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Autore: Juliet8198    22/07/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad ogni parola, Jein sembrava avvolgersi sempre di più in una matassa di sensi di colpa e cieca sofferenza. Jimin non si accorse di essere rimasto a fissare la ragazza con sgomento e una stretta al cuore. Non l'aveva mai vista così fragile. Anche nelle situazioni in cui il suo passato e le sue insicurezze avevano provato a pugnalarla, il suo turbamento non aveva mai raggiunto il punto di rottura. Forse, a forza di piegarsi sotto il peso delle sue responsabilità, stava finendo per spezzarsi. 

 

Realizzando ciò, Jimin le avvolse le braccia attorno al busto, trattenendola accanto a sé in uno spazio confortevole dove potesse sentirsi al sicuro. Nonostante la stesse stringendo, però, la ragazza non sembrava venire raggiunta dal suo tocco. La matassa di dolore la ricopriva sempre più, chiudendola fuori dal mondo, isolandola in quella solitudine che l'aveva sempre protetta nei momenti di crisi. Ma non poteva più andare avanti così. A forza di rinchiudersi nel suo mondo, di ingoiare la sua sofferenza mandandola giù, sempre più giù, nel profondo della sua anima, si stava lasciando divorare dal cancro dei sui stessi sentimenti. Sarebbe sparita, uccisa da se stessa. 

 

In quel momento, mentre cercava di riportare la ragazza in superficie, di riportarla da lui, Jimin realizzò le implicazioni di tutto ciò. No, non l'avrebbe lasciata cadere. Avrebbe nuotato fino al fondo in cui si era seppellita, se fosse stato necessario. Con quei pensieri in mente, la sua bocca si aprì per pronunciare le parole che Jein aveva la necessità di sentire. 

 

-Non è colpa tua.- 

 

La sua voce era ridotta ad un sussurro. Benché non ci fosse più nessuno intorno a loro, il ragazzo aveva appoggiato la bocca al suo orecchio, in modo che lei sola potesse sentire quelle parole. Oppure per fare in modo che esse penetrassero più facilmente dentro di lei. L'unica risposta che ricevette fu un tremore crescente nel suo corpo.

 

-Jein. Non è colpa tua.- 

 

Quel fragile corpo, involucro di quella altrettanto fragile anima, sembrava sul punto di rompersi. Ma Jimin ne avrebbe tenuto insieme i pezzi, a costo di stringerla per il resto della vita. 

 

-Io...- 

 

Una piccola voce arrochita si fece strada nel loro abbraccio, risvegliando le speranze del giovane. 

 

-Io... l'ho sempre colpevolizzata... ogni volta, per ogni cosa che faceva. Ma non era colpa sua...- aveva mormorato la ragazza. 

 

Jimin rimase in silenzio, ma prese ad accarezzarle con meticolosa cura la testa mentre sentiva il tremore diminuire lentamente. Il pollice dell'altra mano prese a sfiorare il viso di Jein con estrema attenzione, come fosse una delicata porcellana sul punto di infrangersi. 

 

-Era difficile... era difficile distinguere quando era la malattia a farla agire e... e quando invece era in sè.- 

 

Jimin era sul punto di rispondere, quando si accorse che una figura era comparsa nuovamente nel salotto precedentemente vuoto. Questa volta, i loro corpi non si erano spostati e la scena non sembrava cambiata. Ma il ragazzo poté notare come la Jein che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza fosse più giovane di quella furiosa che poco prima vi risiedeva. 

 

La ragazza fra le sue braccia aveva probabilmente percepito la sua esitazione, perché sollevò il capo per contemplare a sua volta cos'altro riservava quella spiacevole messinscena. 

 

La falsa Jein si diresse verso la porta d'ingresso, che a quanto pare aveva preso a suonare insistentemente da un po'. Una volta aperta, rivelò oltre di essa una piccola Kippeum con indosso uno spendente sorriso. 

 

-Ciao Jein!- 

 

La giovane, con ancora la maniglia stretta in mano, rimase immobile a fissare la sua nuova interlocutrice. Sbatté un paio di volte le palpebre, prima di aprirsi sempre più in un'espressione stupita.

 

-Ciao... Kippeum. Scusa ma... come fai a sapere dove abito?- chiese alzando un sopracciglio. 

 

Su quel viso così giovane quell'espressione, che normalmente risultava minacciosa e scettica, appariva assolutamente adorabile agli occhi Jimin. Ancora fra le sue braccia, la vera Jein osservava la scena con ipnotica attenzione, come se essa la stesse risucchiando dentro di sé. Almeno aveva smesso di tremare. 

 

-Ecco... ho chiesto all'insegnante. Volevo consegnarti il materiale di questi giorni e vedere se ti eri ripresa.- replicò con un timido sorriso la ragazza sulla soglia della porta. 

 

Alzò una mano, facendo dondolare brevemente un sacchetto sul dito in modo da catturare l'attenzione della falsa Jein. 

