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Autore: AthenaKira83    12/07/2020    6 recensioni
Quando Magnus Bane, ex agente speciale della Marina militare statunitense, accetta di fare un favore al padre, di certo non si aspetta di dover fare da babysitter a uno scontroso, irritante, ma dannatamente attraente, agente di viaggi che non ha alcuna intenzione di rendergli facile il compito che gli è stato affidato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Alec lanciò un'imprecazione colorita quando rischiò di inciampare nell'ennesima radice dell'ennesimo albero presente in quel bosco.
Presidente Miao, che zampettava davanti a lui, si voltò a guardarlo. Alec avrebbe potuto giurare che il gatto gli stesse lanciando un'occhiata preoccupata ed esasperata allo stesso tempo e avesse appena sospirato in tono melodrammatico. Quella palla di pelo passava indubbiamente troppo tempo con Magnus.
"Tutto a posto." lo rassicurò il moro. "Guarda che dico sul serio!" grugnì, all'occhiata scettica che Presidente continuava a rivolgergli, mentre sistemava meglio la presa delle sue mani sulle cosce di Magnus, che pressò maggiormente il petto alla sua schiena e ridacchiò sommessamente contro la pelle del suo collo, facendogliela accapponare.
Il gatto miagolò brevemente, roteando gli occhi, poi riprese ad annusare attentamente il terreno e l'aria circostante, avanzando con passo sicuro e voltandosi di tanto in tanto per assicurarsi che lo stesse seguendo e non si perdesse in quel dedalo di alberi e vegetazione selvaggia.
Alec sbuffò. Era ufficiale: persino quella palla di pelo non aveva la benché minima fiducia in lui e pensava che non sarebbe uscito vivo da lì se non avesse avuto qualche anima pia che gli indicasse la strada per la salvezza. Il che era ridicolo. Totalmente e assolutamente ridicolo.
Per l'angelo, ma con chi pensavano di avere a che fare? Sia Magnus che Presidente Miao dovevano solo ringraziare il fatto che avesse l'ex Marine zavorrato sulle spalle, che lo rallentava nei movimenti, altrimenti avrebbe dimostrato a quei due rompiscatole chi era Alec Lightwood! Poco, ma sicuro!
Insomma, che ci voleva a camminare per il bosco e a tornare sulla strada principale? Ok, ogni tanto inciampava in qualche radice e può darsi che, la prima e unica volta che aveva perso di vista Presidente Miao, mentre Magnus si era appisolato sulla sua spalla, avesse svoltato nella direzione sbagliata e avesse camminato per cinque minuti buoni alla cieca, fino a quando il gatto, mosso a compassione, era tornato a riprenderlo con uno sguardo di sufficienza negli occhi, ma, insomma, questo non significava assolutamente che lui non fosse capace di portare in salvo il felino e la sua guardia del corpo! E che diamine!
Sentì il sorriso di Magnus sulla sua pelle e si indispettì ancora di più. L'ex Marine doveva proprio smetterla di avere quell'irritante e inquietante abitudine di leggergli nella mente. Neanche nella sua testa aveva più la giusta privacy, per l'angelo!
Quando lanciò un'occhiata al bendaggio di fortuna, che tamponava la ferita al braccio di Magnus, però, il suo broncio sparì immediatamente, venendo sostituito da una smorfia angosciata: la maglietta era zuppa di sangue e il respiro dell'uomo si stava facendo sempre più pesante. Aveva persino smesso di parlare. Brutto segno.
"Magnus..." mormorò Alec, preoccupato.
"Sto bene, tesoro." sussurrò Magnus, stringendosi a lui.
Alec sapeva che stava mentendo. E non lo stava facendo neanche tanto bene.
Non aveva idea da quanto tempo stessero camminando per quei boschi, ma di una cosa era sicuro: doveva portare Magnus in ospedale al più presto o... Scosse la testa con decisione, scacciando quel pensiero molesto, e strinse le labbra in una lunga linea sottile. Nonostante fosse stanco morto e portasse il peso non indifferente dell'ex Marine sulla schiena, non poteva assolutamente permettersi di farsi prendere dal panico proprio in quel momento! Non voleva neanche pensare all'ipotesi di non riuscire a uscire da lì. Ce l'avrebbero fatta. Punto.
