un pensiero crudele che aveva
già fatto in passato
e che portava con sé solamente considerazioni pericolose e
indegne.
“Allora
hai deciso: il tuo destino è morire,”
sentenziò cupo, sfilando dalla bandoliera
una coppia di pugnali dalla lama luccicante e affilata.
“Ed
è
una decisione che non approvi, principe?”
Loki
gli scoccò un’occhiata offesa e altera. Oddr lo
fissò di rimando, come se
cercasse in lui un alleato o una comprensione che il principe cadetto
non
poteva né doveva offrire.
“È
una decisione che non mi riguarda,” tagliò corto.
Helgi
s’intromise tra loro. “Mi hai tradito, Oddr. Alla
fine tu mi hai tradito,”
disse, ma era poco più di un pensiero espresso con un filo
amaro di voce.
Furono le ultime parole che si scambiò in vita con suo
fratello. Oddr si difese
con coraggio e valore, ma quando si trovò di fronte a Helgi,
attese il colpo
mortale senza nemmeno pararlo, anzi: lo accolse, mettendosi in
ginocchio e allargando
le braccia.
Asgard
accolse i suoi principi mostrando loro tutta la sua bellezza. Il fiordo
su cui
si affacciava scintillava alla luce di un sole che, pur non scaldando
l’aria
pungente, regalava alla capitale degli Æsir un aspetto
luminoso e imponente.
Durante il viaggio di ritorno, Thor si espresso duramente nei confronti
di Oddr
e di Helgi, ma non si trattava che di un modo per soffocare lo sgomento
che
provava. La faida non si era risolta come auspicato, arrivando, invece,
fino
alle estreme, assurde, conseguenze; il primo figlio
di Odino sentiva di
aver fallito. La cosa peggiore, tuttavia, non era la frustrazione
provata
perché le cose non erano andate come dovevano, ma il fatto
che Loki sembrava
immerso in altri pensieri e più il tempo passava, meno era
disposto a
condannare del tutto il comportamento di Oddr. Non era la prima volta
che le
loro aspettative circa una missione venivano brutalmente disattese, ma
se c’era
una cosa che suo fratello sapeva fare era senz’altro
mostrargli gli eventi in
prospettiva e rinfrancarlo. Del resto, Loki era dalla sua parte, sempre
o
quasi. Ecco perché la lite mortale dei due
fratelli avrebbe dovuto
sconvolgerlo tanto quanto era riuscita a turbare lui. Certo, non si
sarebbe
dovuto stupire più di tanto. Loki aveva la lingua lunga e la
mente svelta, e
giocava con la realtà fino a far sembrare bianco il nero e
viceversa, eppure la
faida cui avevano partecipato poteva essere interpretata unicamente
come una
tragedia orribile in cui l’unico colpevole era Oddr, che
aveva rifiutato di
accettare un lauto risarcimento e qualche testa su cui sfogarsi.
Invece, gli
occhi verdi e pieni di dubbi di Loki cercavano inquieti qualcosa,
tradendo la voce calma e composta con cui gli si rivolgeva. Ma quello
sguardo
nervoso Thor non lo vide mai e, seppure fosse riuscito a scorgerlo, non
lo
avrebbe compreso appieno.
C’era
stato un tempo in cui Loki, rientrando dalle sue spedizioni, scorgeva
l’ombra
sottile di Sigyn. A volte lei era casualmente affacciata a uno dei
balconi che
abbellivano Asgard, altre camminava nascondendosi dietro il porticato,
ma
spesse volte gli veniva incontro osando fissarlo negli occhi,
impallidendo di
fronte alle sue battute provocatorie e salaci. Era fiera come una
regina, ma per
molte cose mostrava una timidezza figlia della vita appartata che aveva
condotto da sempre. L’avevano convinta di essere
un’intoccabile privilegiata e
invece era una donna – una bella donna,
pensava con sordo dispetto le
sere in cui l’idromele iniziava a fargli girare la testa.
