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Autore: _Lightning_    26/07/2020    6 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Episodio 1
IL CACCIATORE DI TAGLIE

Parte III

 

 



 
“Nevarro, 4 ABY. Terzo giorno d’assedio a Gyra. I cannoni blaster decimano le nostre truppe.
Il Comandante Atur Koos è stato giustiziato dai dissidenti imperiali. Sono subentrato al comando.
Gyra è imprendibile, ma abbiamo ordine di perseverare. 
Stanotte caleremo uno squadrone di truppe d’assalto sulla città.
Che la Forza sia con noi.”

— Comandante della Nuova Repubblica Roota Koos,
poche ore prima della fallimentare missione suicida per la Liberazione di Nevarro
 


 
Città di Gyra, Pianeta Nevarro, 9ABY
 

Piccole nuvole di cenere si sollevavano a ogni impatto degli stivali contro il terreno nerastro, imprimendo i rilievi delle suole sul sottile strato che ricopriva il basalto.

Cara mantenne un passo spedito, anche quando prese a inerpicarsi su una delle alture livellate dalla lava che circondavano la città. La pendenza non era eccessiva, ma avvertì una protesta acuta da parte del ginocchio sinistro. Sbuffò, scaricando il peso in modo differente, così da non sollecitare la contusione, e rivolse un pensiero irritato ai contrabbandieri Rodiani e alla loro pessima abitudine di sparare prima di parlare.

Era rientrata ormai da un paio di giorni da un’estenuante caccia all’uomo su Bespin, ma ancora accusava il cambiamento d’atmosfera, con l’aria ricca d’ossigeno di Nevarro che le causava qualche giramento di testa occasionale. A quel fastidio si aggiungevano gli innumerevoli acciacchi di un inseguimento attraverso gli angusti gasdotti di tibanna, coronati da un colpo di blaster che le aveva messo fuori uso il ginocchio, a dispetto della protezione in duraplast.

Perlomeno, aveva ricambiato il favore, e il Rodiano in questione era finito a marcire in una cella sospesa per il disturbo. Non era stata la cattura più brillante della sua brevissima carriera di cacciatrice di taglie, ma i crediti sarebbero bastati a coprire il periodo di recupero dall’infortunio. E Greef Karga avrebbe volentieri sopperito al resto.


Oltrepassò il torrentello di lava che costeggiava il crinale e si apprestò a discendere la scarpata, piuttosto ripida. Rimpianse in parte la decisione di non rimandare quella sua sorta di pellegrinaggio quasi giornaliero. Ma non dopo Bespin e labbondanza di lavoratori e tecnici Ugnaught che aveva incontrato. In ciascuno di loro, non avvezza a distinguere le sottili differenze tra un individuo e laltro, aveva creduto di riconoscere un Kuiil nel fiore degli anni, intento a mostrarle come si viveva onestamente col lavoro delle proprie mani. No, non avrebbe mai potuto rimandare la visita alla sua tomba proprio quel giorno, ed era lieta di avervi lasciato un paio di rose-magma.

Arrivò in vista dellarco pericolante che segnava laccesso alla città di Gyra. In seguito allo scontro con le truppe di Gideon, mozziconi di mura e altri detriti punteggiavano ancora la strada maestra striata dai segni del cannone blaster, come dita carbonizzate che avessero artigliato con forza il terreno. Le richiamavano sempre alla memoria le foreste scempiate di Endor.

Appena oltre larco, faceva bella mostra di sé il nuovo monumento tipico di molte città liberatesi dal giogo dellImpero: una schiera di elmi bianchi, anneriti e fracassati, posti a monito su degli alti pali infissi nel terreno. Cara aveva contribuito personalmente allallestimento. La feccia imperiale che ancora sopravviveva nella Galassia avrebbe capito di non essere la benvenuta, qui.

Karga la accolse nello spiazzo datterraggio appena antistante la città. Non le fu chiaro se fosse in sua attesa o se, semplicemente, stesse ammazzando il tempo scrutando il terso cielo nevarriano in attesa di novità.

«Solita passeggiata?» le chiese, col suo modo di parlare roboante, attenuato da una stilla di mestizia.