Presidente Miao, che li precedeva di una decina di passi, miagolò forte, voltandosi a guardarli.
"Che c'è?" chiese Alec, fermandosi per sistemare meglio Magnus sulla sua schiena, che grugnì piano. "Scusa." mormorò, dispiaciuto, riportando poi l'attenzione sul felino.
Il gatto miagolò di nuovo, poi zampettò lungo il sentiero, voltandosi nuovamente e muovendo la coda con frenesia, come se lo stesse sollecitando a seguirlo.
"Ok. Ok. Aspettami." affermò Alec, riprendendo a seguirlo.
Svoltò verso la direzione dove Presidente Miao era sparito e si ritrovò davanti la strada principale su cui erano passati per arrivare alla casetta di legno. Alec si permise finalmente di tirare quel sospiro di sollievo che gli era rimasto incastrato in gola fin da quando erano fuggiti dalla casetta di legno.
"Magnus! Guarda!" mormorò, stringendo le dita sulle cosce dell'uomo.
La guardia del corpo alzò di poco la testa dalla spalla del moro e sorrise. "Sapevo che ce l'avresti fatta, Fiorellino."
Alec sorrise, compiaciuto. Ok, gran parte del merito era di Presidente Miao, ma, insomma, lui aveva portato Magnus! Aveva contribuito!
Sbuffò via un ciuffo di capelli, che gli copriva la visuale, proprio nel momento in cui giungeva un'automobile a tutta velocità, che si fermò davanti a loro con un forte stridìo.
"Malaikatku! Alec!" [ndr. Angelo mio]
"Oh, Tuhan..." [ndr. Oh, Signore...] sussurrò Magnus, alzando faticosamente la testa. "Mamma?" gracchiò poi, stupito, mentre lui e il moro venivano travolti in un goffo abbraccio dall'uragano asiatico alto un metro e sessanta che si era praticamente catapultato fuori dall'auto non appena si era fermata davanti a loro e che aveva seriamente rischiato di farli cadere per terra.
"Mags! Stai bene?" esclamò Asmodeus, uscendo di corsa anche lui dalla macchina.
"Papà?" mormorò Magnus, sempre più sorpreso.
"Malaikatku! Cosa ti è successo?" gridò Dewi, portandosi le mani alla bocca, quando vide il braccio bendato e insanguinato.
Magnus non si sarebbe affatto stupito di apprendere che anche il resto dell'America l'aveva sentita urlare, dato il tono di voce che aveva usato.
"Incidente di percorso." minimizzò l'ex Marine, con un filo di voce.
"Gli ho sparato io." spiegò Alec, conciso, sotto lo sguardo scioccato dei signori Bane.
"Alec..." lo ammonì Magnus, schiaffeggiandogli piano la spalla.
"Che c'è? E' vero!"
"E' stato un incidente." chiarì Magnus, verso i suoi genitori.
"Un incidente?" domandò Dewi, stupita.
"Alec mi ha salvato la vita." asserì Magnus, con un debole sorriso.
Il moro scosse piano la testa. "Non è vero. Lui l'ha salvata a me! Quattro malviventi, in motocicletta, ci hanno attaccato alla casetta di legno e hanno tentato di ucciderci!" spiegò, in tono concitato. "E ora ci stanno inseguendo!"
"Dobbiamo andarcene in fretta da qui, allora." affermò Asmodeus, disfando poi cautamente il bendaggio al braccio del figlio e accigliandosi vistosamente quando vide la ferita. "Muovi il braccio." lo sollecitò dolcemente.
Magnus fece come gli aveva chiesto il padre, mentre il dolore si faceva più intenso. Con quel movimento, però, aveva nuovamente avuto conferma che muoveva correttamente sia il braccio che la mano.
"Niente di grave. E' solo una ferita superficiale." affermò Asmodeus, scrollando le spalle, mentre guardava suo figlio con uno sguardo d'intesa.
Magnus sapeva che lo stava facendo per Alec e per Dewi, che erano bianchi come un cencio e avevano il panico negli occhi. Decise di recitare la sua parte.
"Visto? Che vi avevo detto? Un graffio!" mormorò con voce flebile, senza capire, in realtà, perché avesse la voce tanto debole.
