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Autore: Master Chopper    02/07/2020    1 recensioni
[Shūmatsu no Valkyrie]
[Shūmatsu no Valkyrie]Per decidere le sorti dell'umanità, gli dèi di ogni pantheon si riuniscono e, disgraziatamente, la loro decisione è unanime: distruggere il genere umano. Una voce però si leva in opposizione, ed è quella di un dio misterioso di cui nessuno sa niente, ma che sfida dieci dèi ad affrontare dieci umani prima di poter accettare quel destino crudele.
Dieci esseri umani provenienti da qualsiasi epoca affronteranno dieci dèi provenienti da qualsiasi cultura: questo è il Ragnarok.
Genere: Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Chapter 25: British Ninja

Fenrir camminava nel giardino, simile ad un parco, con aria tesa.

L’aria era tiepida, riscaldata appena dalla luce del sole che riusciva a filtrare tra gli alberi, e che colpendo il selciato creava mosaici luminosi tra le ombre. Oltre agli alberi, siepi e cespugli fioriti decoravano quel luogo idilliaco di risposo, la cui esistenza era insospettabile all’interno del colosseo in cui si stava combattendo la più importante battaglia di sempre.

Il lupo svoltò l’angolo, raggiungendo infine uno spiazzo riempito solo da una panchina all’ombra di un melo. Un uomo vestito di nero, con il mantello ripiegato sul braccio, sedeva intento a leggere un libro. Il suo volto era coperto da una maschera bianca con un sorriso affilato, contornata da lunghi capelli neri mossi: il cappello che di solito indossava era appoggiato su di un ginocchio, smuovendosi appena quando l’uomo faceva dondolare la gamba.

“Ah!” Sussultò lui, abbassando il libro per non avere ostacoli tra il suo sguardo e Fenrir, appena apparso davanti a sé.  Il suo tono di voce si fece sornione, mentre riponeva al suo fianco il libro riportante la scritta in copertina: “The Rime of the Ancient Mariner”.

“Felice di conoscerti, buon… lupo.” La voce gli si ruppe per colpa di una risatina che proprio non poteva trattenere. “Scusami, davvero. È solo che, per quanto dicono le leggende popolari, quando si incontra un lupo non si fa in tempo nemmeno a salutarlo prima di venir mangiati.”

Ma il lupo argenteo non rispose a quella battuta, preferendo guardare con sguardo fermo e disinteressato l’uomo.

“Però so che ora come ora non vuoi divorarmi. Il nostro scontro è stato annunciato, ma in questi attimi di pausa che lo precedono non dobbiamo essere necessariamente nemici.”

La divinità finalmente schiuse le labbra: “Eseguirò i miei ordini quando mi spetterà farlo, esatto. Ma non ti ucciderò perché siamo nemici, o per odio …”

Guy Fawkes poggiò la testa sulla mano, guardando l’altro fisso per qualche secondo, prima di commentare: “Ma certo: tu mi ucciderai solo perché è tuo dovere farlo.” E, soffermandosi sullo sguardo così serio del lupo, non trattenne per la seconda volta un’altra risata.

“Cosa c’è di divertente?”

“O-oh, sai… in un certo senso mi rende più sollevato non dover combattere contro qualcuno che mi odi, o non mi reputi una specie di pidocchio al suo confronto. C’è del rispetto in tutto questo. Immagino infatti che se tu non mi rispettassi, ora non staresti qui a parlarmi.”

“Sollevato? Sai che stai per morire e ti senti sollevato solo perché non colgo già da ora l’occasione per eliminarti?”

“Certamente! Come potrei essere triste, sapendo che si terrà uno scontro leale? D’altronde non mi sarei dovuto aspettare altro da qualcuno del tuo rigore. Mi ricordo di quando non lasciasti intervenire Gilgamesh, nel primo round, e Charlotte mi ha raccontato del vostro incontro poco tempo fa.”

Stavolta il lupo decise di rimanere in silenzio, e così facendo lasciò che l’inglese si avvicinasse a lui durante la sua parlata incalzante.

“Mi fido della tua lealtà, Lupo del Ragnarok.” Disse infine, facendo vibrare la sua voce a contatto con la maschera.

“Dove vuoi andare a parare?”

“Dove voglio… andare?”

E, abbandonando il tono profondo di poco prima, Guy Fawkes si lasciò sfuggire un altro risolino squillante. Poi indicò con l’indice verso l’alto.

“La luna, mio caro!”

Fenrir inarcò un sopracciglio, ma non gli venne dato tempo di parlare.

“Durante tutti questi anni di evoluzione umana, gli uomini hanno costruito dei mezzi che potessero permettere loro di visitare i corpi celesti. Il cielo un tempo era territorio esclusivo degli dèi, ma ora… elicotteri, aerei, navicelle spaziali… cosa separa più l’uomo dal dio? Ad ulteriore dimostrazione del potenziale umano nettamente superiore a quello divino, ti consiglierei di ripensare agli scontri di Masutatsu Oyama, Vlad e Dante Alighieri!” Prendendosi una rapida pausa per respirare, Guy intrecciò le dita delle mani e se le portò sotto al mento.