Cara annuì e basta, tirando un mezzo sorriso nel fermarsi di fronte a lui.

«È un po lontano, no?»

«Riesco a godermi il panorama, senza Imperiali che tentano di ammazzarmi. E comunque, devo tenermi attiva: il lavoro di cacciatrice di taglie è più sedentario di quel che pensassi.»

Karga sorrise sotto i baffi, piantando i pugni sui fianchi e ammiccando al suo ginocchio malmesso.

«Non ti è bastato? Allora aspetta qualche settimana, e cambierai idea!»

«Anche tu stai oziando, mi sembra.»

Lui fece un plateale gesto con la mano, come scansando bruscamente da parte quel rimbrotto.

«Aspetto la mia “risorsa d’emergenza”. Poi non avrai un attimo di tregua.»


Cara alzò giocosa gli occhi al cielo.

«Parli di Mando?»

Karga si lasciò scappare una secca risata e si diede una pacca sul petto, dove si scorgeva ancora il foro bruciacchiato dal colpo di blaster allaltezza del cuore. Cara sapeva che, da quellincidente, non aveva più rimosso il salvifico blocchetto di beskar dal taschino.

«Ah, no, solo un mio vecchio contatto nella Gilda. Più o meno. Anche se spero sempre di veder atterrare quel rottame della Crest... ma ha “faccende più urgenti”. Lo capisco» aggiunse subito, più serio, a moderare quella che poteva sembrare un’accusa, ma che alle orecchie di Cara suonò come semplice rammarico per la mancanza di un collega fidato, nonostante i turbolenti trascorsi.

«Mai dire mai» alzò le spalle lei, con finta neutralità.

Karga le puntò contro un indice, agitandolo a scandire le successive parole:

«Se lo senti, convincilo: digli che mi fa buona pubblicità ed è sempre il benvenuto!» le intimò. «Lui e quel suo... topo magico» aggiunse, scrollando le dita della mano in un confuso, ma al contempo eloquente gesto a mezzaria che le strappò un sorriso.

«Lo farò, ma non prometto nulla» gli strizzò locchiolino lei, in un ultimo cenno di saluto, prima di incamminarsi verso la Cantina.

 



 

L’ologramma azzurrino traballava in un ritmo ormai quasi prevedibile, subendo le interferenze dei milioni di anni luce che li separavano e distorcendo la silhouette comunque inconfondibile di Mando.

«Come hai detto? Il collegamento è pessimo» chiese Cara, girando di pochi gradi la manopola dellololink nel tentativo di stabilizzare la frequenza.

Mando sparì brevemente a mezzaria in una manciata di coriandoli olografici, per poi ricondensarsi in una figura più nitida e solida.

«Awath» ripeté quindi, scandendo meglio le sillabe in quella voce ruvida che non aveva mai capito se fosse naturale o filtrata dallelmo.

Cara compresse le labbra, cercando di collocare fisicamente quel pianeta nella propria mappa stellare. Riuscì solo a ricordare che si trovasse praticamente agli antipodi di Zygerria. E prima ancora, laveva chiamata da Altoria.

Un altro viaggio estenuante, lennesimo di una lunga trafila. Mando sembrava intenzionato a visitare tutti i pianeti più remoti dellOrlo Esterno, in un pattern il quanto più possibile disagevole e privo di logica. Si aspettava da un giorno allaltro di sentirlo trasmettere da Corellia, Hosnian Prime o chissà quale altro pianeta del Nucleo. Il pensiero la turbò, a un livello irrazionale che le era fin troppo noto. Non amava pensare ai pianeti del Nucleo: le ricordava lassenza di Alderaan, cancellato ormai dalle mappe e ridotto a pulviscolo spaziale.

«Pensavo vi sareste fermati più a lungo nel quadrante zygerriano» commentò, scacciando il ricordo del suo pianeta natale.

Si sistemò meglio sulla brandina, ripiegando una gamba e distendendo quella offesa. Mantenne lavambraccio a livello dello sguardo, per non turbare la proiezione che scaturiva dallololink da polso.