Allora la sognava,
immaginando l’abito rosso che aderiva perfettamente al suo
seno bianco, i
capelli color miele trattenuti a stento da qualche ciocca e quello
sguardo
liquido e grigio, carico di curiosità e di disapprovazione,
che l’aveva
stregato durante la visita a Sigurdr. Pensava a lei – a
toglierle quel
corsetto, a baciarle la pelle morbida e profumata e quando Sif gli
chiedeva a chi
pensasse, rispondeva con qualche battuta pungente perché non
sembrasse ciò che
in realtà era. Continuava a non essere in grado di obbedire
alle direttive di
Padre Tutto e a desiderare l’intoccabile scintilla,
condannata ad appartenere
all’oscurità.
Ma entrando
nel cortile del palazzo di Odino dopo l’ultima, amara
missione, Loki non pensò
a Sigyn. L’aveva esclusa dalla sua vita un’altra
volta, bandendo dalla propria
mente ogni riferimento a lei. Fermò il cavallo qualche
momento prima di Thor
perché Balder, senz’altro avvertito da Heimdall,
li aspettava senza riuscire a
mascherare l’impazienza. Era ancora un ragazzo, del resto.
Con una smorfia,
l’ingannatore pensò che non sarebbe mai stato un
buon capo militare: era troppo
sincero e onesto.
“Ho
una notizia da darvi,” esordì quello ansioso,
senza attendere nemmeno che
scendessero da cavallo.
“Ma
giura,” lo canzonò Loki, raggiungendo terra con un
movimento svelto e agile.
Thor
rise, scuotendo tuttavia la testa di fronte alla battuta perfida del
fratello
preferito.
Balder
li fissò interdetto, spostando lo sguardo dall’uno
all’altro. Non si aspettava
di vedere sui loro volti le tracce di un combattimento; non era
previsto e Loki
e Thor erano troppo abili perché uno scontro veloce
lasciasse addirittura
qualche segno. “Nostro padre ha scelto,” disse
lentamente. “Durante la prossima
luna nuova proclamerà il suo successore.”
“Beh,
era ora. Stapperemo le botti d’idromele di Bor, per
l’occasione,” proclamò Thor
con un sorriso largo e gioviale, incamminandosi verso le stalle.
“Com’è
andato il viaggio? Avete un aspetto stanco,” insistette
Balder, seguendoli come
faceva da quando aveva iniziato a camminare, senza mai raggiungerli.
Loki
si voltò appena. “Abbiamo assistito a un
fratricidio e partecipato a uno
scontro piuttosto vivace, ma dopo un bagno caldo staremo
senz’altro meglio,” spiegò
faceto, col chiaro intento di mascherare sotto il velo
dell’ironia l’oscurità
che gli era rimasta appiccicata addosso dopo aver assistito alla
doverosa morte
di Oddr.
Balder
spalancò gli occhi, senza capire il perché del
tono forzatamente leggero del
fratello.
“Incidenti
che capitano quando si va verso il confine con quella terra di
mostri,” spiegò
Thor, subito spalleggiato dalla risata sghignazzante
dell’ingannatore. Era
certamente colpa della vicinanza con gli Jotnar e della disgustosa
mescolanza cui
verso il confine si abbandonavano sia i sudditi di Odino che quelli di
Laufey
se due fratelli erano arrivati ad uccidersi. Nella splendida Asgard una
cosa
del genere non sarebbe potuta accadere, mai. E poi,
i principi avevano
altro a cui pensare: gli Æsir presto avrebbero avuto un nuovo
re, uno degno.
Ma
che cosa significava essere degni? Loki aveva assecondato suo padre in
ogni sua
richiesta, cercando di carpirne i ragionamenti logici e anticipandone
persino i
voleri: immerso nella vasca che avrebbe dovuto ritemprarlo dal lungo
viaggio,
con la nuca bagnata poggiata sul bordo in marmo, rifletté
che non aveva alcuna
possibilità di essere stato scelto da Padre Tutto come
proprio erede. Mjollnir
era di Thor, il primo figlio, il comandante coraggioso e audace
dall’animo
nobile, se si volevano ignorare i suoi molti, imperdonabili difetti.
