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Autore: DrarryStylinson    13/07/2020    2 recensioni
Stiles è frutto di un esperimento genetico mal riuscito: metà uomo e metà lupo. Quando l’animale prende il sopravvento, la rabbia e l’istinto di far del male al prossimo sono impossibili da controllare. Solo un altro come lui potrebbe avere le capacità per fronteggiarlo.
Derek, rimasto solo al mondo e con un conto in sospeso con Stiles, si offre volontario per diventare anch’egli un mezzo lupo per poter così catturarlo.
Quando però la verità viene a galla entrambi dovranno rivalutare le loro posizioni in questa sorta di guerra.
Sterek!AU
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

Mi trovavo nella radura. Ai miei piedi i corpi dei soldati che ci avevano attaccato. I raggi del sole filtravano tra gli alberi e illuminavano il bosco silenzioso. Era tutto così calmo. Ora che quegli uomini avevano smesso di sparare riuscivo a sentire di nuovo il rumore degli uccellini che tornavano nel loro nidi. Vidi Stiles sbucare da dietro un albero. Era vestito completamente di bianco e i piedi nudi erano sporchi di terra. Guardai le mie mani intrise di sangue e, noncurante, mi avvicinai a lui e lo abbracciai sporcando il candore di quegli abiti. Mi accarezzò il viso con una mano poi mi spinse via quando un soldato, l’ultimo sopravvissuto, ci lanciò addosso una fiala piena di liquido viola. Colpì Stiles sulla spalla e si ruppe macchiandogli la giacca bianca e facendo esplodere nell’aria una polverina lilla. Stiles la inalò e cadde in ginocchio privo di forze. Ansimò raucamente, boccheggiando alla ricerca d’aria.
“Stiles!” urlai mentre si accasciava a terra. Mi inginocchiai al suo fianco guardando quell’uomo. Si tolse il casco e rivelò il suo volto: era Chris Argent.
“Dovevi solo portarlo da me” disse. “Non sarebbe successo se avessi fatto quello per cui ti ho creato” mi incolpò.
Ringhiai ferocemente mentre percepivo il battito del cuore di Stiles indebolirsi. Era aconito. Quella stupida pianta ci poteva uccidere in novanta secondi. Un’arma letale, una delle nostre poche debolezze. Stiles non riusciva più a respirare, la polvere viola gli aveva riempito i polmoni. I suoi occhi divennero gialli.
“Dai, trasformati” lo incoraggiai afferrandogli una mano e tentando di assorbire il suo dolore. Non riuscì a mutare completamente e divenne paonazzo a causa della mancanza di ossigeno.
“Non riesco a prenderti il dolore” dissi confuso. La vista mi si era offuscata a causa delle lacrime. Lo stavo perdendo. L’unica persona che mi era rimasta mi stava abbandonando.
“È perché…” iniziò a fatica boccheggiando per lo sforzo. “… non ne provo” concluse. I suoi occhi smisero di brillare e ritornarono castani. Il cuore si fermò e il suo odore cessò semplicemente di esistere. Poggiai le mani incrociate sul suo petto iniziando un massaggio cardiaco. Imprecando e pregandolo di risvegliarsi. Gli tappai il naso e insufflai aria nel suoi polmoni pieni di aconito. Non funzionò. Restò a terra, completamente immobile.
“No, no, no” mormorai disperato infilzando gli artigli nel suo braccio. Glielo ruppi sperando di attivare il processo di guarigione ma niente, sentii solo lo schiocco dell’osso che rimbombò nella radura.
Mi voltai per affrontare Chris Argent ma era sparito. Guardai di nuovo Stiles ma non c’era più neanche lui. Mi alzai in piedi di scatto iniziando a guardarmi attorno. Il bosco cominciò a ruotare intorno a me facendomi finire in un vortice di rami e foglie. “STILES!” gridai con quanto più fiato avessi in gola e tutto si illuminò.


