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Autore: Lisaralin    02/07/2020    5 recensioni
"One single master equation, unification of the great and small."
(The Theory of Everything, Ayreon)
L'ambizioso apprendista di Radiant Garden, il Freddo Accademico dell'Organizzazione XIII, lo scienziato in cerca di redenzione. La raccolta definitiva sul personaggio più figo di tutto Kingdom Hearts, nonché vero eroe morale e materiale di Kingdom Hearts III.
[Even/Vexen + apprendisti, Organizzazione XIII, personaggi Disney e Final Fantasy (anche non apparsi nella saga) | Coppie varie e non canoniche]
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Organizzazione XIII, Vexen
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più contesti
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Questa storia partecipa al contest per i dieci anni del XIII Order Forum, ed è ambientata durante Kingdom Hearts III.
Nell’introduzione alla storia precedente avevo scritto che Re:Mind non aveva sconvolto nulla di ciò che avevo scritto, ma in realtà ciò non è esatto: mi sono accorta che in Romance Addiction Even diceva che la Replica usata per Naminé era rimasta per ore nel Keyblade Graveyard durante la battaglia tra i Sette e i Tredici, mentre invece in Re:Mind scopriamo che Demyx è andata a prenderla subito dopo il combattimento tra Riku e Repliku, e l’ha portata immediatamente a Radiant Garden. E’ una piccolezza, ma mi piace essere precisa!
In tutto ciò hanno annunciato Kingdom Hearts: Melody of Memory e pare che nel trailer compaiano Even, Ienzo e Ansem il Saggio! Oh yes!



 

#101 - The Martyr

 


I rumori della battaglia non arrivavano fin lassù. L’ululato del vento era assordante, risucchiava suoni e manciate di sabbia nel suo vortice senza fine. Sul Cimitero dei Keyblade stava calando lentamente la notte, ma persino dalla sua postazione elevata Vexen riusciva a scorgere nel cielo soltanto un debole alone perlaceo, unico segno che tradiva la presenza della gigantesca sagoma di Kingdom Hearts dietro la spessa coltre di nubi. Cielo e terra erano annegati in un’atmosfera livida, sospesa.
Lo scienziato si era tirato su il cappuccio per proteggere il viso dalle folate, e aspettava. Le sue dita, incapaci di rimanere oziose troppo a lungo, tormentavano senza sosta la stoffa pesante della tunica dell’Organizzazione.
A intervalli regolari provava a gettare lo sguardo verso il terreno, ma da quell’altezza non c’era modo di capire chi stesse vincendo. Gli occasionali lampi di Thundaga oltre le pareti aguzze di un canyon a sud lo informarono che probabilmente Larxene si era unita alla battaglia, e un paio di volte fu quasi certo di aver intravisto gli inconfondibili proiettili color ametista di Xigbar saettare tra le guglie del Cimitero.
Non richiesto, il ghigno guercio di Braig lampeggiò nel buio dietro le sue palpebre. Per un istante il fruscio della sabbia portata dal vento gli ricordò il raspare beffardo della voce del n. II: ronzava accanto al suo orecchio come una zanzara fastidiosa, grassa del sangue rubato alle sue vittime. Lo derideva, ricordandogli il destino dei traditori dell’Organizzazione. In un moto di stizza lo scienziato sfregò a terra la punta dello stivale, facendo volare una manciata di sassolini oltre il bordo della piattaforma rocciosa. Vennero inghiottiti da una nube gravida di sabbia, e non li vide toccare terra.
Si era chiesto varie volte perché Xehanort si ostinasse a far riunire i suoi Tredici sulla cima di quei sottili pinnacoli rocciosi, in piedi tra folate di vento e ogni genere di intemperie. Il vecchio Maestro aveva qualcosa del teatrante nella gestualità e nei modi, perciò forse riusciva ad apprezzare i meriti scenici di quel luogo singolare. Dal canto suo, Vexen rimpiangeva i tempi della vecchia Organizzazione, quando almeno avevano diritto a una comoda stanza al chiuso e a pratici sedili dotati di schienale.
