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Autore: Gaia Bessie    04/07/2020    1 recensioni
«Finché avrai voglia di provarci, io ti manderò indietro a quel preciso istante» asserì Aion. «Ma fai attenzione, Annabeth Chase: il passato, il più delle volte, è solamente una grossa delusione cui non possiamo porre rimedio».
Un viaggio a ritroso nel tempo, con un unico scopo: salvare Luke Castellan.
[Epilogo]: Luke scosse il capo, anche se gli costò un’enorme fatica. «No» mormorò. «Avremo altre occasioni, io… ti cercherò per tutte le mie altre vite».
«Ti prometto che ci troveremo, in qualche modo» rispose lei, asciugandosi le lacrime. «E ci andremo davvero, in Alaska, e in Europa e…».
«Va bene così, un giorno… ci rincontreremo, in qualche modo» sussurrò il ragazzo, piano.
[Seconda classificata al contest "Il citazionista 3" indetto da SherylHolmes e giudicato da fantaysytrash sul forum di Efp]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Luke/Annabeth, Percy Jackson
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Hai capito, adesso?» domandò il Dio bambino. «Il futuro è come una ragnatela: puoi tagliarne un filo, percorrerne un altro, cambiare strada. Ma qualunque percorso tu decida di imboccare ti porterà sempre, inevitabilmente, al centro».
«Ho bisogno di tornare indietro» lo interruppe Annabeth, secca. «Questa volta so come fare».
In un modo che avrebbe segnato una netta cesura con i loro sogni: non l’avrebbero mai vista, l’Alaska, o la Grecia, la Francia e perfino la Russia. Erano sogni da bambini che, in quel mondo duro e crudele, non trovavano più posto.
«Puoi continuare a tentare» disse Aion, conciliante. «Ma temo che, per quanto tu possa provarci, non esista un mondo in cui si riesca a salvare Luke Castellan».
«Un modo c’è» insistette Annabeth. «Io ne sono sicura».
 
 
3.  Dove non possono ferirci

 
Quel giorno sembravo un mostro
Quel giorno è durato un anno
(…)
Ma quale Dio prego? Non so se mi spiego
Sono cresciuto pure senza di te
Ma sai quanti tagli ormai che non saprò mai più richiudere
(…)
La vita ci ha preso a calci, ci ha unito come due fedi
L'amore rende instabili, forti e pure indifesi
Piangiamo come dei salici, lottiamo come dei guerrieri
(Irama, Un respiro)

 
In all the good times I find myself
Longin' for change
And in the bad times I fear myself
I'm off the deep end, watch as I dive in
I'll never meet the ground
Crash through the surface, where they can't hurt us
(Lady Gaga, Bradley Cooper, Shallow)
 
