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Autore: ShanaStoryteller    27/07/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell’autrice: questa è la mia risposta a un ask che mi chiedeva cosa sarebbe successo agli dèi nel mondo di oggi.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: dopo DUE mesi di stallo causa sessione esami siamo tornate! Ringrazio moltissimo CrispyGarden per il suo infaticabile lavoro da beta e per la sua dedizione nel continuare a stare dietro alle mie traduzioni, non so cosa farei senza di lei <3

Abbiamo deciso di iniziare con "Gods&Monsters" perché i capitoli sono più corti da betare, ma Nereisi sta lavorando alacremente alla traduzione del quinto capitolo di "Survival is a Talent" oltre che betando "A Queen for the Kingdom - Una regina per il Regno", quindi non temete! Il profilo di Shana su EFP ritornerà pian piano alla vita!

Nel frattempo, vi auguriamo una buona lettura!


 

Il tempo passa. Il mondo cambia. I templi cadono. La gente ora pronuncia i loro nomi come se fossero favole.

Gli dèi sono morti.

***

Il carro di Apollo giaceva a pezzi e dimenticato nelle rovine di una città di cui più nessuno conosceva ormai il nome. Lui osservava il sole che si arrampicava in cielo di sua sponte, senza che ci fosse lui a sospingerlo.

“Ti manca?” Gli domandò Artemide, apparsa al suo fianco. Erano sulla cima di un palazzo di vetro scintillante, ed erano quasi identici a quello che erano un tempo. Lei camminava tra i mortali più di lui, come aveva sempre fatto, ed era vestita come una di loro. Vestiti attillati e metà del capo rasata, con delle gemme luccicanti che si snodavano lungo la curva delicata del suo orecchio. Sembrava una delle teenager che affollavano i suoi concerti.

Lui pensò a come il suo carro minacciasse di sfuggire alla sua presa ogni mattina, l’opprimente calura del sole che lo schiacciava, le bruciature e la subdola paura che un giorno avrebbe perso la presa delle redini facendo sprofondare il mondo nell’oscurità.

Apollo poggiò il capo sulla spalla della sorella. Il sole sorgeva più lento senza di lui, ma sorgeva comunque. “No. Non proprio.”

***

Il laboratorio di Efesto si era evoluto nel tempo: dalle pendici di un vulcano a un laboratorio moderno, ma pur sempre un laboratorio che scoppiava di invenzioni. I ciclopi erano ancora i suoi migliori assistenti.

Afrodite si fece strada tra i pezzi di scarto ed evitò con perizia i ciclopi indaffarati a trasportare misture effervescenti. Teneva i capelli scuri raccolti in uno chignon, e indossava un paio di occhiali spessi e un completo pantalone rosso sangue che quasi camuffava il fatto che fosse la donna più bella sulla Terra. “Ho un cliente, cerca di non far esplodere la casa. Di nuovo.”

“Certo, cara.” Disse lui, ma non distolse lo sguardo dalla saldatura. Afrodite non si aspettava che lo facesse. Si era tolto le protesi e le aveva lasciate sul pavimento dietro di lui, ed era seduto su una sedia molto alta per compensare.

Lei allungò una mano e toccò delicatamente l’angolo vicino al suo occhio. Le rughe avevano iniziato a farsi strada sul suo volto. Stavano invecchiando. “È la coppia che litiga perché lui vuole figli mentre lei non vuole rimanere incinta, anche se non vuole ammetterlo. Sarebbe tutto più semplice se gli dicessi di adottare per poi buttarli fuori dalla finestra.”

“Certo, cara.” Ripeté lui, facendo scaturire scintille. Lei venne colpita da un paio di queste, ma non si bruciò. Ovviamente.

Lei spostò la mano e la infilò tra i suoi capelli, resistendo all’impulso di distoglierlo dal lavoro e lasciar perdere il proprio per baciarlo su quel tavolo da laboratorio. “Ti amo.”