Spalancai gli occhi. Il sole entrava dalla finestra colpendomi le pupille e accecandomi. Li richiusi e inspirai profondamente il familiare odore di Stiles che mi riempì e rassicurò. Era stato solo un incubo, solo un brutto sogno causato dalla terribile esperienza vissuta nel bosco. Stiles era sdraiato di fianco a me. Mi voltai verso di lui e lo vidi ricoperto di sangue, con gli occhi vitrei e spalancati che fissavano il vuoto.


Fu allora che mi svegliai sul serio. La stanza era seppellita nell’oscurità grazie alle tende che coprivano le finestre. Stiles stava ancora dormendo al mio fianco. Era talmente stanco che non si era svegliato a causa del mio incubo, non aveva percepito il mio stato d’animo mentre sognavo la sua morte. Con il dorso di un dito gli accarezzai una guancia calda e rosea. Era vivo, stava bene. Eravamo al sicuro.
Cosa avrei fatto se lo avessi perso? Cosa mi sarebbe rimasto? Niente, questa era la risposta. Sarei potuto scappare in Canada dall’unico parente che avevo e che non vedevo da quando ero piccolo: Peter, il fratello di mia madre. O, più probabilmente, senza Stiles avrei perso l’unica ragione che ancora avevo per combattere e mi sarei lasciato uccidere dalla Stilinski Corporation o peggio… avrebbero potuto fare molto più che uccidermi.
“Ti sento pensare” mormorò rocamente Stiles.
Sussultai, non avendolo percepito svegliarsi, e mi chinai sulle sue labbra dischiuse.
Lui mugugnò, infastidito. “Non mi sono nemmeno lavato i denti” disse voltandosi.
Le mie labbra, ancora sulle sue, finirono sulla sua guancia, che avevo continuato ad accarezzare sovrappensiero per tutto quel tempo. Gliela morsicai giocosamente.
“Mi fai male” borbottò non muovendosi.
“Hai rifiutato un bacio, ora devi subire la mia ira” mi giustificai.
Stiles si asciugò la guancia, bagnata di saliva, e si voltò dall’altra parte richiudendo gli occhi. Lo annusai discretamente percependo il suo malessere. Mi sdraiai dietro di lui, circondandolo con un braccio e stringendolo. Lui si accoccolò contro il mio petto e, silenziosamente, cominciò a piangere.
Lo consolai senza fargli domande, sussurrandogli all’orecchio che sarebbe andato tutto bene e assorbendo il suo dolore finché si riaddormentò. Quando fui sicuro che non si sarebbe svegliato gli baciai una spalla e mi alzai. Esattamente, com’era accaduto? Quando avevo cominciato a vivere in sua funzione? Mi aveva detto che i lupi erano animali monogami e fedeli ma non che la mia vita sarebbe dipesa dalla sua, che sarei stato felice solo se lo fosse stato anche lui.
Pure lui si sentiva in questo modo, lo potevo percepire chiaramente. Sapevo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggermi e questo mi terrorizzava. Non era salutare.
Cosa gli sarebbe accaduto se non mi avesse mai incontrato? E, soprattutto, cosa gli sarebbe accaduto se fossi morto?
Uscii dalla camera per timore che mi sentisse di nuovo pensare. La casa era silenziosa, eccetto che per una voce che proveniva dal televisore. Entrai di soppiatto nel salotto. Liam e Theo, seduti vicini sul divano, stavano guardando il telegiornale. Vidi sullo schermo le immagini della casa nella radura vista dall’alto e i corpi dei soldati a terra. Capii che quell’elicottero era lì per riprenderci. La donna alla TV diceva che avevamo ammazzato più di venti persone.
Non era vero. Solo un uomo era morto: quello con cui mi ero fatto scudo dai loro proiettili. Era morto perché loro continuavano a sparare per cercare di colpire me. Stavano manipolando la notizia così come avevano fatto inventando attacchi inesistenti da parte di Stiles.