«Annabeth, ti prego» Luke, controluce, aveva gli occhi ricolmi di lacrime. «Vieni con me. Non… per te posso lasciare tutto e fuggire, ma da solo…».
Lei lo guardò, meravigliata: aveva ancora negli occhi il sorriso del Dio bambino, Aion, mentre gettava i dadi vuoti sulla scacchiera. Quel lancio aveva generato un rumore che l’aveva assalita, come un’onda d’urto, facendola tremare.
Quando il rumore s’era esaurito, davanti a lei era comparso Luke Castellan. Era esattamente come se lo ricordava, come lo aveva sognato, per più di due anni, mentre le chiedeva di fuggire insieme. Di fregarsene della guerra, della morte, degli Dei avversi e, soprattutto, di Percy.
Avrebbe mai potuto perdonarla, Percy, se mai avesse avuto il coraggio di confessargli che, in un altro futuro che non avrebbero mai più vissuto, avrebbe quasi potuto amarlo?
Quasi. Se quel quasi non avesse avuto un nome, un cognome, e due occhi azzurri che la scrutavano in paziente attesa, pieni di aspettative.
«A cosa servirebbe, fuggire?» domandò Annabeth, con una certa dose di rammarico. «Ci troverebbero, Luke. L’unica cosa che posso fare è…».
Prese un profondo respiro, costringendosi a pronunciare quelle parole, così contrarie a tutto quello in cui aveva creduto fino a quel momento. Luke parve comprendere cosa stesse per dire, e fece per impedirle di dirglielo, ma Annabeth lo bloccò con un gesto della mano.
«Potrei venire con te» disse. «Io sono così stanca di combattere contro qualcosa che non posso controllare. Voglio venire con te, se davvero ci sarà una nuova età dell’oro… lì non potrebbero ferirci».
«Si prenderà il mio corpo» mormorò Luke, chinando il capo. «È il prezzo da pagare».
«Troveremo un modo» mormorò Annabeth. «Per fargli scegliere qualcun altro. Io… scappare è inutile, Luke. Possiamo solamente combattere dalla stessa parte».
«E abbandoneresti tutto quanto per venire con me?» domandò il figlio di Ermes, con una vena d’ironia che gli sfregiava la voce. «I tuoi amici, tuo padre, Percy Jackson… per servire Crono?».
«Non per servire Crono» rispose lei, mestamente. «Per seguire te, però, sì».
«Te ne pentirai, Annabeth» disse Luke, scuotendo il capo. «Non… io sono destinato a morire, che rimanga con Crono o che mi consegni agli Dei. Tu no».
«Io voglio venire con te» insistette Annabeth. «Siamo una famiglia, Luke. L’hai promesso».
«Proprio perché siamo una famiglia vorrei evitarti di finire nel fango insieme a me» mormorò lui. «Sono un mostro, potrei rovinare anche te… ma accetterò di prendermi le mie colpe, con chiunque. Ma non posso permettere che tu mi segua».
Lei pensò che non poteva permettersi di tentare l’ennesima fuga che non avrebbe portato da nessuna parte: non avrebbero mai visto l’Alaska insieme, forse, ma Luke doveva sopravvivere alla guerra.
Lui stava già per andar via, con il capo chino immerso in chissà che pensieri, ma Annabeth lo fermò tirandolo per la manica della maglietta.
«Aspetta» gli disse. «Forse non posso spiegarti perché voglio venire con te. Ma potrei mostrartelo».
Luke non fece in tempo a risponderle, che Annabeth fece un passo avanti, imbarazzata, e gli cinse il collo con le braccia.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso, e fece per dirle qualcosa. Ma, prima che lui potesse proferir parola, Annabeth lo baciò. Mentre si sorprendeva lei stessa della propria intraprendenza, Luke tentennò: seppur inizialmente non avesse risposto al bacio, dopo una manciata di secondi si vide costretto a cedere e le cinse la vita con le mani, avvicinando la ragazza a sé. Aveva sempre avuto paura, Luke, di un contatto così intimo con Annabeth: aveva mani grandi, lui, e temeva di non saperne dosare bene la forza. Un giorno, così pensava, avrebbe potuto romperla in un milione di frammenti schiacciandola sotto quella mappa di graffi e calli dovuti agli allenamenti.
Lei pensava che c’erano voluti due mondi possibili differenti, per capire che, se non si fosse fatta avanti lei, Luke non l’avrebbe mai fatto: che il suo grandioso eroe personale, bello e coraggioso come pochi, la temeva più di quanto non avesse mai fatto con un mostro e, forse, addirittura con Crono stesso. Puoi avere paura di qualcosa, o qualcuno, che dovresti tenere al sicuro?
Contavano ancora qualcosa, tutte quelle promesse che Luke aveva sistematicamente infranto, schierandosi con Crono? Per lei, contavano?
Forse contavano abbastanza per permetterle di stringerlo a sé come se le mancasse l’aria, come se fosse l’unico sollievo a quei battiti dolorosi che il cuore si costringeva a compiere, per mantenerla in vita. Doveva esistere un mondo possibile in cui avrebbe potuto salvare Luke, si disse, staccandosi da lui e guardandolo negli occhi.
«Sei ancora convinto che non dovrei venire con te?» domandò, senza riuscire a impedirsi di sorridergli.
«Io…» borbottò Luke, incerto. «Se tornassi indietro, Crono si prenderebbe il mio corpo».
«Troveremo un modo» sussurrò Annabeth, rassicurante. «Possiamo fargli scegliere qualcun altro. Fidati di me».
Era quello, il mondo in cui sarebbe riuscita a salvare la vita di Luke.
 
