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Autore: Afaneia    22/07/2020    5 recensioni
[Storia partecipante al contest "Favole di Oggi" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP"; classificatasi seconda a parimerito.]
«Ci ho sperato per un momento, sai?»
«In che cosa?» mormora Spinella.
«Che tu conoscessi la soluzione, come quando ero piccolo. Conoscevi sempre la soluzione ogni volta che ero diviso in due. Era un pensiero stupido, vero?»
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Artemis Fowl, Spinella Tappo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti!

Come scritto nell'introduzione, questa fanfiction è scritta per il contest Favole di Oggi indetto da Fiore di Cenere sul forum. Anzitutto mi sento di ringraziarla per il semplice fatto di avermi spinta a rileggere questi meravigliosi libri della mia adolescenza, che non ho mai dimenticato, ma che fa sempre piacere rinfrescare un po'.

Il pacchetto che ho scelto per la partecipazione era questo:

La principessa e il ranocchio:

Prompt: cimitero

Obbligo: il protagonista dovrà cedere a uno o più vizi/peccati per un po' di tempo prima di riuscire a uscirne

Citazione: "l'unico modo per resistere alle tentazioni è quello di cedervi."

Faccio prima di tutto un po' di precisazioni: ho amato profondamente i primi quattro libri della saga, fino a L'inganno di Opal, e lo spinoff La cassaforte segreta, ma i libri successivi non mi sono piaciuti affatto. Perciò la mia fanfiction si svolge circa sette anni dopo il quarto libro, ignorando gli eventi seguenti. Ho cercato inoltre di mantenere i personaggi il più IC possibile, sempre tenendo conto del fatto che sono passati alcuni anni dai libri, ma fatemi pure notare se non li trovaste tali.

Detto questo, posso solo augurarvi una buona lettura!


Afaneia




Notturno per povere anime


Ella credeva all'immortalità; ed è a me che sarebbe utile il credervi, essendo stata lei a lasciarmi...

André Gide, Et nunc manet in te.



Ha lo stesso aspetto pallido e insalubre di quando era un ragazzino, e come allora veste ancora completi scuri su misura. Ma s'è fatto più alto e più bello, i suoi occhi sono più cupi e distanti di quanto ella ricordi d'averli mai visti e, soprattutto, è solo.

È seduto a un tavolo con un bicchiere di torbato irlandese tra le dita, ma non lo sta bevendo. Sta pensando, Spinella lo vede dalla dolorosa contrazione della fronte che gli disegna una ruga profonda alla radice del naso, e la superficie del whisky ondeggia pigramente, disegnando archi contro il bicchiere come le vetrate di una chiesa. L'odore dell'alcol le fa storcere il naso quando si avvicina.

È il solo cliente in tutto il bar dell'hotel, e tutto attorno a loro è silenzio; ma Spinella, che è schermata, si avvicina troppo piano perché persino lui possa sentirla, e accostandosi alle sue spalle mormora contro la sua nuca: «Buonasera, Fangosetto.»

Artemis Fowl sobbalza appena, il suo collo s'irrigidisce, una piccola onda più alta delle precedenti agita la superficie del whisky; ma questo è quanto, ed egli recupera la calma e volge lentamente gli occhi su di lei. Solo a questo punto si ricorda che non può vederla, ma Artemis Fowl non si fa cogliere impreparato per due volte nella stessa serata: infila lentamente una mano nella tasca della giacca ed estrae un paio di occhiali scuri modificati.

«Capitano Tappo» mormora sussiegosamente, ma i suoi occhi già perlustrano la sala alle sue spalle e le vetrate che si affacciano su Firenze. «Sono per caso in arresto?»

Il suo cuore ha uno spasmo doloroso a quelle parole. È come tornare ai vecchi tempi, quando giocava a guardie e ladri con un ragazzino testardo e malizioso e dannatamente intelligente – ma davanti a sé ha un uomo, ora. Quel tempo è finito.

«Lo sai perché sono qui.»

L'espressione di Artemis ha un mutamento quasi impercettibile. Sta ancora facendo l'arrogante, ma le concede l'onore di risponderle la verità: «Sì... lo so.»

È a questo punto che Spinella Tappo compie il suo errore. Non è bene andare subito al sodo, con Artemis Fowl. «Tuo padre è preoccupato, Artemis. Anche Leale. Dovresti...»

