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Autore: Sapphire_    30/06/2020    4 recensioni
Trenta minuti.
Trenta minuti bloccati insieme in ascensore.
Possono bastare per cambiare radicalmente il rapporto tra due persone?
***
Dal testo:
«Quanto hanno detto che ci mettono?» chiedo, più per riempire il silenzio dell’ascensore che per sapere realmente la risposta. E infatti lui mi guarda con una vaga espressione che potrei solo tradurre come “sei scema?” per poi concludere con uno sguardo di impassibilità.
«Trenta minuti.» è la sua telegrafica risposta.
Dio santo, mio fratello mi ucciderà. E anche la mia futura cognata, a cui avevo assicurato di essere onnipresente in caso di crolli psicologici nei cinque minuti precedenti alla cerimonia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ecco che ritorno in questo fandom con qualcosa di nuovo!

Dopo “La fisica dell’attrazione” avevo voglia di darmi a qualcosa di nuovo, preferibilmente un’altra long, ma dato che su quella ci sto ancora lavorando (e come mio solito ho ventimila idee in testa), ho deciso di rispolverare una vecchia idea che avevo avuto qualche anno fa, rendendola una one-shot.

A dire il vero, credevo di creare una raccolta basandomi sempre proprio sullo stesso concetto di questa storia, creando sempre situazioni diverse con personaggi diversi; non so quanto potrò essere costante però, per questo motivo ho deciso di pubblicarla come autoconclusiva e, se poi avrò altra ispirazione, la modificherò in raccolta aggiungendo altri capitoli.

Non mi dilungo ulteriormente e vi auguro buona lettura, sperando in qualche commento che possa dirmi come sono andata!

Un abbraccio,

 

~Sapphire_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~Trenta minuti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Che situazione di merda.»

Affermo questo mentre mi lascio scivolare lentamente alla parete dell’ascensore e anche se non lo guardo so perfettamente che anche lui la pensa come me.

«Mh.»

Mugugna appena e io mi volto a guardarlo indispettita.

«Ma non sai dire altro oltre i tuoi soliti mugugni insensati?» sbotto infastidita e così facendo mi guadagno la sua solita occhiata indifferente – quella che mi fa venire voglia di mollargli tanti di quei ceffoni da rendere il suo favoloso volto in un ammasso di lividi violacei.

Cazzo, quanto bel materiale sprecato con una personalità degna di un becchino alle prese con l’ennesimo cadavere infiocchettato in una bara floreale.

Danny tace e io lo osservo incartato nel suo solito completo di alta sartoria grigio antracite – ma io dico, non poteva scegliere un colore più allegro contando che sta andando al matrimonio del suo migliore amico?

Sospiro e osservo il mio bellissimo vestito color fiordaliso che mi è costato l’ultimo stipendio.

«Non potrò nemmeno sfruttarlo.» piagnucolo ad alta voce.

«Cosa?»

Lo osservo obliqua.

«Ah, ma allora ogni tanto ti degni di rivolgermi la parola.» rispondo piccata – ma niente, la sua risposta è un appena accennato scrollamento di spalle.

Decido di risollevarmi su – meglio non rovinare ulteriormente quel favoloso vestito – e lancio l’ennesima occhiata al mio compagno di disavventure.

Daniel Sherwood è il classico uomo che fa girare le persone per strada: alto, biondo, con profondi occhi scuri e dal fisico prestante. Peccato abbia la personalità emotiva pari a quella di un sasso.

Lo conosco da quando ero alta meno di un metro e il mio petto aveva la stessa curvatura dell’amato tavolo in ciliegio di mia madre, ma le uniche volte in cui ha mostrato un’espressione che andava oltre “indifferenza” e “non mi interessa di voi poveri mortali” sono state forse un paio, e anche in quei casi forse ero vittima di allucinazioni.

«Quanto hanno detto che ci mettono?» chiedo, più per riempire il silenzio dell’ascensore che per sapere realmente la risposta. E infatti lui mi guarda con una vaga espressione che potrei solo tradurre come “sei scema?” per poi concludere con uno sguardo di impassibilità.

«Trenta minuti.» è la sua telegrafica risposta.

Annuisco, non sapendo che altro dire.

E che cavolo, bello mio, cerca anche tu di fare conversazione!