Afrodite si voltò e fece per andarsene, ma Efesto la prese per il polso e la tirò a sé. Teneva in mano un solo giglio di rame, le punte dei petali che ancora brillavano per il calore con cui erano stati modellati. Infilò con cura lo stelo tra i capelli di lei, alla base del suo chignon. Le carezzò appena il labbro inferiore con il pollice, scostando la mano e portandosela al fianco. “Certo, cara.”

***

Demetra era infuriata.

Concludeva contratti sconsiderati per controllare una terra che non era più in suo potere e metteva in atto vendette contro i mortali in qualunque modo le fosse possibile. Si erano dimenticati di lei, della terra, e con la loro ignoranza tentavano di distruggerla.

Faceva tremare la roccia e squarciava la terra, ma loro non imparavano ancora, e la sua rabbia cresceva con l’aumentare della temperatura della Terra.

Il mare non era sotto il suo dominio, il suo potere era di terra e di terra soltanto, e continuava a dare più di quanto poteva pur di non perderne il controllo. Ma quei mortali non imparavano.

Demetra andò al mare e fece uno scambio discutibile. Si diresse verso quanto rimaneva delle rovine dell’Olimpo e ne fece uno ancora peggiore.

La terra venne battuta da tifoni e uragani. Se gli uomini volevano distruggerla, Demetra allora li avrebbe distrutti per prima.

***

Era sedeva su un divano bianco e immacolato in una casa elegante, e sorrideva per il giornalista seduto di fronte a lei.

“Quale pensa sia stata la decisione più importante che abbia mai preso?” Le domandò. “Se potesse ricondurre il successo del suo business a un singolo momento, quale sarebbe?”

Lei inclinò la testa al flash della macchinetta fotografica. “Ma il divorzio con mio marito, ovviamente.”

“Sarebbe questo il consiglio che darebbe alle giovani che sperano di raggiungere il suo successo?” Le domando. “Non sposarsi?”

Era ripensò ai secoli passati al fianco di Zeus, a quanto l’avessero sminuita. Pensò agli uomini di Estia e alle donne di Artemide, all’amore di Efesto per Afrodite, al modo in cui Ade smussava gli angoli più taglienti della personalità di Persefone.

Disse: “Non sposate qualcuno che vi sminuisca. Se non siete persone migliori in coppia più di quanto non lo sareste da sole, allora non sposatevi. Semplice.”

Semplice, ma non facile.

Lasciare Zeus era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.

***

Persefone non era più costretta a trascorrere metà dell’anno sulla terra dei mortali. Dunque, vi andava quando le pareva, il che non era spesso.

A volte si sedeva accanto ad Artemide quando questa portava una nuova vita nel mondo, e teneva in braccio per prima quel bambino caldo e senza pace. Faceva visita agli ospedali e faceva fiorire i fiori fuori stagione e trascorreva lunghe ore sotto il sole per sentirne il calore lambirle il volto.

Un tempo Ade lasciava di rado il suo regno, e in quei tempi ancora meno. Nascevano sempre più persone, il che implicava che ne morivano anche di più. Il loro regno era immenso, contenente tutti i morti di sette millenni. Ade e Ecate trascorrevano le loro giornate come sempre: cercando disperatamente di espandere il reame per non dover vivere ammucchiati.

“Hai sentito?” Gli chiese lei un giorno, seduta sopra la sua scrivania, stendendovisi sopra per impedirgli di lavorare all’ennesima bozza per un altro piano del loro reame. “Gli dèi sono morti.”

Lui smise di cercare di tirare via a strattoni la bozza da sotto di lei. “Davvero? Strano, nessuno di loro è qui.”

Persefone non si curò di nascondere il proprio sorriso. Nessuno di loro se ne era accorto. Forse non se ne sarebbero mai accorti. Quando la morte sarebbe giunta per loro, come faceva per tutti, sarebbero stati condotti alle porte di Ade e Persefone. Quando sarebbe giunto il momento, sarebbe stato Ade in persona ad accompagnare Gaia e Anfitrite negli inferi.

Quel momento non era quel giorno.