***
 
 La Principessa Andromeda era ormeggiata nella baia di S. Francisco, resa invisibile dalla Foschia. Nella luce pallida e opaca delle poche stelle visibili, la nave da crociera sembrava solamente più cupa e pericolosa, ma Annabeth non aveva più paura: il ricordo slavato di altri due mondi possibili si era saldato sulla sua pelle, come una corazza, fondendosi con il solo scopo di quell’ennesimo viaggio a ritroso nel tempo. Salvare Luke. Anche se quello non fosse stato il mondo possibile giusto, lei l’avrebbe reso tale, sarebbe riuscita a creare uno spazio in cui nascondersi, dagli Olimpi e da Crono, dove non avrebbero potuto ferirli.
Non ci sarebbe stata una spada che avrebbe attraversato il corpo inerme di Luke, nessun rumore di muscoli separati dalla lama, di sangue che s’appiccica sul pavimento, niente di tutto questo. Più Annabeth s’aggrappava alla mano di Luke, più ne era convinca: era quello, il loro mondo possibile, doveva essere quello. Se prima aveva avuto delle remore, una morale, che le avevano impedito di compiere scelte avventate, adesso, era come se si fosse spogliata di tutto questo, come se il suo obiettivo avesse obnubilato tutto il resto. Salvare Luke. Se lo ripeteva come una formula magica, aggrappandosi a quei brandelli di memoria che, lo sapeva, presto sarebbero svaniti. Non poteva più permettersi di dimenticare gli errori passati, doveva ripercorrere continuamente quegli altri mondi, altri sogni, altri scopi, per rafforzare le proprie motivazioni, per spingersi oltre il limite della propria moralità.
Erano finiti per sempre, i tempi dolciastri dell’infanzia, Annabeth era cresciuta in maniera rapida e dolorosa: facendo a frammenti, più o meno consapevolmente, il proprio stesso cuore. E, all’alba del suo terzo viaggio indietro nel tempo, era stanca, ma non rassegnata.
«Promettimi una cosa» mormorò Luke, quando ormai pochi passi li separavano dall’imbarcazione. «Se… se dovessero metterti in pericolo, scappa. Non preoccuparti per me, io me la cavo sempre, in qualche modo».
Se soltanto avesse potuto dirgli quanto si stava sbagliando, senza mettere in pericolo lo stesso svolgimento di quel futuro.
«Te lo prometto» mormorò. «Ma troveremo un modo, assisteremo alla nascita di un nuovo mondo. Insieme».
Questa volta, si disse Annabeth, Luke non avrebbe avuto bisogno di pregare nessun Dio. Sarebbero riusciti a sopravvivere da soli.
 
***
 
Sebbene sapesse perfettamente che era improbabile non incontrare nessuno, mentre Luke la guidava tra le cabine della principessa Andromeda, quando si ritrovarono davanti l’empusa Kelli, sobbalzò.
«Ma che carino» trillò il mostro, digrignando i denti. «Hai portato un’amica».
«Non ti avvicinare a lei, demone» le intimò Luke, secco. «Non sono cose che ti riguardano. Impara a stare al tuo posto».
«Ma io so perfettamente in che posto vorrei essere» rispose Kelli, sorridendo. Per un attimo, ad Annabeth apparve come una bellissima ragazza dai capelli ricci, sebbene sapesse che era solamente l’effetto della Foschia.
«Non pensarci nemmeno» rispose Luke, disgustato, prevedendo le intenzioni del mostro. «E sparisci dalla mia vista».
L’empusa sbuffò, ma non disse niente e, con un fruscio della gonna lunga, si avviò nella direzione opposta alla loro. Luke si voltò verso la porta della cabina, quasi come se anche soltanto la vista della schiena del mostro potesse disgustarlo, e aprì la porta. L’interno della stanza era ordinato e pulito, quasi come se Luke non fosse abituato a passarvi del tempo. Annabeth tentennò, prima di entrare.
«Non dirmi che…» bisbigliò. «Tu e quel mostro…».
Luke la guardò come se fosse impazzita e scosse il capo, turbato. «Certo che no» rispose. «Io… mi ero fatto ingannare dalla Foschia, ma è durato poco».
Annabeth non riuscì a trattenere la smorfia che le increspò il viso, ma non disse niente, lasciandolo ad ascoltare il suo silenzio. Luke le prese la mano, guidandola nelle viscere di quella camera, e chiudendosi la porta alle spalle.
«Ascoltami» sussurrò, accomodandosi su un pouf. «Io… ero molto arrabbiato con te, per questo ho accettato di uscire con quella cosa».
«Vuoi dire che è stata colpa mia, se sei uscito con un mostro?» chiese lei, tagliente. «Divertente».
«L’ultima volta che ci siamo visti» spiegò Luke. «Ti avrei portata con me già allora. Se solamente non fossi scappata con Percy».
«Non significa niente» rispose Annabeth. «Era ovvio che sarei andata con lui, io… odiarti era tutto quello che mi rimaneva di te».
«Adesso però sei con me» disse lui, con una dolcezza strana, come venisse da un altro futuro. «Noi… possiamo farcela».
Altre parole gli s’incagliarono tra le corde vocali: io non ti farò mai più paura, pensò. Quando aveva capito che, nonostante le lotte, i tradimenti e tutto quanto, alla fine, sarebbe stato morto o quasi, qualcosa in Luke s’era infranto. Un giorno si era guardato allo specchio, stanco e invecchiato, e s’era reso conto che, per un anno e più, era stato un mostro.
Quel giorno era stato quando, mesi prima, aveva incontrato Annabeth nel labirinto e lei l’aveva guardato come se faticasse a riconoscerlo. Quella volta, Luke aveva sperimentato la paura vera, nel rendersi conto in cosa s’era trasformato, che incubo si era insidiato tra le sue ossa, fondendole, costringendolo a mutare forma.
«Lo so» mormorò Annabeth, sedendosi sul letto. «Vedrai, troveremo un modo per essere di nuovo una famiglia».
 