Tornò a posare la testa sulla spalla del moro, che aveva scoperto essere davvero comoda e sospirò, contento. Poteva rilassarsi, finalmente. Alec e Presidente Miao erano al sicuro, ora che c'erano i suoi genitori a proteggerli. Loro si sarebbero occupati di tutto. Erano arrivati giusto in tempo.
Colto da quel pensiero, tornò ad alzare leggermente la testa. "Che ci fate qui?" chiese, aggrottando la fronte, curioso di capire perché il loro tempismo era stato così straordinariamente perfetto.
"Non rispondevi alle nostre chiamate e ci siamo preoccupati." spiegò Asmodeus, mentre cambiava la fasciatura al braccio con mani gentili, fasciando poi la ferita con una sua maglietta trovata nel bagagliaio della macchina. "E' da questa mattina che proviamo a contattarti!"
"Dobbiamo portarlo da un dottore! Subito!" interruppe Dewi, con tono stridulo, girando attorno al marito e ad Alec con fare agitato. "Il mio bambino sta male!" berciò, dirigendosi poi verso la macchina e aprendo la portiera posteriore con un gesto deciso. "Salite!" ordinò, sbrigativa, prima di accucciarsi e sollevare tra le braccia Presidente Miao.
Asmodeus aiutò Alec a caricare Magnus in macchina. Il moro salì sul sedile accanto all'ex Marine e gli fece appoggiare la testa sulle sue gambe.
Magnus accennò un sorriso. Sentire le mani di Alec sulla sua pelle era una bella sensazione. Così come le gambe sotto la sua testa. Una volta guarito, avrebbe di certo chiesto ad Alec di diventare il suo cuscino personale.
"Magnus..." sussurrò il moro.
L'ex Marine sentì la sua voce come un'eco lontana. Era così stanco. Il dolore stava crescendo, così come la debolezza. E la sonnolenza. Dio, era da una vita che non provava una spossatezza del genere. A malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e a muoversi. Chiuse gli occhi.
"Accidenti a te! Guardami!" ordinò Alec, con voce insistente ed esigente.
Magnus lo fece. Il moro aveva un vistoso graffio sul viso, era visibilmente sudato e accaldato e i capelli erano così scarmigliati che sembrava che un uccellino vi avesse fatto il nido. Sorrise alla vista di quel meraviglioso disastro.
Alec scosse la testa e ricambiò il sorriso, afferrandogli una mano e stringendogliela quasi volesse infondergli la sua forza. "Non azzardarti a morire tra le mie braccia." mormorò a bassa voce, con un cipiglio fintamente severo, accarezzandogli una guancia. "Hai capito, brutto imbecille?"
Il sorriso di Magnus si fece ancora più ampio. "Ai tuoi ordini..." mormorò, prima di chiudere gli occhi e perdere conoscenza.
Alec sbattè le palpebre una, due, tre volte.
"Stai bene, caro?" chiese Dewi, voltandosi per controllare il figlio e lanciando uno sguardo curioso al moro.
Alec riuscì soltanto ad annuire, il viso completamente in fiamme.

Magnus si svegliò al tocco di una mano calda che teneva la sua e ne accarezzava lentamente il dorso.
Aprì gli occhi e vide un soffitto bianco sopra la sua testa. Al suo fianco, qualcuno inspirò bruscamente e Magnus voltò lo sguardo per incontrare il paio di occhi blu più belli del mondo e un sorriso storto che gli fece sciogliere la spina dorsale.
"Ciao." sussurrò Alec, stringendogli la mano con delicatezza. Gli occhi erano sospettosamente lucidi.
Magnus ricambiò il sorriso e la stretta. "Ciao."
L'odore di disinfettante impregnava la stanza e gli pungeva le narici, il braccio gli faceva male, il letto era scomodo e sentiva l'impellente bisogno di farsi una doccia, ma non avrebbe barattato quel risveglio nemmeno per tutto l'oro del mondo. Alec era accanto a lui, sano e salvo. Era a posto così.
Cercò di muoversi e di mettersi seduto, ma scoprì che era più debole di quanto pensasse e la flebo al braccio gli impediva grossi movimenti.
"Stai giù!" ordinò Alec, con decisione, alzandosi dalla sedia e bloccandolo sul letto con un gesto delicato, ma fermo.
