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Autore: QueenVictoria    19/07/2020    12 recensioni
I Cavalieri d’Oro vengono richiamati al Santuario per una riunione straordinaria, questa volta partecipa anche Mu dell’Ariete che torna in Grecia di sua spontanea volontà per sondare la situazione. Ambientata due anni prima dell’inizio della serie classica, questa storia vedrà l’incontro tra i Cavalieri d’Oro in un momento in cui la situazione al Santuario è molto tesa; una breve missione li porterà in viaggio in Asia Centrale e li costringerà a interagire e confrontarsi tra loro.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Virgo Shaka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Chi ha osato disturbare il mio sonno?!”
 
Le nuvole si muovevano prendendo varie forme, sembravano quasi ribollire mentre si espandevano sempre di più nella superficie del cielo.
 
Mu alzò prudentemente lo sguardo verso l’alto cercando di muovere il meno possibile la testa. Gli sembrò quasi di intravedere un volto prendere forma nel gioco di chiaroscuri violacei. No, forse era solo autosuggestione.
 
“Chi mi ha svegliato?”
 
“Io… io, mio Signore,” disse Jaman inginocchiandosi, subito imitato dai ragazzini.
 
I Cavalieri rimasero immobili tenendo il capo chino. Cosa dovevano fare?
 
“Perché hai disturbato il mio sonno?”
 
“Ho trovato la Vostra collana e Vi ho risvegliato. I tempi sono maturi per il Vostro ritorno, renderò di nuovo grande il Vostro nome.”
 
“Chi sei tu, per rendere grande il nome di un dio?” tuonò in risposta la voce.
 
Jaman aprì la bocca ed esitò a rispondere
 
“E come osi indossare la mia armatura?” incalzò la voce, impedendogli di parlare.
 
“Signore… l’ho presa in custodia fino al vostro ritorno.”
 
“Toglila immediatamente!”
 
Jaman si portò una mano al petto, stringendo le dita. Gli occhi sbarrati.
 
“Aspettate mio Signore, posso continuare a custodirla per Voi…”
 
“TOGLILA!”
 
L’uomo strinse le braccia attorno a sé, come volesse trattenere l’armatura. Iniziò a tremare.
 
“No, a… aspettate! Io…”
 
Mu lo guardò contrariato. Ma cosa stava facendo? Perché non obbediva? Non si rendeva conto del pericolo che stava correndo? Restituisci quella maledetta armatura!
 
“Io… sono… il suo custode. La… custodirò io fino a che non Vi rincarnerete di nuovo, la userò per combattere i Vostri nemici.”
 
“L’armatura di un dio non ha bisogno di un custode!”.
 
La voce si trasformò nel rombo di un tuono assordante che sembrò rimbalzare sulle montagne. Si formò un rimbombo spaventoso, la voce divenne un insieme di infinite voci assordanti.
 
Un fulmine cadde sull’uomo carbonizzandolo all’istante.
 
 
I ragazzini gridarono dal terrore, i Cavalieri rimasero immobili cercando di valutare il da farsi. Il fulmine era stato così veloce che nemmeno loro, in grado di distinguere movimenti alla velocità della luce, avrebbero potuto schivarlo. Ancora storditi da quella voce cercavano di vincere la paura che si stava impadronendo di loro. Sì, paura. Per quanto si fingessero impassibili, erano terrorizzati da quell’essere superiore che in un attimo aveva cancellato la vita di una persona. Fino a quel momento erano stati abituati a combattere contro nemici alla loro portata, ma adesso davanti a loro c’era qualcosa che non erano nemmeno in grado di comprendere fino in fondo.
 
I banchi di nubi gorgogliarono sopra le loro teste per dei lunghissimi minuti, prima di ritirarsi lentamente verso le cime delle montagne. La tensione si allentò pian piano, l’ira di Indra sembrava stesse scemando. La nubi erano ormai piuttosto lontane.
 
La ragazzina fu la prima a muoversi, si avvicinò lentamente a ciò che restava del cadavere di Jaman, un mucchio di cenere scura le cui polveri si stavano lentamente disfando al soffio del vento. Cadde in ginocchio accanto a lui e iniziò a singhiozzare. Strinse con forza i pugni, deglutendo rumorosamente, poi li riaprì e avvicinò le mani al corpo dell’uomo. Lo sfiorò appena e la cenere si sbriciolò sotto le sue dita. Si guardò le mani sporche di quella polvere nera, poi fu distratta da un luccichio improvviso; qualcosa brillava in mezzo alla cenere.
 
