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Autore: ChrisAndreini    27/07/2020    0 recensioni
[Storia partecipante al Contest "Villain’s Ballad" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP]
Anahola, Kauai, metà Maggio. Una missione come le altre, o una vacanza inaspettata, che però porta con sé un profondo conflitto interiore e un incontro davvero singolare per May e le sue coinquiline.
DAL TESTO:
"Uno sparo.
Era da lì che cominciava sempre. L’impatto uditivo era stata la prima cosa che aveva sentito, mentre l’aria iniziava ad abbandonarle i polmoni, e gli occhi erano chiusi a metà e appannati dalle lacrime.
Era il terzo sparo che aveva sferzato l’aria quella calda notte di maggio, ma era l’unico che la bambina di sette anni premuta con forza nel pavimento ricordava. Forse perché era stato talmente vicino da assordarla qualche minuto. Forse perché le aveva cambiato la vita davanti agli occhi. O forse c’era un motivo più profondo che la portava a ricordare solo ed esclusivamente quello sparo"
Genere: Angst, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Ortensia

 

 

May si svegliò con il fastidioso rumore dei tacchi a stiletto che rimbombavano in tutta la casa, e non trattenne un grugnito infastidito. Detestava caldamente la persona alla quale sicuramente appartenevano, e in tutta franchezza non capiva come riuscisse ad indossare sempre quei trampoli scomodissimi.

-Che stai facendo, Marika?- chiese, guardando con fastidio la ragazza intenta ad infastidirla, che stava recuperando oggetti da infilare in borsa.

-Vado al bar a bere qualcosa. Dovresti provarlo ogni tanto. Divertirsi, sai, non uccide nessuno- rispose lei, in tono infantile, mettendosi davanti allo specchio e sistemandosi il trucco.

May era in profondo disaccordo con il commento finale, ma decise di tenere per sé le sue osservazioni. Era sempre abbastanza impossibile avere una conversazione seria con Marika, ed erano troppo diverse per vedere il mondo allo stesso modo.

-A quest’ora?- disse solo, poco convinta -Non è un po’ presto per uscire?- era primo pomeriggio. Poco dopo le quattro a giudicare dalla posizione del sole che si intravedeva oltre le tende.

-Ogni momento è buono per bere e rimorchiare!- esclamò lei, battendo le mani entusiasta e rischiando di far rovesciare il mascara… forse. Si rovesciavano quei cosi, o non erano abbastanza liquidi? May non lo sapeva, e non le importava più di tanto. Il trucco era scomodo e inutile, solo un’imposizione sociale per sembrare più attraenti agli occhi del sesso opposto. Una delle tante maschere che coprivano il genere umano.

-Perché sei sveglia?- chiese poi Marika, finendo di mettere il rossetto e passando ai capelli.

-I tacchi- borbottò, anche se non ne aveva idea, in realtà. Le davano fastidio, sì, ma mai così tanto da svegliarla. E odiava essere costretta a parlare con Marika. Quella fastidiosa vanesia piena di sé che non riusciva a stare senza compagnia. 

-Il prezzo della bellezza- commentò lei, indifferente, fermando il chignon con dei ferretti -Odio i capelli così lunghi. Sono più bella con un taglio corto- aggiunse poi, molto tra sé.

Quella era forse l’unica cosa che avevano in comune. Anche May trovava molto fastidiosi i capelli lunghi. Ma non per una questione di bellezza, quanto di comodità. 

-Allora, visto che sei sveglia, che mi dici del nuovo ragazzo di Margo?- chiese poi Marika, per fare conversazione. May non ne aveva proprio voglia, e neanche rispose. E poi non sapeva nulla di un nuovo ragazzo di Margo, ed erano affari suoi.

-Sai, quel Sammy, che vede sempre. L’ho intravisto per poco, l’altro giorno, e ho letto le note sul telefono. Tu lo hai incontrato, che tipo è?- insistette l’altra ragazza, che aveva sempre un bisogno patologico di parlare. Ma perché? Cosa aveva da dire, sempre, in ogni momento?!

-Chiassoso- rispose May monosillabica. Non aveva aggettivi migliori per definirlo, e non le andava di cercarne altri. A differenza di Marika, lei parlava con uno scopo.