Increspò
le labbra in una smorfia. Suo fratello era arrogante, superbo,
vanaglorioso e
impulsivo, ma questo non sminuiva la sua presunta grandezza. Lui,
invece, era
l’astuto cadetto, il maestro di magia da cui ci si aspettava
sempre qualche
trucco meschino; era la faccia oscura di Asgard, quella che conosceva
la
provenienza di tutte le reliquie collezionate da Odino e da Bor.
Sentì la porta
aprirsi e un rumore di passi far scricchiolare leggermente il bel
pavimento in
legno. Riconobbe di chi erano e piegò le labbra in una
smorfia.
“Per
un attimo ho sperato foste due graziose serve,”
sospirò stancamente, “ma poi ho
sentito la puzza.”
Thor
gli lanciò un asciugamano mirando alla faccia.
“Nostro fratello ha della
corrispondenza per te. Privata. Dal nostro amico Kalfr,
stavolta.”
Loki
serrò la mascella e si tirò su, stringendosi
l’asciugamano sui fianchi stretti.
“Non c’era alcuna fretta,” disse. Prese
la pergamena arrotolata che Balder gli
porgeva, tastando il sigillo per controllare che fosse intatto. Non
desiderava
leggerla sul momento, né credeva che l’altro
avrebbe osato intromettersi nei
suoi affari, ma quel gesto era stato rapido e istintivo.
“Vorrà
altro oro. Credo che non sia il caso di farne parola con nostro padre,
stasera,” decise Thor.
“Pensi
che una lettera dal Tempio possa cambiare la sua decisione?”
Loki lo superò per
raggiungere un mobile dove erano posati degli abiti puliti e prese a
vestirsi
con movimenti rapidi e decisi. “Lui ha scelto molto tempo
fa.”
“E tu
approverai in ogni caso la sua scelta?” chiese Balder.
Loki
s’infilò una tunica scura coprendo il petto
segnato dagli allenamenti e dalle
guerre e fissò per un lungo istante il ragazzo, chiedendosi
se in lui ci fosse
una qualche malizia. Non ne trovò traccia. “Se non
lo facessi sarei un
traditore,” spiegò con lentezza. “Ogni
decisione di nostro padre è il frutto di
una riflessione lunga e attenta. Noi siamo i suoi figli e dobbiamo
attenerci
scrupolosamente al suo volere,” concluse, ma sebbene la sua
voce era risuonata
forte e chiara nella sala ancora piena dei vapori del bagno, si accorse
di non
credere davvero in ciò che aveva detto. Aveva recitato un
copione già scritto e
privo di senso e si sentiva svuotato, offeso, tradito da un destino
bastardo.
“Sarà
comunque meglio che non veda quella lettera in giro,”
sibilò. Prese la
pergamena e raggiunse a passo svelto il grande camino che troneggiava
nella sua
camera da letto, quello accanto cui Sigyn si metteva a leggere la sera
quando
s’intestardiva nel volerlo aspettare sveglia.
Gettò la missiva nel fuoco senza
nemmeno aprirla, osservandola bruciare mentre i fratelli gli
rimproveravano
quel gesto impetuoso e carico d’ira. Ma la scintilla era
perduta, chiusa dentro
un doppio recinto di mura, colpita da una cecità
irrisolvibile. Il suo potere e
il suo corpo appartenevano a Kalfr finché l’altro,
l’orrore, non
l’avrebbe reclamata. E sarebbe accaduto presto.