La collana! Il dio non si era curato di riprenderla.
 
La ragazzina mosse una mano per toccarla ma Shaka fu più veloce di lei, la afferrò e la sollevò con la dovuta cautela. Sembrava aver perso ogni potere, nelle pietre non c’era più alcuna traccia di cosmo.
 
“La collana ha ormai svolto il suo compito. Indra non verrà certo a reclamarla,” mormorò mentre la osservava.
 
“Bene,” disse poi riponendola con cura nella piccola borsa che portava attaccata alla cintura “la nostra missione può ritenersi conclusa.”
 
“Non sono sicuro che l’ira del dio Indra si sia placata così in fretta,” rispose Mu guardando preoccupato verso le nubi violacee che, pur essendosi allontanate, non accennavano a dissolversi.
 
“È stato disturbato durante il suo sonno e ha visto un uomo indossare la sua armatura” disse la Vergine “possiamo sperare si ritenga soddisfatto dopo averlo eliminato.”
 
L’Ariete non ripose, e continuò a osservare le nuvole. Era davvero così semplice?
 
 
Gli altri ragazzini rimanevano in silenzio con occhi vuoti. Sembravano ancora molto scossi. Era bastato un gesto di quella creatura per annientare il loro maestro. Era apparsa all’improvviso e ora se ne stava nascosta tra le nuvole, senza nemmeno mostrare il suo reale aspetto.
 
La ragazzina guardò Shaka mettere via la collana, poi abbassò di nuovo lo sguardo. “Maestro...” Sussurrò con voce strozzata dal pianto.
 
“Non devi piangere per lui, Malika” disse il ragazzino che sembrava più grande degli altri. “ci ha imbrogliati. Ve lo avevo detto!”
 
“Smettila!” gridò lei.
 
“E invece è vero, ha sempre pensato solo a se stesso.”
 
“Adesso basta Dimitri!” intervenne un altro ragazzino avvicinandosi, sembrò voler dire qualcosa, poi tacque.
 
Rimasero qualche altro minuto in silenzio.
 
 
“Adesso cosa avete intenzione di farci?” chiese Dimitri rivolto ai Cavalieri.
 
“Cosa mai vi dovremmo fare?” ripose Mu “Siamo venuti a riprendere la collana, questa era la nostra missione. Niente altro.”
 
“In ogni caso… vi basta la collana? Noi… ci lascerete andare?”
 
I cavalieri annuirono, colpiti da quella domanda. Quei ragazzi li vedevano ancora come dei nemici pericolosi.
 
“Non dovete fidarvi di loro!” gridò Malika “Hanno ucciso i nostri compagni! Hanno ucciso mio fratello!”
 
Dimitri si voltò verso di lei. “Il maestro ci ha mentito,” disse “vuoi fidarti ancora di lui?”.
 
“Vi prego…” uno degli altri ragazzini si avvicinò. “Calmatevi” disse piano, appoggiando una mano sul braccio di Dimitri, “vi prego…” ripeté guardando verso le nuvole.
 
Il pericolo non era ancora passato; non era certo il momento di litigare.
 
Malika si alzò in piedi e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Rimase in silenzio guardando per terra.
 
“Cosa succederà?” chiese Dimitri rivolto ancora ai Cavalieri.
 
“Ormai sembra essersi abbastanza calmato,” rispose Milo “probabilmente voleva solo riavere la sua armatura.”
 
I ragazzini si guardarono tra loro incerti sul da farsi.
 
“Davvero ci lascerete andare?”
 
“Non abbiamo motivo di trattenervi” rispose Mu “Io però vorrei sapere qualcosa in più su di voi e il vostro maestro, e su come siete arrivati a trovare la collana.”
 
I ragazzini si guardarono ancora tra loro, come per consultarsi.
 
“Io mi chiamo Dimitri, lei è Malika e loro sono Rahmon e Abaj,” disse indicando i compagni.
 