“Scommetto che, proprio perché anche tu riconosci del potenziale in me, sei venuto fin qui.”

“No.” Rispose secco Fenrir, ora con una nota di agitazione nella sua voce. “Sono venuto fin qui perché mi ci ha condotto la puzza di polvere da sparo.”

“Ah. Sì.” Sbuffò l’inglese. “Certo, hai seguito la traccia fino a me perché dall’altra parte l’odore è stato camuffato.”

“Cosa?!”

Ma, prima ancora che la sua voce arrivasse alle orecchie di Guy Fawkes, il boato di un’esplosione sovrastò ogni suono. Colorando l’aria del colore del rame, una deflagrazione di calore inghiottì parte del colosseo esattamente alle spalle di Fenrir, proiettando la sua ombra su tutto il giardino.

A dirla tutta, non era solo la sua ombra a stagliarsi gigantesca: poco al di sopra c’era anche quella di Guy Fawkes, con la luce delle fiamme che gli bucava la maschera per imprimere sul suolo gli occhi e le labbra piegate in un sorriso.

Poco dopo il frusciare delle foglie, smosse dal vento, parevano un bisbiglio insignificante, dopo che le orecchie del lupo erano state assordate. Lo scoppio rimbombava ancora nelle sue ossa, e ad ogni battito il cuore gli ricordava quella potenza esplosiva.

Era rimasto immobile, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente dischiusa.

“Sarebbe orribile se qualcosa del genere coinvolgesse degli dèi, e non si limitasse solamente a far crollare una piccola area deserta.” La voce di Guy risuonò nell’assordante silenzio, quasi più forte ed improvvisa dell’esplosione stessa. In realtà aveva appena sussurrato, sportosi al fianco di Fenrir.

“Hai presente quando ho nominato Masutatsu, Vlad e Dante. Pensavo giusto che… se il loro potenziale è stato sufficiente a battere un dio in un duello leale, a parità d’armi… figurati cosa posso fare io, giocando sporco!”

Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi dileguarsi calandosi per bene il cappello sulla testa.

E mentre camminava via, lasciando il suo nuovo nemico paralizzato dallo shock alle proprie spalle, ripeté:

“Mi fido della tua lealtà, Fenrir!”

Per quanto il sole potesse splendere, e la luce perpetuare, le ombre si sarebbero sempre annidate appena oltre lo sguardo.

 

Poco dopo che il panico per quell’esplosione si fosse acquietato,  gli dèi e gli umani presenti nel colosseo vennero richiamati sugli spalti. L’evento era stato inaspettato ed ancora avvolto nel mistero, e persino gli dèi organizzatori avevano sembrato ritenerlo di poca importanza.

Ciò che più importava ormai, nelle fasi finali del Torneo del Ragnarok, era chi avrebbe combattuto e vinto il settimo match.

L’Arena del Valhalla stavolta presentava un campo di battaglia diverso dal solito: si trattava di una landa di terra brulla e scura, del colore del sangue rappreso, segnata da crepacci e scanalature. Qualche albero solitario, morto, si stagliava sotto un cielo nuvoloso e prossimo alla pioggia. Un fiume prosciugato attraversava il campo, mostrando sul suo letto pietre e altri detriti.

Ladies and gentlemen! Stiamo per assistere allo spareggio definitivo! Chi si aggiudicherà questo match si spingerà ancor più vicino alla conclusione! Lo strenuo testa a testa continuerà… o assisteremo ad una sequela di vittorie schiaccianti?!”

Nessuno avrebbe potuto le risposte a tutte quelle domande, ciò nonostante era inevitabile porsele, lasciandosi divorare dalla tensione e dalla trepidazione. Quel cielo cinereo sopra di tutto e tutti era la perfetta rappresentazione del tumultuoso stato d’animo di molti.

“Lasciamo adesso entrare l’avanguardia dell’umanità…”

Quando il portone dal lato degli umani si spalancò, un getto di fumo fuoriuscì impetuosamente, anticipando l’ingresso in scena di un uomo.

“Remember, remember the Fifth of November: The Gunpowder Treason and Plot. I see of no reason, why Gunpowder Treason should ever be forgot... quando in quel cinque di Novembre 1605 lo trovarono nei sotterranei del Parlamento inglese, non avrebbero mai immaginato che potesse esistere davvero un uomo con un piano così diabolico!”

Nel silenzio, il mascherato si fermò. Con un piede in avanti ed un altro allineato con il proprio bacino, si inchinò sfilandosi il cappello.

“Un folle cospiratore che voleva cambiare il suo paese… distruggendolo! Colui che pianifica tra le ombre, alla luce di una candela… dietro la sua maschera di machiavellico genio!”

“Il Congiurato delle Polveri… Guy Fawkes!”

Quando la folla umana ruggì alle sue spalle, e solo allora, Guy si sollevò da quello scomodo quanto formale inchino. Riaggiustandosi il cappello a larghe falde sulla testa, si voltò appena per portare un occhio ai suoi sostenitori.