-Stavo pensando di andarlo a trovare. Credi che mi troverebbe più carina di Margo? Io penso di sì. E sono anche molto più simpatica- 

“…e modesta, chiaramente” May sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

-Smettila di fare così, vuoi forse negarlo?- la provocò Marika, lanciandole un’occhiataccia.

-Sì, nessuno è meglio di Margo- May alzò le spalle. Era una verità inoppugnabile che nessuna di loro poteva dimenticare. Margo era la migliore, e nessuna si avvicinava neanche lontanamente a lei. Fine della storia.

Anche Marika lo sapeva, e rimase in silenzio per qualche secondo, lottando con un ciuffo ribelle.

Alla fine si arrese e lo lasciò lì, sbattendo il pugno contro il lavandino, seccata.

-Dici così solo perché io non ti piaccio. Ma sono meglio di Margo! E meglio anche di te! Io sono la migliore di tutti, e un giorno anche Rachel se ne accorgerà. Se ne accorgerà e chiederà che faccia tutto io! Perché Rachel mi adora. E voi siete solo invidiose- esclamò con spiccata drammaticità. May odiava quando si comportava in questo modo.

-Esibizionista-

-Asociale!- 

Marika chiuse gl occhi, ricacciando indietro le lacrime, e poi sciolse nuovamente i capelli, preferendo tenerli all’indietro con dei fermagli.

-Perché non torni a dormire così posso finire di prepararmi in tranquillità e andare al bar senza i tuoi commenti degradanti?- chiese, cercando di mantenere un tono freddo e di superiorità. May avvertiva il dolore nascosto dietro le sue parole taglienti, ma non si sentì particolarmente in colpa. Aveva detto la verità, dopotutto, e la sensibilità di Marika a questo tipo di commenti era solo una debolezza che doveva affrontare e superare. May non era sua madre, e non era tenuta a indorare la pillola. A malapena sopportava la sua presenza.

E infatti avrebbe con piacere eseguito e sarebbe tornata a dormire, ma non credeva fosse il caso. Si era svegliata per un motivo, dopotutto, ed aveva tutta l’intenzione di scoprire quale. E poi non era poi così stanca. 

Proprio mentre rifletteva su questo, come chiamato in causa, il motivo per cui probabilmente si era svegliata bussò alla porta.

-Chi è?- chiese Marika, con voce civettuola, sistemandosi la scollatura già pronta ad aprire.

May la tenne ferma dov’era, all’erta.

Era meglio sapere sempre in anticipo cosa aspettarsi dall’altra parte di una porta. Anche se l’unica a conoscenza dell’indirizzo della casa dove alloggiavano era la padrona di casa. Una donna anziana che gestiva con la famiglia un’agenzia apposita. Era stata molto gentile. Soprattutto quando aveva offerto a Maddy un biscotto. A May non sarebbe dispiaciuto se fosse stata lei ad entrare.

Ma non era lei, purtroppo.

-Consegna di fiori per Marika- disse una voce dall’altra parte della porta.

May tirò una leggera pacca sulla spalla della ragazza, che si ritirò infastidita.

-A chi hai dato l’indirizzo?- la rimproverò sottovoce, avvicinandosi lentamente alla porta con circospezione.

-È difficile offrirti una lista completa- ammise lei, senza il minimo accenno di senso di colpa. Davvero una persona così poco attenta pensava che Rachel la considerasse migliore di Margo? Tsk, che ingenua sempliciotta.

Prima che May potesse controllare dallo spioncino, il corriere di fiori parlò: 

-C’è qualcuno in casa? Se c’è qualcuno in casa dite una parola a caso, può essere una qualsiasi, tipo virgulto, rosa, cane o gatto, o ibisco. Magari non le parole “vai via” perché potrei fraintendere. Ma se non c’è nessuno in casa torno più tardi. Purtroppo c’è bisogno di una firma per essere sicuro di aver consegnato i fiori alla persona giusta e ci sono tutte questioni burocratiche. Senza contare che il cliente ha promesso di riammettermi al suo bar se gli porto la prova che li ho consegnati alla persona giusta quindi…- May sobbalzò quando associò la voce al volto al quale sicuramente apparteneva. Non perché avesse riconosciuto la voce, in sé, ma aveva incontrato solo una persona che parlava in maniera così irritante, rapida e sfrenata. Rabbrividì inconsciamente. Tutto voleva fuorché ritrovarsi nuovamente faccia a faccia con il biondo logorroico amante dei fiori.