***
 
Quella notte, Luke cadde nuovamente preda dei propri incubi: Annabeth se ne rese conto intorno alle tre di notte quando, svegliandosi improvvisamente, si rese conto che Luke sedeva sulla sponda del letto, con la testa tra le mani.
Il ragazzo non parve accorgersi che anche lei si era svegliata, ed era scosso da singhiozzi silenziosi, ma comunque in grado di ferire Annabeth al pari di una coltellata. La ragazza, incapace di dire qualcosa, si mise seduta e, sebbene si fosse progressivamente disabituata all’idea di qualunque contatto fisico con Luke, da quando aveva smesso di essere bambina, lo abbracciò.
Lui inizialmente sobbalzò, sorpreso, ma poi con una mano le sfiorò la sua, che gli cingeva le spalle.
«Scusami» mormorò. «Ti ho svegliata».
«Dovevi svegliarmi» rispose lei, piano. «Io… non posso mandare via i tuoi incubi, ma posso starti…vicino».
Quanti anni avevi quando hai imparato che i veri mostri sono gli incubi degli altri? Quando hai sperimentato che non esiste una paura peggiore di veder spaventata una persona che ami, quando hai temuto di non poter varcare quel portale invisibile tra la realtà e l’onirico, ponendo fine a una storia troppo dura, e crudele, per essere sognata?
«Adesso lo so» disse Luke, usando di nuovo quella dolcezza strana, che faceva a pugni con quell’esistenza nuova, e spettrale, che stavano vivendo. «Prima di questa sera, ti sognavo sempre nel Labirinto».
«Nel labirinto?» chiese Annabeth, perplessa. «Perché proprio lì?».
«Perché è stato quando è finita, quando ho capito…» Luke scosse il capo. «Che non saresti mai venuta con me, che ti avevo… persa, in un certo senso».
Ad Annabeth si spaccò in due il cuore: una metà gli avrebbe volentieri detto che, per quanto lei si fosse sforzata di apparire sdegnata dalle sue parole, sarebbe stata più che ben disposta a cedere tutto per seguirlo, per cercare quello che più bramava al mondo. Una famiglia. L’altra metà, che ricordava tutti i futuri finiti nel dimenticatoio, tremava.
«Ma saresti stata al sicuro, me lo sarei fatto bastare» concluse il ragazzo, voltandosi verso di lei. «Sarebbe bastato per perdonarmi».
«Nessuno deve perdonarti niente» rispose Annabeth. «Sei tu che dovresti perdonare qualcuno per tutto quello che hai passato».
Per tutto quello che abbiamo passato, avrebbe voluto dire: due fughe fallite, il miraggio dell’Alaska che non erano mai riusciti nemmeno a sfiorare, il rumore della spada di Ares che l’attraversava. Era lei, e Luke, a dover perdonare qualcuno.
Ma ne avrebbe mai avuta la forza, di dimenticare tutte quelle cose, di seguire il richiamo del dado bianco di Aion e vivere in quel nuovo futuro, senza ricordi?
«Promettimi una cosa» mormorò Luke, con lo sguardo basso. «Se prenderà il mio corpo, scappa. Dirai a tutti che ti ho rapita a casa tua, a S. Francisco, che sono quello cattivo, da combattere. Ma scappa».
«E lasciarti qui, da solo?» chiese lei, sgomentata. «Come potrei…».
Ma Luke le poggiò un dito sulle labbra, impedendole di finire la frase. «Non sarei più io» disse. «Tutto quello che hai conosciuto, di me, semplicemente non esisterà più. Promettilo».
«Troveremo un modo» rispose Annabeth, ma aveva le lacrime agli occhi. «Non comportarti come se fossi già morto».
«Prometti» sussurrò Luke, sfiorandole il viso. «Forse non sono ancora morto, ma… non ho molte possibilità di non esserlo di qui a breve. Ti prego. Promettimi che ti metterei al sicuro, tu… sei l’unica persona di cui mi sia mai importato per davvero».
«Va bene, te lo prometto» disse lei, guardando basso. «Sei contento, adesso?».
Per un momento pensò di essere riuscita a trattenere le lacrime ma, nel momento in cui Luke le sfiorò il viso, guardandosi la mano con orrore, comprese di aver fallito.
«Non dovrei nemmeno essere sorpreso» mormorò lui, asciugandole una lacrima con il dorso della mano. «Non è la prima volta che ti faccio piangere».
Lei non fece nemmeno in tempo a chiedergli come facesse a sapere di tutte quelle notti in cui, al sicuro nel proprio letto al Campo, si era addormentata con gli occhi arrossati. Di tutte le volte in cui si era nascosta dagli altri, da Percy, per non far vedere come si erano infrante, una volta dopo l’altra, tutte le sue speranze quando aveva capito che lui non sarebbe tornato indietro sui propri passi. Che era andato via, perduto, senza speranze. O, forse, con una speranza soltanto: che lei lo salvasse, anche da sé stesso.
«Potresti fare in modo che sia l’ultima» rispose lei, asciugandosi le tracce di pianto con la mano. «Dipende da te, sai».
Lui le sfiorò i capelli, in una carezza accennata, con una delicatezza che la sorprese. «Lo so» disse Luke, semplicemente. «Farò del mio meglio, nel tempo che mi resta, e questo te lo posso promettere».
«Avrai tutto il tempo del mondo» ribadì Annabeth, con forza. «Per avere una casa, essere una famiglia. Tutto quello che vorrai».
Lui sorrise dolcemente. «Certo» disse. «Hai ragione».
Ma, controluce, con la cicatrice che gli deformava il viso in un secondo e orribile ghigno, Luke non sembrava convinto dalle sue stesse parole.
 