Magnus alzò un sopracciglio e gli rivolse un sorriso grondante malizia. "Sai che uno dei miei film porno preferiti inizia proprio in questa maniera?" mormorò, arricciando sfacciatamente e ripetutamente le labbra.
Alec si trattenne dal dargli una sberla in testa, limitandosi ad arrossire come un pomodoro maturo e a guardarlo male.
"Dio, le tue battute d'abbordaggio peggiorano ogni giorno di più." sospirò una voce femminile dietro le spalle del moro.
Magnus sorrise ancora di più, sporgendosi leggermente con la testa oltre il corpo di Alec. "Ciao, puffetta!" mormorò, con voce roca.
Catarina Loss, infermiera del Beth Israel Hospital, roteò gli occhi e scosse affettuosamente la testa, avvicinandosi al suo migliore amico e tastandogli il polso. "Come ti senti?" chiese, ravvivandogli i capelli.
"Come dopo una sessione intensa di sesso sfrenato." affermò l'ex Marine, con voce roca e un sorriso malandrino, guardando la ragazza trafficare con la sacca della flebo.
Catarina alzò gli occhi al cielo. "Sul serio, come hai fatto a sopportarlo per tutto questo tempo?" chiese, piazzandosi una mano sul fianco e guardando Alec con uno sguardo fintamente esasperato.
"Il 99% delle volte lo ignoro... o gli rispondo male." rivelò il moro, con tranquillità, scrollando le spalle.
Magnus gli rivolse una rumorosa pernacchia.
Catarina sorrise, mentre misurava la pressione dell'amico. "Ok, ti teniamo in osservazione per qualche giorno, giusto per escludere infezioni o complicazioni, e poi ti rispediamo a casa." gli comunicò, scribacchiando qualcosa sulla cartella clinica dell'uomo e spiegandogli come l'avevano ricucito.
Alec forzò un sorriso di circostanza, mentre ascoltava Catarina parlare a Magnus dell'operazione che aveva subito. Se il colpo fosse penetrato un po' più a destra, avrebbe potuto colpire il cuore. Avrebbe potuto uccidere Magnus.
Strinse le mani in grembo e abbassò lo sguardo, mentre il senso di colpa gli strisciava sottopelle e iniziava a propagarglisi per tutto il corpo.
Non aveva idea di chi fosse il mandante che aveva assodato i quattro motociclisti, ma non aveva dubbi che la sua intenzione fosse quella di uccidere sia lui che Magnus. E c'era quasi riuscito, seppur indirettamente.
Rabbrividì pensando che quell'incubo non era ancora finito. La polizia, infatti, aveva perlustrato la zona boschiva che avevano attraversato lui e Magnus, ma i quattro aggressori sembravano spariti nel nulla. Erano ancora lì fuori, quindi, da qualche parte, in attesa di nuove istruzioni e di attaccare di nuovo.
E tutto per colpa sua.
Alec si morse con forza il labbro inferiore. Se suo padre non avesse ricevuto quell'e-mail, infatti, Magnus non sarebbe mai entrato nella sua vita e ora non si sarebbe trovato in un letto d'ospedale a causa sua, con il braccio ferito per un colpo d'arma da fuoco che era partito perché lui era stato così stupido da giocare a fare l'eroe.
A che cosa stava pensando, per l'angelo? Perché non aveva lasciato che Magnus se la sbrigasse da solo? Perché era stato così idiota da intervenire, quando non aveva la più pallida idea di che cosa stava facendo?
Magnus aveva sempre fatto di tutto per proteggerlo. Non si era mai preoccupato per la propria sicurezza, ma sempre e solo della sua e lui come lo ripagava? Con avventatezza e stupidità!
Dio, come aveva potuto essere così sconsiderato?
"Alec?"
Il moro alzò lo sguardo. Catarina l'aveva salutato e se n'era andata dalla stanza, senza che lui la sentisse e la ricambiasse, e ora Magnus lo stava guardando con occhi preoccupati.
"Sei silenzioso..." notò l'ex Marine. "Stai bene, tesoro?"
Alec abbassò di nuovo lo sguardo e annuì, tornando a torturarsi le mani in grembo. "Sono solo preoccupato."
Magnus sorrise, intenerito. "Per me?"
Alec giocò con il bordo della propria maglia e annuì di nuovo.