“Credi che sia sicuro tenerli qui?” domandò Liam sottovoce non sapendo che ero proprio dietro di loro.
“Sì” rispose Theo deciso. Liam annuì e rilassò le spalle. Si fidava ciecamente dell’altro ragazzo.
Infilai una mano in tasca e presi il foglio scritto da Stiles con l’indirizzo che ci aveva portato lì e il numero di telefono. “Di chi è questo numero?” chiesi.
Loro sobbalzarono. Liam si portò una mano al petto mentre Theo si voltò per fissarmi male. I loro cuori avevano accelerato per lo spavento ma erano tornati subito alla normalità.
Mostrai il foglio a Theo e lui comprese. “Dovrebbe essere il numero di Lydia. Lei ha un metodo per far ricordare a Stiles tutto quello che ha dimenticato” spiegò.
Sollevai un sopracciglio fissando il numero della dottoressa Martin. Le mie intuizioni si erano rivelate esatte: anche lei era dalla nostra parte, avevamo già quattro alleati.
“Solo quando sarà pronto” aggiunse puntandomi contro un dito.
Aveva paura che trascinassi Stiles da lei per obbligarla a restituirgli la memoria? Ormai quello che aveva fatto non mi faceva più arrabbiare, mi rendeva triste ma sapevo che non era lui, che il mio Stiles – quello vero – non era un assassino.
“So perché hai deciso di sottoporti a questo” rivelò Theo alzandosi in piedi per fronteggiarmi e guardarmi dall’alto verso il basso. “Scott mi ha detto che il tuo piano all’inizio era di ucciderlo e non mi capacito di come voi due possiate essere venuti qui insieme” disse avvicinandosi.  Era più basso di me e più piccolo, sia di corporatura che di età.
Sorrisi, ammirando il modo in cui difendeva gli interessi di Scott.
“So che Stiles è una brava persona e che tutto quello che è stato mostrato di lui è un’invenzione, ma tu…” disse osservando i miei occhi con sospetto.
Li feci brillare di blu. Detestavo il modo in cui mi accusava ma rispettavo il suo punto di vista.
Avevo acconsentito a farmi modificare geneticamente per uccidere un ragazzino, questo non mi rendeva migliore di Chris Argent né della Stilinski Corporation.
Liam si alzò in piedi e afferrò Theo per la spalla. Lo fece indietreggiare di un paio di passi e gli sussurrò di smetterla. “Scott mi ha chiesto di proteggere Stiles”.
Roteai gli occhi. Dubitavo che uno come Stiles avesse bisogno di qualcuno che lo proteggesse, più che altro necessitava comprensione e qualcuno che non lo giudicasse.
Theo stava per aggiungere qualcos’altro ma lo interruppi: “che rapporto c’è tra te e Scott?” chiesi ignorando Liam che si stava nascondendo dietro il corpo dell’altro ragazzo. I suoi occhi azzurri sbucavano da sopra la sua spalla.
“Diciamo che gli devo un favore, se è la mia lealtà a preoccuparti” ribatté supponente.
“Bene, anche io devo un favore a Stiles, se pensi che non stia dalla sua parte” replicai canzonatorio incrociando le braccia al petto.
Strinse gli occhi e mi scrutò ancora per qualche secondo. “Mh” emise senza nemmeno aprire la bocca. Si voltò e andò in cucina lasciando lì Liam a fissare come uno stoccafisso i miei occhi ancora blu.
Mi sedetti sul divano e finsi di ascoltare il resto delle notizie. In realtà pensavo di nuovo. Lydia aveva trovato un modo per far rammentare a Stiles quello che avvenne la notte del 3 agosto. Avevo l’occasione di conoscere tutta la verità. Stiles, però, come ne sarebbe uscito? Avrebbe sopportato un’altra batosta psicologica come quella? La verità lo avrebbe distrutto o era forte a sufficienza?