Dimitri raccontò brevemente come avevano incontrato Jaman. Dopo essere stato cacciato dal Santuario, l’uomo era vissuto a lungo in povertà, anche a causa della sua menomazione. Alcuni anni trascorsi tra l’India e il Pamir lo avevano portato a convertirsi all’induismo. Era arrivato al loro villaggio quattro anni prima, durante un periodo molto duro causato da una grande siccità. Aveva parlato loro di Indra, che in passato aveva portato l’acqua agli uomini. Aveva detto di voler ricostruire l’ordine dei suoi cavalieri ed evocare il suo ritorno. Il suo arrivo fu visto come un’ancora di salvezza per quella popolazione che viveva in così grandi difficoltà.
 
Dopo aver raccolto un gruppo di discepoli aspiranti guerrieri, li aveva addestrati selezionando i migliori. Un giorno aveva mostrato loro una piccola pietra di giada, diceva di averla trovata per caso durante un viaggio in Cina, in un vecchio edificio abbandonato. Questa gli aveva svelato la storia della collana tramite una visione. Era stato un segnale da parte di Indra, aveva detto, e aveva deciso così di compiere la sua volontà.
 
“Il cosmo del maestro era così forte da entrare in risonanza con la giada e ritrovare le altre pietre e la collana,” disse Dimitri l’unica pietra che mancava era quella che avevate preso voi del Santuario, il maestro lo considerò un sabotaggio da parte vostra. Ci disse che lo stavate ostacolando.”
 
 
“Nessun sabotaggio, nessuno di noi sapeva cosa stavate facendo,” rispose Shaka.
 
“Il maestro odiava il Santuario, più di una volta ho avuto la sensazione che cercasse prima di tutto una vendetta…” non riuscì a finire la frase, stava cercando di non piangere, ma dallo sforzo gli stava mancando il respiro.
 
“Abbiamo litigato più di una volta per questo, avremmo dovuto crederti,” disse Rahmon.
 
“In realtà speravo che ci volesse aiutare lo stesso, nonostante tutto…”
 
 
“Perché non è tornato di persona al Santuario invece di mandare quei tre ragazzi?” chiese allora Camus.
 
“Ci è venuto, assieme ai nostri compagni più grandi. Quando ha cercato di teletrasportarsi via assieme a loro per scappare, qualche vostro telecineta si è messo in mezzo e gli ha impedito di salvarli. È tornato solo lui.”
 
Mu strinse i denti. Quindi era questo che aveva raccontato? Proprio l’opposto di quanto era successo. I tre ragazzi avevano combattuto da soli e alla fine lui era scappato lasciandoli morire. Ma sarebbe stato inutile cercare di spiegarlo a quei ragazzini spauriti che si trovavano davanti a loro. Per quanto cercassero di farsi forza, erano visibilmente sconvolti dall’accaduto e non erano certo in grado di sopportare una discussione simile.
 
“È andata davvero così?” chiese Dimitri dopo un breve silenzio.
 
“Perché lo chiedi a loro?” gridò improvvisamente Malika “Non vorrai fidarti dei Cavalieri di Athena?”
 
“Il maestro ci ha imbrogliati,” rispose Dimitri “ha detto che ci voleva aiutare, ma pensava solo alla sua vendetta. Non voleva svegliare Indra per noi, ma solo per la gloria e la sua battaglia personale contro il Santuario.”
 
“Non è vero...” singhiozzò lei coprendosi il viso con le mani.
 
 
“Dov’è la vostra casa?” chiese Aiolia cercando di cambiare discorso, la vista di quella ragazzina disperata per la morte del fratello gli stringeva il cuore.
 
“Abitiamo in un villaggio non molto lontano” rispose Dimitri indicando un punto nella pianura.
 
“Davvero possiamo andarcene?” aggiunse poco dopo.
 
I cavalieri annuirono.
 
I ragazzini, dopo qualche incertezza, si incamminarono lentamente, voltandosi continuamente verso di loro.
 
Mu li guardò allontanarsi. Nei loro occhi vide il vuoto lasciato dall’improvvisa scomparsa di Jaman; non tanto dalla sua morte quanto dalla consapevolezza del suo tradimento. Si erano preparati per anni per compiere la loro missione, convinti di poter aiutare il loro popolo, ma erano stati raggirati. Tutto ciò in cui avevano creduto si era rivelato una menzogna. Tre loro compagni avevano pagato con la morte. Malika aveva perso suo fratello.
 
 
Quando i ragazzini furono abbastanza lontani, i Cavalieri si incamminarono a loro volta.
 