-Ugh, Sammy…- borbottò tra sé, già pronta a fingere di non esserci per farlo tornare quando ci fosse stata Margo. 

Forse però non avrebbe dovuto rivelare quel nome con Marika presente e pronta a far danni.

-Sexy!- esclamò infatti la ragazza verso la porta, in tono voluttuoso, già affrettandosi ad avvicinarsi per aprire al fioraio.

May le tappò la bocca e la fermò, ma era ormai troppo tardi per andare avanti con il suo piano iniziale.

-Oh…- la voce dall’altra parte della porta si fece silente. Almeno un fattore positivo -…beh, non è esattamente la parola che avrei usato io, ma chi sono per giudicare. Allora aspetto qui per un po’. Nessuna fretta. Finisca pure quello che sta facendo- anche se non per molto.

-No, no, arrivo subito!- provò a dire Marika, ma May questa volta riuscì a zittirla prima che potesse far uscire le parole dalla bocca.

-Ci vado io- borbottò, facendo per prima cosa una tappa verso il suo nascondiglio per prendere la pistola. Non si poteva mai sapere. E non pensava proprio fosse una buona idea che Sammy conoscesse Marika.

-Perché ti becchi sempre tutto il divertimento?- si irritò Marika, restando però da parte. Le armi non la infastidivano quanto infastidivano le altre ragazze, ma cercava comunque di tenercisi alla larga. Erano territorio di May.

Con circospezione, quest’ultima si avvicinò alla porta, e la aprì lentamente, già pronta a sparare se si fosse rivelato necessario. 

Ma il biondo, con un bouquet in una mano e l’altra intenta a battere contro il fianco al ritmo di una canzone che stava fischiettando tra sé, era la persona meno minacciosa che May avesse mai avuto la sfortuna di incontrare due volte nel giro di pochi giorni.

Resosi conto che la porta si era aperta, il ragazzo tornò in sé, e sorrise a May, per poi sobbalzare.

-Margo?- chiese, sorpreso.

-May- lo corresse la ragazza, grugnendo infastidita dall’essere sempre confusa con sua sorella.

-Oh, scusa! Siete due gocce d’acqua. Aspetta, ho sbagliato casa? Mi avevano detto che Marika era all’alloggio Hibiscus Hale Lani, forse ha dato un indirizzo falso- controllò un foglietto con un indirizzo scribacchiato, rischiando di far cadere qualche fiore dal bouquet. 

May alzò gli occhi al cielo, e sperò con tutto il cuore che Marika non intervenisse, ma lei rimase tranquilla, anche se May avvertiva con chiarezza la sua irritazione nel restare in disparte e non essere al centro dell’attenzione.

-No, abita qui, e le darò i fiori. Possiamo fare in fretta, per favore- chiese, con la solita mancanza di tatto e buone maniere. Voleva concludere il prima possibile e tornare a dormire.

-Certo, metti una firma qui- Sammy le porse un registro e una penna ad esso attaccata, e May esitò un po’ prima di firmare.

-“M. Campbell”, anche Margo si firma così. Non confonde un po’ le idee?- chiese, per fare conversazione.

-Abbiamo finito?- tagliò corto la ragazza, già pronta a chiudere la porta.

-Certo, scusa! Ecco i fiori. Un bouquet molto elaborato con le classiche rose, tulipani e alcuni nontiscordardimé che Kenny mi ha richiesto ma che io personalmente non avrei messo perché il significato è più tragico di quanto ci si aspetterebbe dal nome, e non sono poi dei fiori particolarmente positivi da mandare a una ragazza conosciuta in un bar- certo che quel ragazzo era decisamente logorroico. Quasi peggio di Marika. Quasi

-A Marika io darei solo narcisi- commentò May, quasi tra sé prendendo i fiori e cercando di tenerli il più lontani possibile da lei. Era uno dei pochi fiori di cui conosceva il significato, e gli sembrava decisamente appropriato.

Solo che Sammy si mise a urlare.

No, anzi, a… ridere? May era troppo arrugginita nei rapporti con gli altri per esserne del tutto sicura, ma lo lasciò fare, un po’ presa in contropiede.