Non che la cosa importasse granché, a quel punto. Lo scontro tra i Sette e i Tredici stava per giungere al culmine e, chiunque ne uscisse vincitore, le riunioni tra i membri dell’Organizzazione erano ufficialmente giunte al termine.
Il trillo acuto proveniente dalla sua tasca gli strappò un sussulto, facendolo riemergere dai suoi pensieri. Imprecando si affrettò ad estrarre il Gummiphone, che ora strombazzava ai quattro venti un’odiosa marcetta da Castello Disney vibrando con l'insistenza di una bomba in procinto di esplodere.
Lo scienziato più geniale tra i mondi, e non sono neanche capace di cambiare la suoneria di questo affare.
“Ehilà, amico!”
Dall’altro lato del piccolo schermo scintillò il sorriso a trentadue denti di Demyx. La sua voce squillante, se possibile, era ancora più fastidiosa della suoneria del Gummiphone o dell’ululare del vento. Ma non era quella la ragione per cui Vexen era improvvisamente impallidito, serrando le labbra in una linea tesa e sottile. Riconosceva il luogo da dove l’ex n. IX lo stava chiamando. La stanza del DTD nel palazzo di Radiant Garden.
“Mi pareva di ricordare che non fossimo amici.”
Tentò di infondere nella voce una sfumatura sarcastica, ma la sua mente era distante anni luce, risucchiata in un tunnel spaziotemporale di ricordi e rimorsi. Con ogni secondo che passava temeva di veder sbucare da dietro le spalle del n. IX il familiare ciuffo argenteo di Ienzo.
Prima o poi avrebbe dovuto affrontare il ragazzo, lo sapeva. Ma non in quel modo. Non per mezzo di uno schermo microscopico, nella sua forma imperfetta di Nessuno. Vexen voleva chiedere perdono al figlio adottivo guardandolo con i suoi veri occhi, non attraverso le sinistre orbite color ambra dietro cui baluginavano frammenti dell’anima di Xehanort.
Dopo tutti gli errori commessi e le menzogne raccontate, gli doveva almeno quel piccolo gesto di onestà.
“Oh, ma quello era prima!” esclamò il giovane musicista con un’alzata di spalle. Il suo sorriso ormai valicava i confini dello schermo. “Adesso siamo complici!”
Vexen alzò gli occhi al cielo. “Non fa una piega, suppongo. Ascolta… sei da solo?” Detestò la sfumatura apprensiva che malgrado i suoi sforzi di controllare la voce riuscì comunque a penetrare nella domanda.
“Certo! Regola numero uno della spia perfetta: le comunicazioni devono essere supersegrete!”
Considerando che Vexen era circondato da rabbiose folate di vento e la voce di Demyx riusciva a sovrastarle tranquillamente, il concetto di “supersegreto” del n. IX era sicuramente da rivedere. Lo scienziato tuttavia esalò un sospiro di sollievo. Il confronto con Ienzo era fortunosamente rimandato.
Sollevò lo sguardo dal Gummiphone appena il tempo di dare una rapida occhiata intorno. I pinnacoli di roccia si stagliavano silenziosi in cerchio, scarnificati dall’eterno lavorio del vento. Nessuno dei Tredici era ancora stato allertato della sua presenza. Vexen prese un respiro profondo.
“Come procede il lavoro sulla Replica?”
Demyx si grattò la nuca e fece una smorfia pensierosa: “Bene… credo. I cervelloni ci stanno lavorando giorno e notte. Non che io ci capisca qualcosa, eh! In realtà ti chiamavo per avvisarti che sono in partenza. Sta per avere inizio l’Operazione Recupero Replica: Parte Due!”
“Eccellente. Ricorda che… “
“Lo so, lo so. Devo fare attenzione, non mi devo far vedere, bla bla bla. Anche Zexy mi ha fatto una testa così. Ma non temete, sono il primo a non avere nessunissima voglia di farsi acciuffare da Boccia Pelata e i suoi cloni malvagi!”