 

“Mentre dal lato delle divinità… !”

All’apertura del portale, un rumore vibrante scosse l’aria e la terra. Tutto tremava, seppur quasi impercettibilmente, ma non sembrava affatto opera di una scossa sismica: era un suono melodico, ma che faceva oscillare l’atmosfera stessa, distorcendo lo spazio nella sua intensità.

“La bestia più forte mai nata! Né il cielo, né la terra hanno potuto vincolare il suo potere!”

Quattro occhi si accesero nel buio, appartenenti a due grosse sagome. Erano animali quadrupedi, ma più grossi di qualsiasi mammifero esistente.

Orecchie appuntite, code pelose, lunghi musi muniti di zanne e zampe artigliate.

“Sono… lupi?!” Si domandarono gli umani, che tuttavia mai avevano visto lupi così grossi.

Quelle apparizioni, tuttavia, si rivelarono in realtà essere due giovani che si fermarono ai lati del portone.

Skǫll e Hati, i due lupi che inseguivano rispettivamente il sole e la luna, non avanzarono. Il loro compito era soltanto quello di annunciare colui che stava emettendo quell’ululato: il loro padre.

“Portatore di morte e distruzione, temuto anche dalle divinità più potenti. Un giorno, tutti lo sapevano, che sarebbe giunto proprio qui, allo scontro finale, al capolinea della storia!”

Quando il suono cessò, tutti poterono udire dei tonfi ben distinti. Pesanti zampe crepavano il suolo, sostenendo una mole infinitamente più grande di quella dei due lupi.

Infatti, se loro erano più grandi di qualsiasi mammifero non estinto, il terzo lupo che ora emergeva dalle ombre era senza dubbio più grande di qualsiasi mammifero che mai avesse solcato la Terra, e quindi di un mammuth.

 Un colosso nella stazza, con due fauci spalancate dalle quali sgorgano stille di saliva sanguinosa e schiumosa. Semplicemente intravedere quella demonica figura nell’oscurità bastò ad iniettare terrore puro sia tra umani che tra gli dèi, perché la creatura che emergeva dalle tenebre era l’incarnazione di una furia che non aveva ostacoli.

“Il Lupo del Ragnarok…”

Ed infine uscì lui: capelli argentei, completo blu scuro segnato da graffi e segni di unghiate, ed una sciarpa di catene che gli cingeva il collo e la bocca. Occhi quasi vitrei per quanto erano limpidi e luminosi, squadravano silenziosamente il campo di battaglia.

“… Fenrir !”

Dopo che il settimo combattente divino fu entrato nell’arena, gli dèi sembrarono riottenere la compostezza necessaria per non essere più bloccati dalla paura. Anzi, la forza che trapelava dal Lupo del Ragnarok era diventata per loro motivo di vanto ed esultanza.

“Forza! Sovraintendente alla sicurezza!”

“Distruggi quel patetico umano!”

Ma, per quanto lo acclamassero, Fenrir rimase del tutto indifferente a quelle lodi. Il suo sguardo era l’espressione perfetta della sua anima, fredda come un ghiacciaio e più oscura di una notte senza luna.

“Vinci, papà!” Gli dissero i suoi figli, salutandolo con una pacca sulla spalla “Ce la farai senz’altro!”

E quand’anche i giovani lupi lo ebbero lasciato solo, lui non si scompose, né aprì bocca per parlare.

“Il Ragnarok… ha inizio!” E seguiti dall’esultanza della folla, gli annunciatori diedero il via al settimo incontro.

 

Ciò nonostante, a differenza dei precedenti scontri iniziati nella foga e nel sangue, nessuno dei due combattenti si mosse di un millimetro. Uno strano vento lugubre soffiava sulla terra marcescente.

“Cosa? Che succede? Perché non si muovono?” Si domandarono tra gli spalti, esterrefatti da quell’insolito inizio.

Guy Fawkes e Fenrir parevano due statue, ognuno al proprio posto, e non accennavano a muoversi per quanto il tempo scorresse.

“Ma è ovvio! Come fate a non averlo ancora capito?” Tuonò una voce massiccia, proveniente da un corpo altrettanto gigantesco. “Il mio fratellino sa bene che potrebbe concludere la battaglia con un solo colpo, così sta scegliendo accuratamente la sua finisher move!”

Dal busto in su era umanoide, un ragazzo con una felpa verde chiaro aperta su di una maglietta color verdone, dai capelli rossi spinati e con due occhi di serpe gialli. Altre particolarità erano la pelle solcata da scaglie da rettile, quattro denti così aguzzi e lunghi da sporgere dalla bocca, assieme ad una lingua biforcuta ogni volta che parlava, ed il resto del suo corpo: al posto delle gambe cresceva un colossale corpo verde e squamoso, così lungo da srotolarsi fin su le tribune ed uscire dallo stadio. Però quella coda rispuntava accanto al punto in cui scavalcava le mura del colosseo, ritornando sotto il braccio del proprietario, arrotolata come una corda.