-Vai al diavolo!- fu invece il commento di Marika, che non si trattenne, irritata.

-Scusa. Sei davvero simpatica- Sammy cercò di trattenere le risate, e fece un pollice in su verso May, che lo squadrò completamente confusa dalla sua reazione. Aveva soltanto fatto un commento degradante verso Marika. Non lo trovava simpatico o divertente. Soprattutto se non si conosceva il soggetto.

Ma quel ragazzo sembrava trovare fascino nei luoghi più strani.

-Beh, grazie per i fiori, Marika li apprezzerà senz’altro- cercò di tagliar corto. Meno tempo passava con quel tipo e meglio era per la sua sanità e serenità mentale.

-Lo spero. Alla fine è un bel bouquet, salutami Margo quando la vedi- Sammy intascò il registro e iniziò a salutare la ragazza, che si sentì legittimata a chiudere la porta.

Purtroppo non fu abbastanza veloce, perché Sammy riuscì ad interromperla mettendo una mano sulla porta.

-Un’ultima cosa. Stai davvero benissimo truccata così. Quasi non ti riconoscevo- disse, indicando il volto di May, che dovette trattenersi per non grugnire.

-Non mi hai riconosciuto- gli fece notare, quasi tra sé.

-…Sì, questo è vero, ma intendo che ci ho messo qualche secondo a riconoscere Margo, e voi siete identiche e… insomma, bel trucco, tutto qui- la incoraggiò.

Marika sogghignò soddisfatta e gli fece un occhiolino.

May si prese la testa dolente tra le mani, sempre più ansiosa di terminare la conversazione.

-Grazie!- disse in fretta, chiudendo la porta in faccia a un confuso Sammy, che sembrava sul punto di commentare qualcosa prima di venire brutalmente interrotto.

Una volta al sicuro a casa, May sbatté il piede a terra, irritata.

-Marika!- rimproverò la ragazza, che però era troppo felice per darle peso.

-Sammino bello ha molto più gusto di te, fattene una ragione. Oh, io gli piacerei un sacco!- riprendendo il controllo della situazione, Marika annusò i fiori, e iniziò a zompettare per la casa in cerca di un vaso.

May era troppo stanca, e la testa le faceva troppo male per continuare a dare retta a quella stupida ragazzina.

Riuscì a malapena a posare la pistola, prima di rimettersi a dormire.

***

Sentì uno sparo, limpido e cristallino, e si svegliò di scatto, prendendo la prima cosa abbastanza potente da essere usata come arma che le capitò tra le mani, e alzandosi pronta a difendersi.

Non aveva la più pallida idea di dove fosse e cosa fosse successo, e a mano a mano che la sua vista si faceva più chiara, la sua confusione non fece che aumentare.

Era ora di pranzo, probabilmente, in un ristorante tipico pieno zeppo di turisti che la stavano fissando allarmati, i capelli le ricadevano eleganti davanti agli occhi, coprendole la vista, e indossava un terribile vestito bianco accompagnato a… sandali a zeppa? May odiava i sandali a zeppa quasi quanto i tacchi a stiletto.

Perché era lì, cosa diamine era successo? E chi aveva sparato?

Strinse la presa sul coltello da burro che aveva inconsciamente preso e si guardò attorno con più forza.

Aveva i nervi a fior di pelle, e quando sentì una mano sulla spalla, per poco non accoltellò la persona a cui apparteneva seduta stante.

Per fortuna, riuscì a trattenersi almeno il tempo di girarsi a guardare.

-Ancora tu!- esclamò senza riuscire a trattenersi. Ma perché ogni volta che si svegliava c’era sempre il biondo da qualche parte?! Forse era davvero un tipo pericoloso!

-Tranquilla, è solo caduto un vassoio a un cameriere- la rassicurò Sammy, con gentilezza -Scusatela, gente, la mia amica è un po’ nervosa, ma va tutto bene, non vi preoccupate- si rivolse poi al resto dei clienti, che tornarono quindi ai loro piatti, commentando qualcosa tra loro.

May si risedette cercando di distogliere l’attenzione da sé, ma tenne stretto il coltello, ancora non certa della sicurezza della zona.

Si prese poi la testa, che aveva iniziato a pulsare, e fece dei profondi respiri.