Non che possa davvero pretendere qualcosa da qualcuno che, se sta fermo per più di un minuto, assomiglia più a una statua che a una persona – una bellissima statua, certo, ma comunque un qualcosa privo di volontà propria.

Dio santo, mio fratello mi ucciderà. E anche la mia futura cognata, a cui avevo assicurato di essere onnipresente in caso di crolli psicologici nei cinque minuti precedenti alla cerimonia.

«Sta tranquilla.»

La voce di Danny mi trascina via dai miei pensieri che comprendevano il mio omicidio da parte di una sposa particolarmente isterica e ostentai un atteggiamento superiore.

«Io sono tranquilla.» sottolineo con enfasi il “sono”, in caso la bella statuina qui presente non riesca a cogliere le sottili sfumature emozionali delle persone normali, e incrocio le braccia al petto.

Lui inarca un sopracciglio – oddio, è un’espressione quella che vedo?

«Non direi. Sono sicuro che stai già analizzando i vari modi in cui Elise potrebbe programmare di ucciderti.»

…Era ironia, quella?

Sono sicura che la mia espressione sia piuttosto chiara in seguito a quell’affermazione, perché Daniel si lascia scappare uno sbuffo.

«Ti conosco abbastanza da capire quello che potresti pensare in una situazione del genere.»

Ok, sono ufficialmente senza parole.

Non so se più perché sto chiacchierando con lui – il massimo delle conversazioni tra me e lui di solito sono “mi passi l’acqua?” o “dov’è Andrew?”, ovvero mio fratello – o perché a quanto pare mi conosce piuttosto bene.

Penso che la mia espressione attuale lo stia infastidendo perché una leggera smorfia compare sul suo bel viso e mi guarda seccato.

«Avanti, Chloe, siamo praticamente cresciuti assieme, penso che sia ovvio conoscerti.»

Sbaglio, o c’è un leggero tono imbarazzato tra le sue parole?

Io taccio ancora e lui sbuffa, finendo per togliersi la giacca del suo completo e lasciandomi a osservare con occhi sgranati il tessuto aderente della camicia che gli fascia le braccia – e che braccia.

Ok, Chloe, riprenditi. È il migliore amico di tuo fratello, sai come vanno queste cose.

Anzi, sai come va la tua vita sentimentale, dopo Tom.

«Non pensavo avessi notato queste cose di me.» borbotto più per dire qualcosa che per altro; lui continua a osservarmi con quegli occhioni scuri e io abbasso i miei, in tinta con il vestito.

«Sei una persona abbastanza vivace da esternare chiaramente come la pensi, in certe situazioni.»

Il suo modo preciso di parlare mi fa sfuggire un sorrisetto che mi fa guadagnare un’occhiata incuriosita – cioè, un’occhiata incuriosita! Mi devo segnare questo giorno sul calendario – anzi, no, è già segnato. In fondo, è comunque il matrimonio di mio fratello.

Come penso questo il mio telefono prende a squillare come impazzito e mentre lo cerco nella borsetta considero l’idea di cambiare suoneria, è davvero troppo assordante.

«Pronto?» chiedo e non faccio caso al nome sul display, ma evidentemente i miei pensieri avevano avuto una qualche funzione evocatrice perché la voce che mi aggredisce è quella di Andrew.

«Chloe! Dove cazzo sei finita, si può sapere?»

Il ringhio finale mi costringe ad allontanare il telefono dall’orecchio mentre un’espressione colpevole già si dipinge sulla mia faccia che, a quanto pare, mostra subito i propri sentimenti.

«Andrew…» piagnucolo in un primo momento – è assurdo come i rimproveri di mio fratello abbiano sempre il potere di farmi tornare una tredicenne, e che cavolo!

«Credo che Elise stia avendo un tracollo isterico e io non posso andare da lei perché è fissata con l’assurda idea che non posso vederla prima della cerimonia e mi sta venendo voglia di tirarti il collo – avevi detto che ci avresti pensato tu a lei!»

Parla così veloce che a malapena riesco a seguirlo e mi chiedo perché non potessi avere un fratello normale come tutti gli altri, no, dovevo beccarmi l’esagitato ansioso che è più in ansia della sposa per questo matrimonio.

Mi ritrovo senza parole, ma per fortuna c’è Daniel con me, lui e la sua solita calma dovevano aver sentito le urla di mio fratello perché allunga la mano per prendere il cellulare. Io glielo porgo senza fiatare – che si sbolognasse lui quell’isterico, in fondo erano migliori amici! 