“D-Davvero?!” Esclamò Hati, con gli occhi spalancati dall’entusiasmo. Suo fratello Skǫll gli rispose con un ghigno: “Ma certo che sì! È di nostro padre di cui stiamo parlando, dopo tutto!” Dopodiché sollevò lo sguardo verso la creatura immensa che aveva parlato prima, la quale ora aveva attirato l’attenzione di gran parte degli dèi.

“Giusto, zio?”

Jormungandr, il serpente del mondo, così mastodontico da poter circondare la terra e le acque, faceva il tifo per suo fratello Fenrir senza alcuna ombra di dubbio.

“Fidatevi di me, ragazzi! Qui attorno non c’è un dio che possa dubitare della sua potenza!” E sibilando, guardò con superiorità tutte le divinità che avevano improvvisamente distolto lo sguardo da lui.

La paura che instillava quella stirpe mostruosa era tale da pietrificare qualsiasi dio: non per altro Fenrir era stato scelto come sovraintendente alla sicurezza.

“Piuttosto… mi chiedo perché nostra sorella Hel non sia qui a vederlo combattere…”

 

Intanto, all’interno del campo di battaglia, la figura di Fenrir agli occhi di Guy Fawkes non appariva affatto come il mitico e terribile spauracchio che tutti temevano.

-A…ah…- L’uomo avrebbe voluto scoppiare a ridere, ma si trattenne. Il motivo della sua contenuta euforia era un’isterica esasperazione dalla quale era appena uscito, dopo tutto quel silenzio e quell’attesa.

Fenrir non lo aveva attaccato, per tanto lui era vivo.

-E se Fenrir non mi attacca…- Chinò il capo, proiettando un’ombra sulla sua maschera che ne lasciò scoperto solo il sorriso dipinto. -…vuol dire che tutto sta andando secondo i piani!-

 

Quando dopo l’esplosione si era sporto all’orecchio di Fenrir, aveva sussurrato queste parole:

“Ucciderti per me non è indispensabile, perciò se regaliamo al pubblico uno spettacolo quantomeno decente in cui tu perdi e ti arrendi, saremo tutti contenti. E sai chi sarà ancor più contento di non saltare in aria per mano di una Sefirot? Tutti gli altri dèi qui radunati.”

 

Proprio al contrario della bestia mitologica, ora il Lupo del Ragnarok era alla strenua di un cagnolino spaventato che tremava con la coda tra le gambe. Questo, lassù negli spalti, non avrebbero nemmeno lontanamente potuto immaginarselo, e per tanto, nessuno si sarebbe accorto che qualcosa non quadrava nell’atteggiamento di Fenrir.

 

“Quel Guy Fawkes…” Ed invece, proprio qualcuno tra le tribune degli umani stava ora guardando il campo di battaglia con sospetto. “… sta tramando qualcosa.”

Si trattava di Robert Cecil, maestro delle spie nell’Inghilterra di Re James I. Chi meglio di lui poteva conoscere quell’attentatore, dato che  era suo il merito di aver scongiurato l’attacco al Parlamento.

Anche un altro suo connazionale osservava la scena: una presenza capace di spiazzare gli altri esseri umani più vicini, in quanto niente meno che il più grande drammaturgo di sempre, William Shakespeare. Tuttavia, per quanto in vita fosse conosciuto per il suo carattere goliardico, al momento ribolliva in una silenziosa rabbia, capace di rendere il suo volto scuro come la notte.

 

Intanto Guy Fawkes tirò un profondo sospiro di sollievo, placando il tumultuoso battito del suo cuore.

“For whom the bell tolls?” Sussurrò a denti stretti, mentre con uno scatto delle braccia sollevò il mantello, prima adagiato lungo i suoi fianchi. Così rivelò delle fondine, dalle quali estrasse una coppia di coltelli che tenne stretti tra le dita.

E scagliandoli in avanti, proclamò: Thou must die!”

Lo sguardo di Fenrir non mutò minimamente, imperscrutabile come sempre, neppure quando in uno dei suoi occhi tanto glaciali si conficcò proprio un coltello. L’altro invece aveva mirato al cuore, e lì trafisse la giacca fino a raggiungere la carne.

Gli dèi trasalirono, ma non era finita lì: un’altra pioggia di coltelli si abbatté sul lupo, tramutandolo in un puntaspilli.

“Guy Fawkes ha colpito Fenrir senza lasciargli scampo!” Strepitarono gli annunciatori, anch’essi increduli per via dell’assurdità di quella scena. Ogni aspettativa si era ribaltata di colpo, infrangendo la cieca fiducia che le divinità riponevano nella loro avanguardia.

“Fenrir!” Persino Jormungandr sobbalzò, assieme ai due nipoti: “Papà!”

Nell’arena, i due combattenti avevano di nuovo smesso di muoversi, tornando alla loro condizione di statue.

Ora il vento faceva svolazzare di lato il mantello dell’inglese, dando l’impressione che avesse una singola ala nera allungata verso l’alto.

“Questa…” Una voce interruppe il silenzio “… non è la tua Arma.”

Guy Fawkes guardò incuriosito l’espressione vagamente basita di Fenrir, che ora aveva spalancato il suo unico occhio per la sorpresa.