 

-Ah... ti ringrazio.- rispose semplicemente lei.

 

Il sorriso sulle labbra di Kippeum si fece gradualmente più ampio e la ragazza fece per aggiungere qualcosa, prima di essere interrotta da una voce trasudante di rabbia. 

 

-Jein! Chi è alla porta?- 

 

La voce di sua madre. Nel momento in cui si diffuse imperiosamente nel salotto e raggiunse le due figure, l'atmosfera si raffreddò bruscamente, lasciando i presenti in un insostenibile silenzio. Jein, perdendo quella scintilla di calore che le aveva dipinto gli occhi per un breve istante, abbassò lo sguardo a terra e afferrò velocemente il sacchetto. 

 

-Perdonami se non ti invito ad entrare ma... non è giornata. Grazie ancora per avermi portato questi.- disse in un soffio la giovane Jein, tenendo gli occhi lontani dall'interlocutrice. 

 

Questa prese ad osservarla con un'espressione congelata. Il sorriso sulle sue labbra si era velocemente estinto, lasciando posto ad un angosciata apprensione. Forzandosi ad indossare una smorfia convincente, fece un breve inchino mentre continuava a scrutare la giovane di fronte a lei. 

 

-Oh... tranquilla, non c'è problema. Io... ci vediamo a scuola.- mormorò infine allontanandosi dall'ingresso. 

 

La giovane Jein chiuse la porta con un lieve tonfo. Rimase per qualche istante ferma lì, con la mano ancora sollevata sulla maniglia e il corpo rigido nella sua posizione eretta. 

 

-Jein!- 

 

Assottigliando gli occhi, la ragazza abbandonò a malincuore quella piccola ancora e lasciò la stanza. 

 

 

Jein non sapeva come sentirsi. Non pensava di essere così vulnerabile. Credeva di essersi creata una corazza abbastanza forte nel corso degli anni, che le avrebbe permesso di non essere più scalfita dagli eventi che la circondavano e di rimanere in piedi nonostante tutto. Doveva rimanere in piedi. Se si fosse messa in ginocchio, sentiva che il suo intero mondo sarebbe crollato. La sua corazza si sarebbe disciolta nel nulla, lasciandola esposta alle parole e alle azioni delle persone. E invece eccola lì. In piedi per miracolo, in bilico su un baratro di cui non riusciva a vedere il fondo. Appoggiata all'unico sostegno di salvataggio in grado di trattenerla lì. Jimin. 

 

Non pensava che le sarebbe bastato rivivere alcuni episodi della sua vita per crollare. Eppure le sue certezze venivano sempre più distrutte, divorate scena dopo scena, da quei ricordi che aveva chiuso in un angolo della memoria, lontani dalla vista. 

 

La sua attenzione fu finalmente distolta da quel salotto nuovamente vuoto grazie ad una mano gentile e familiare che le accarezzò il braccio. 

 

-Se vuoi, ti posso portare via da qui.- aveva mormorato Jimin. 

 

Lei, dopo un attimo di esitazione in cui contemplò la dolce tentazione che le era posta dinnanzi, scosse il capo. 

 

-No.- replicò semplicemente. 

 

Inalò una generosa quantità di aria, la trattenne per qualche secondo nei polmoni e infine la rilasciò. 

 

-Non possiamo uscire da qua. Questo posto è diverso. Inoltre...- si interruppe, prendendo un altro profondo sospiro.

 

-... devo farlo.- concluse infine, lasciando che la sua voce scomparisse. 

 

Non appena quelle parole si esaurirono nell'aria, la stanza prese a girare. I loro corpi non si mossero, ma le pareti si spostarono come porte girevoli, portando con sé l'intero salotto e rivelando, ancora una volta, il corridoio di una scuola.

La falsa Jein era appena entrata nell'adolescenza e, nonostante ciò, manifestava già dei tratti da ragazza. Seduta ad un banco in un aula abitata da sommessi brusii, si stagliava fiera nella sua determinata solitudine. Il libro appoggiato davanti a lei sembrava assorbire tutta la sua attenzione, tanto che non si accorse del rumore causato dalla sedia accanto a lei che veniva spostata. Un'ancora più piccola Kippeum, che al contrario portava ancora i tratti della sua infanzia sul corpo, si sedette abbassando il capo in imbarazzo. 

 

-Perdonami. Sono stata assegnata a questo banco.- mormorò con un lieve rossore sulla punta delle orecchie. 

 

Jein, alzando lo sguardo, pose con cura il segnalibro fra le pagine e si voltò verso la nuova arrivata. 

 

-Tranquilla. Sono Jein.- rispose lei in tono secco. 

 

La piccola ragazza accanto a lei si rilassò in un sorriso che le gonfiò le guance in modo adorabile. 

 

-Sono Kippeum, ma puoi chiamarmi Kiki.- disse in uno slancio di sicurezza. 