“Erkut e Aleksandra saranno ancora dove li abbiamo lasciati?” domandò Milo.
 
“Forse ci stanno venendo incontro,” rispose Camus.
 
Iniziarono a correre percorrendo a ritroso la strada fatta poche ore prima, non avevano bisogno di raggiungere la velocità della luce, ma tennero un’andatura che li rendeva ugualmente invisibili all’occhio umano. Dopo pochi secondi erano di nuovo nel deserto. Riconobbero subito il fuoristrada con a bordo Erkut e Aleksandra che avanzava verso di loro; i due avevano intuito la direzione giusta vedendo le tracce lasciate sulla sabbia alzata alla partenza e li avevano seguiti.
 
Il viaggio a bordo del fuoristrada rincominciò. I Cavalieri, seduti ai loro posti, guardavano fuori dal finestrino il paesaggio desertico che si estendeva a perdita d’occhio. La cugina di Erkut e Aleksandra abitava sull’Altipiano, a pochi km dal luogo dove avevano combattuto. Mu si ritrovò a sorridere; usando le loro capacità avevano impiegato pochi secondi per tornare nel deserto, adesso stavano ripercorrendo la stessa strada a ritroso con una lentezza snervante. Che situazione assurda… Ma d’altra parte non c’era scelta, se fossero apparsi dal nulla nel villaggio, avrebbero messo in difficoltà i loro accompagnatori.
 
Arrivarono nel tardo pomeriggio, l’automezzo rallentò mentre procedeva nella zona abitata. Il villaggio non era molto grande, le case di argilla dalle forme squadrate quasi si confondevano con il terreno su cui erano costruite, non fosse stato per le vecchie automobili parcheggiate vicino ad alcune di esse, non sarebbero sembrate molto diverse dalla rovine delle costruzioni abbandonate viste qualche ora prima nel deserto.
 
Solo a poche centinaia di metri si trovavano delle yurte, le tende a base rotonda caratteristiche del luogo.
Erkut parcheggiò a pochi metri da una di esse; vista da vicino aveva l’aria di essere un po’ malconcia ma abbastanza robusta, dall’apertura sulla sommità usciva un sottile filo di fumo bianco, forse qualcuno all’interno stava cucinando.
 
Scostando il pesante telo davanti all’ingresso, una ragazza alta di statura e dai lineamenti molto simili a quelli di Aleksandra, uscì per correre loro incontro.
 
“Ecco Aimira!” esclamò Erkut.
 
I due fratelli presentarono i Cavalieri alla cugina, sempre facendoli passare per studenti in viaggio, e ai vicini di casa che si erano avvicinati incuriositi dal loro arrivo. Anche in questo luogo le persone si dimostravano aperte e cordiali, tutti vollero salutali e dare loro il benvenuto. Finiti i convenevoli, Aimira li invitò a entrare nella sua abitazione.
 
L’interno era composto da un unico ambiente e si rivelò molto più spazioso di quanto non potesse sembrare da fuori; il pavimento era ricoperto di tappeti di diverse misure ricamati con fantasie di gusto locale, i pochi mobili erano sistemati lungo il perimetro. Al centro erano situati una stufa, che terminava con un lungo camino che raggiungeva un’apertura alla sommità della tenda, e un tavolo basso circondato da cuscini. Aimira fece accomodare gli ospiti, offrì loro tè e pane caldo e poi si ritirò per preparare qualcosa per cena.
 
Quei gesti gentili, il sapore del pane caldo fatto in casa, il sorriso genuino delle persone che avevano appena incontrato, diedero ai Cavalieri la sensazione di un’accoglienza spontanea e familiare che li aiutò a riprendersi dopo gli avvenimenti di quella lunghissima giornata.
 
 
***
 
 
Era quasi mezzanotte, ma nessuno sembrava voler andare a dormire. Il banco di nubi violacee create da Indra gorgogliava ancora a ridosso delle montagne lontane, una macchia scura nel cielo pieno di stelle. Di tanto in tanto qualcosa brillava al suo interno, come se piccoli fulmini si spostassero da un capo all’altro.
I Cavalieri, seduti su un tappeto steso sul terreno a pochi metri dalla yurta, ascoltarono alcuni abitanti del villaggio raccontare a Erkut di quello strano fenomeno che era comparso in mattinata. Avevano visto quelle nuvole scure, e in lontananza si erano uditi tuoni molto forti, come ci fosse un grande temporale ed era caduto anche un fulmine, forse più di uno. Sembravano più incuriositi che preoccupati, e continuavano a porsi domande su questa strana situazione.
 