«Era una taglia semplice» fu la laconica e prevedibile risposta, preceduta dallistante di silenzio sospeso a cui aveva ormai fatto labitudine.

«Vorrei poter dire la stessa della mia» commentò ironica, inarcando le sopracciglia con unocchiataccia alla tumefazione che rosseggiava sulla sua gamba.

«Problemi?»

«Un po diperossia residua e un ginocchio malandato. Niente dincurabile.»

Mando le rivolse un rapido sguardo daccertamento di sottecchi, annuendo poi tra sé – e lasciando subito cadere il discorso sulla sua insolita destinazione.

Cara aguzzò la vista, cercando inutilmente di cogliere qualche indizio nei suoi gesti – un cenno, un tic, una postura – ma, per quanto sapesse leggere qualche sua emozione superficiale, non aveva avuto abbastanza tempo per metabolizzare tutti quei micromovimenti rivelatori che lavrebbero messa sulla giusta pista. Percepirli attraverso un ologramma era pressoché impensabile.

Mando stringeva la cloche in modo perfettamente simmetrico, con la T del visore rivolta alla guida e gli occhi, forse, puntati su di lei – o meglio, sulla sua controparte azzurrina e sfarfallante sospesa sul quadro comandi della Crest.

«Awath non è esattamente il centro delluniverso» osservò quindi, cautamente. «Poco traffico, grossa esportazione di sale, pochi abitanti stabili. Credevo che volessi cercare informazioni» concluse, evitando accuratamente di essere specifica.

Non si poteva mai dire chi fosse in ascolto, e non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo lui o il Bambino. Mando, dal canto suo, non mosse un muscolo, non sembrando affatto incline a rispondere alla sua domanda inespressa.

«O vuoi cambiare aria o cè una logica che mi sfugge» insistette allora, con una punta di durezza in più.

La consueta pausa si protrasse per più tempo, stavolta, qual tanto che bastava per tradire un briciolo dincertezza da parte sua.

«È solo una tappa.»

Di quale viaggio? le venne spontaneo chiedersi. Cara, però, tacque, notando il modo in cui lelmo ruotò impercettibilmente verso di lei, prima di tornare a rivolgersi altrove.

Intuì cosa volesse chiederle, così come aveva voluto chiederglielo lultima volta e quella prima ancora. Considerò se lasciar sfumare di nuovo la risposta alla domanda inespressa del Mandaloriano, ma finì per condensarla in parole istintive, forse rischiose:

«Non credo che qualcuno sia sulle v- sulle tue tracce. Tantomeno Gideon.»

Il sospiro scettico dellaltro fu ben udibile, amplificato fastidiosamente da uninterferenza.

«Io direi soprattutto Gideon.»

«Potrebbe esserlo, se avesse i mezzi per farlo» si corresse quindi, facendo slittare brevemente lo sguardo verso la finestra-feritoia affacciata sui campi lavici.

Quando si trovava a fissarli o ad attraversarli, le veniva da chiedersi quanti Ribelli vi fossero caduti sotto il fuoco degli assaltatori imperiali.

«Neanche lImpero li aveva, dopo Jakku. Eppure...» lasciò in sospeso Mando, come leggendole nel pensiero.

«Abbiamo spazzato via la sua guarnigione ed è un miracolo che sia sopravvissuto, sempre che lo sia davvero...»

«Non abbiamo rinvenuto il corpo» puntalizzò seccamente lui.

«Perché è probabilmente diventato cibo per lishek. E anche se fosse sopravvissuto, adesso è solo.»

«Lo credi davvero?»

Quella domanda retorica la punse sul vivo, acuendo timori fondati. Fece per ribattere per poi cedergli il punto, scrollando a malincuore la testa.

«Vorrei sperarlo. Ma il solo fatto che non sia morto sul colpo, e quei segni, sul caccia TIE...» sospirò, ripensando agli inspiegabili resti semifusi che aveva rinvenuto sul luogo dello schianto e arrivò contrariata alla stessa conclusione del Mandaloriano: non sarebbe stato saggio abbassare la guardia. «So che sono speranze infondate. Vorrei solo pensare che voi non sarete in pericolo, se mai decideste di fare una pausa dalla vostra ricerca.»