Vexen percepì un angolo delle proprie labbra contrarsi involontariamente in un inizio di risata, ma riuscì eroicamente a dominarsi. Raddrizzò la postura e indirizzò all’ex n. IX il più glaciale dei suoi sguardi, sperando che bastasse a inchiodargli nel cervello la basilare nozione che in quel frangente gli errori non erano ammessi. Non ci sarebbero state altre occasioni per impadronirsi della seconda Replica.
“Molto bene. Da qui in poi sei da solo, io non potrò più seguirti. Tieni gli occhi aperti e non fare sciocchezze.” 
Il tono severo doveva aver sortito il suo effetto, perché Demyx una volta tanto non replicò con una battuta delle sue, ma si limitò ad annuire con un cenno del capo. I suoi occhi splendevano del colore dell’anima di Xehanort, ma la determinazione che vi brillava dentro apparteneva solo e soltanto a lui. 
Vexen non era mai stato un grande diplomatico, non aveva talento nel convincere le persone ad agire come lui avrebbe voluto. Le sue parole, la prima volta che aveva chiesto l’aiuto di Demyx, erano scaturite dalla pura forza della disperazione. Ricordava di averlo praticamente afferrato per un braccio per impedirgli di andarsene, ed era arrivato a un soffio dal mettersi a supplicare (ma questo era bene che il n. IX non lo sapesse). Adesso si stupiva di quanto una semplice manifestazione di fiducia fosse sufficiente a trasformare un codardo scansafatiche in un agente doppiogiochista pronto a rischiare la vita. Aveva il sospetto che nessun membro dell’Organizzazione prima di lui avesse mai insignito Demyx di un incarico importante.
“Buona fortuna” aggiunse lo scienziato, dopo una breve pausa. Forse, senza nemmeno volerlo, aveva davvero fatto del bene a quel ragazzo.
“Anche a te! Qui Demyx, passo e chiudo!”
Lo schermo si spense con un debole click e Vexen ripose con cura il dispositivo nella tasca della tunica. Quando sollevò di nuovo lo sguardo, una figura vestita di scuro si stagliava sul pinnacolo di fronte al suo, fragile e minuta contro la vastità del cielo plumbeo.
Un nodo improvviso gli serrò la gola, risucchiandogli l’aria dai polmoni.
La figura era immobile, la tunica nera che ondeggiava nel vento, e anche se il cappuccio le nascondeva completamente il volto, Vexen riusciva a sentire l’intensità del suo sguardo bruciargli sulla pelle.
Conosceva bene quegli occhi. Vasti e azzurri come il cielo. Puri. Era presente quando si erano aperti per la prima volta. Al di là del vetro della capsula di contenimento li aveva visti sgranarsi dalla meraviglia, per poi specchiarsi nei suoi.
La voce di lei - Vexen aveva sempre saputo che era una lei - era fragile e minuta come il suo corpo, ma in qualche modo il vento fece rotolare le parole fino alle sue orecchie.
“Traditore… “
Lo scienziato chiuse gli occhi solo per un momento. Si sforzò di prendere un respiro profondo e calmare i battiti forsennati del suo cuore. Lei non poteva riconoscerlo. Era incompleta, come lo era stata allora, quando possedeva a malapena la coscienza per mettere un piede davanti all’altro senza cadere a gambe all’aria nel tentativo di camminare.
“Vedo che Saïx ha esaudito la mia richiesta” disse infine Vexen, e la voce suonò secca e gracchiante persino alle sue stesse orecchie.
“Saïx” Xion ripeté il nome in tono monocorde, come un automa a cui venga presentato un dato da elaborare.
Ai tempi della prima Organizzazione Saïx si riferiva sempre a No. i con appellativi come “fantoccio”, “cosa”, “pupazzo rotto”. Vexen invece, da sempre abituato a fare i conti con la superficialità degli ignoranti che lo circondavano, riusciva a vedere oltre gli sguardi vacui e i monosillabi inespressivi della sua creazione. La seconda volta che erano stati a Twilight Town per una ricognizione di prova aveva notato che la Replica era stata capace di memorizzare il percorso compiuto durante la prima visita, e che aveva iniziato a difendersi dai Rapsodia Blu utilizzando l’incantesimo Fire senza che lui avesse bisogno di ricordarglielo.