«Io sto bene, Spinella» la interrompe bruscamente Artemis distogliendo lo sguardo. «Puoi riferire questo a Leale, se vuoi. Che mi hai visto e che sto bene.»

«E che non tornerai.»

«E che non tornerò.»

Così com'è ora, in piedi, schermata, di fronte alla sedia sulla quale lui è seduto, Spinella è quasi alla sua altezza; ma gli occhi di Artemis evitano i suoi. È tornato a guardare verso il tavolo, al di sopra del quale sta facendo ondeggiare un po' troppo rapidamente il bicchiere.

«Pensi d'esser stato il solo a soffrire per...»

Ma gli occhi di Artemis si volgono d'un tratto su di lei più furenti e infiammati che mai, e Spinella ha la piena certezza d'essersi spinta troppo in là.

«Nessuno ha sofferto come me.» Artemis scandisce le parole con dolorosa, struggente chiarezza. «Io non so come abbiano sofferto gli altri, ma so come ho sofferto io, e il mio dolore mi è sufficiente. Sono stato chiaro?»

Il problema, tra di loro, è sempre stato questo: che nessuno dei due è mai disposto a fare un passo indietro di fronte alla rabbia dell'altro. Spinella solleva il mento con aria di sfida e ribatte lentamente, guardandolo negli occhi: «E pensi che scappare ti farà soffrire un po' meno?»

Artemis si morde le labbra come un lupo che debba trattenersi a viva forza dall'attaccare di nuovo. Inspira profondamente. «Non sto scappando.»

«E allora che ci fai qui? Perché questa stanza non è prenotata a tuo nome?»

«Perché sto lavorando.»

«Lavori per altri, ora?» insiste Spinella a voce un po' troppo alta, tanto che Artemis si guarda istintivamente intorno. «Il grande Artemis Fowl s'è stufato di essere un genio criminale per suo conto e si fa pagare per qualche lavoretto?»

«Ne parli come se fosse un'onta sulla mia carriera» risponde Artemis a bassa voce. Pare essersi calmato, ora, forse perché s'è reso conto che il bar di un hotel alle tre del mattino, per quanto deserto, non è proprio il luogo più adatto per parlarne. Si alza in piedi nervosamente, sistemando in modo quasi macchinale le inesistenti pieghe del suo completo Armani, e lascia una ventina di euro come mancia sul tavolino. Beh, questo almeno è tipico di Artemis Fowl. «Può darsi che tu abbia ragione. Comunque, usciamo, ti prego. Vorrei fare quattro passi.»


«Che cosa fai ora?» domanda Spinella per infrangere il silenzio che è calato tra di loro, mentre camminano per la città deserta, immota. Sono molto lontani dall'Irlanda, ma questa città non le dispiace. Di notte, quando per le strade non si riversano i Fangosi, persino questo mondo è stranamente bello.

«Hackero sistemi di sicurezza a pagamento» risponde laconicamente Artemis senza guardarla. Informazione che Spinella, naturalmente, conosceva già: ma è evidente che non ha voglia di parlargliene; eppure avrebbe giurato che il giovane Fowl sarebbe stato un po' più orgoglioso del suo proprio successo.

«E ne sei felice?»

«Che domanda sciocca» risponde Artemis scrollando le spalle. «Certo che no. Ma da qualche parte dovevo pur cominciare; e questo per me è un lavoro come un altro.»

«Credevo che ti saresti dato alla scienza» obietta Spinella; ma Artemis scrolla il capo appena, abbassa lo sguardo e risponde, dopo un pochino: «La scienza è priva di emozioni. Non riserva più per me alcuna attrattiva.»

Firenze continua a scorrere attorno a loro imperscrutabile e silenziosa.

«Come mi hai trovato?» domanda Artemis dopo un po', ma la sua voce continua a suonare piatta e priva di calore – non come quando fingeva d'essere un asettico e irreale cattivo dei videogiochi, ma in un modo diverso, come se non gliene importasse. «Non uso più il mio nome da... da un po', ormai.»