Si scostò la frangia scura dagli occhi, fissando il tremolio ipnotico dellologramma nella penombra della sua stanzetta spoglia e poco familiare, animata solo dal pulviscolo cinereo infiammato dal sole della sera.

A volte – spesso – le mancavano Sorgan, gli sfiancanti incontri di lotta giornalieri che le guadagnavano da vivere, i saltuari incarichi da mercenaria e la spotchka acidula e corroborante della locanda. Era stata una vita semplice, quella, lunico assaggio che le era stato concesso assieme a un surrogato di casa.

Si concesse un breve sorriso laterale nel concludere che, dopotutto, non rimpiangeva di essersi presa un impegno che andasse oltre il successivo round sul ring di terra battuta, e di aver stretto a un’alleanza dettata dalla fiducia e non da ordini e catene di comando. La “pensione” non le si addiceva, e quel Mandaloriano l’aveva capito al primo sguardo.

In quel momento, lo vide puntellarsi contro lo schienale del sedile di guida, con la nuca reclinata all
indietro e le mani che allentarono un poco la presa dalla cloche.

«Non posso tornare su Nevarro» proruppe dun tratto, rispondendo inaspettatamente alla sua, di domanda inespressa da giorni.

Parlò a voce lievemente più alta del normale, quasi quella frase gli fosse sfuggita di bocca, tinta di quello che poteva benissimo essere malinconia. Non le servivano i sensori di un droide per percepire londa di tristezza che la increspò.

«È per quello che ti ha detto la tua...» Cara sinterruppe, incerta su come definire lenigmatica armaiola della Tribù, se non come un qualcuno con una schiacciante autorevolezza e che, probabilmente, deteneva anche una certa autorità. «... la vostra guida?» si decise infine, scrutando la reazione di Mando, che fu assente, se non per un lieve riassestamento delle dita sulla cloche, come se trovasse quella definizione scorretta, ma non offensiva.

«No» disse poi, indugiando su quel monosillabo in modo sofferto.

Cara si pentì di aver menzionato indirettamente la Tribù: per quanto evitasse di esternarlo troppo, era chiaro che Mando stesse ancora venendo a patti con le sue perdite. Lo capiva, suo malgrado.

«L’avrei fatto comunque: il Bambino deve tornare dalla sua gente.» Fece una breve, solenne pausa che preannunciò il continuo: «Questa è la Via.»

Cara si umettò le labbra, riassestandosi sul posto. Dai loro ultimi contatti, non aveva avuto l’impressione che Mando stesse attivamente cercando il popolo del Bambino. Sembrava più che stesse cercando il proprio. I sopravvissuti, forse, o forse altri Mandaloriani al di fuori della sua Tribù. Non poteva certo biasimarlo, ma nemmeno ignorare del tutto quel fatto. Percepiva fin troppo bene l’angoscia repressa che si irradiava oltre il beskar.

«Ma è anche la sua Via?» si arrischiò a ribattere, con un cenno del mento verso il punto generico in cui immaginava fosse il Bambino.

Mando lo seguì impercettibilmente la direzione, senza però voltarsi. Sembrò cogliere il vero senso della domanda, ma fu chiaro dalla risposta che sclese di ignorarlo:

«Siamo un clan, adesso» disse infatti, raddrizzandosi sul sedile e riprendendo una postura composta, nell’evidente convinzione, o speranza, che quel fatto rispondesse a ogni domanda e costituisse una certezza incrollabile.

Cara si limitò ad annuire, astenendosi dall’approfondire una questione fin troppo delicata, per il momento, e optò per dirottare il discorso. Se Mando avesse voluto confidarle qualcosa, l’avrebbe fatto coi suoi tempi e modi. Era chiaro che stesse ancora venendo a patti con quanto accaduto lì su Nevarro ⎯ con tutto quanto. Lei era l’ultima persona a potergli rimproverare un eccesso di riservatezza.

«A proposito, come sta quel womprat verde?»