“Già… perdonami lo scherzo.” Ammise infine l’uomo, sinceramente pentito.

Lentamente, a trucco svelato, i coltelli si staccarono dal corpo di Fenrir senza aver davvero lacerato la sua carne: le loro lame si erano piegate come se fossero state di carta.

E mentre gli dèi rimanevano ancor di più stupiti, insistette: “Ma… lo sapevi già? Oppure hai voluto rischiare?”

A quella domanda il Lupo del Ragnarok reagì in modo del tutto nuovo: inclinando la testa di lato e sollevando le spalle, inarcò le sopracciglia per assumere un’espressione innocente.

“Non mi sono mosso perché non ne avevo voglia.”

Qualcosa in Guy Fawkes si infranse, per poi esplodere in una miriade di frammenti. L’uomo ripiombò di colpo nell’abisso di incertezze di prima, in cui tutto era scuro e nulla era certo.

-Non vuole stare ai patti?!- Lo aveva realizzato solo dopo quella reazione.

Il comportamento di Fenrir non era stato dettato dalla paura, bensì dalla noia: non lo aveva attaccato solo perché non ne aveva voglia. Persino in quel momento però la sua espressione poteva significargli qualsiasi cosa, ma celare in realtà un’intenzione del tutto diversa.

Per quella bestia, terminare o meno una vita di qualcun altro era una questione di voglia.

-O forse mi ha illuso per poi fregarmi?- Anche se avrebbe voluto concentrarsi su altro, questa domanda inevitabilmente sfrecciò nella mente di Guy Fawkes: -Mi trovo davvero di fronte ad un essere tanto crudele?-

Iniziava finalmente a percepire anch’egli ciò che vedevano tutti, ovvero la reale natura di Fenrir.

 

E dopo quella triviale conversazione, il lupo compì qualcosa di altrettanto indifferente per lui:

“Lœðingr!”

 Un capo della catena che formava la sua sciarpa si mosse in completa autonomia, sfrecciando in avanti.

“Fenrir sta… attaccando!” Gridò Adramelech, osservando quel lampo d’acciaio che fendeva l’aria.

Guy Fawkes ne rimase impressionato quanto tutti gli altri, perché non avrebbe mai immaginato che in battaglia Fenrir avrebbe utilizzato una simile mossa; tuttavia, siccome era già in stato di allerta da diverso tempo, ebbe la prontezza di riflessi per schivare.

“Ma Guy Wakes evita l’attacco!” Proseguì St.Peter “O… quasi?!”

Effettivamente, come si poté notare, la catena mancò il bersaglio, tuttavia proseguì lungo il suo percorso. Non avendo apparentemente fine, senza rallentare continuò a srotolarsi in avanti, per poi curvare in volo e ridirigersi verso dov’era appena atterrato il suo bersaglio.

“Un attacco che non dà tregua, ladies and gentlemen!”

 

“Una catena?! Che razza di stile di combattimento è?” Si domandavano intanto gli umani, terrorizzati da quell’attacco a ricerca che dava la caccia a Guy Fawkes. Videro la loro avanguardia saltare in ogni direzione, correre ed evitare all’ultimo secondo, ma la catena Lœðingr non interrompeva il suo inseguimento.

“Già… chi mai potrebbe pensare a qualcosa del genere?” Sibilò beffardo Jormungandr, che era tornato a sorridere ora che il fratello aveva fatto la sua prima mossa.

“Quando gli dèi provarono ad intrappolare Fenrir con tutte le catene che avevano a disposizione, riuscirono a bloccarlo soltanto al terzo tentativo, ovvero con la catena Gleipnir. Quel folle però, quando venne liberato, chiese soltanto una cosa: di tenere con sé le catene che erano state usate su di lui! In questo modo ha sviluppato una tecnica di combattimento con delle catene fatte per sottomettere persino un dio!”

I figli del lupo ascoltarono quel racconto con la meraviglia negli occhi, fin quando non vennero distratti da un particolare che prima non avevano notato: “Ma zio Jorm, allora… se sta usando Lœðingr per attaccare… che catena è quella lì?”

E a quella domanda persino Jormungandr non seppe dare risposta, ed anzi, rimase ugualmente stupito da ciò che gli era stato fatto notare: sulla schiena di Fenrir era assicurato un involucro di catene, simile ad un gigantesco bozzolo, o una crisalide.

-Non ne ho la benché minima idea… ma se è un’altra delle sue assurde strategie, forse nessuno al mondo potrebbe capirlo.-

 

Per quanto Guy Fawkes avesse gli occhi puntati sulla catena, e riuscisse a vederla perfettamente persino alla velocità con la quale si muoveva, un sentore disturbante gli ghiacciò il sangue nelle vene.

-Sta accelerando!- Comprese che Fenrir stesse mostrando appena una parte del suo reale potere.

Un lupo non balza sulla sua preda dopo la prima occhiata: la può inseguire per giorni, attrarla in un territorio in cui è avvantaggiato, e dopo che è stata sfiancata la colpisce brutalmente.