***
 
Fortunatamente, Crono non aveva mai chiesto di vederla, sebbene Annabeth sapesse con un ragionevole grado di certezza che il signore dei Titani fosse a conoscenza della sua permanenza nella Principessa Andromeda. Ma, con il singolo passare delle ore, se non perfino dei minuti, Luke diventava più pallido, e nervoso.
Guardandolo in viso, era come se ogni secondo gli scavasse solchi che prima non c’erano mai stati, come se una lancetta invisibile gli corresse in fronte, inseguita dal Tempo.
Finché, un giorno che nessuno di loro avrebbe saputo collocare con certezza nel calendario, il tempo implose su sé stesso, ripiegandosi in un’istante soltanto, che aveva il sapore dolceamaro di qualcosa sul punto di terminare. Fu il giorno, no, l’istante, in cui Luke tornò nella propria cabina e, sulla fronte, aveva dipinto della tiepida rassegnazione.
Non disse niente, ma quel silenzio bastò per entrambi.
«Mi dispiace» disse infine Luke, sottovoce. «Non pensavo che… sarebbe finita così, nonostante tutto».
«Abbiamo fatto del nostro meglio» concesse Annabeth, conciliante. «Non… non so nemmeno come potremmo fare, adesso».
Quella stessa ammissione ebbe il potere di frantumarle il cuore in un sussurro, ferendola dall’interno. Dentro di sé, Annabeth sentì, ancora una volta, il proprio mondo che si scollava dai castelli in aria che vi aveva costruito sopra, sciogliendosi in quell’angoscia pastosa che le rendeva difficile persino vederci attraverso. Per una manciata di giorni, che adesso avevano la consistenza di coriandoli colorati in un mare di carta bianca, aveva creduto per davvero che fosse quello, in futuro in cui nessuno li avrebbe più potuti feriti.
Che forse, all’interno della sporcizia e del male, vi era un posto, per quanto piccolo e pericoloso, anche per loro. Se era quello, essere un mostro, il prezzo da pagare, lei avrebbe offerto tutto ciò che aveva, pur di non sentirsi più braccata dalle persone con cui aveva combattuto per anni, per non vivere nella paura di perdere Luke ancora una volta.
Aveva pensato che cambiare in maniera così radicale li avrebbe mantenuti al sicuro, se non dagli Dei almeno da Percy, e che non avrebbe mai più visto Luke accasciarsi su sé stesso, ferito da una spada talmente indegna di sfiorarlo. Non ci sarebbero stati gridi soffocati dal sinistro gorgoglio del sangue, lame che penetravano nella carne come se stessero tagliando burro, il triste rumore degli organi interni che venivano tagliati via dalla spada. Non più.
«Deve esserci un altro modo» mormorò, a sé stessa. «Deve esserci per forza, io…».
Luke le carezzò il capo. Sembrò quasi che quel gesto gli avesse prosciugato ogni energia, il sorriso tirato che aveva cercato di tener su si spense improvvisamente e, nella penombra di quella stanza, apparve solamente stanco ed improvvisamente invecchiato.
«Va bene così» le disse, piano. «Mi basta sapere che tu starai bene. Io… sono disposto a pagare per i miei errori e, se servirà, anche per quelli degli altri».
«Non parlare come se fosse già finita» rispose lei, con forza, ma aveva la voce sporca di pianto. «Noi… possiamo ancora trovare una soluzione, io non posso arrendermi così».
«A volte devi solamente lasciar perdere» commentò Luke, dolcemente. «Non puoi porre rimedio a una vita che è già tutta rotta».
Lei avrebbe voluto dirgli che poteva, che c’erano ancora così tante possibilità inesplorate, che avrebbe tentato in ogni mondo possibile, pur di trovare una soluzione. Ma le parole non uscivano: la consapevolezza che, per quanto avesse potuto tentare, non sarebbe mai riuscita a mettere insieme i frammenti del futuro che desideravano, si fece strada, annichilendola.