Aveva agito in modo troppo impulsivo, e c’era davvero tantissima gente. Doveva assolutamente darsi una regolata.

Controllò il tavolo dove era seduta. C’era uno smoothie alla pesca, il preferito di Margo. E un pezzo di torta. Ignorò la torta e prese un sorso dallo smoothie, cercando di apparire naturale, e di ignorare il suo vicino di posto, aspettando che fosse lui a parlare, per capire come agire.

-Tutto bene?- chiese Sammy, molto incerto. Era molto meno logorroico del solito, sorprendentemente. A quell’ora May si sarebbe già aspettata qualche aneddoto sui vassoi, un paragone con un fiore a forma di vassoio, o un commento su suo fratello. Invece aveva solo fatto una domanda di due parole.

-Sì, tutto bene- May provò a sorridere, anche se era un po’ arrugginita -Mi ha solo sorpreso parecchio, tutto qui- iniziò a giocherellare con il coltello. Non riusciva ancora a lasciarlo andare, era stata svegliata con un trigger troppo forte e non credeva che si sarebbe calmata e riaddormentata troppo presto.

-Chi sei?- chiese poi Sammy sottovoce, avvicinandosi preoccupato, e agitando ulteriormente la ragazza.

-Di che stai parlando? Sono io!- disse lei con ovvietà, iniziando a grattarsi il retro del collo, sempre più a disagio.

La testa le girava in modo bestiale. Aveva quasi la nausea.

-Io chi? May?- indovinò il ragazzo, mordendosi le unghie nervosamente.

-Sei venuto con May?- chiese lei, sarcastica, ma risultando quasi indagatrice.  Perché Sammy avrebbe dovuto questionare la sua identità? Cosa gli aveva detto Margo?

-Oh, forse dovrei dirti che Margo mi ha confessato che soffre… soffrite… di Disturbo Dissociativo dell’Identità, e che tu sei una personalità, cioè, se sei May. Cioè, non so se sei May, ma sei l’unica altra che conosco oltre Margo e Maddy. E anche Marika, forse, la piccola narciso, che però dovrebbe essere più… insomma… hai capito… cioè… insomma, non mi sembri Marika. Quindi se May? O sei un’altra personalità? Forse Maya? Me l’ha accennato. Puoi dirmelo, sai. Non lo dirò a nessuno- il tono di voce di Sammy era basso, confidenziale, molto stanco, e lento. Sembrava stremato, ma allo stesso tempo cercava di essere il più sensibile e confortante possibile.

Ma May non era confortata, era terrificata. Erano solo due persone a conoscere il suo disturbo, oltre a lei: il suo capo e tutrice, che lo usava per controllarla, e la gemella biologica di Margo, che si era allontanata da anni e ormai non si faceva più vedere in giro, troppo spaventata da loro.

Come aveva osato, Margo, confessare tutto a quel semi-sconosciuto che conosceva solo da qualche settimana?!

Come aveva potuto non dirglielo prima?! Doveva sempre riferire a May ogni volta che faceva dei cambiamenti radicali. E di certo doveva parlarne a Rachel. Era lei che si occupava del corpo, il sistema di Margo apparteneva a lei.

E la prima regola era che nessuno doveva scoprire il loro segreto. 

Strinse la presa sul coltello, allontanandosi leggermente, preoccupata.

-Ti ha detto molto, eh?- commentò a denti stretti, sentendosi tradita.

-Beh, l’ho più o meno indovinato, lo ammetto- confessò Sammy, giocherellando con una ciocca di capelli.

May si aspettava che elaborasse, ma non sembrava in vena di parlare.

-Sono May- confessò quindi, a bassa voce.

-Oh, lieto di rivederti. Scusa se non sono molto…- Sammy si interruppe, troppo stanco per continuare, e appoggiò la testa sulle braccia.

-A dire il vero, lo preferisco- ammise May, prendendo un altro sorso di smoothie e sperando di lasciare posto a un altra coinquilina per tornare a dormire.

Possibilmente Margo e non Marika… o Maya. Maya era meglio lasciarla dormire il più possibile. 

Sammy ridacchiò leggermente, e lanciò a May un’occhiata grata.

-Sei davvero simpatica, sai?- commentò.

May continuava a non capire.