Quella
sera l’unico occhio di Odino si puntò a turno sui
suoi tre figli, soffermandosi
più a lungo sui maggiori. Durante il banchetto i due
fratelli, come sempre, si
erano spalleggiati raccontando l’episodio di Helgi e Oddr con
dovizia e
attenzione. Il re degli Æsir aveva ascoltato il loro racconto
soppesando ogni
parola. Sapeva già come si erano svolti i fatti –
gliel’avevano mormorato i
suoi corvi – ma era interessato a conoscere come
i due avevano elaborato
quella vicenda. Erano una squadra ben assortita, capace di sostenersi a
vicenda, ma erano anche due giovani uomini volitivi e orgogliosi. Padre
Tutto
aveva punito le loro intemperanze infantili prima e giovanili poi
così come
aveva sedato le furiose liti che si erano scatenate tra di loro. Quanti
banchetti erano stati rovinati da Thor, che cercava vendetta nei
confronti di
suo fratello, quanti incantesimi inopportuni gli aveva scagliato contro
Loki
sogghignando con perfidia. Erano sempre pronti a sfidarsi, a
rincorrersi, a
competere per ottenere la sua approvazione o per conquistare qualche
reliquia
con cui vantarsi, ma se c’era da combattere contro un
avversario comune, vero o
ipotetico che fosse, subito si alleavano. Erano cresciuti insieme e non
potevano essere più diversi, ma forse proprio in questo era
racchiuso il motivo
per cui erano tanto letali e inaspettati. Avrebbero dato lustro ad
Asgard – ne
avevano le potenzialità, a patto che
l’intemperanza e l’ambizione si
trasformassero in saggezza. Ma, a volte, quei figli tanto capaci gli
incutevano
lo stesso sospetto dei lupi perennemente affamati che dormivano ai suoi
piedi
mettendo il muso tra le zampe. Se messi alla prova, di cosa
sarebbero
stati capaci? Eppure, li aveva tirati su per essere esattamente
così – due
principi letali e fieri in grado di governare un regno, anzi, più
d’uno.
“Durante
la prossima luna verrai incoronato re, Thor. Sei il mio primo figlio ed
è ora
che tu ti prenda responsabilità più
ampie,” decise. Sfiorò la mano candida e
inanellata di Frigga, seduta accanto a lui. Nello sguardo limpido della
consorte lesse il suo orgoglio di madre.
Non
guardò Loki o, se lo fece, il suo unico occhio si
soffermò in quelli verdi del
figlio per troppo poco tempo, senza leggere quell’ombra di
dolorosa consapevolezza
che ne velò la trasparenza. L’ingannatore, del
resto, sapeva che Odino
avrebbe scelto Thor: non poteva dire che la notizia lo avesse
sconvolto, eppure
si rese conto che una parte di lui, quella più impulsiva,
era comunque rimasta
aggrappata all’esile filo del dubbio, della speranza appena
recisa. Non poteva
dire di essere sorpreso, ma.
“Congratulazioni,
fratello,” sibilò, sforzandosi di dare una nota
allegra e ironica alla sua
battuta, chiedendosi se trapelasse l’incendio che lo divorava
da dentro.
Sorrise e capì di aver perso ognuna delle cose per cui aveva
lottato negli
ultimi anni: Sigyn, il trono, la conoscenza, la stima di suo padre.
Thor
lo abbracciò come se stesse festeggiando non una vittoria
personale, ma una
comune, innaffiandolo con l’idromele per poi alzarsi in piedi
e lodare suo
padre e le Norne. Loki rimase seduto al proprio posto mentre suo
fratello si
piazzava in mezzo alla sala, vicino al fuoco centrale, per esternare la
propria
gioia incontenibile. No, non aveva mai dubitato che sarebbe diventato
re e Loki
lo aveva sempre saputo; se non si fosse lasciato ingannare dalla
speranza, non
sarebbe rimasto immobile cercando di evitare lo sguardo di Balder. In
mezzo al
frastuono delle stoviglie e delle armi battute sul tavolo per onorare
il futuro
re, Lingua d’Argento si voltò verso Odino,
abbastanza vicino da poterlo udire,
non troppo assorto per non ascoltarlo.