“Cara, devo lavorare a questo progetto.” Diede un altro strattone alla mappa, inutilmente.

Lei lo costrinse a sedersi, mettendosi sopra di lui e premendo le loro fronti insieme. “No, non devi.”

“No, non devo.” Concordò lui, e scostò la testa docilmente per lasciare che Persefone gli mordicchiasse il collo. Riuscì a trattenersi trenta secondi interi prima di aggiungere: “Voglio dire, devo proprio, Ecate ha detto che se non avessi avuto un piano entro domani, quando lei partirà per il mondo dei mortali, avrei dovuto aspettare il suo ritorno o arrangiarmi, e non mi piacciono entrambe-”

Persefone lo baciò per zittirlo, spingendolo e conducendolo attraverso il loro reame in modo che finissero sul letto. “Ti aiuterò a finirlo più tardi. Ora concentrati su di me.”

Ade non rispose, ma invertì le loro posizioni per stare sopra di lei e infilò una mano sotto la sua gonna, e Persefone lo interpretò come un assenso.

***

Estia sedeva accanto a un falò e guardava un gruppo di teenager che si ubriacava e danzava intorno alle fiamme. Non sarebbero mai stati più giovani che in quel momento, non avrebbero mai provato così tanto amore l’uno per l’altro come allora.

Era alle spalle di un vecchio che si scaldava le mani con le fiamme che guizzavano da un bidone abbandonato.

Era stesa su un letto mentre una ragazza accendeva due dozzine di candele tutto intorno per fare una sorpresa alla sua ragazza quando sarebbe rincasata.

Guardava un giovane cucinare per la prima volta la cena per il suo ragazzo, bruciando il pollo da entrambi i lati. I due lo mangiarono comunque.

Era seduta sul piano della cucina quando una sorella sfornava una torta, fatta appositamente per il compleanno del suo fratellino.

Era lì quando un padre alzava il termostato nel gelo dell’alba di un mattino perché fosse caldo quando sua moglie e i suoi figli si sarebbero svegliati.

Gran parte delle persone non possedeva più un focolare. Ma c’era calore, e amore, e a Estia questo bastava.

***

Più i loro nomi sbiadivano dall’esistenza, meno il suo nome veniva invocato sul campo di battaglia dei mortali, e più Ares poteva dormire.

Si addormentava su alberi troppo alti o sulle panchine dei parchi. Dormiva in squallide stanze di motel e si appisolava in ognuna delle librerie di Atena. Dormiva accoccolato su una sedia nell’ufficio di Afrodite e sui pavimenti di molti centri assistenza per veterani. Si accorse quasi subito che quello era tutto l’aiuto che davano ai veterani.

Ma il suo posto preferito dove dormire rimanevano gli inferi.

Bussò alla porta di Orfeo, che era sempre disposto a suonare per lui. “Ade è qui.” Gli disse Euridice. “Vuoi che lo chiami?”

Lui scosse il capo. “Anche Persefone è qui. Non vorrei disturbarli.”

Euridice e Orfeo si scambiarono uno sguardo di tenue disapprovazione, ma nessuno di loro aggiunse altro, e Ares gliene fu grato.

Si stese sull’erba soffice del giardino che aveva creato Persefone e lasciò che Orfeo lo cullasse con la sua musica.

Più tardi, venne svegliato da braccia forti che lo sollevarono, tenendolo contro un petto familiare. Non dovette nemmeno aprire gli occhi per sapere chi lo stava reggendo. “Posso andarmene.” Sbadigliò, e le sue azioni contraddicevano le sue parole perché si accoccolò ancora di più vicino al calore che emanava il re degli inferi.

“No,” disse Ade, “rimani.”

Ares esalò un sospiro di felicità quando Ade gli premette un bacio sulla fronte, e non era uno che amava il contatto fisico o le persone che lo toccavano o che gli stavano troppo vicino. Ma Ade gli aveva sempre dato un senso di sicurezza, di casa.

Rimase.

***

Gli dèi sono morti.

Lunga vita agli dèi.

   
 
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