 

Sentendo quelle parole, la falsa Jein si lasciò sfuggire uno sbuffo carico di sarcasmo. L'altra Jein, quella vera, aveva invece un leggero sorriso sulle labbra e sentì nella sua testa le parole che seguirono ancora prima che la sua copia le pronunciasse. 

 

-Anche no.- 

 

 

Mentre la stanza prendeva a girare nuovamente su se stessa, la ragazza sentì un verso divertito uscire dalle labbra che erano ancora vicine al suo viso. 

 

-Bene, vedo che certe cose non cambiano mai.- disse Jimin con tono divertito. 

 

Jein si voltò a guardarlo con una leggera sfida nascosta nello sguardo. Non aveva le forze per mettersi a fare della vera ironia della situazione, ma sentiva l'energia positiva che proveniva dal ragazzo riuscire a scalfire la massa di negatività che ancora non si decideva a mollarla. 

 

Quando le pareti smisero di girare, davanti a loro si presentò un nuovo salotto, più grande di quello in cui si trovavano poco prima. Contemplandolo con attenzione, Jein ebbe modo di riconoscere la vecchia casa che avevano lasciato quando lei aveva iniziato le scuole medie. Aveva dei ricordi vaghi degli ambienti e delle stanze. Era comoda, ma la ragazza non vi era particolarmente attaccata. Non riusciva a ricordare il motivo per cui non sentiva alcun legame affettivo con essa. 

Dalla porta, poi, fece il suo ingresso una bambina. Aveva indiscutibilmente il suo viso, ma le guance erano più paffute e gli occhi erano più stretti. Quella piccola Jein non poteva avere più di otto anni. 

 

Togliendosi le scarpe e riponendole con cura nella scarpiera, posò lo zaino a terra e si guardò in giro confusa. Cercava qualcosa con lo sguardo, soffermandosi sulla porta della cucina, da cui si intravedeva il locale vuoto. Gli occhi della bambina passavano ogni angolo dell'ambiente con estrema attenzione, come un piccolo detective in cerca di una prova. 

 

-Mamma!- esclamò la bambina, spostandosi nella casa. 

 

Entrò nella sua cameretta, ma ne uscì immediatamente non trovando l'oggetto della sua ricerca. Una misteriosa e inquietante sensazione prese il dominio dello stomaco di Jein. C'era qualcosa di terribilmente familiare in quella scena. La sua mente sapeva che cosa avrebbe seguito quegli avvenimenti ma la sua coscienza si rifiutava di riconoscerlo. 

 

-Mamma!- 

 

Ad ogni esclamazione della bambina, ad ogni passo che compiva, la testa della ragazza urlava disperata. 

 

"No!"

 

"Fermati!" 

 

La ragazza non capiva. Voleva gridare eppure non ci riusciva. Era come se la voce le si fosse intrappolata in gola, un boccone fastidioso e ingombrante che le impediva di respirare. Iniziava a ricordare. E pregava con ogni parte del suo essere che quella scena si fermasse. Che tutto sparisse. Che la bambina evaporasse nell'aria, prima di varcare la soglia di quella stanza dove già si stava dirigendo. 

 

"No, fermati... ti prego..." 

 

La bambina ignorò i suoi sordi richiami e varcò quella soglia. Jein si chiuse le orecchie, ma la voce confusa della bambina la raggiunse comunque. 

 

-Mamma?- 

 

Una domanda. Una semplice domanda. 

 

Eccolo, il punto di rottura. Jein lo sentì con tutta se stessa. La crepa che aveva inciso la sua armatura era finalmente esplosa, creando un infausto schiocco. Ormai, quell'incrinatura si era trasformata in una frattura. Una frattura irreparabile. 

 

-Mamma? Stai bene?- 

 

Jein non voleva vedere. Ma la sua testa non era concorde. Voleva che lei vedesse. Voleva costringerla a partecipare nuovamente a quella scena, con sadica soddisfazione. Infatti, i corpi dei due ragazzi furono trasportati dentro quella stanza. La camera dei suoi genitori. 

 

Jein si coprì gli occhi. Ma aveva davvero senso? Era in un sogno. E il sogno la costrinse a guardare la bambina che scuoteva il corpo esanime e immobile della madre mentre borbottava con la sua piccola, confusa voce. 

 

-Mamma? Mamma?- 

 

La ragazza si accovacciò su se stessa. Si chiuse le orecchie e serrò gli occhi ma la voce e le immagini erano lì, dentro di lei, e disintegrarono il suo corpo, staccandole l'armatura cementificata su di esso pezzo dopo pezzo. Ogni frammento rimosso era come una lacerazione della carne. Infine, la stanza esplose in un fragore di vetri.

 

 

BONJOUR

Oggi sarò breve. Ho vinto un altro scambio lettura! Uiiiiiiiiiiii

Lo scambio in questione è di GreyMoon1234.  Dateci un'occhiata, se siete interessati. 

Ps: aspetterò l'arrivo dei risultati dei primi contest e poi pensò proprio che farò il capitolo per i premi, se mai ne vincerò.

   
 
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