Fino a una settimana fa, quando Polledro si è messo in contatto con lei per riferirle una richiesta alquanto inusuale proveniente da Leale in persona, Spinella non avrebbe creduto mai sul serio che Artemis Fowl avrebbe rinunciato al nome e al patrimonio della sua famiglia, avrebbe abbandonato l'Irlanda e si sarebbe messo a lavorare per conto suo, servendosi solo della sua abilità e non più del suo nome, al soldo di qualsiasi banda criminale gli offrisse un incarico. Per questo Polledro ci ha messo tanto a trovarlo – perché a quanto pare Artemis non lavora mai due volte nella stessa città; ma è anche stata proprio questa la traccia che ha seguito: l'hacker non è un mestiere per il quale sia necessario recarsi sul posto... a meno che non si stia sfuggendo da qualcosa.

Polledro ha seguito una serie di indizi informatici che mai nessun Fangoso, con le attuali tecnologie umane, sarebbe stato in grado di ripercorrere, risalendo a una figura che si spostava continuamente, e ha notato qualcosa di insolito. Non le ha detto cosa – o meglio, ha provato a spiegarglielo e a pavoneggiarsi per il suo successo, ma ha lasciato perdere dopo aver intuito che delle sue spiegazioni Spinella non avrebbe capito un granché – ma dalle sue parole è stato chiaro qualcosa: che il lavoro di Artemis sembrava disseminato di errori. Errori impercettibili all'occhio umano, ma sempre di errori si trattava; e se c'era qualcosa che Spinella ha imparato di Artemis Fowl, è che assai raramente commette errori.

Hanno seguito la strada tracciata dalle sue imprecisioni come una pista d'impronte sulla neve, da Gerusalemme a Bombai a Hong-Kong a Ushuaia a Johannesburg, e questa mattina Polledro l'ha contattata mentre ancora dormiva e le ha detto: «L'ho rintracciato a Firenze. Ha prenotato un volo per Dubai per domattina, perciò hai solamente stanotte per trovarlo.»

Solamente stanotte. Spinella se ne ricorda all'improvviso, sono quasi le quattro del mattino: non c'è tempo per danzarsi attorno in punta di piedi e studiarsi l'uno con l'altro senza osare di fare la prima mossa. Tra poche ore sarà mattina, lei dovrà tornarsene sotto la superficie, e tutto rimarrà immobile e immutato proprio come se non fosse successo niente. Spinella si ferma d'improvviso sul ponte deserto, proprio in mezzo alle botteghe orafe serrate, vuote, sorde, al di sopra dell'acqua nera e pesante che si rifrange fragorosa sui piloni, e risponde: «Lo sai, Artemis. Ti ho trovato perché volevi essere trovato.»

Artemis si ferma a sua volta di fronte a lei. Si volta nella sua direzione, un po' pigramente, con le mani nelle tasche della giacca su misura, e la osserva dall'altro attraverso gli occhiali speciali che nascondono i suoi occhi, sorridendo appena.

«Teoria interessante.»

«I geni non commettono errori, Artemis. Non tu. Quantomeno non così tanti da farti trovare, non tu, perciò, se Polledro è riuscito a rintracciarti, è perché una parte di te voleva essere trovata...»

«Sono sorpreso, Spinella.» La voce di Artemis vibra di un sarcasmo troppo violento e accentuato, sferzante, perché lei non possa percepirne tutto il dolore che ne filtra attraverso. «Non avrei mai pensato che proprio tu, tra tutti, avresti dato credito a queste spicciole analisi psicologiche di basso livello...»

«Artemis» lo interrompe Spinella in un moto di disperazione. «Mi dispiace di non aver potuto salvare tua madre. Ma continuare a scappare non la farà tornare.»

Quel giorno di sette mesi fa, quando la signora Fowl è stata stroncata da un infarto per via di una rara malattia genetica che nessun medico umano aveva avuto modo di diagnosticare, Artemis s'era messo in contatto con lei, l'aveva pregata, supplicata – ma di fronte alla morte repentina, irreparabile, nessuna magia del sottosuolo avrebbe potuto fare la differenza. Tantomeno la sua.

Artemis solleva la manica della giacca, osserva ostentatamente il suo Reverso in oro bianco, si schiarisce la voce e dice: «Molto bene. Ora possiamo fare finta che io abbia apprezzato di cuore le tue condoglianze espresse in modo informale e dare un taglio a questa conversazione prima che diventi troppo pietosa per entrambi?»