-Non posso finire così!-

Ma per quanto un uomo possa sperare, e correre superando i propri limiti alimentato dall’adrenalina, non può evitare l’inevitabile. Prima ancora che lo vedesse, Guy percepì il dolore: una fitta al centro del petto.

Dove mirano i tiratori più esperti: il centro di massa del corpo umano, il plesso solare, apparentemente meno letale della testa, ma in realtà così vicino agli organi vitali e alla spina dorsale da conferire quasi sicuramente un colpo mortale.

La catena aveva perforato il suo corpo come uno spiedo, mentre il suo mantello nero, ora non più svolazzante, si era attaccato alla sua schiena. Gocce di sangue scorrevano al suolo, trascinate fuori da quella catena che continuava a fluire dentro la sua ferita come un treno in una galleria.  Dopo un po’ si arrestò, avendo fermato un percorso nell’aria che ricopriva gran parte dell’arena, collegando i due combattenti.

Non era il filo rosso del destino a legarli, bensì un laccio di ferro rosso di sangue.

 

-Che ironia.- Pensò l’uomo, mentre veniva prosciugato della sua energia vitale con quel colpo secco.

“Guy…”

-Eh?-

“Guy!”

 

“Guy!”

Sua madre lo aveva richiamato mentre giocava con i suoi amici. Nei suoi occhi c’era preoccupazione, e lanciava sguardi inquieti a destra e manca, tuttavia quando vide arrivare il suo bambino si sforzò di sorridere dolcemente.

“Non giocare con quei bambini.” Gli disse, passandogli sui capelli un panno bagnato, finendo poi per accarezzargli la testa. “Sono protestanti… e non vedrebbero bene la gente come noi, se scoprissero chi siamo in realtà.”

Erano gli anni settanta del millecinquecento, ovvero un periodo che per i cattolici inglesi corrispondeva all’inferno in terra. Dopo che la regina Elisabetta Prima, nel 1558 aveva ordinato che tutti i cittadini inglesi si convertissero al protestantesimo, tutti i cattolici erano considerati nemici della corona e degni di venir perseguitati.

Edith Fawkes, madre di Guy, era una cattolica convertita per volontà del marito, affinché non venisse arrestata o peggio. Tuttavia, la donna non aveva mai smesso di considerarsi cattolica, e di riflesso era fermamente convinta che anche suo figlio lo fosse: con qualcun altro con cui condividere quel gravoso sacrificio, si sentiva meno sola e più devota a quella specie di martirio.

Tuttavia al piccolo Guy importava ben poco delle questioni religiose che laceravano e facevano soffrire il suo paese, come ci si aspetterebbe da un bambino. Trovava sempre qualcosa di mistico nelle preghiere e nelle parole devote della madre, ma restavano nient’altro che scongiuri magici alle sue orecchie, senza far vibrare alcuna corda nel suo cuore.

“Tu promettimi che crederai sempre in Dio, Guy…” Gli disse la donna, guardandolo negli occhi con così tanta intensità da commuoversi. “Ti prego… a qualsiasi costo… per il bene superiore.”

Il bene superiore.

Due parole che Guy non comprese mai, per quanto gli venissero ripetute costantemente. Secondo sua madre, qualsiasi cosa accadesse nel mondo, e qualsiasi azione degli uomini, andava ricondotta alla volontà di un essere superiore, dagli intenti inafferrabili e per questo molto più elevato dei comuni umani.

Solo raramente qualche essere umano poteva cogliere parte di quel volere, ed interpretarlo per dare insegnamento al prossimo. Quelle persone erano speciali, e venivano chiamati in molti modi: santi, messia, profeti, salvatori. Secondo Edith, ogni cattolico inglese che proteggeva la sua vera fede era degno di questi titoli, per il grande sacrificio che stavano compiendo.

Ma a Guy non interessavano queste faccende aldilà della vita terrena.

Proprio per questo motivo prestò poco interesse alle parole dette durante il funerale del padre, nel 1579, limitandosi ad assistere alla cerimonia con fare annoiato, così come suo madre.

Qualche anno più tardi però la donna si risposò, e a detta sua: “Con un uomo che poteva imbrigliare le sorti del destino”. Un altro modo per chiamare quegli individui elevati, ed insomma, un altro cattolico che nascondeva la sua vera religione.

Però effettivamente quest’uomo era diverso, e per quanto poco potesse interessare al piccolo Guy, sentì che lui era qualcuno deciso a ribaltare il regno, e l’oppressione protestante della regina Elisabetta: un uomo chiamato cospiratore.

Sapeva quasi nulla di lui, eppure ogni tanto, nel cuore della notte, gli era capitato di sbirciare nel tabernacolo di casa. Il suo nuovo padre sedeva assieme ad altri uomini attorno ad una croce, illuminati solo dalla luce delle candele. Un’atmosfera che non aveva nulla a che fare con il religioso permeava quelle sedute, e la tensione palpabile nell’aria lasciava presagire la pericolosità di tutto ciò.