Sapevo che se gli avessi detto che la dottoressa Martin poteva fargli riavere i suoi ricordi, lui avrebbe accettato senza esitazione solo per accontentare me. Avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avessi chiesto anche se questo significava restare ferito. Non potevo essere così egoista.
Liam si sedette al mio fianco e cambiò canale, fece zapping fermandosi su un programma di musica. Mi soffermai ad ascoltare quella canzone e sorrisi, ripensando a Stiles che, nella casa nel bosco, suonava con la chitarra scordata quelle stesse note e canticchiava stonato.
Percepii lo sguardo di Liam su di me. Non mi voltai e lasciai che continuasse a fissarmi, poi parlò: “tu lo ami, vero?” chiese senza ombra di dubbio.
Ricambiai il suo sguardo indagatore senza rispondergli.
“Non sai nemmeno tu come sia potuto accadere, ma è successo” aggiunse osservando i miei occhi di nuovo verdi e scrutandoli attentamente, come se lì dentro avesse potuto trovare la risposta alla sua domanda.
“Non sono affari tuoi” ribattei scorbutico.
“Suppongo che questo sia un sì” disse divertito. Mi diede una pacca sulla spalla e mi lasciò solo. Lo sentii parlare con Theo ma feci di tutto per non ascoltare.
Dopo qualche minuto, Liam uscì di casa con una sacca sportiva sulle spalle. “Dove va di domenica?” chiesi ad alta voce.
La testa di Theo sbucò dalla cucina. “Per quanto stiamo dando asilo a dei licantropi ricercati in tutta la California, siamo ancora ragazzi normali” rispose sarcastico. “Va all’allenamento di lacrosse con la squadra”.
Sbuffai forte dal naso. Non mi fidavo del ragazzino. Era troppo giovane e non ero sicuro che capiva la gravità delle leggi che stava infrangendo e dei crimini che stava commettendo tenendoci nascosti. Se ci avessero scoperti sarebbero finiti in galera.
“Noi sappiamo quello che stiamo facendo” mormorò Theo come se mi avesse letto nel pensiero. “Abbiamo previsto tutti i rischi e siamo pronti ad affrontare le conseguenze” disse deciso guardandomi come a sfidarlo a mettere in dubbio le sue parole.
Annuii captando i segnali chimici che emanava. Era molto convinto di quello che diceva e, a giudicare dalle emozioni che stavano trasudando nitidamente dal suo corpo, sembrava quasi una cosa personale, come se la Stilinski Corporation gli avesse fatto qualche torto e lui volesse vendicarsi.
Era pericoloso lasciarsi guidare dai propri sentimenti, soprattutto da quelli negativi. Io ne sapevo qualcosa.
Inspirai profondamente sentendo il profumo di Stiles farsi più intenso e il battito del suo cuore accelerare di poco: si era svegliato. Dopo pochi secondi lo vedemmo comparire in salotto. Guardò prima me, poi Theo e – infine – la TV con un’espressione ancora assonnata e i capelli sparati in tutte le direzioni.
La canzone che aveva suonato nella casa nel bosco era quasi finita ma lui la riconobbe ugualmente. Il suo sguardo divenne nostalgico.
Non mi aveva mai detto come aveva imparato a suonare la chitarra. Io credevo che, preso dalla noia, l’avesse rubata e imparato da autodidatta ma forse non era così. C’era un’altra persona che conoscevo appassionata di musica: mia madre. Chissà perché mi veniva in mente solo in quel momento. Non avevo mai pensato che potesse essere stata lei ad insegnargli a suonare. Lui diceva che era sua amica quindi aveva perfettamente senso che lei non fosse solo la sua veterinaria ma anche un’insegnante.
Gli sorrisi e lui ricambiò. Ritrovavo tante parti di lei in Stiles e questa cosa mi faceva innamorare sempre di più.