«Andrew, per favore, calmati.»

Doveva essere una richiesta, suppongo, ma il tono è così tanto quello di un ordine che finisco per impormi io stessa di calmarmi.

Dalla cornetta giunge solo un respiro affannato, evidentemente mio fratello aveva adoperato tante energie ad urlarmi dietro, ma Daniel continuò a parlare.

«Sono insieme a Chloe, siamo rimasti chiusi in ascensore e ci hanno detto che fra trenta minuti»si interrompe, lanciando un’occhiata all’orologio «facciamo ventitré, saremo fuori di qui. Posticipate la cerimonia di poco e saremo entrambi lì, io a sopportare i tuoi scatti e tua sorella a sostenere la tua futura e adorata moglie.»

Ok, il suo tono velatemene sarcastico mi ha fatto più sesso di quanto mi aspettassi, ma d’altro canto lui stesso mi ha sempre fatto venire voglia di farmi sbattere come panna montata – Chloe, è il migliore amico di tuo fratello, ricorda!

Andrew deve essersi calmato perché il tono di voce è diminuito parecchio, abbastanza da non farmi più capire quello che dice, e Danny continua ad ascoltarlo aggiungendo di tanto in tanto degli “mh” che subito mi fanno capire che è davvero lui e non mi ritrovo con un suo sostituto in ascensore.

Forse ha esaurito la sua dose giornaliera di emozioni.

Nel giro di trenta secondi chiude la chiamata e mi restituisce il cellulare.

«Posticipano di poco la cerimonia, in modo che potremmo esserci anche noi.» mi informa sereno e tranquillo come una papera nello stagno, e io però inizio a sentirmi svenire – dannati spazi stretti, ma con quello che costa questo hotel non potevano fare degli ascensori più grandi?

«Tutto bene?»

Ovviamente se n’è accorto, quindi cerco di mantenere un poco di dignità con un blando sorriso mentre cerco di ignorare la nausea che si fra strada nel mio stomaco – forse dovevo evitare lo champagne prima della cerimonia – e faccio finta di niente.

«Sì, certo.»

Certo un corno, mi sento sudare freddo e anche lui si accorge di qualcosa perché si avvicina e cerca di farmi aria con la mano.

«Sei un po’ pallida.»

Dannato fondotinta, per fortuna doveva coprire le imperfezioni.

«Solo un piccolo giramento di testa.» rispondo rapida.

Ma io sono sfigata per natura, lo so da quando ho scoperto di essere nata di venerdì diciassette, quindi l’ascensore decide che è il momento giusto per scendere di un paio di metri in maniera repentina e io cado come una pera cotta – ma non con la stessa grazia.

Daniel mi prende al volo e vorrei poter pensare che in altre situazioni, a quella distanza da lui, sarei stata concentrata solo sul suo bellissimo profumo molto macho e molto sensuale, ma in quel momento la nausea si fa solo più forte e lui se ne accorge.

«Ok, che ne dici di sederti un attimo?» me lo chiede ma in realtà mi costringe a chinarmi e sbatto con poca grazia il sedere sul pavimento, ricevendo un lieve “scusa” da colui che mi ha praticamente tirata giù.

«Metti la testa tra le gambe e respira lentamente.»

Ma deve sempre usare quel dannato tono da generale?

Comunque faccio come dice e mi sento lentamente riprendere – ah, forse aveva ragione.

Passa qualche secondo in cui sento la sua mano fresca massaggiarmi leggermente la schiena, mi sento rabbrividire e con orrore mi rendo conto che non ho un contatto del genere con un uomo da troppo tempo per impedire che i miei ormoni rispondano come quelli di un’adolescente.

«Stai meglio?»

Cazzo, anche la voce bassa e sensuale da porno deve usare.

«Sì, alla grande.» rispondo a voce bassa, la testa chinata come la mia dignità da donna che non si sente male per simili sciocchezze, però non lo allontano perché i miei ormoni lo vogliono ancora lì vicino e chi sono io per disubbidire?

Credo siano passati alcuni minuti in quella posizione e quindi cerco di rimettermi un po’ in piedi.

«Fra quanto dovremmo uscire di qui?»