"Oh, cielo! Non starai mica dicendo che tieni a me, vero?" lo stuzzicò Magnus, sorridendo.
Alec alzò lo sguardo e gli lanciò un'occhiataccia.
Magnus ridacchiò. "Dai, Fiorellino, vieni qui." mormorò, con un sospiro contento, battendo la mano sana sul letto e muovendosi con difficoltà per fargli spazio.
Alec tentennò, torturandosi il labbro inferiore, ma poi Magnus lo incoraggiò, picchiettando nuovamente la mano sul materasso, e allora si alzò e andò a coricarsi accanto all'ex Marine, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Magnus gli mise un braccio intorno alle spalle e l'attirò più vicino, immergendo le dita nei suoi capelli e baciandogli la fronte.
"Sto bene." sussurrò l'ex Marine, con tono rassicurante.
Alec strinse la labbra, scacciando le lacrime che minacciavano di sgorgare. Aveva rischiato di perderlo. Per sempre.
C'erano così tante cose, di Magnus, che gli sarebbero venute a mancare se fosse morto: la sua forza, il suo coraggio, la sua esuberanza, la passione che metteva in ogni cosa che faceva, il modo in cui lo guardava o lo prendeva scherzosamente in giro. Per l'angelo, gli sarebbe mancato persino il fiume di parole con cui lo investiva quotidianamente! E lui non gliel'aveva mai detto.
"Mi dispiace." mormorò Alec, stringendo con forza, tra le dita, il tessuto del camice che indossava l'ex Marine. "Mi dispiace tanto."
"Non è stata colpa tua." ripetè per l'ennesima volta Magnus, nascondendo il viso tra i capelli del moro.
Per l'uomo era importante che Alec lo capisse. Fondamentale. Non gli avrebbe mai permesso di assumersi la responsabilità di qualcosa che non aveva fatto.
"Sì, invece."
"No, invece."
"Sei qui a causa mia."
"Sono qui perché quello stronzo mi ha sparato."
"Ti ha sparato, perché io l'ho colpito."
Magnus sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Ok. E' stata colpa tua e ti odio profondamente! Dio, com'è che non stai già bruciando all'inferno? Eh?"
Alec alzò di poco la testa e lo guardò, preoccupato e angosciato, prima di rendersi conto che l'altro lo stava prendendo in giro.
"Non c'è niente da ridere." borbottò il moro, tornando a posare la testa sulla spalla sana dell'ex Marine. "Hai rischiato di morire."
"E' successo tante volte. E in situazioni ben peggiori." minimizzò Magnus, facendo spallucce e arruffandogli i capelli. "Una cicatrice in più mi rende solo più sexy." affermò, sicuro, alzando lentamente l'arto danneggiato per verificarne le condizioni. "Visto? E' solo un graffio." assicurò, quando aprì e chiuse la mano a pugno un paio di volte.
"Magnus..."
"Alexander, giuro che se ti scusi un'altra volta ti tiro un calcio e ti butto giù dal letto!" sbottò Magnus, con veemenza.
Alec alzò di poco la testa e nascose un sorriso sghembo tra le pieghe del camice dell'uomo, gustandosi il suono del suo nome pronunciato per intero dalla voce roca dell'altro. "Volevo solo chiederti se ti fa male."
"Oh... in tal caso, no, non eccessivamente." rispose Magnus, con un sorriso divertito, togliendogli poi un ciuffo di capelli dagli occhi. "Dovresti dormire un po', sai? Hai un aspetto terribile." lo stuzzicò, strofinando il naso con il suo.
Alec lo fissò con sguardo impassibile. "Ti sei guardato allo specchio?" ritorse, alzando un sopracciglio.
Magnus sorrise ancora di più. "Sono sicuro che ho comunque un aspetto migliore del tuo." rispose, facendogli la linguaccia.
Alec gli ficcò un dito nel costato, facendolo sobbalzare di scatto.
"Ehi!" si lagnò subito Magnus, scandalizzato. "Sono debole! E malato!"
"E insopportabile come al solito. Direi che ti stai riprendendo alla grande." sentenziò Alec, con un sorriso soddisfatto, muovendosi per alzarsi.
"Dove vai?" chiese Magnus, stringendo la presa sulle sue spalle.