“C’è da mangiare?” chiese in un sussurro, quasi vergognandosi di chiedere aiuto e di approfittare della disponibilità dei due ragazzi.
“Certamente” rispose Theo facendo un cenno della testa per invitarlo a seguirlo.
L’ora della colazione era passata da un pezzo ma a Theo non sembrò importare. Si mise a cucinare per entrambi con piacere mentre Stiles se ne stava seduto, sulla sedia della cucina, a rimuginare su tutto quello che era avvenuto.
Mi appoggiai al lavello e lo scrutai con serietà. “Ci incolpano per la morte dei soldati” rivelai.
Theo, al mio fianco, si girò a guardarmi sorpreso con un cucchiaio di legno sospeso a mezz’aria.
Stiles non ebbe nessuna reazione.  Aggrottò le sopracciglia e si guardò le mani confusamente, come se temesse di vedere del sangue sotto le unghie. “Ma io non ho ucciso nessuno” disse.
“Nemmeno io. Ma lo stanno facendo credere” spiegai.
“Oh…” sospirò a bassa voce. “Be’, che sarà mai un morto in più sulla mia coscienza?” cercò di sdrammatizzare.
Roteai gli occhi e Theo sbuffò una risata riprendendo a cucinare.
Non gli dissi che Lydia sapeva come fargli riavere i suoi ricordi e lui sembrò non rammentarsi di quel numero di telefono che aveva segnato sul foglio. Forse, per il momento, gli bastava avere un tetto sopra la testa, un letto su cui dormire e, soprattutto, qualcuno che non gli sparasse addosso.
“Non possono arrivare a voi tramite Scott, vero?” chiese quando Theo gli riempì il piatto.
Il ragazzo gli rispose con un occhiolino e uscì dalla stanza per lasciarci soli.
“Grazie” esclamò Stiles prima che chiudesse la porta. “Non lo avevo ancora detto” aggiunse infilzando il cibo con una forchetta e infilandoselo in bocca velocemente.
Theo non rispose ma il suo odore si fece più dolce.
“Sei sempre così tenero” lo presi in giro sedendomi al suo fianco.
“Si chiama riconoscenza” ribatté divertito. “E non sono tenero” disse facendo il broncio.

 

Un paio di giorni più tardi, dopo che i due proprietari di casa ci avevano fatto trovare dei vestiti nuovi e, per la prima volta, non rubati, Stiles scattò in piedi e si infilò le mani nei capelli. Theo, che stava scrivendo qualcosa al computer, e Liam, che teneva la testa immersa in un libro da più di un’ora e leggeva sottovoce, lo fissarono sorpresi.
“Che ti prende?” chiesi allarmato.
“Come farò durante la luna piena?” domandò preoccupato cominciando a tastarsi le tasche dei pantaloni alla ricerca di una caramella alla liquirizia. Quando non la trovò sbuffò inferocito andando in cucina e iniziando ad aprire la dispensa. Tutti e tre lo seguimmo, uno più preoccupato dell’altro.
A quel problema non avevo proprio pensato. Dieci giorni mancavano al plenilunio e le catene della casa nel bosco non erano più a disposizione per contenere la sua furia animalesca.
“Che succede durante la luna piena?” mi domandò Theo mentre Liam si accostava a Stiles per chiedergli cosa stesse cercando. Quando glielo disse Liam rispose che a loro la liquirizia non piaceva e che in casa non avevano niente.
Stiles, con gli occhi improvvisamente gialli, afferrò l’altro ragazzo per la maglia e lo strattonò con forza verso di sé. Sia io che Theo ci precipitammo per dividerli: Theo prese Liam per le spalle e lo tirava indietro, mentre io cercavo di fargli aprire le dita strette attorno alla stoffa della maglia.
“Stiles, lascialo!” esclamai. “Non hai bisogno di quella schifezza per calmarti” cercai di convincerlo. Sembrava un tossico in astinenza da metadone.