«Penso un quarto d’ora.» risponde telegrafico e io maledico quelli dell’assistenza, che evidentemente non riescono a lavorare più rapidi, e mi appoggio a lui sfruttando la situazione.

Allora, per mettere le cose in chiaro: non è che sono innamorata follemente di lui o qualcosa del genere, diciamo che ho passato vari anni della mia vita persa dietro la sua bellezza, per poi rendermi conto che nessuno si vuole fare la sorellina del proprio amico e che era meglio ripiegare su qualcosa di più vicino alle mie possibilità, tipo Tom.

Caro ragazzo, Tom, siamo stati insieme per tanti anni finché non ha avuto la brillante idea di mettere incinta la figlia della nuova moglie del padre, creando una situazione divertente per alcuni e desolante per me.

Quell’idiota mi deve un sacco di soldi spesi in cibo e in fondotinta per coprire le occhiaie.

Comunque sia, insomma, mi sono messa via da un sacco di tempo la mia cotta da quindicenne, però ecco, ho comunque ventisei anni e questo gran pezzo di figo mi sorregge e mi guarda con quegli occhioni tanto belli.

«Stai per vomitare?»

…bello quanto insensibile.

Sollevo gli occhi al cielo mentre mi scosto da lui – ok, forse ero l’unica a fare un certo tipo di pensieri.

«No, mi sono ripresa.» borbotto seccata e lui mi osserva con un’aria leggermente confusa.

E dai, idiota, avrai preso tutte le borse di studio di questo mondo ma a volte sei un po’ tardo, sai?

Mi chiudo in un ostinato silenzio, decisa a farmi passare quei pensieri e quel calore che mi aveva risvegliato toccandomi leggermente – ecco, guardate a che punto sono arrivata, povera me – ma lui doveva aver guadagnato altri punti-energia per mostrare emozioni perché mi rivolge un leggero sorriso dispiaciuto.

«Non pensavo ti desse fastidio, scusa.»

Eh?

«Cosa?» mugugno curiosa.

«Che ti toccassi. Volevo solo darti una mano.» spiega e continua a rivolgermi quel sorriso triste che mai avrei immaginato di vedere su di lui, e il mio cuore si scioglie alla pari di un pupazzo di neve che ama i caldi abbracci.

Non riesco a impedirmi una smorfia imbarazzata mentre vaneggio con la mano.

«Ma che dici, mica mi dai fastidio.» non credo che la mia voce dovesse sembrare così acuta.

Lui mi osserva.

«Ah, no?»

«Certo che no.» ok, adesso era davvero troppo acuta «Come potresti darmi fastidio?» chiedo, e la mia dovrebbe essere una domanda retorica però lui sembra pensarci davvero.

«Non so, ogni volta che mi guardi sembra che tu mi voglia uccidere con lo sguardo.»

Ah, che bello sapere queste cose. È proprio l’idea che vorrei dare all’uomo con cui da tenera sedicenne avevo pensato di procreare dei figli.

«Assolutamente no!» sono veloce a negare, mentre nella mia mente mi deprimo pensando alle sue parole, e cerco i termini giusti per spiegargli senza sembrare completamente deficiente «Vedi, quella è la mia faccia, mica ho qualcosa contro di te! Credo di aver qualche problema nelle espressioni facciali, sai, tipo un tic, ma non è assolutamente vero che voglio ucciderti.»

No, ok, gli sono sembrata una deficiente.

Daniel però sorride e io mi impegno davvero per non arrossire, ma senza troppi risultati.

«Ah, per fortuna.» sussurra, e io credo davvero di aver un attacco di cuore.

Chloe: niente castelli di carte, per favore, che quando cadono ti ci vogliono almeno tre fette di torta al cioccolato prima di riprenderti e la tua pelle ti farà pagare un conto davvero salato.

«Mi dispiacerebbe che tu mi odiassi.»

Eh, ma basta!

Cavolo, io mi ci impegno davvero per non farmi film mentali, ma se mi dici certe cose in quel tono, non è che ci posso fare granché io!

«Davvero?» ma io devo continuare a chiedere perché così poi posso farmi meglio del male, ovvio.

Lui mi sorride e mi chiedo perché non lo faccia sempre, dato che a momenti il sole inizia a splendere anche dentro questo microscopico ascensore pieno di specchi per dare l’illusione che sia più spazioso.