Il futuro è come una ragnatela: puoi tagliarne un filo, percorrerne un altro, cambiare strada. Ma qualunque percorso tu decida di imboccare ti porterà sempre, inevitabilmente, al centro.
«Certo che posso» rispose Annabeth, con una sicurezza che non provava. «Possiamo ancora andare via di qui».
Ma lui scosse il capo, disorientandola. «Comunque vada, che combatta per Crono o che scelga di tornare dagli Dei» disse. «È come se fossi già morto».
«Potrebbe cambiare idea» disse lei, aggrappandosi a ogni minima speranza che le rimanesse. «Andiamo via, non… non puoi semplicemente gettare la spugna, io non te lo permetto».
«Lo so, che continuerai ad avere speranza, nonostante tutto» rispose Luke, scrollando le spalle. «E ti sono grado anche solamente per aver voluto tentare, ma adesso…».
«Non dirlo nemmeno per scherzo» lo interruppe Annabeth, con un’occhiataccia velata di lacrime. «Io non ti lascerò qui, senza sapere cosa ti succederà».
«Non sarò più io, Annabeth. Mi butteranno fuori dal mio corpo e non saprò più chi ero, prima» disse lui, calmo. «E non saprò più chi sei tu, che sei stata l’unica scintilla che mi ha riscaldato quando non riuscivo nemmeno ad accendere un fuoco, che hai accettato di seguirmi anche quando non meritavo niente».
«Non puoi chiedermelo» ripeté lei, che ormai piangeva senza ritegno. «Io non ti lascio qui, da solo».
«Posso accettare di perdermi» rispose Luke, chinando il capo. «Di non sapere più chi sono, e perfino chi sei tu. Ma ferirti, senza sapere chi ho davanti?».
«Ti perdonerei» rispose Annabeth. «Cercherei un modo per farti tornare indietro e ti perdonerei, per tutto quello che potresti fare».
«Io avrei paura di me» disse lui, piano. «E non potrei mai perdonarmi, se ti facessi del male».
 
***
 
Quella sera, gli incubi fecero il resto.
Luke non si mosse minimamente, nel sonno, ma quando si voltò verso di lei, Annabeth si rese conto che era turbato pure mentre dormiva. Una linea di preoccupazione gli distorceva il viso come una seconda cicatrice.
Non avrebbe mai avuto il coraggio di domandarglielo, ma Annabeth conviveva con la certezza annichilente che stesse sognando di farle del male, di non essere più in sé, di aver perso ogni controllo. Lei non aveva chiuso occhio. Ogni volta che il sonno iniziava a danzarle lungo le palpebre, intravedeva un tiepido biancore, e il suono di un lancio di dadi.
Quel rumore le stava scavando il cervello, come una goccia d’acqua lungo un tubo arrugginito, sfinendola. Qualcosa, dentro di lei, le urlava basta, è finita, che altro puoi fare, ma Annabeth si rifiutava di ascoltarla.
Mai più, si era detta il giorno in cui aveva chiesto a Luke di portarla con sé. Mai più una spada conficcata nelle viscere, mai più braccati, mai più presi in giro dagli Dei, mai più sola, senza di lui, a rimpiangere tutti gli e se che avrebbe potuto compiere. Ma, mentre Luke mugolava qualcosa nel sonno, una certezza si era prepotentemente insinuata in lei: non esisteva, per davvero, una via di fuga, un mondo possibile dove avrebbe potuto salvarlo, dove sarebbero stati… una famiglia.
Ancora una volta, la più grave di tutti, gli Dei si erano presi gioco di lei, concedendole un tentativo che, sicuramente ne avevano la certezza, non sarebbe mai andato a buon fine. Chissà se Aion aveva riso, nel vederla vagare come un ragno sulla ragnatela, senza sapere bene dove andare e finendo, inevitabilmente, sempre alla medesima conclusione.
E lei si era fidata di Ermes, che l’aveva odiata per non aver salvato il suo figlio prediletto, di sua madre che, nonostante tutto, l’aveva appoggiata, forse persino di Aion. Posso smettere di tentare, pensò Annabeth, con una vena di tristezza, carezzando il capo biondo di Luke, abbandonato mollemente sul cuscino. Ma di voi mi fidavo.
 