“Mi sembra incredibile quello che è successo...” mormorò Milo quando gli uomini si furono allontanati. “Indra è comparso e un attimo dopo ha ucciso Jaman.”
 
“Già, con tutto quello che ha fatto per evocarlo… tutto quanto è finito in quel modo,” disse Camus “mi spiace per quei poveri ragazzi, è riuscito a convincerli a fare il suo gioco con delle false promesse. Che persona ignobile.”
 
“Io avevo capito che Indra fosse un dio iroso e dedito alla guerra,” disse lo Scorpione “ma Jaman aveva promesso a quei ragazzi che avrebbe riportato l’acqua dopo un periodo di siccità. Ma come ha fatto a convincerli? Indra ha a che fare con queste cose?”
 
“Indra è noto come l'uccisore di Vritra,” spiegò Shaka “le antiche scritture narrano che Vritra era un demone malvagio con la forma di un enorme serpente, che impediva alle acque dei fiumi, dei torrenti e anche a quelle dei cieli di scorrere liberamente. Indra lo uccise e liberò così tutti i corsi d’acqua e li restituì agli uomini. Ma questo è successo ancora ai tempi del mito, Indra non si è mai più occupato di queste cose. Ma che ne sanno gli abitanti di questi luoghi?”
 
 
I Cavalieri rimasero in silenzio per qualche minuto, contemplando l’orizzonte. Le stelle nel cielo limpidissimo sembravano illuminare la notte, in lontananza si leggevano perfettamente i profili delle montagne.
 
“Mi preoccupano quelle nuvole,” disse ad un tratto Aiolia.
 
“Anche a me,” rispose Milo “significa che Indra è ancora lì. Non credo sia una buona cosa. E se attaccasse di nuovo?”
 
“Non ha mai avuto un bel carattere” replicò Shaka “nelle sacre scritture si parla spesso della sua ira. Tuttavia credo possa considerarsi soddisfatto della sua vendetta; ha riavuto la sua armatura e punito chi l’ha presa.”
 
“In ogni caso non me la sento di andare via lasciando questa situazione. Dobbiamo rimanere qualche giorno,” disse Aiolia.
 
“La nostra missione è finita; ci è stato chiesto di portare al Santuario la collana, non di occuparci della popolazione locale.”
 
“Ma come puoi parlare così! Inoltre siamo in parte responsabili della comparsa di Indra!”
 
“Sinceramente non credo si sia risvegliato del tutto,” rispose Shaka “la sua è solo una manifestazione, non si è rincarnato in un corpo mortale. Probabilmente se ne tornerà a dormire presto.”
 
 
Mu raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia. Non aveva voglia di ascoltare quella discussione.
 
Era ancora scosso dagli ultimi avvenimenti. Nei giorni precedenti aveva immaginato di combattere, riprendere la collana, evitare l’evocazione di Indra con tutti i pericoli che poteva portare. Ma le cose erano andate diversamente e tutto ciò che gli restava dentro era un senso di incompiuto.
 
Come se qualcosa fosse rimasto in sospeso.
 
Guardò verso le nuvole, sembravano gorgogliare ancora in lontananza. Il villaggio dove abitavano i quattro ragazzini non era lontano. Poveri ragazzi, si erano allenati per anni convinti di poter servire un dio che avrebbe aiutato il loro popolo, per poi scoprire di essere vittime di un raggiro.
 
Rivide per un momento quei volti tesi e spaventati; erano talmente sconvolti da non riuscire quasi a reagire.
 
Era bastato un attimo e la vita di Jaman era stata spazzata via. Un fulmine era caduto da quelle nuvole violacee e l’uomo era stato carbonizzato all’istante. In quel momento si era sentito impotente. Non aveva potuto evitare quello che è successo. Nessuno di loro avrebbe potuto farlo.
 
La tensione che aveva provato in quel momento, davanti a quella creatura superiore, gli stringeva ancora lo stomaco. Potevano davvero degli umani, per quanto forti fossero, contrastare un dio?
 