«Sì.» dice solo, e vorrei davvero tanto chiedergli perché, ma poi l’ascensore traballa ancora un po’ e lo sentiamo scendere all’improvviso.

La mia reazione? Urlo e mi lancio sopra Daniel.

«Oddio. Oddio. Non voglio morire giovane, non voglio morire ora.» strillo e sento che i neuroni corrono affaccendati per la mia testa cercando di trovare la calma, ma quello che riescono a ottenere sono soltanto altre frasi idiote che strillo tra le braccia dell’aitante biondo che mio fratello ha come migliore amico.

«Non voglio che Tom sia l’ultima persona che ho baciato!» sbraito e la mia dignità rimane piani sopra rispetto all’ascensore che continua a scendere, non così veloce come mi sembra ma comunque abbastanza da farmi prendere dalla tachicardia.

Si blocca di colpo, ma io sono ancora stretta a Danny, aggrappata come un koala a un albero di fico e con la stessa sua grazia.

«Non vuoi cosa?»

Lo sento domandare mentre io sono con gli occhi chiusi, le braccia strette sulla sua camicia e il suo dannato profumo che si miscela al mio – penso vagamente che ci sono dei vestiti di troppo, ma questo pensiero si auto-elimina quando realizzo davvero la sua domanda e le mie parole di poco prima.

La cosa triste è che mi sono lasciata con Tom da più di un anno e mezzo.

Apro gli occhi e incontro i suoi – da vicino noto delle venature più chiare e le sue ciglia lunghissime anche senza un minimo di mascara, la sua bocca è arricciata in un sorriso divertito e io divento rossa come un melograno.

Mi lancio per terra, cercando di mettere più spazio tra di noi, peccato che siamo in un luogo chiuso e non ho possibilità di fuggire.

«Niente.» gracchio e afferro il cellulare «Ma quanto cazzo ci mettono questi poveri idioti?» sì, dai, cerchiamo di cambiare l’argomento di conversazione.

«Davvero l’ultima persona che hai baciato è il tuo ex?»

Ma proprio non puoi far finta di non aver sentito? Di solito sei così indifferente a tutto.

«Credo che tu abbia sentito male.»

Seh, neghiamo.

«Non penso, dato che me lo hai strillato nell’orecchio.» obietta lui e sa che io so che ha ragione, ma riesco a tirare su un’encomiabile faccia di bronzo e scrollo le spalle.

«Avrai avuto un’allucinazione uditiva.» affermo sicura e lui ride e la mia faccia di bronzo diventa un po’ meno di bronzo e un po’ più di cartapesta.

«Non c’è nulla di cui vergognarsi, sai?» mi chiede, ma io sono così sconvolta dal vederlo ridere che mi mancano le parole, la saliva e tutto quello che potrebbe permettermi di elaborare una frase di senso compiuto.

«Infatti non mi vergogno!» replico stizzita e questo non fa altro che farlo sorridere di più – mi chiedo che ne abbia fatto delle emozioni in tutti quegli anni che l’ho conosciuto.

«Non mi sembra.» obietta.

«Perché non capisci un cazzo.» freccio piccata e lui perde subito la verve ironica a favore di uno sguardo più sarcastico.

«Diciamo che capisco più di quello che mostro.» commenta e mi chiedo cosa intenda dire. Il mio sguardo confuso deve valere più di una domanda dato che continua a parlare «Tu pensi che io sia un insensibile privo di emozioni, ma il fatto che io non mostri niente non significa che non capisca un cazzo.»

Mi ritrovo ad arrossire dopo che lo sento ripetere le mie stesse parole.

«Non intendevo dire proprio quello.» borbotto in imbarazzo.

«E cosa, di grazia?»

Di nuovo quel lato ironico.

«Non lo so.» mugugno in difficoltà e lui mi sorride, questa volta più dolcemente.

«Non volevo metterti in difficoltà. Credo sia carino il tuo modo di fare, e credo che sia normale che tu non abbia avuto altre occasioni da quando Tom ti ha tradita. Insomma, rifidarsi di un uomo dopo una cosa del genere non è facile.»

È normale che io mi senta rincuorata dalle sue parole? Perché in realtà credo che dovrei sentirmi ancora più in imbarazzo, ma invece mi chiedo come mai sia così gentile e comprensivo nei miei confronti.