Capitava così spesso che quegli uomini facessero loro visita, che Guy divenne amico con un altro ragazzo, figlio di cospiratori: Robert Catesby. Il piccolo Robert gli teneva compagnia durante quei lunghi giorni in cui i loro genitori erano impegnati, parlando del più e del meno e giocando come ragazzini.

Eppure il ragazzo sembrava più informato di Guy riguardo le questioni trattate durante le sedute:

“Sai, la famiglia Shakespeare di Straford, anch’essa cattolica, ha iniziato a scrivere a mio padre. Probabilmente ci verranno a fare visita anche loro, un giorno. Così saremo ancor più cattolici.”

-Contro un intero regno di protestanti.- Avrebbe voluto ribadire Guy, ma non volle essere troppo cinico. Dopotutto era un bambino, ed era già tanto che una chiacchiera sulla solita faccenda che gli rimbombava nelle orecchie da che era nato, avesse catturato la sua attenzione.

Tuttavia, distraendosi a parlare, il ragazzino scoprì di essersi spinto in un angolo della casa che mai aveva visitato. Era lo studio del suo nuovo padre, un luogo in cui gli era stato proibito l’accesso sin dal suo trasferimento.

Si guardò attorno, e trovando nient’altro che lo sguardo ugualmente curioso di Robert, gli fece cenno di entrare senza far rumore. Una volta lì dentro, poterono trovare una stanza buia, siccome le finestre erano chiuse ermeticamente dall’interno. Solo un tavolo era illuminato da una candela, rivelando diverse lettere e carte sparpagliate o ammassate.

Pareva che diversi libri formassero colonne in giro sul pavimento, rendendo l’esplorazione abbastanza impervia. Così Guy scelse di afferrare la candela dal suo piattino ed usarla per farsi luce.

Voltandosi, gli apparve davanti agli occhi qualcosa che non aveva mai visto prima, e che simbolicamente aveva sottratto dall’oscurità per portarla alla sua conoscenza. Si trattava di un barile senza coperchio, dentro il quale si poteva quindi intravedere una specie di polvere granulosa, più scura dei chicchi di caffè.

Sul barile era riportata la scritta: “Gunpowder”.

Prima ancora che lo stupore di Guy avesse fine, o che Robert potesse metterlo in guardia, una goccia di cera incandescente scivolò verso il basso. Quella singola stilla bianca e ardente, chi mai l’avrebbe immaginato, non appena entrò a contatto con il contenuto del barile si trasformò in luce.

Tutto era diventato luce abbagliante, come quella di cui Guy aveva sentito parlare nei racconti religiosi di sua madre. Una luce che investì tutto, persino il suono: un boato fragoroso che fece tremare le fondamenta della casa, tranne che per due muri nello studio, dato che erano stati abbattuti seduta stante.

Allarmati più che mai, tutti coloro radunati in quella proprietà corsero verso le macerie della stanza. Robert Catersby venne tratto in salvo dal padre, nonostante si fosse tenuto abbastanza lontano dal barile per essere rimasto intoccato dall’esplosione.

“Guy!!” Strillò invece Edith, richiamando disperatamente quel figlio che non vedeva più.

Cercò ovunque, tra le macerie ed i detriti, e persino tra quelle poche fiamme che ormai si stavano estinguendo in fretta. Quando anche il suo nuovo marito lo aveva cercato in ogni dove, insieme porsero lo sguardo verso il cortile esterno che ora l’assente muro mostrava.

Trovarono lì, disteso a faccia in su come un angelo della neve tra la cenere e la terra, un bambino ricoperto di nero ma con un sorriso smagliante in volto.

Un qualsiasi essere umano, a così poca distanza da un’esplosione di quel genere, sarebbe potuto diventare cieco, sordo, o come minimo riportare ustioni e danni irreparabili. Tuttavia, a differenza della credenza popolare, un’esplosione non è mai uguale ad un’altra, e ciò non riguarda la sua intensità o potenza. Si tratta della sua deflagrazione: esattamente com’è imprevedibile la danza di una fiamma, allo stesso modo lo scoppio di un esplosivo può assumere qualsiasi particolarissima forma.

E, nel caso più unico che raro di Guy, ciò che lo investì fu solo l’onda d’urto, proiettandolo all’indietro prima ancora che le fiamme divampassero.

Quel bambino si sollevò di scatto, mettendosi seduto per guardare in faccia i suoi genitori.

“Mamma!” Urlò, con un’energia che gli straripava dai polmoni fino alla bocca, sempre più contratta per la contentezza.

“L’ho visto! Finalmente l’ho visto: il bene superiore!”

E così, quel giorno, Guy Fawkes aveva trovato il dio nell’esplosione.

 

“E così anche la tua vita è legata a qualcosa come un’esplosione?!” Quando sentì questa storia, l’uomo non poté trattenersi dal sogghignare, per poi scoppiare a ridere battendosi una mano sulle gambe.

Guy gongolò appena, per poi cercare di non apparire troppo indiscreto: “Ma no! Non oserei mai dire che lo scopo della mia vita è pari al suo, sir…”

Parlando a tu per tu, anche se con una distanza dettata dal rispetto e dall’ammirazione, l’uomo si era appena confidato con un altro condottiero dell’umanità: Masutatsu Oyama.