***
 
Ogni ora era fatta d’oro. Da quando Annabeth aveva realizzato che presto Luke avrebbe smesso di essere il suo Luke, ogni secondo era diventato l’ultimo: si era riscoperta a guardarlo, anche quando lui dava segno di accorgersene, come se la sua memoria potesse semplicemente svuotarsi per contenere ogni suo singolo, inutile, respiro.
Forse, un giorno così vicino da essere quasi dolorosamente tangibile, non le sarebbe rimasto nient’altro. Un bel ricordo, Luke che guidava una macchina diretto in Alaska, pioggia che cadeva sui finestrini. Nient’altro.
Forse non sarebbe mai più tornata indietro, non avrebbe più scelto un’altra strada da percorrere, un filo da tagliare. Ma avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per ricordare le volte in cui ci aveva provato, con tutta sé stessa, a salvare Luke. Avrebbe ricordato i momenti belli, in cui avevano cantato una canzone alla radio, o in cui s’erano seduti accanto, sulla sponda del letto, a chiacchierare. E, con il tempo e un pizzico di pazienza, tutti questi ricordi avrebbero inglobato quelli brutti, facendoli sparire.
Le sarebbe rimasto un bel ricordo, di Luke Castellan, almeno questo glielo dovevano concedere. Non avrebbe più chiesto nient’altro, si sarebbe fatta andar bene il dover convivere con uno spettro per tutti i giorni che le rimanevano, a patto che le permettessero di ricordare Luke che canticchiava mentre guidava, che beveva troppo caffè la mattina, che lavava la propria maglietta nel lavabo di una stanza d’albergo. Non l’avrebbe detto a nessuno, che conservava quelle memorie, purché le permettessero di tenerle con sé.
«Annabeth» Luke le sfiorò il braccio, facendola voltare. Aveva gli occhi gonfi e cerchiati dalle occhiaie. «Ti ricordi della promessa che mi hai fatto?».
In quel momento, Annabeth avvertì distrattamente che il cuore le si stava spezzando, ma non come un vaso di coccio o ceramica. Era come se qualcuno gliel’avesse preso in mano e stesse lentamente separando la carne, stracciando il muscolo cardiaco: era sporco, doloroso e inutile, una separazione innaturale e forzata.
«Non adesso» rispose, piano. «Non… non è ancora mattina. Possiamo fare finta che non sia successo niente?».
Il sorriso che Luke le rivolse non fece altro che allargare la ferita, cospargerla di sale. «Lo vorrei tanto» ammise. «Ma preferirei saperti al sicuro».
«Vieni con me» mormorò Annabeth. «Possiamo andare via, possiamo trovare un posto dove… dove non riescano a ferirci».
«Erano solamente sogni» mormorò lui, stanco. «Non… non saremmo comunque riusciti a viaggiare in giro per il mondo, ci avrebbero trovati, in qualche modo».
Lei non ebbe il cuore di dirgli che aveva perfettamente ragione, che anche lei era stanca di sentirsi abbandonata e presa in giro dagli Dei, ma che dovevano tentare, che doveva esserci un mondo dove avrebbero potuto vedere l’Alaska. Ma lo sapeva anche lei, che i mondi possibili altri non erano che cerchi concentrici, che sfociavano inevitabilmente in un unico centro.
«A me va bene così, te lo giuro» disse Luke, dolcemente. «Ho… ho visto abbastanza per sapere che, prima o poi, dovrò pagare il prezzo per ciò che ho fatto».
«Ti faranno pagare un prezzo troppo alto» bisbigliò Annabeth, chinando il capo. «Non…il fatto che Crono ti abbia manipolato non sarà una giustificazione, per loro».
«Lo so. Sono disposto ad assumermene la responsabilità» disse, asciugandole distrattamente una lacrima con il dorso della mano. «A patto che tu sia in salvo».
«Non puoi volere questo per me» rispose lei, turbata. «Non puoi volermi pensare felice, senza di te, magari con dei bambini che nemmeno vorrò mai, perché…».
Perché non sarebbero i tuoi, pensò, ma non riuscì a dirglielo. Non riusciva più a intravederla, una vita che contemplasse il non cercarlo attraverso i mondi possibili, disperatamente.
«Certo che vorrei una cosa simile, per te» disse Luke, dolcemente. «Certo che ti vorrei felice, con una persona che ami, con dei bambini che ti somigliano. Con amore, una casa, la tua famiglia».
«Non sarebbe la mia famiglia, senza di te» rispose Annabeth, perentoria. «Non puoi chiedermi di lasciarti qui, come se per me non valessi niente».
«Che è quello che dirai, insieme al fatto che ti ho rapita e portata qui» mormorò lui. «Per quel che vale, mi rassegno a morire. Ma vorrei che tu vivessi, e costruissi una famiglia tua e…».
«Luke» lo interruppe lei, disperatamente. «Ti prego».
«E un giorno sarai felice, in un appartamento vicino a qualche monumento famoso, e avrai due o tre bambini, e almeno uno sarà biondo, con gli occhi grigi» proseguì Luke, sognante. «E penserai a me come una parentesi, un’occasione sprecata: ma per nessun motivo vorresti tornare indietro, perché sapresti che sarei felice di saperti felice».
«Non mi basta» disse Annabeth, con sicurezza. «Che senso ha, se non posso averti con me?».
«Ma mi avrai con te, ti aspetterò anche da morto, se lo vorrai» rispose lui. «E magari un giorno ti stancherai anche di pensarmi, ma mi andrà bene, tutte le cose belle finiscono, prima o poi».
Lei scosse il capo, una ciocca di capelli le si era incollata al viso sporco di lacrime.
«Troverai un posto dove non ti feriranno più» concluse Luke. «Ma, adesso, devi andar via. Io… ti prometto che ci rivedremo, in un’altra vita».
Annabeth sentì distintamente quel distacco, il suo forzarsi ad accettare che era finita, che non ci sarebbero state altre possibilità.
«Spero di averla davvero, un’altra vita» mormorò. «Perché la impiegherei a cercarti».
 