Aveva sorriso allora, affascinato da quel magma ribollente di infinite potenzialità. Vedeva No. i come una tabula rasa, la tela su cui avrebbe composto l’opera maestra di una vita spesa a servizio della scienza.
L’intervento di Axel aveva troncato bruscamente i suoi sogni di gloria, ma No. i era cresciuta anche senza di lui. Aveva forgiato se stessa senza diventare la marionetta di nessuno.
Non avrebbe potuto esserne più orgoglioso.
“Saïx ha detto… che qui avrei trovato un traditore. E tu… parlavi con il nemico. Perciò sei un traditore.”
La voce di Xion era del tutto priva di astio o di accusa. Enunciava un dato di fatto.
Alle sue spalle, una colonna di luce divampò all’improvviso dalla terra fino a trafiggere il cielo. Lo strato di nubi si dissipò, e per un attimo la Replica e il suo creatore si fronteggiarono avvolti dalla luce eterea e spettrale di Kingdom Hearts. Poi il cielo si richiuse, e gli ultimi filamenti della colonna luminosa si dispersero oltre l’orizzonte.
Xion non si voltò neppure, incurante del fatto che uno dei suoi dodici compagni aveva appena incontrato la propria fine per mano di un Custode del Keyblade. La macchia scura sotto le pieghe del cappuccio continuava ad essere rivolta solo e soltanto verso di lui.
“Mi dispiace.” Un sorriso mesto affiorò sulle labbra di Vexen, malgrado la paura continuasse ad attanagliargli le viscere. L’istinto di conservazione gli gridava di aprire un portale e scappare. Lo ignorò.
“È egoista da parte mia, me ne rendo conto. Ma perché Even possa tornare una volta per tutte, Vexen deve morire. La sua missione è finita, non c’è più bisogno di lui. Volevo soltanto… “ deglutì, provando l’improvvisa urgenza di abbassare lo sguardo. Le parole successive furono inghiottite dal rombo del vento. 
“Volevo che fossi tu a farlo.”
“I traditori vanno eliminati” rispose lei, senza dare segno di averlo ascoltato.
Vexen represse un sospiro. “Sono qui per questo.”
Un battito di ciglia, e Xion non era più sul pinnacolo. Vexen si irrigidì e fece un paio di goffi passi indietro, guardandosi intorno con scatti frenetici della testa malgrado sapesse benissimo cosa stava per succedere.
“Ti prego, fai in fret… “
Lei lo esaudì, sebbene lo scienziato non fu certo che lo avesse fatto di proposito. Il dolore esplose al centro del petto insieme a una luce accecante, ma durò solo un attimo. Vexen strinse i denti, soffocò un grido, pensando che non era nulla, nulla in confronto all’ultima volta, quando il fuoco gli aveva consumato le viscere e l’odore della sua stessa carne bruciata era esploso nell’aria.
Scivolò lentamente in ginocchio, circondato dai filamenti di oscurità che si innalzavano dal suo corpo come candele nel vento.
Xion era di fronte a lui adesso, il Keyblade già scomparso dalle sue mani. Non lo aveva neanche visto.
Da quella distanza, sollevando a fatica la testa, riusciva a scorgere i tratti del suo viso nella penombra del cappuccio.
“Ascoltami. Cerca… Sora. Lui custodisce… ciò che è tuo.”
La sagoma di Xion divenne sfocata mentre l’oscurità si addensava tutta intorno a Vexen. Ma udì chiaramente la voce di lei pronunciare una sola parola.
“Sora.”
“Esatto… “ sorrise, ma dubitava ormai che Xion potesse vederlo. Lui stesso non vedeva più nulla. Il dolore aveva lasciato posto al vuoto, ma era un abbraccio confortevole, come scivolare serenamente nel sonno.
“Quando ci rivedremo… tu ed io… “
La sua missione era finita. Poteva riposare, lasciare il resto del lavoro agli eroi. A Demyx.
A Ienzo.
“... saremo di nuovo noi stessi.“

  
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