“E a
me cosa toccherà, padre? Quale eredità mi hai
riservato?[2]”
domandò con una voce più roca di quanto non
volesse. Il sovrano lo scrutò con
attenzione e all’ingannatore sembrò che potesse
leggergli fin dentro al cuore.
“Continua
a servire Asgard e goditi la festa.”
“È
questo il mio destino? Fargli da ministro, da consigliere?”
Ora era l’orgoglio
a parlare. Si rese conto di aver ribattuto in fretta e serrò
la mascella,
pronto a subire la severità di Odino, perché
tutto ciò che contava e importava
era e sarebbe stata per sempre Asgard, solo Asgard. Era
l’obiettivo, la meta,
il fine. Ogni decisione presa da Odino e da Bor prima di lui era volta
unicamente ad accrescere il potere degli Æsir e a garantire
la supremazia di
questi ultimi sui Nove Regni, imponendosi come una forza politica anche
oltre i
confini dell’Yggdrasill. Loki lo sapeva, come era cosciente
che il suo
arrogante fratello non aveva la finezza e l’acume dei suoi
predecessori. Se
solo suo padre lo avesse visto. Se fosse riuscito a capire che i pregi
di Thor
non annullavano i suoi difetti, se avesse potuto perdonarlo per i
sacrilegi
necessari commessi, di cui, a ogni buon conto, Loki non si era mai
pentito – né
lo avrebbe fatto in seguito, forse ci sarebbe stato lui a festeggiare.
Ma
l’ingannatore era sceso nell’oscurità,
tra le radici marce dell’Yggdrasill, e
lo aveva fatto andando contro il volere di Odino.
“Il
tuo dovere, il tuo compito in quanto mio figlio,
è obbedirmi e fare
tutto ciò che è in tuo potere per rendere grande
la nostra casata e Asgard a ogni
costo. Lo sai.”
♥
Sigyn[3]
scoprì di essere la scintilla in una notte resa ancora
più gelida dalla febbre
che la scuoteva. Le girava la testa, faticava a tenere gli occhi aperti
e
sentiva freddo nonostante le coperte. C’era Loki, con lei. Il
suo volto affilato
portava i segni della stanchezza e le labbra sottili non erano arcuate
nel
consueto sorriso laterale e beffardo, no. Le aveva stirate in una
smorfia che
tratteneva a stento il dispetto.
“Tu
sei l’ultima di loro,” le disse, e lei comprese che
le stava dicendo la verità
e non era affatto felice di farlo. Non doveva mancare molto
all’alba. Sgomenta,
sconvolta, rispose ancora che non era possibile: non aveva mai provato
nulla
che lasciasse presagire una simile maledizione e mai, mai
aveva percepito
o visto il futuro. Urd e Skuld non si erano degnata di rivelarle niente
– altrimenti,
pensò, non avrei mai messo l’abito rosso
che tu hai notato e sarei scappata
via alla tua prima occhiata[4].
“Capiterà,”
si limitò a contraddirla Loki. “Un giorno
sfiorerai il bracciale che ti ho
riparato e capterai i pensieri dell’artigiano che ha scelto
le pietre, di tua
madre che te l’ha regalato[5].”
“E i
tuoi, che l’hai aggiustato,” concluse Sigyn con
voce bassa, senza riuscire a
trovare le parole per ringraziarlo. E per cosa poi? Prima di
incontrarlo la sua
esistenza scorreva senza alcun turbamento, a eccezione di quella
bramosia di
vivere che, a volte, la lettura di poemi e poesie le ispirava. Poi,
Loki era
entrato nella sua vita regalandole paure e stupori, rimpianti e
turbamenti,
palpiti del cuore che non sapeva identificare. Le aveva aperto
brutalmente gli
occhi trascinandola nel bel mezzo di un mondo che aveva sempre
desiderato ardentemente
vedere, ma di cui non si aspettava la ferocia. La febbre le ottundeva i
sensi,
tanto da non farle rendere conto di quanto vicine fossero le loro dita,
sottile
la sua camicia da notte.