“C’è un supermercato qui vicino. Vado a prenderla” tentò invece Liam.
Stiles incassò la testa nelle spalle e ringhiò.
“Ehi!” lo sgridò Theo. “Abbiamo dei vicini” disse avvicinandosi a Stiles per affrontarlo. “Se ci scoprono siamo fottuti. Tutti e quattro” continuò tenendo un tono di voce deciso ma senza urlare. “Non vorrai certo che Derek finisca nelle mani di Argent. Non lo vuoi, vero?” provocò.
Stiles lo guardò minacciosamente e sbuffò dal naso mentre mi domandavo cosa si fosse messo in testa di fare quel ragazzo.
“Suppongo che questo sia un sì” disse ripetendo la stessa frase che mi aveva detto Liam quando mi aveva chiesto se amassi Stiles. “Quindi, ora sta’ buono per una ventina di minuti che vado a comprarti la tua dannata liquirizia” concluse.
Stiles lasciò andare Liam e ritirò gli artigli. Incazzoso, tirò un calcio alla lavastoviglie ruggendo sottovoce. Guardai Theo meravigliato mentre si assicurava che Liam stesse bene e gli allisciava le pieghe della maglia ormai bucata. Stiles aveva lo strano vizio di rovinare i vestiti delle persone.
“Sbrigati” grugnì  con urgenza.
Theo annuì, prese le chiavi della macchina, e se ne andò. Liam mi guardò, ancora un po’ sconvolto. “Vado a finire di studiare” annunciò cercando di defilarsi a tutti i costi.
Non mi curai di lui, la mia attenzione era totalmente concentrata su Stiles. “Devi smetterla di farti sopraffare dal lupo” dissi sedendomi sul tavolo. “In questi giorni dovrai mantenere il controllo perché non possiamo fare niente durante la luna piena. Non potrai incatenarti da nessuna parte” gli spiegai con calma anche se in realtà ero preoccupato. Lo avevo visto quella notte, incatenato al muro, rabbioso e selvaggio. Avrebbe potuto far male a qualcuno di nuovo e non potevo lasciare che accadesse.

 


Lavorammo molto, in quei giorni, sull’autocontrollo. Quando i due uscivano per la scuola o per il lavoro io aiutavo Stiles. O, almeno, ci provavo. Seguivamo insieme un corso su internet di meditazione e per qualche ora aveva anche funzionato poi, ovviamente, si era annoiato e mi aveva letteralmente mandato a quel paese.
“Dobbiamo trovare una soluzione” disse Theo tre giorni prima del plenilunio.
“Grazie per le tue perle di saggezza” ironizzò Stiles sempre più irritato.
“Non hai pensato che ricordare potrebbe aiutarti a superare i tuoi traumi?” aggiunse scocciato per il modo in cui veniva trattato. Liam, invece, sembrava divertito dall’eccessivo sarcasmo di Stiles che non gli aveva più messo le mani addosso dopo aver ricevuto di nuovo la sua dose di liquirizia che, per la cronaca, stava sgranocchiando anche in quel momento.
“Se sapessi come, lo farei” borbottò mentre io mi premuravo di tirare un calcio a Theo colpendogli la caviglia.
Lui mi fissò con una smorfia dolorante. “Non gliel’hai detto?” chiese.
“Detto cosa?” si insospettì Stiles.
Inspirai profondamente, preparandomi ad ogni sua possibile reazione. “Lydia sa come farti tornare la memoria” gettai tutto d’un fiato.
Il suo cuore saltò un battito, poi cominciò a scalpitare forsennatamente. Era stravolto. Da più di due anni si chiedeva come avesse fatto ad uccidere il suo stesso padre e si tormentava sulle ragioni che lo avevano spinto ad un gesto così estremo e, ora che finalmente c’era una soluzione, io lo avevo privato di scegliere.