-Cosa ci trovi di simpatico in me?- indagò, quasi offesa, ma soprattutto indebolita dal mal di testa per frenare la lingua e restare in silenzio.

Preferiva il silenzio, adorava il silenzio, ma Maya stava cercando di svegliarsi e prendere il comando, e la rendeva sempre particolarmente sensibile.

-Beh… sei onesta, e mi piacciono le persone oneste. Cioè, più che onesta, sei… senza peli sulla lingua. Un po’ come me- provò a spiegarsi lui, riacquistando un po’ di vitalità, ma parlando sempre molto lentamente, e incerto, come se non riuscisse a tirare fuori le parole.

Sembrava un’altra persona.

-Non credo proprio. Siamo due poli opposti- May si permetteva di dissentire. Non era associabile a una persona chiassosa come Sammy… o almeno il Sammy che aveva conosciuto fino a quel momento, e inquadrato come chiassoso, nevrotico e logorroico. Ma in realtà neanche il Sammy di quel giorno, debole e sconsolato, che le ricordava molto più Maya, di lei.

-Sì, forse, ma beh, quello lo abbiamo in comune. Diciamo la prima cosa che ci passa per la testa. A volte anche senza tatto, probabilmente- approfondì lui, con enorme fatica.

May non era ancora convinta.

-Se è così significa che non ho molto nella mente- scosse la testa, posando il coltello, e legandosi i capelli in una coda con l’elastico che teneva sempre al posto proprio per occasioni del genere.

-Sei silenziosa, ma non c’è nulla di male in questo- obiettò Sammy. May iniziò a capire perché Margo passava così tanto tempo con quel tipo. In qualche modo, la stava rassicurando. Stava rassicurando lei, la tipa più tosta e con meno bisogno di rassicurazioni dell’universo. E la stava mettendo a suo agio, facendo tornare Maya addormentata.

Nessuno ci era mai riuscito.

Non che May avesse assistito a molte prove.

Ma solo il fatto che le stesse parlando normalmente, senza essere ancora scappato via o averla guardata con paura, era davvero strano, e confortante.

Anche se si comportava comunque in modo strano.

-Sei meno logorroico del solito. C’è qualche motivo?- chiese. Strano, lei non era mai curiosa, e di certo non faceva domande indagatrici, ma voleva essere sicura che il suo comportamento non avesse nulla a che fare con il proprio segreto. Aveva bisogno di capire se poteva davvero fidarsi di lui.

-Scusa, episodio depressivo, e non ho le medicine. Mio fratello non è ancora tornato- spiegò lui, con occhi lucidi, ma cercando di accennare un sorriso.

A May venne un flash, alla loro prima conversazione. Lui aveva accennato di avere un disturbo bipolare. All’epoca non ci aveva dato troppo peso, ma ora iniziava a collegare i puntini. Era ben lungi dall’essere esperta al riguardo, era Margo quella che studiava psicologia, ma aveva qualche piccola nozione.

Fasi esuberanti alternate a momenti di depressione.

Non sembrava una passeggiata, questo era certo.

-Sai…- continuò Sammy, abbassando lo sguardo colto da un pensiero improvviso -…Margo mi ha convinto a uscire e prendere qualcosa da bere. È la prima persona che mi tratta davvero bene, oltre mio fratello. Tutti quelli che scoprono il mio disturbo mi evitano e pensano che sia un pazzo assassino- si asciugò una lacrima che aveva avuto l’ardire di uscire dai suoi occhi, mentre la voce gli si spezzava.

May provò un improvviso moto di empatia. Non gli era mai successo verso un’altra persona. L’empatia era debolezza, e si metteva in mezzo al suo ruolo di protettrice.

Ma si ritrovò ad annuire.

-Lo stigma sulle malattie mentali è terribile- ammise. Era uno dei motivi per cui il suo sistema aveva imposto la regola di non dirlo mai a nessuno. Le poche persone a saperlo l’avevano ripudiata o la trattavano come se fosse un’arma. E i film, le serie TV, persino i giornali non facevano altro che trattare il disturbo dissociativo di identità come uno spettacolo horror. Personaggi malati sempre nel ruolo del cattivo.