Ma la sua voce è troppo fredda e aggressiva per credergli, e Spinella risponde: «Certo che possiamo, Artemis. È un vero peccato che non lo faremo.»

«Dunque sei proprio venuta per questo» ribatte Artemis seccamente, tornando di nuovo ad abbassare la manica sul polso in uno scatto di nervosismo. «Per rifilarmi i soliti noiosi discorsi sull'accettazione del lutto e sul superamento del trauma? Sul fatto che tutti abbiamo perduto qualcuno e che dopo un po' le cose vanno meglio, che farà sempre male, ma sempre un po' meno male ogni giorno fino a quando non diventerà una cosa piccola e dura da portare sempre in tasca e da tenere nel palmo della mano per guardarla, come un sasso, solo quando avrò bisogno d'immergermi nel mio dolore, e da ignorare il resto del tempo?»

«Non sono venuta a dirti niente del genere» protesta Spinella debolmente; ma Artemis non la sente oppure non l'ascolta.

«Avete tutti da dire le stesse cose. Tutti la stessa saggezza spicciola perché credete di saperne più di me, mentre invece nessuno ha mai saputo qualcosa che io non sapessi già, e quello che io non so ancora nessuno lo saprà mai; e dunque nessuno potrà mai darmi le risposte che cerco. Perciò se sei venuta qui a cercare di consolarmi o di dirmi qualcuna di queste cose che so già, mi spiace tanto che tu abbia fatto tutta la strada fin qui da Cantuccio per niente.»

Spinella vede in lui la rabbia che ha provato lei quando Tubero è morto davanti ai suoi occhi, la sua confusione, il suo dolore. Non può fare niente per aiutarlo perché nessuna parola al mondo può alleviare la sua sofferenza, eppure ugualmente, senza distogliere gli occhi da lui, ma senza neppure saper bene che dire, insiste: «Artemis, anche tuo padre ha perduto tua madre. Vuole solo sapere se stai bene.»

«Oh, giusto.» Artemis sorride del suo sorriso da vampiro. «I sensi di colpa. L'asso nella manica che non avevi ancora estratto, giusto?»

È a questo punto che la sua scarsa dose di pazienza, già agli sgoccioli, si esaurisce. Spinella attiva le Colibrì, si solleva verso di lui, si libra all'altezza del suo volto e lo schiaffeggia in pieno viso, e di fronte alla sua espressione attonita e sdegnata gliene allunga anche un secondo.

Artemis resta senza parole per la prima volta dall'inizio della serata. Non ha la minima reazione. Semplicemente solleva la mano, si tocca la guancia e rimane in silenzio.

«Hai finito?» chiede Spinella, che è più che ben disposta a servirgliene ancora, all'occorrenza. Artemis fa cenno di no con la testa, poi lentamente la sua mente rielabora la domanda ed egli lo trasforma in un sì.

Bene. A quanto pare ha finito.


Quando il taxi accosta al marciapiede per farli salire, Artemis spalanca la portiera e chiede un po' troppo lentamente, quasi ostentatamente, ma in impeccabile italiano: «Può portarci a Piazzale Michelangelo, per cortesia?» A quest'ora di notte, il tassista è troppo annoiato e stanco per badare al fatto che Artemis abbia parlato al plurale sebbene non sembri esservi nessuno con lui. Acconsente senza neppure guardarlo, allora Spinella s'insinua schermata sotto il braccio teso di Artemis per salire. Solo a questo punto Artemis si accomoda al suo fianco sul sedile, e il taxi si allontana dal marciapiede e s'immerge nelle strade scure.

Firenze scorre attorno a loro deserta e silenziosa, immota come una città di morti. È come se fossero gli unici esseri viventi rimasti al mondo, ad attraversare un paese abbandonato che ormai appartiene solo a loro.

Artemis pare intuire il suo pensiero al solo guardarla. Sorride appena, poi, sfilandosi gli occhiali scuri per fingere di pulirli, dice a voce alta nel suo fluente italiano, come se parlasse per il tassista: «È come scender da soli all'inferno, non è vero?»

«Eh, a quest'ora» ribatte il tassista che non ha voglia di far conversazione, e Artemis sorride come tra sé e strizza l'occhio unicamente per lei.