“Anche
i miei, forse, sì,” concesse Loki sforzandosi di
non sfiorarle la mano, ma
desiderando baciarle le labbra semichiuse e senz’altro
morbide, il collo su cui
si adagiavano leggere le ciocche bionde e disordinate. Le guardava la
bocca per
non abbassare lo sguardo e incontrare, di nuovo, la conturbante
scollatura che
lasciava intravedere il suo seno appuntito di ragazza. La scintilla
non
doveva essere bella, non se suo padre aveva commesso l’errore
di prometterla a
ciò che marciva tra le radici dell’Yggdrasill.
“Da
quanto lo sai?” insistette Sigyn, gli occhi lucidi per la
febbre, ma sempre
carichi di quella fierezza che lui ammirava.
“Ne
avevo il sospetto al banchetto di tuo padre. Ci serviva una
conferma.” Un altro
pezzo di verità snocciolato a lume di candela e incassato da
lei con grazia. Il
principe di Asgard si chiese come avrebbe reagito il giorno in cui
avrebbe
scoperto ogni più oscuro dettaglio del suo futuro.
“Vi
serviva una veggente.” Sigyn scoprì di essere
offesa. Una parte di lei, quella
che non sapeva gestire né controllare,
s’infiammò al pensiero che Loki volesse sfruttare
la sua maledizione e che non c’entrava
affatto l’abito rosso. Era la
scintilla ad averlo attratto, non lei – mai lei.
“Ci
serviva una veggente, anche se definirti così è
riduttivo. E volevamo punire
tuo padre,” le confermò l’Ase con voce
roca, respirando il suo profumo,
leggendo la delusione che le velava lo sguardo. No, la scintilla
non
avrebbe dovuto essere bella, ma lo era, e Loki di Asgard, che non
sapeva
rinunciare a nessuna cosa, si chiese come avrebbe fatto ad averla.
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici
e cari Lettori,
è più di un
mese che non aggiorno questa storia – mea culpa, mea
grandissima culpa, lo so. Siamo
nella fase centrale della storia e, come i più attenti
avranno capito, ci stiamo
avvicinando al momento in cui Loki scopre la sua vera natura. Intanto,
come
vedete, la trama è andata avanti. Odino ha nominato Thor
come suo erede: ve lo
confesso, avrei voluto scrivere 250 pagine solamente su questo, ma
temevo di
essere ridondante. Sono anche tornati i flashback: ero impaziente di
arrivare
qui perché ora scoprirete che cavolo è successo
con Sigyn, come e quando si
sono messi insieme e come le vicende dei film si intersecheranno con la
saga di
Avengers e con quella di Thor.
Voglio
ringraziare coloro che recensiscono/
leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni volta che listate o
vi palesate m’illumino
d’immenso, per voi sembrerà una cretinata ma io
che ne so che non la aprite
perché vi fa schifo? C’è gente che
guarda le carogne agli angoli delle strade,
mica sempre uno legge cose belle.
Prossima
settimana vorrei aggiornare Ombre
strette
nel raso verde: ♥, ci tengo,
è una fable AU liberamente tratta da
Barbablù e... potrebbe piacervi.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e
spero voi lovviate
me).
Shilyss
[1]
Per regolare le faide nelle società scaldiche
c’erano corrispettivi in denaro e
accordi simili.
[2]
La battuta vi suona come già sentita? Per forza,
l’avete letta nella mia “Confessioni”
^^ (pubblicità occulta e sì, la continuo).
[3]
Bentornati flashback! Qui siamo tornati a quando Sigyn, febbricitante,
ha
appena scoperto di essere la scintilla.
[4]
Urd e Skuld sono le
due Norne che filano
passato e futuro.
[5]
Negli scorsi capitoli Sigyn fa riparare a Loki un bracciale. Quando lei
si
ammala, lui glielo lascia sul comodino.