Ma c’erano tantissime persone affette da DDI che erano tutto fuorché cattive.  Erano le vittime, dopotutto, non i carnefici. Una volta May era uscita fuori mentre Maya scriveva su un blog anonimo con altre persone con la loro stessa patologia, e aveva letto di sfuggita storie di una tristezza infinita, e tanta, troppa discriminazione.

-Deve essere ancora peggio, per te. Ho incontrato Maddy, ed è così piccola, e gentile. E Margo, siamo ormai migliori amici. E anche tu…- Sammy esitò, May ebbe un po’ paura di come avrebbe continuato la frase.

Certo, era facile apprezzare Maddy, l’alter bambina. Era esuberante, tenerissima, e l’unica che May apprezzava davvero. E Margo era Margo, era quasi perfetta. Nessuno odiava Margo.

Ma lei… lei non era minimamente alla loro altezza.

Era scontrosa, irascibile, a tratti violenta. Ed era la responsabile di aver distrutto le loro vite, le vite di tutte quante, nel goffo e folle tentativo di proteggerle.

-…sei davvero un’ortensia- concluse Sammy, sorprendendo non poco la ragazza, che si aspettava tutto fuorché quel paragone.

-Ortensia? Non ero un biancospino- chiese, confusa.

Sammy ridacchiò leggermente tra sé.

-Siamo troppo sfaccettati per essere un solo fiore. È vero che a prima vista sembri un biancospino, ma conoscendoti meglio direi più un’ortensia. Distaccata e fredda, ma bellissima. E necessita di molte attenzioni e affetto- spiegò lui, guardandola negli occhi.

Probabilmente May non era abituata a parlare così a lungo con qualcuno, per questo si ritrovò ad arrossire, e a distogliere lo sguardo.

Avrebbe voluto ribattere, ma fu fermata dall’arrivo di una nuova persona al suo tavolo. Una persona che May non si sarebbe mai immaginata di incontrare in un luogo del genere.

-Sammy, finalmente! Ti ho cercato dappertutto!- esclamò il nuovo venuto, posando una mano sulla spalla del biondo, che sobbalzò e alzò la testa per guardarlo.

-Drav! Mi sei mancato un sacco!- Sammy scattò in piedi e lo abbracciò di scatto, venendo ricambiato da una risatina.

May riprese inconsciamente il coltello, e sgranò gli occhi, mentre il cuore iniziava a battere con fin troppa forza.

Ecco perché Sammy aveva qualcosa di familiare. Ecco perché Rachel le aveva mandate lì. Tutto iniziava a riordinarsi nella sua mente. Non era una vacanza per Margo, o una missione per Marika. Era proprio May ad essere necessaria.

Draven il disertore. Rachel aveva messo una taglia davvero pesante sulla sua testa, dopo che aveva tradito l’organizzazione di cui era a capo, e probabilmente era riuscita a trovare una traccia.

-Oh, ti presento Margo, una mia amica. Margo, lui è mio fratello, Draven- Sammy le fece un cenno di scusa mentre la chiamava con il nome del suo corpo, ma lei fu felice che avesse usato quello. Lei aveva visto Draven un sacco di volte, ma lui conosceva solo il suo nome, quello dell’arma segreta del grande capo. Non quello delle sue sorelle e coinquiline mentali.

Sorrise, nella sua migliore imitazione di Margo, e si alzò per porgere la mano all’uomo più grande con gli occhiali da sole e i capelli tinti di nero che comunque May avrebbe riconosciuto ovunque.

-Piacere, Draven, Sammy mi ha parlato molto di te- si strinsero la mano. Il sorriso dell’obiettivo era tirato e diffidente. May non lo biasimò.

Dopotutto, anche se non lo sapeva ancora, era appena finito in trappola.

L’ordine di Rachel su di lui era quello di uccidere a vista. 

Ma May non aveva la pistola, con sé, e il bar era troppo pieno.

Aveva solo guadagnato qualche ora, però. Niente di più. Perché se anche avesse chiamato Rachel per chiedere indicazioni per sicurezza, sapeva già quale sarebbe stato il suo compito.

L’assassina di Los Angeles stava per diventare internazionale.

Il terrore criminale della costa sud-ovest stava per mietere un’altra vittima.

In fondo era davvero un’ortensia.

Una comprensione immeritata.

Perché per quanto odiasse lo stigma e la generalizzazione, May era davvero diventata il mostro che tutti credevano che fosse.

   
 
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