Forse era normale sentirsi impotenti di fronte a un dio. Ma erano pur sempre dei Cavalieri, avrebbero dovuto essere in grado di gestire quella situazione. Invece erano rimasti immobili, spaventati, senza sapere cosa fare.
 
Sembrava che l’unico risultato di quella missione fosse mettere in luce la loro debolezza, la loro inesperienza.
 
Dobbiamo farne ancora di strada…
 
 
Lo schianto di quel fulmine aveva una violenza tale, che veniva da chiedersi se almeno l’anima di Jaman fosse sopravvissuta.
 
Ora provava quasi pena per quell’uomo.
 
La vendetta non porta a niente di buono; aveva ragione il vecchio Dohko.
 
Jaman si era lasciato consumare dall’odio verso il Santuario, aveva lasciato che quel sentimento prendesse il sopravvento e diventasse l’unica cosa per lui importante, il motivo di ogni sua scelta.
 
Aveva cercato un altro ordine di cui fare parte, aveva agognato per anni l’armatura di Indra solo per raggiungere il suo scopo. E quell’armatura era ormai diventata un’ossessione, tanto che una volta indossata non aveva voluto separarsene. Restituirla non gli avrebbe permesso di attaccare il Santuario, e il motivo per cui aveva lavorato tanti anni sarebbe venuto a meno.
 
Decise di non chiedersi cosa fosse davvero accaduto tanti anni prima, da convincere il Maestro Shion ad allontanarlo dal Santuario, tanto non lo avrebbe mai saputo, ma di riflettere sulle mancanze di quell’uomo. Un fallimento doveva essere motivo di riflessione, non di vendetta. La sua incapacità di gestire i sentimenti era stata la sua rovina. Forse era stata proprio questa particolarità del suo carattere a non piacere al Maestro Shion; un uomo dall’animo così influenzabile non può essere un cavaliere.
 
Voglio che la mia anima non sia mai prigioniera di rancori o desideri di vendetta. È questo che mi hanno insegnato i miei due maestri. È questa la giusta strada da percorrere.
 
 
 
“In ogni caso, vedremo cosa accadrà domani. Poi decideremo cosa fare,” la voce di Shaka riportò Mu alla realtà.
 
Aiolia sbuffò. “No. Non basta. Dobbiamo sorvegliare questa faccenda per un po’ di giorni. Quell’essere ha dimostrato di essere pericoloso.” Si alzò ed entrò nella yurta.
 
L’Ariete lo guardò mentre varcava la soglia della tenda, scostando in malo modo il telo all’ingresso, poi  lasciò vagare ancora lo sguardo lungo l’Altopiano illuminato dalla luce delle stelle.
 
A guardare la bellezza di quella pianura incorniciata dalle montagne non si sarebbe detto quanto difficile fosse vivere in quei villaggi. In estate la temperatura superava i 40 gradi, in inverno scendeva sotto i -20 e l’altitudine rendeva difficoltosa la coltivazione. In certe stagioni era necessario camminare per chilometri per trovare un posto dove pascolare gli animali.
 
Eppure la popolazione di quel luogo era ospitale, ben disposta verso il prossimo. Viveva con semplicità, in sintonia con la sua terra, prendendo ciò che di buono poteva offrire e dividendolo senza egoismo.
 
Mu sentiva ancora nelle mani e nelle braccia il calore di quelle strette e quegli abbracci ricevuti al loro arrivo. Quella cordialità spontanea, la premura di Aimira nell’accoglierli, preparare il tè e scaldare il pane, gli aveva toccato il cuore. In quel momento quel piccolo villaggio prese l’aspetto di un luogo prezioso, da preservare ad ogni costo.
 
Aiolia aveva ragione; quelle persone andavano protette.





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Angolo di quella che scrive:



Grazie per aver letto anche questo capitolo. Mi scuso per il ritardo imbarazzante con cui ho aggiornato anche questa volta e con cui ho risposto a recensioni e messaggi, diverse cose mi hanno tenuta lontana da efp ed è passato un sacco di tempo senza che quasi me ne rendessi conto.

Durante e dopo la quarantena ho iniziato un periodo un po’ strano, ho fatto molta fatica a ritrovare la concentrazione sia nel leggere che a scrivere. Adesso sono tornata in forma quindi spero di non fare più ritardi del genere!!!
Un abbraccio a tutti e a presto! ^_^




   
 
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