“Nonostane siamo entrambi uomini che sanno cosa voglia dire uccidere un’esplosione, ciò che è riuscito lei durante il primo scontro di questo torneo è…” L’inglese si sentì così insignificante anche solo a ricordare l’esito della battaglia che aveva visto vincitore Masutatsu .

Per quanto nella sua vita fosse rimasto affascinato dalle esplosioni come lo è un devoto verso il suo dio, ciò che era stato prodotto dai pugni di quell’uomo incredibile era stato un vero e proprio spettacolo senza paragoni.

Il karateka si prese il mento tra le dita di una mano, assumendo una posa pensierosa.

“Bhe, avrai anche ragione tu… io e te siamo diversi, e quel tipo di esplosione… non fa per te. Tu sei un codardo!” Dopo aver detto parole tanto schiette, ed essersi accorto di quanto avesse fatto precipitare l’umore dell’inglese, Mas scosse le mani in avanti con fare impacciato.

“Ehi, ehi! Aspetta!” Una volta riottenuta l’attenzione di Guy, senza che si demoralizzasse troppo, continuò:

“Non il codardo di tipo cattivo, ma del tipo… ninja!”

“Ninja?”

“Non conosci i ninja?!”

Masutatsu Oyama proseguì dunque ad introdurre quell’uomo più vecchio di lui di diverse centinaia di anni, ad un mondo che in vita non avrebbe nemmeno potuto immaginare.

 

Il Kayakujutsu è uno stile di combattimento adottato dai ninja, il cui nome significa “Arte della polvere da sparo”, che comprende varie tecniche adottanti l’uso di esplosivi di ogni genere.

Gli scopi possono essere distrarre, confondere, accecare e ovviamente ferire. Il fuoco, elemento primario e primordiale che l’uomo conosce sin dai suoi primi passi sulla terra, unito ad una polvere nera, può generare un’infinità di eventi, come infinite sono le rifrazioni della luce che danno vita ai colori.

 

 Pur non essendo nato conoscendo quei miti di prestigiosi maestri dell’inganno, quell’uomo che aveva quasi rovesciato il proprio regno, aveva appreso quante più nozioni possibili per prepararsi allo scontro.

Così, nonostante fosse stato trafitto da quella specie di lancia, rimase fermo in piedi e non si piegò. Dopodiché allargò le spalle, distendendo le braccia verso l’alto per formare una “U” sopra la sua testa.

“Cosa?!” Sussultarono gli annunciatori “Guy Fawkes è ancora in piedi dopo quell’attacco! Ed anzi… si sta preparando a fare… qualcosa!”

Neppure Fenrir seppe immaginare quale attacco sarebbe potuto scaturire, soprattutto perché era stato colto alla sprovvista dall’energia vitale dell’uomo, che francamente aveva già dato per spacciato.

Il secondo dopo Guy abbassò le braccia di scatto, serrando le mani attorno alla catena che gli sporgeva dal petto per schiacciarla in mezzo ai suoi palmi. Tuttavia, al posto dello schioppo che ci si sarebbe aspettato da un battito di mani, seguì un rumore del tutto diverso: rimbombante, vibrante, altissimo e al contempo profondo.

Un’esplosione.

Fumo grigiastro si sollevò dal corpo dell’inglese, laddove ormai la catena Lœðingr era piombata ai suoi piedi.

Il Lupo del Ragnarok, che fino ad allora non aveva alterato la sua espressione stoica per nulla al mondo, ora si era incupito. I suoi occhi erano incorniciati da un’ombra scura, rendendo la sua anima ancor più impenetrabile, perché avvolta dall’oscurità.

Ma, per quanto stesse terrorizzando diversi umani e dèi, la maggior parte delle attenzioni si erano concentrate su Guy Fawkes.

-L’esplosione è un’arte nobile… ma io sono un vile!- La sua maschera rappresentò perfettamente il sorriso, nonostante da sotto i baffi stessero iniziando a scorrere dei fili di sangue.

-Ma cosa importa chi io sia in realtà? La storia ha pur sempre bisogno di un motore che la faccia andare avanti… una miccia che vada accesa da qualcuno che non ha paura dell’esplosione che ne seguirà… quindi la provenienza della mano che aziona il meccanismo è del tutto iniqua.-

Riprese il cappello che gli era caduto durante il colpo, calandoselo sulla testa per incorniciare ancora una volta quel sorriso macchiato di rosso.

-Ed ora mostrerò agli umani un mondo in cui un dio può essere ucciso… anche da un vile come me!-

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Scusate il ritardo, a cui certamente non siete abituati, ma solo ora sono libero da tutti quegli impegni che mi hanno fatto ritardare la continuazione della storia.

Avviso che da ora in poi non ho altri capitoli già pronti, quindi scriverò ed aggiornerò senza poter davvero accumulare niente. Forse in futuro ci saranno altri ritardi nella pubblicazione, ma ormai stiamo raggiungendo il finale, quindi stringete i denti!

   
 
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