Si lasciano il fiume a sinistra, inerpicandosi come un insetto lungo la strada alberata che si arrotola sulla collina. Quando arrivano in cima, il Piazzale è deserto come il resto della città, ma si affaccia sulla città rigurgitante di luce.

«Vuole che l'aspetti?» domanda il tassista senza troppe cerimonie, ma Artemis scuote il capo, paga e gli lascia una mancia spropositata, contando lentamente le banconote sulla punta delle dita per dare a lei il tempo di scendere dalla macchina. Ma quando il taxi si allontana e torna a immergersi nel buio, pronto a sprofondare di nuovo nell'al di là della città morta, Spinella si muove d'istinto verso la balaustra che affaccia sulle luci che lampeggiano come bagliori in mezzo alla nebbia, prima d'accorgersi che Artemis non ha alcuna intenzione di fermarsi lì. Rimane perplessa: Artemis si muove verso la chiesa che si eleva ancora più in alto di loro, e Spinella non ha alternativa che attivare le Colibrì e seguirlo.

Le è chiaro solo quando sono ormai lì. È un cimitero monumentale: Artemis l'ha portata in un labirinto di tombe e di statue immerso nel buio e affacciato sulla Firenze addormentata. Sono completamente soli, ora, circondati dai morti dappertutto all'esterno così come lo sono all'interno.

Artemis sta cercando una statua in particolare, Spinella lo intuisce da come si guarda attorno percorrendo il cimitero.

«Sei già stato qui?»

«Solo una volta» risponde Artemis a bassa voce, guardandosi attorno. «Tanto tempo fa.»

Quando si ferma di colpo, Spinella capisce cosa stava cercando. È la statua di una donna che piange, è bella di una bellezza struggente, avvolta in fitti panneggi rigonfi che le circondano il corpo e il viso, e Artemis si sofferma davanti a lei con espressione di profonda commozione. Rimane in piedi di fronte a lei, in silenzio, con le mani nelle tasche della giacca e gli occhi chini sulla figura della donna che è piegata in lacrime sui gradini, e Spinella non sa come reagire – perché non sa che cosa egli veda nella figura di questa donna in lacrime, se l'umana sofferenza di sua madre che moriva o il suo proprio dolore, inumano e intollerabile, di essere umano che si confronta da pari a pari con la morte e se ne scopre sconfitto. Gli dà le spalle per non essere costretta ad assistere al suo dolore, e si volta verso le luci che scintillano in fondo alla vallata come lampi tra la nebbia.

«Perché hai abbandonato il tuo nome?»

«Perché non volevo che mio padre mi trovasse. O Leale. O Polledro, per la verità, ma vedo che non è servito.»

Spinella ha una mezza risata gutturale, amara. «La verità, Fangosetto, se non vuoi un altro ceffone.»

Artemis rimane in silenzio per un solo momento, e a Spinella piace pensare che lo schiaffo che gli ha tirato gli bruci ancora in viso come mezz'ora fa. «Volevo cavarmela da solo per un po', Spinella. Avevo bisogno di star solo, e dunque dovevo cavarmela per conto mio per un po'.»

«Intendi dire che dopo aver ingannato l'intera LEP e sconfitto Opal Koboi, il grande Artemis Fowl ha bisogno d'imparare a cavarsela da solo, alla veneranda età di ventun anni?»

«Il grande Artemis Fowl si chiama comunque Fowl» risponde amaramente Artemis, voltandosi finalmente verso di lei. Anche lui ora guarda l'orizzonte, la grande valle oscura che ribolle di luci, ma anche per la valle, come per la statua in lacrime, Spinella sa o forse sente che non vi vede quello che vede lei. Firenze è per lui com'è stata Ushuaia, come Mogadiscio, come domani sarà Dubai: città come passi compiuti per strappare se stesso alla propria mente e al proprio dolore, ma in un circolo vizioso dal quale non c'è modo di uscire. Firenze è soltanto un altro passo a vuoto. «E il nome Fowl apre strade e crea scorciatoie che non volevo trovarmi già aperte. Per una volta, una sola volta in vita mia, volevo percorrerle da solo, faticosamente, come tutti.»