“Avrei dovuto dirtelo sin da subito” mi scusai pateticamente.
“Da quanto lo sai?” chiese. I suoi occhi lampeggiarono dalla rabbia. “Da quanto sai che posso riavere i ricordi?” ripeté. Il suo odore si fece più selvatico, segno che l’animale rischiava di nuovo di controllarlo.
“Me lo ha detto Theo quando siamo venuti qui” confessai.
“Stiles” lo chiamò Liam. “Pensavo te lo avesse detto ma se non lo ha fatto è perché credeva che fosse meglio per te” disse tentando di rimediare.
“Non ho bisogno di essere difeso” ribattei scortese.
“Non parlargli in questo modo” si intromise Theo, che era stato seduto ad osservarci.
“Credo di sapere perché non me l’hai detto” mormorò Stiles scostando la tenda e guardando fuori dalla finestra. “Hai paura che scoprendo la verità, sapendo esattamente quello che ho fatto e come l’ho fatto, tornerai ad odiarmi” suppose esalando frustrazione.
“No. Ho paura che tu possa odiare te stesso” replicai avvicinandomi a lui e richiudendo la tenda. Non potevamo rischiare che un passante ci vedesse e ci riconoscesse.
“Io mi odio già” disse guardando con rabbia le sue unghie che diventarono artigli, appuntiti e letali.
“So che non è vero” dissi prendendo le sue mani lupesche nelle mie. “Ami il modo in cui ti senti quando ascolti la natura, captando rumori che nessun altro può sentire. O quando salti tra i tetti dei palazzi o ti arrampichi sugli alberi. Quella sensazione di libertà e spericolatezza che ti scorre nelle vene” gli ricordai. “Mi hai parlato di ululare alla luna ma non lo abbiamo ancora fatto” gli ricordai. “Forse odi il modo in cui gli altri ti fanno sentire ma, in fondo, essere un licantropo non è così male” ammisi.
Lui mi guardò sorpreso annusandomi e studiandomi attentamente, poi capì: io avevo accettato la mia natura. Ero stato io a volerlo, avevo scelto di diventare così e, se non lo avessi fatto, sarei stato incompleto per sempre.
“Sai, non ti avrei mai conosciuto altrimenti” sussurrai per fare in modo che gli altri due non mi sentissero.
Stiles mi gettò le braccia al collo, si sollevò sulle punte dei piedi e mi baciò con passione e necessità. Ricambiai con entusiasmo mentre sentivo Liam bisbigliare a Theo: “che ti avevo detto?”.
Si staccò dalle mie labbra con uno schiocco e mi guardò severamente. “Non ti ho ancora perdonato” disse.
Io ridacchiai e ricercai di nuovo la sua bocca per scambiarci un altro veloce bacio.
Theo si schiarì la gola ed entrambi lo squadrammo senza imbarazzo. “Quindi… per la questione dei ricordi” disse aspettando che prendessimo una decisione.
Guardai Stiles. Era a lui che spettava l’ultima parola. Annuì. “Voglio sapere quello che è successo quella notte. Tutti e due meritiamo la verità” disse deciso.
Infilai una mano in tasca e cercai il foglio sempre più stropicciato. Theo prese da un cassetto un telefono nuovo e mai usato, un modello vecchio. Lo accese e compose il numero che gli dettai.
“Pronto?” sentimmo dopo due squilli. Riconobbi la voce della dottoressa Martin.
“Dimmi quando” mormorò Theo conciso.
“Tra due notti” rispose lei.
Theo spense il telefono, rimosse la scheda e la spezzò a metà. Distrusse la batteria con un piede e mi lanciò il cellulare esortandomi a fare lo stesso. Senza sforzo, chiusi la mano a pugno e sbriciolai il telefono tra le mie dita.
Ancora due giorni e la verità sarebbe venuta a galla e, intanto, la luna piena si avvicinava inesorabilmente.

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