«Non è quello.» sussurro, a disagio. Mi guarda incuriosito. «Cioè, l’ho superata la questione di Tom – per carità, l’ho maledetto così tanto che mi stupirebbe sapere che se la passa bene, ma alla fine me la sono messa via.»

«E allora qual è il problema?»

«Non ho un problema.» rispondo, ma non è realmente vero «Potrei rifidarmi di qualcuno, ma non c’è nessuno per cui valga la pena.» dico questo e scrollo le spalle minimizzando la cosa – in verità ci sarebbe qualcuno per cui varrebbe la pena, e quella persona è di fronte a me, ma cerco di non farglielo capire perché per quanto lo voglia risentire ridere vorrei evitare che sia nei miei confronti.

«Come dovrebbe essere un uomo per cui ne varrebbe la pena?»

Mi fa questa domanda e io entro in crisi. E ora che gli dico?

«Beh…» inizio incerta, cercando di pensare all’idea di uomo che vorrei avere al mio fianco «Una persona che mi conosce bene, con cui non devo ricominciare a spiegare tutto della mia vita, con cui sarebbe semplice stare insieme. Che capisca che non voglio passare ventiquattr’ore su ventiquattro con lui, ma è perché mi piace avere dei momenti per me e che non si prenda male per questo. Qualcuno che condivide la mia passione per i drive-in e i film trash, che sia sensibile e premuroso ma non soffocante. Che quando mi guarda riesca ad incendiarmi in un secondo.»

Nel momento esatto in cui finisco di parlare mi do della cretina.

Con che coraggio ho fatto un discorso del genere? Sapendo soprattutto che lui corrisponde alla maggior parte di quei criteri – anche se dubito fortemente che gli piacciano i film trash e il drive-in.

«Io adoro il drive-in e i film trash.»

Sì, e io sono la Madonna. Questa è di sicuro stata un’allucinazione uditiva causata dallo scarso ossigeno nell’ascensore.

Lo guardo e sono sicura di sembrare un pesce lesso.

«Davvero?» che frase di merda che mi è uscita.

«Sì.» afferma e mi sorride con quel sorriso che crea un minisistema solare e io ho le stesse reazioni di un incontro ravvicinato con il sole.

Che diavolo, perché adesso fa così? Perché proprio ora, quando non posso fuggire da nessuna parte e l’aria odora del suo stesso profumo e le sue labbra sono così invitanti che mi farei risucchiare anche l’anima molto volentieri?

«Ah-ah, bella battuta.» dico ironica e spero che questo possa smorzare la strana aria che si sta venendo a creare in questo cubicolo.

Lui mi osserva e il suo sguardo sembra possa oltrepassare la trama del tessuto del vestito. Divento bordeaux e sposto lo sguardo.

«Non è una battuta. Penso che abbiamo più cose in comune di quanto pensi.» afferma.

Io scrollo le spalle – sento l’acuto bisogno di muoversi per togliermi l’ansia di dosso.

«Io penso che tu non sappia granché di me.» dico con vago tono saccente e sono consapevole di trattarlo così solo perché mi sento in imbarazzo, non perché voglio davvero trattarlo male.

Daniel però non si scompone e punta i suoi occhi sui miei; ha la strana capacità di rendermi gelatina, ma come fa, mi chiedo.

«Invece penso di sapere varie cose.» afferma e fa un passo verso di me «So che mi stai rispondendo in questo modo perché sei in imbarazzo, so che hai una forte personalità ma con tuo fratello non riesci a reagire perché ti sembra di ritornare una ragazzina, so che odi i profumatori ambientali floreali perché ti fanno lacrimare gli occhi, che odi il cibo piccante ma che lo mangi lo stesso perché è il preferito di tua cognata, che amavi il pianoforte a coda dei tuoi nonni ma hai comunque deciso di venderlo per aiutare tuo fratello a pagare il matrimonio.»

Tace e mi osserva, mi rendo conto che si è fatto più vicino solo in questo momento ma dietro di me c’è solo la parete dell’ascensore.

«So che avevi una cotta per me per tutta l’adolescenza, ma non mi sono mai avvicinato a te perché tuo fratello mi aveva minacciato di morte, e so che anche ora sei attratta di me e che potrei corrispondere a tutte le tue idee descritte prima, e tu sai che mi corrispondono, e so anche che molto probabilmente hai la stessa voglia di baciarmi che ho io.»