«Per dimostrare che cosa?» chiede Spinella dolcemente. Sa che questa domanda è fondamentale, che da essa dipende tutto quanto; ma Artemis non risponde. Al contrario, si volta verso di lei e si sfila gli occhiali da sole. Spinella quasi non ricordava lo splendore azzurro dei suoi occhi.

«Abbasseresti lo schermo, per favore?»

«Per finire su qualche blog italiano di avvistamenti paranormali?»

Artemis non ride della sua battuta. «Non c'è nessuno in giro. Vorrei guardarti di nuovo negli occhi, Spinella. Ti prego.»

Ci sarebbero diversi buoni motivi per rifiutare: l'ultima cosa di cui abbia voglia è proprio di ritrovarsi su Internet o su qualche foto scattata da satellite o da un drone. Tuttavia Spinella sospira e abbassa lo schermo, e Artemis la guarda negli occhi senza ostacoli.

«Non so rispondere alla tua domanda, Spinella, perché se lo sapessi allora sarei pronto per tornare a casa.»

Di fronte al sorriso triste sulle sue labbra Spinella sta quasi per cedere; vorrebbe abbandonare la partita; la disperazione che i suoi occhi a malapena celano è tale da spaccarle il cuore; ma Spinella trova in sé un ultimo barbaglio di forza, e insiste: «Tu stai girando tutto il mondo perché stai cercando un luogo dove non sentire il dolore, e questo l'ho capito... ma non sono venuta qui per insegnarti che il tuo dolore ti inseguirà ovunque. Lo sai anche tu che c'è dell'altro. Artemis, il tuo nome è la cosa che ami di più al mondo, che ami più dell'oro. È il nome di un cacciatore, allora perché lo hai abbandonato?»

C'è un tremore sulle labbra di Artemis che Spinella non conosce, una luce che vacilla in fondo ai suoi occhi che non aveva mai visto. È come scrutare in un abisso, e leggervi sul fondo un segreto che nessuno avrebbe dovuto vedere. Artemis apre la bocca, la richiude, esita, infine trova le parole.

«Non lo so, Spinella. Davvero. Forse perché se non fossi stato un Fowl probabilmente non sarei stato un criminale; e se non fossi stato un criminale non avrei vissuto distante da mia madre come se fossi un estraneo per lei...»

Non c'è più bisogno d'indagare ancora. Il tremore nella voce di Artemis le dice già tutto quello che le serve sapere: Spinella ha scavato e ha raschiato il fondo, e ora quello che ha trovato è la verità. C'è voluto un po', ma Artemis ha smesso di mentire, alla fine.

«Ma se tu non fossi stato il grande Artemis Fowl, non avresti mai salvato tua madre dalla depressione, né tuo padre dalla mafia russa» obietta Spinella ragionevolmente; ma Artemis scrolla le spalle.

«Lo sai anche tu che non è così semplice. Spinella, mia madre ha sempre sofferto prima per ciò che faceva mio padre e poi per ciò che facevo io. Non sono mai stato come lei avrebbe voluto per me in tutta la vita, e mia mamma è morta senza sapere se mai avrò modo di diventarlo. Naturalmente questo non ha poi una grande importanza per lei, dato che non avrà mai modo di scoprirlo...»

«Artemis, tua madre ti amava!» protesta Spinella con voce troppo alta e troppo acuta; ma Artemis ride di una risata cupa e risponde:«Beh, ormai è un po' tardi per sentirlo dalle sue labbra, non ti pare?»

Spinella non dice più niente per un po'. Non è arresa, è più una ritirata per ripensare una strategia: perché non sa più che dire. Vorrebbe penetrare nel suo dolore, cercare una cura per la ferita che sanguina sempre e non si rimarginerà mai; ma la sua disperazione non le appartiene, è inaccessibile più di un mistero.

«Non è con me che sei arrabbiato per non aver salvato tua madre» realizza d'improvviso, indagando, ma a fatica, nell'oscura pozza di tenebra indistinta che è il volto di Artemis, nel quale solo i suoi occhi emergono dal buio. «Non è vero?»

«Sei molto acuta, Spinella. Come sempre.»

«Artemis...»