***
 
«Posso farti tornare indietro tutte le volte che vuoi» rispose Aion. «Ma guarda un attimo la mia scacchiera, e dimmi se ne sei ancora così convinta».
Annabeth guardò la scacchiera e, sulle caselle, si alternarono scene da due futuri distinti, di cui lei a malapena riconosceva l’esistenza.
«Hai capito, adesso?» domandò il Dio bambino. «Il futuro è come una ragnatela: puoi tagliarne un filo, percorrerne un altro, cambiare strada. Ma qualunque percorso tu decida di imboccare ti porterà sempre, inevitabilmente, al centro».
«Potrebbe farmi tornare indietro ancora una volta?» chiese Annabeth, la voce macchiata di pianto. «Non ne chiederò un’altra».
«Vedo che hai compreso» disse Aion, placidamente. «Qualcuno più potente di me e te ha deciso: non esiste un mondo possibile dove tu riesca a salvare Luke Castellan».
Lei chinò il capo, mentre il peso di quelle parole la investiva.
«Ma voglio farti un regalo» continuò il Dio. «Voglio permetterti di ricordare tutte le altre strade che hai intrapreso, i bei momenti che ti hanno regalato».
Una macchina, la radio accesa, Luke che canticchiava al tramonto.
«E, ora, fai quello che devi fare».
Il Dio lanciò i dadi sulla scacchiera. Sembrava che emettessero il suono del suo cuore che, chissà come quante volte prima di quel momento, si spezzava.

 
Ciao a tutti.
Vi scrivo in un momento in cui, un luogo dove la vita non riesca a ferirmi, lo vorrei anche io: spero questo capitolo vi sia piaciuto, a me ha letteralmente spezzato il cuore doverlo scrivere, ma rappresenta anche la degna conclusione di questa storia che ha accompagnato le mie notti di un mese intero. Questo capitolo è quello più importante, che finalmente dovrebbe dare un senso a questa storia. E, purtroppo, è anche l'ultimo.
Nei prossimi giorno metterò online l'epilogo, breve, di questa vicenda. Ma spero che, seppur breve, questa storia sia riuscita nel suo intento, che è fare compagnia a tutte quelle persone che, in questo momento, vogliono sentirsi meno sole e leggere qualcosa di piacevole (per quanto drammatico).
Un abbraccio virtuale a tutti coloro che hanno speso qualche minuto per leggermi.

Gaia

 
   
 
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