Credo di aver perso definitivamente l’uso della parola.

E la causa è la sua vicinanza e la sua sicurezza che mi ha riversato addosso, riempiendomi le orecchie di fatti reali – aspetta, voglia di baciarmi?

«Hai davvero voglia di baciarmi?»

Sussurro e lui mi regala un altro di quei sorrisi che rendono la mia temperatura molto vicina a quella del sole.

«E tu?»

Vorrei potergli rispondere di sì, ma lui anticipa la mia risposta e mi bacia in un modo che potrei definire soltanto come travolgente.

Le sue mani che prima mi erano sembrate fresche ora sono così roventi mentre mi accarezzano la schiena lasciata nuda dal vestito, mentre mi sfiorano i riccioli biondi parzialmente tenuti da mille forcine brillanti.

Io non posso fare altro che appigliarmi a lui con più forza, lasciando che la sua bocca lambisca ripetutamente la mia, per poi scendere sul mio collo e torturarlo in maniera così piacevole che sento il mio sangue ribollire.

Sento le sue mani che dalle cosce risalgono più su, tra la stoffa del vestito, ed è inevitabile passargli le mani tra i capelli che sono così morbidi come non mi sarei mai immaginata.

Devo mordermi un labbro per trattenere un gemito e lui deve accorgersene, perché sento un sorriso premere sulla pelle sensibile del collo prima che ritorni a baciarmi con quella lingua così calda che mi viene naturale pensarla in altri lidi del mio corpo.

Sono così assorta in questi baci che il grugnito imbarazzato lo sento con qualche secondo di ritardo.

E ci stacchiamo come due magneti dello stesso segno, mentre la porta dell’ascensore è finalmente aperta e di fronte a noi, con l’aria scioccata e imbarazzata, troviamo i tecnici dell’ascensore e mio fratello – ha la bocca così aperta che mi chiedo se non gli possa entrare una mosca all’interno scambiandola per una finestra.

«Oh, finalmente!»

Non so da dove mi sia uscita questa totale nonchalance, ma osservo gli astanti con aria indifferente mentre mi rendo perfettamente conto di avere la bocca gonfia, il vestito leggermente sollevato e i capelli con qualche ciuffo fuori corso.

«Chloe…?» la voce di Andrew sembra provenire da un altro pianeta mentre sposta lo sguardo tra me e il suo migliore amico in un modo degno di una partita di tennis. 

La situazione sta raggiungendo vette che non immaginavo, ma i tecnici – due uomini sulla quarantina – intervengono cercando di fare finta di niente.

«Beh, state bene?» chiedono e io lancio un’occhiata a Daniel. Anche lui è leggermente scomposto – la camicia stropicciata, le labbra arrossate e i capelli sfatti. Noto con imbarazzo che la giacca è tenuta con attenzione di fronte al cavallo dei pantaloni e mi giro cosi velocemente che sento una calda fitta di dolore al collo.

«Alla grande.» dice lui e in un secondo è ritornato il solito Daniel dall’aria indecifrabile. Peccato che sia molto poco indecifrabile cosa stava succedendo dentro l’ascensore.

«Grazie dell’aiuto, ma faremo presente di questo increscioso incidente.» affermo gelida – o comunque all’apparenza, perché non è così poco freddo in mezzo alle mie gambe.

I tecnici annuiscono frettolosi e dopo appena un “arrivederci” fuggono. Sono tentata di richiamarli quando mi accorgo della situazione, ovvero di me, Daniele e Andrew che ci guardiamo l’un l’altro.

«Abbiamo fatto in fretta, no? Beh, io vado da Elise!» trillo innocente e riuscirei anche a fuggire se non fosse che Andrew mi placca con la sua stazza da giocatore di rugby.

«Tu.» dice gelido e si volta poi verso Danny «E tu.» tace e ci osserva.

«Che cazzo stavate facendo?»

Mi giro verso Daniel che osserva Andrew che osserva me.

«…controllandoci il cavo orale a vicenda?» abbozzo con un vago sorriso.

Un urlo inumano e la carica in avanti di Andrew mi fa capire che sì, il fatto che sia nata di venerdì diciassette mi segnerà per sempre a vita.

Beh, almeno però posso dire di non dover morire avendo dato il mio ultimo bacio al mio ex.

È sempre qualcosa, no?

 

 

  
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