«Sono un genio, Spinella» la interrompe Artemis, col tono di voler chiudere lì la questione.«Se ci fosse stato qualcuno in questo mondo in grado di salvare mia madre, quello sarei stato io. Ma ho sprecato la mia bravura e il mio genio a cercare di arricchirmi, e quando finalmente ho capito per che cos'era che il mio genio mi era stato donato, era troppo tardi.»

«Lo sai anche tu che le cose non stanno così» mormora Spinella. Stringendosi nelle spalle, Artemis si siede sui gradini dietro di lui, di fronte alla dama velata che disperatamente piange, e sfiora con la mano le sue mani di marmo. La scruta tutto assorto in questo gesto, come se potesse guardarla negli occhi e leggervi un segreto, e a sua volta lei potesse rispondere al suo sguardo.

«Tu pari sapere molto bene com'è che non stanno le cose, Spinella» risponde a bassa voce, dopo un po'. «Ma ti prego, Spinella, ti prego, se sai com'è che stanno le cose, com'è che funziona, cos'è che io non ho capito... ti prego, spiegalo anche a me, perché io non riesco a capire. Io so solamente che mia madre è stata infelice per colpa mia; che se non fossi stato quello che sono, forse non lo sarebbe stata; e che se è vero che non ho nessuna colpa nella sua morte, allo stesso modo non sono neppure riuscito a salvarla...»

Spinella non le conosce queste risposte che pure disperatamente vorrebbe dargli. China il capo per non dover sostenere la sua vista.

«Ma se era la tua attività criminale ad allontanarti da lei, se è per questo che ti tormenti tanto, allora perché la stai proseguendo?»

La mano di Artemis si ferma bruscamente sulla pelle di marmo, il suo respiro gli si blocca d'improvviso in petto.

«È questo il problema, Spinella... che ci ho provato. Ho cambiato identità, ho abbandonato la mia famiglia, il mio nome, come dici tu... ma quando mi sono ritrovato lontano da tutto e dalla mia casa, lontano da tutto il resto della mia vita, ho sentito di nuovo il richiamo dell'oro e del crimine come se non fosse mai cambiato niente. Era tutto inutile, e l'unico modo per resistere alle tentazioni era quello di cedervi; per un momento ho pensato che se avessi provato di nuovo, se avessi ceduto almeno una volta al richiamo dell'oro, almeno non avrei sentito il suo richiamo ovunque andassi; ma era proprio questo il problema, che ho ceduto una volta e poi ho continuato, e alla fine mi sono reso conto che non avevo nessuna voglia di smettere perché – tu mi conosci, Spinella... - perché quello che stavo facendo era esattamente quello che volevo fare. Che non sarei mai stato in grado di essere l'uomo che mia madre avrebbe voluto che fossi, e che questa era unicamente colpa mia...»

Vorrebbe dirgli tante cose, Spinella. Vorrebbe dirgli che nessun figlio ha doveri nei confronti dei genitori, che non deve corrispondere alle aspettative di nessuno; che è certa che sua madre lo avrebbe amato lo stesso, e con la stessa forza, malgrado tutte le sue debolezze e le sue tentazioni, e che lo avrebbe perdonato sempre; ma quando Artemis leva gli occhi su di lei, attendendo dalle sue labbra una risposta che nessuno dei due conosce, si rende conto che non può mentirgli. Che sua madre è morta, è scomparsa per sempre, che il suo amore per suo figlio non esiste più in alcun luogo dell'universo; che lei, Spinella, non può parlare per quella donna che non esiste più e che neppure conosceva, perché sarebbe come mentire – e che il dolore di Artemis merita la verità. Che i cimiteri nei loro cuori sono troppo vasti e colmi di rimpianti perché possano permettersi di mentirsi a vicenda.

Spinella posa una mano in mezzo ai suoi capelli neri, sul suo capo chino, e rimane in silenzio per un tempo indefinitamente lungo. A un tratto le spalle di Artemis si scuotono di un singhiozzo.

«Ci ho sperato per un momento, sai?»

«In che cosa?» mormora Spinella.

«Che tu conoscessi la soluzione, come quando ero piccolo. Conoscevi sempre la soluzione ogni volta che ero diviso in due. Era un pensiero stupido, vero?»

«Stavolta non esiste una soluzione, Artemis» ribatte Spinella piano. Non vuole che le s'incrini la voce. «Perché non è un problema. È una tragedia.»