"Mi hai detto che ho un aspetto terribile, no? Quindi vado a casa, a dormire." bleffò il moro, alzandosi su un gomito e guardandolo con un'espressione mortalmente seria.
"Ma... ma... Non resti qui? A farmi da infermiere personale?" domandò Magnus, sporgendo le labbra in un broncio infantile.
"Ma per favore! Non hai bisogno di me." asserì Alec, mettendosi seduto e picchiettando la mano sull'addome dell'uomo. "Hai un intero ospedale che può occuparsi di te. E c'è Catarina."
"Oh.mio.Dio! Non posso credere che mi abbandoni così!" esclamò Magnus, portandosi teatralmente una mano al petto. "Mi sono preso una pallottola per te!"
"Sei sempre così melodrammatico! E' solo un graffio, no?" scimmiottò Alec, sventolando una mano con tono fintamente indifferente. "E io ho bisogno di dormire nel mio letto."
"Non ce l'hai un letto! E' bruciato!" esclamò d'istinto Magnus, prima di mordersi la lingua a sangue. "Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace!" mormorò, non appena si rese conto della cattiveria detta.
Il viso di Alec si contorse in una smorfia triste e il divertimento scemò completamente dai suoi occhi. "Non devi scusarti. E' la verità. Non ho più una camera da letto. E neanche una casa, a dirla tutta." esalò con un sorriso amaro, abbassando lo sguardo.
"Alexander, mi dispiace! Sono un idiota!"
"Magnus..."
"No! Davvero! Sono un idiota! Il più grande e gigantesco idiota del mondo!" affermò Magnus, contrito. "Mi dispiace, tesoro! Mi dispiace tanto!"
Un sorriso sghembo fece lentamente capolino sulle labbra di Alec. "Sapevo che mi avresti dato ragione, prima o poi." affermò, con tono solenne, piantandogli un altro dito nel costato.
Magnus sobbalzò vistosamente. "Ehi!" protestò, imbronciato, prima di tirarlo nuovamente giù per ingabbiarlo nel suo abbraccio. "Mi dispiace." mormorò, stringendolo e baciandogli la fronte.
"Ti ho sparato ad un braccio. Direi che siamo pari." sussurrò Alec, tornando a posare la testa sulla spalla sana dell'ex Marine.
Magnus sorrise. "Ok, siamo pari, mio dolce profitterol!"
Alec alzò gli occhi al cielo. "Idiota." mormorò, chiudendo gli occhi e pressando la fronte sul collo dell'altro.
Magnus ridacchiò, baciandogli i capelli e chiudendo gli occhi a sua volta. Stava quasi per addormentarsi quando un pensiero improvviso gli attraversò la mente.
"Dov'è il nostro bambino?" chiese, trattenendo drammaticamente il fiato e aggrottando la fronte.
Alec si sistemò meglio accanto a lui, passandogli un braccio sull'addome per stringerlo meglio. "Dai nonni." sussurrò, con voce assonnata. "Tua madre l'ha sequestrato e sinceramente ho seri dubbi che ce lo restituisca."
"Non esiste! Dovrà passare sul mio cadavere!" esclamò Magnus, con tono deciso e indignato.
Alec sorrise, divertito, prima di cadere lentamente in un sonno profondo.

Una mano calò sul lucido tavolo di mogano con una tale violenza che tutto ciò che c'era sopra la superficie tremò visibilmente.
"Vi ha dato di volta il cervello? Non erano questi gli ordini!" sbraitò l'uomo seduto dietro la scrivania, fulminando con uno sguardo omicida i quattro individui vestiti completamente di nero, in piedi davanti a lui.
Tre di loro erano piuttosto malconci. Uno portava addirittura una vistosa fasciatura alla testa.
"Vi avevo dato istruzioni precise!" gridò l'uomo, sempre più adirato, fissandoli negli occhi, uno dopo l'altro.
I quattro uomini non riuscirono a sostenere quello sguardo gelido e sentirono l'esigenza di abbassare gli occhi pur di sfuggire all'ira che si leggeva chiaramente nelle iridi della persona seduta dietro la scrivania. Dire che era arrabbiato era un semplice eufemismo.