Mando, stavolta, si lanciò un’occhiata da sopra la spalla e mosse l’oloproiettore, inquadrando l’esserino in questione intento a spiarli da oltre il bordo della culla, rischiando fra l’altro di ribaltarla dal sedile. Mando si sporse all’indietro per spingerla e riportarla in equilibrio, strappando un versetto contrariato al piccolo.

«Pensavo dormisse. Il nuovo passatempo è cercare di cadere mentre non guardo» sospirò rassegnato, spostando l’attenzione su di lei, che non trattenne un mezzo sorriso.

«Ci stai prendendo la mano.»

Lui alzò le spalle, in un gesto esplicito per lui raro.

«Sono stato anch’io un Trovatello.»

Cara finse una smorfia esterrefatta, sforzandosi di trattenere un risolino.

«Quindi, sei stato anche tu una piccola peste vagamente adorabile? Chissà perché, ho qualche difficoltà a immaginarti.»

Il lieve sbuffo di Mando suonò divertito.

«Ho avuto i miei momenti» concluse, enigmatico, ma in tono inaspettatamente vivace.

Cara provò un picco di curiosità, ma evitò di insistere, semplicemente lieta che la linea del discorso si fosse rasserenata, sebbene con dei non detti dolorosi a tenderla.

Rimasero in silenzio, come era successo altre volte in quei mesi, tenendosi quietamente compagnia come se fossero stati nella stessa cabina di pilotaggio.

Dopo poco, lo osservò sporgersi per far scattare degli interruttori sopra di lui, inclinandosi poi verso i quadri di comando per tirare una leva. Vi fu un sussulto nell’ologramma, e intuì che fossero usciti dall’iperspazio.

«Awath in vista» le annunciò Mando, con un cenno oltre il parabrezza a lei invisibile, e le arrivò anche un gridolino esaltato da parte del Bambino.

«Bene, allora vi lascio alle procedure d’atterraggio» si congedò, portando al contempo le gambe oltre la sponda del letto. «Buona caccia. E se mai ti servisse qualche taglia più... gratificante, ricordati di Nevarro.»

«Lo dice Karga?» la stanò subito lui, senza astio, rivolgendosi brevemente verso l’ologramma.

Lei non negò, limitandosi a un’alzata di spalle e a un sorriso incolpevole non molto convincente.

«In ogni caso, sai dove tornare.»

Mando replicò annuendo una sola volta, in quel suo modo un po’ solenne.

«Grazie.»

Esitò un istante, poi la comunicazione si chiuse con uno sfrigolio, lasciando Cara nella penombra del crepuscolo.





 

 
 

Note:
– Il tibanna è un gas di raffreddamento estratto su Bespin.

 Lishek è un nome (ispirato a The Witcher III) per le feroci creature simili a draghi che compaiono nell’Episodio 7 della serie.
NB. Ricordo che la nozione di cosa sia una spada laser non è scontata, e che sia Cara che Din sembrano ignari dell’esistenza dei Jedi quando l’Armaiola li nomina.

Note dell’Autrice:

Cari Lettori, ormai ho capito che è inutile porsi un giorno fisso d’aggiornamento: riuscirò comunque a venire meno ai miei buoni propositi che lastricano la strada per la procrastinazione :’)
Avevo annunciato un ritorno di Mando e del Bambino... ed è stato così, in un certo senso, ma ho voluto tacere sull’entrata di Cara Dune in scena. La adoro con tutto il cuore, quindi siate brutali nel commentare nel caso trovaste qualcosa fuori posto per quanto la riguarda <3

Detto questo, ringrazio tutti coloro che hanno recensito finora, ovvero
Old Fashioned, LadyOfMischief, AMYpond88 e quella Guascosa di Miryel che mi supporta e asseconda in ogni progetto, questo in particolare <3 (se a breve dovessero saltar fuori one-shot demenziali a tema Star Wars, sappiate che dovrete prendervela con lei). 
E grazie anche a tutti voi che avete aggiunto la storia alle liste, o che leggete solamente <3
Un (delicato) bacio di Keldabe a tutti voi, e alla prossima settimana!

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