Non rimane nient'altro da dire. Artemis posa la fronte contro il suo petto, Spinella gli accarezza i capelli, ed entrambi rimangono in silenzio circondati dal loro dolore e dai cimiteri dei loro morti.


Le prime gocce d'alba iniziano a scintillare all'orizzonte. La notte è finita.

Artemis ha chiamato un taxi per farsi riportare in albergo. Da lì preleverà i suoi pochi bagagli e poi prenderà un altro taxi per l'aeroporto, decollerà per Dubai, e s'immergerà di nuovo nell'anonimato della sua fuga centrifuga per il mondo. Di certo non si rivedranno per un po', ma Spinella non è più preoccupata come quando lo ha incontrato poche ore fa. Prima o poi, quando avrà trovato un po' di pace e avrà capito chi è e chi vuole essere, Artemis Fowl riprenderà il suo nome e tornerà più grande di prima. Nel frattempo, lei può aspettare.

Non sanno neppure come salutarsi. Spinella è di nuovo schermata e Artemis indossa i suoi occhiali scuri: si vedono, ma di fronte al tassista non possono salutarsi. Quando il taxi si ferma di fronte a lui, Artemis può solo voltarsi e sorriderle appena, e Spinella ricambia quel sorriso. Quello che dovevano dirsi se lo sono già detti.

Ma quando Artemis apre la portiera e fa per salire a bordo, d'improvviso Spinella si ricorda qual era forse la cosa forse più importante che avrebbe dovuto dirgli quella notte e che per poco si era dimenticata. Si dà della sciocca da sola.

«Artemis Fowl!»

Artemis si blocca con la schiena già incurvata per salire. «Mi scusi, mi sta arrivando una chiamata» dice rivolto al tassista per mascherare la sua esitazione. «Può aspettare? Ci vorrà solo un minuto.» Raddrizzando la schiena, Artemis infila l'auricolare per dar forza alla sua bugia e si volta verso di lei.

«Ti manco già?» domanda ironicamente.

«Mi hai mentito» ribatte Spinella incrociando le braccia in petto.

Artemis aggrotta la fronte. «Spinella... credo di poter giurare sul mio onore di non esser mai stato più sincero di stanotte con te in tutta la mia vita. Di che cosa stai parlando?»

«Invece sì. Stanotte hai detto di non aver disseminato il tuo lavoro di errori perché qualcuno ti trovasse, invece lo hai fatto e mi hai mentito. Ne ho le prove.»

«Interessante.» Artemis caccia sogghignando le mani nelle tasche della giacca. «Si possono vedere queste prove?»

«La prova è che mi stavi aspettando, Artemis.» Il sorriso di Spinella si fa più largo via via che parla. «Avevi gli occhiali ricavati dagli elmetti della LEP in tasca. Tu ti aspettavi di vedermi, prima o poi.»

«Beh, Spinella...» dice pazientemente Artemis «Non per mettere in dubbio il tuo fascino, ma credo tu sappia che mi capita spesso di avere la LEP alle calcagna. Non scambiare un semplice atto di prudenza per...»

«Inoltre, io sono entrata nell'hotel.»

Artemis s'interrompe bruscamente. «Cosa?»

«Il Libro, Artemis. Se sono riuscita a entrare nell'hotel senza perdere la mia magia, significa che qualcuno mi stava aspettando. Forse non esplicitamente, ma dentro di te tu speravi che io venissi. Tu hai commesso quegli errori volontariamente perché volevi che Polledro ti trovasse e volevi essere trovato da me. O sbaglio?»

Per la prima volta da stanotte, e forse da molto tempo, la risata di Artemis si allarga nella luce vivida dell'alba. «Touché, Spinella. Ma ti sconsiglio di raccontarlo in giro... non credo che reggerebbe in tribunale.»

«Non preoccuparti, Fangosetto.» Spinella gli strizza l'occhio. «Resterà un segreto tra noi due. Intesi?»

«Intesi» risponde Artemis semplicemente, e dopo un istante si sfila gli occhiali e si accomoda sul taxi. Non si volta più nella sua direzione, e Spinella rimane a guardare il taxi che si allontana fino a che l'alba lontana non le abbaglia gli occhi.


   
 
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