In un lampo di folle coraggio, Victor prese fiato, pronto a mormorare una patetica giustificazione che discolpasse il suo operato, ma Alaric fu più lesto di lui e gli piantò un gomito nel costato, fulminandolo con un'occhiata ammonitrice che ridusse l'altro al silenzio.
Non gli avrebbe permesso di difendersi. Se l'intera operazione era andata a puttane, infatti, era esclusivamente a causa di quella testa vuota di Victor che si era fatto prendere dalla smania della "caccia", trascinando con se anche quei due idioti di Theo e Jordan.
Quando Magnus Bane e Alec Lightwood erano scappati nel bosco, Alaric aveva ordinato di smetterla di sparare e di ritornare indietro. Victor, però, con un ghigno inquietante e folle, aveva esclamato "Inseguiamoli! E che sarà mai!", sparendo nel folto del bosco. Theo e Jordan, il cui quoziente intellettivo si avvicinava pericolosamente allo zero, gli erano corsi dietro come i due perfetti idioti quali erano.
Victor era stato il primo a cadere per mano di Magnus Bane. Alaric, quando l'aveva saputo, aveva sorriso ampiamente, compiaciuto. Theo e Jordan erano state le "vittime" successive.
Dio, come avevano anche solo potuto pensare di dare la caccia a Magnus Bane? Quell'uomo era stato uno dei migliori soldati che la Marina Militare statunitense avesse mai avuto e, nonostante fosse stato congedato, si parlava ancora di lui come una specie di leggenda vivente. Era coraggioso, leale, un genio nel progettare piani e ricalcolarli velocemente, quando qualche imprevisto li mandava a monte, ed era il cecchino più infallibile e letale di cui avesse mai sentito parlare. Nell'ambiente militare, c'era addirittura chi pensava che fosse uno stregone, perché riusciva dove ogni altro essere umano falliva e sembrava fare magie nelle situazioni più pericolose. Era l'apoteosi della perfezione, insomma.
E quei tre idioti pensavano di... Dio, Alaric non aveva neppure idea di cosa pensavano di fare!
"E invece per poco non li ammazzavate entrambi!" continuò l'uomo seduto dietro la scrivania, completamente fuori di sé dalla rabbia.
"Veramente sono loro che per poco non ammazzavano noi." borbottò Jordan, con un filo di voce, incapace di trattenere le parole, mentre si massaggiava il bernoccolo che quel teppista di Lightwood gli aveva provocato con quella bastonata in testa.
"Che cosa hai detto?" chiese l'uomo dietro la scrivania, con voce bassa e mortalmente seria, mentre si alzava lentamente dalla poltrona di pelle.
Gli occhi brillavano così sinistramente da mettere paura e l'uomo sembrava sul punto di saltare addosso a Jordan e staccargli la testa con le proprie mani. Alaric era certo che le sue mani tremassero così vistosamente perché si stava trattenendo con tutte le sue forze pur di non aggredire fisicamente quella testa vuota.
Jordan trattenne bruscamente il fiato e fece un vistoso passo indietro, mordendosi forte il labbro inferiore e scuotendo energicamente la testa, che doleva in modo fastidioso.
Alaric alzò gli occhi al cielo e trattenne un sospiro esasperato. Jordan aveva confermato, una volta di più, che non aveva un briciolo di sale in zucca. Già perché, se ce l'avesse avuto, oltre a stare zitto avrebbe anche trovato il modo di sparire dalla faccia della terra visto che aveva ferito Magnus Bane, seppur accidentalmente, provocando l'ira funesta dell'uomo dietro la scrivania.
"Uscite da qui! Non voglio vedervi più!"  urlò l'uomo, gelido, guardando Victor, Theo e Jordan.
Alaric rimase impassibile, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso davanti a sé.
Quando i tre idioti uscirono dall'ufficio, l'uomo dietro la scrivania prese un respiro profondo, prima di rivolgersi a lui. "Cosa cazzo è successo in quel bosco?"
"Victor." rispose semplicemente Alaric, scrollando le spalle, certo che quella risposta fosse sufficientemente esaustiva.
L'uomo dietro la scrivania annuì, passandosi una mano tra i capelli con uno sguardo rassegnato. "Dì a Blondie di venire nel mio ufficio." ordinò, prima di sedersi con un tonfo sulla poltrona di pelle.
Alaric annuì con un gesto secco, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.
   
 
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