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Autore: Juliet8198    29/07/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era buio. 

 

Jein non sapeva distinguere se il buio fosse intorno a lei o dentro di lei. Oppure se le due realtà si compenetrassero in un unico connubio. L'unica percezione che aveva era un crudo, freddo, impietoso buio. Il suo corpo era immobile, accartocciato su se stesso, bloccato in mezzo a quell'oscura solitudine da catene invisibili. Con gli occhi fissi davanti a sé, spalancati come quelli di un morto, la ragazza non sentiva niente. I suoi sensi erano stati addormentati dalla sua volontà, che aveva distrutto ogni cosa attorno a lei come estremo gesto di autoconservazione. 

 

Non c'era più nulla. 

 

Era al sicuro. 

 

Aveva fatto così per tutta la sua vita. Dissociazione. 

 

Aveva allontanato ciò che la turbava di più, staccandosi dai sentimenti che la perseguitavano come dei fantasmi nella notte e come inquietanti ombre durante il giorno. Non aveva fatto i conti con la realtà. 

 

La mente non dimentica. Nulla. 

 

Anche se era una bambina di appena otto anni e pensava che sua madre stesse solo dormendo sul pavimento, quelle immagini erano tornate a lei non appena aveva imparato cosa volessero dire le parole "tentato suicidio" e "barbiturici". Fu quello il periodo in cui scoprì che sua madre era malata. Di una malattia dentro la sua testa. 

 

Ricordava quel momento. Fu come un interruttore che accese improvvisamente una luce nella sua coscienza. Veloce come uno schiocco di dita. Quel giorno la sua mente crebbe di dieci anni e assunse sulle proprie spalle le responsabilità e le conseguenze di quello che aveva appreso. 

 

"Se lei non è in grado di prendersi cura di se stessa, dovrò farlo io." 

 

Solo in quel momento Jein capì da quando aveva avuto inizio. Kippeum le aveva ripetuto tante volte che il suo rifiuto di lasciare quella casa era dovuto ad una sua forma di ossessione, ma la ragazza non le aveva mai dato ascolto. Aveva ragione e non se ne era mai resa conto. L'immagine di sua madre stesa sul pavimento, l'arrivo dei paramedici che la caricavano febbrilmente su una barella e le ore passate in quel corridoio d'ospedale accanto ad un uomo sull'orlo del crollo erano sempre rimasti con lei. Ogni volta che guardava la donna vedeva quella scena. Nell'anticamera della sua mente, quel filmino veniva proiettato continuamente, fotogramma dopo fotogramma, per poi riavvolgersi e ricominciare da capo. Era sempre stato con lei e l'aveva attaccata alla donna in maniera morbosa. 

 

La causa della sua incapacità di andarsene non era sua madre. Era lei. 

 

 

Il corpo rimase immobile. Gli occhi non lasciarono il punto davanti a loro. Il buio non scemò. Mancava qualcosa. Assorbita nel vortice di pensieri che l'avevano trascinata in quel limbo, non si era accorta dell'assenza di qualcosa di fondamentale. O meglio, qualcuno. 

 

Non mosse le membra, che erano sul punto di infrangersi al minimo movimento. Voltò semplicemente il capo a destra e sinistra. Nero. Freddo. Buio. Lui non c'era. Se ci fosse stato, la sua scintilla avrebbe illuminato quel posto. Eppure non c'era. Dov'era? Dov'era Jimin? Aveva bisogno di lui. Perché non c'era? Lo voleva vicino a sé. Aveva bisogno di lui. 

 

Dov'era? 

 

Dov'era. 

 

-... Jimin?- 

 

Non era sicura di avere emesso un suono quando le sue labbra avevano mimato il suo nome. Nonostante ciò, l'oscurità divenne gradualmente meno tenebrosa e una voce lontana prese a bisbigliare nell'ambiente. 

 

-Jein!- 

 

Stava urlando ma sembrava un sussurro tanto era distorta. La sua voce. Jimin. Dov'era Jimin? Aveva bisogno di lui. 

 

Jimin. 

 

-Jimin...-

 

-Jein!- 

 

Un'eco disperata si diffuse nell'aria con più prepotenza. Si stava avvicinando. 

 

"Sono qui." 

 

-Jimin.- 

 

La luce. Improvvisa, accecante, quasi troppo brillante per i suoi occhi intorpiditi dall'oscurità. Ma era calore ed era lui. Le sue braccia la raggiunsero mentre il suo corpo si lanciava su di lei. Le sue braccia. Il suo viso preoccupato. Il suo calore. La sua luce. Aveva rotto quel velo in cui la sua mente l'aveva rinchiusa. L'aveva trovata, sfondando il muro del suo isolamento. 

 

-Jein, sei sparita all'improvviso! Era diventato tutto nero, non riuscivo a trovarti, io...- 

 

La ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla e, finalmente, respirò. 

 

"Jimin." 

 

Non disse una parola. Si strinse a lui, sempre più forte, sempre più vicina, fino quasi a farsi male. La sua presenza non aveva cacciato i suoi demoni. Essi erano ancora lì, con lei, appesi alle sue spalle, abbarbicati sulla sua testa. Le tiravano i capelli. Le strappavano la pelle. La frustavano con fiamme di fuoco. Ma il dolore era più sopportabile accanto a lui. La sua presenza era come una medicina che addormentava i suoi sensi e li concentrava sull'amore di lui. 

 

Il ragazzo smise di parlare e avvolse il corpo di lei con tutto se stesso. 

 

"Non ti lascio più andare." 

 

La ragazza respirava lentamente e profondamente contro la sua spalla. Lui strinse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime con tutte le sue forze, e affondò il viso nei suoi capelli. 

 

-Vorrei poter cancellare tutto quello che ti è successo.- mormorò con voce ovattata. 

 

La ragazza non si mosse. 

 

-Vorrei avere una spugna e lavare via tutto quanto. Tutti gli incubi e tutto il dolore che hai subito.- 

 

Le lacrime premevano negli occhi del ragazzo con imperiosità ma non poteva. Se lei non riusciva a piangere, lui non poteva farlo. 

 

-Dio, quanto vorrei poterlo fare...-

 

Il silenzio che gli rispose lo fece preoccupare. L'aveva strappata alla sua oscurità, ma l'aveva davvero raggiunta? Oppure era ancora intrappolata dentro di sé? 

 

-Jimin.- 

 

Fu l'unica parola che disse. La voce rauca appena udibile contro la sua spalla lo fece riscuotere. Lei c'era. E aveva bisogno di lui. 

 

-Non ti lascio. Non ti lascio più.- mormorò, stringendo ancora di più il corpo di lei.

 

 

In quel nuovo, luminoso ambiente fece il suo ingresso una bambina. I suoi piccoli piedi scalpicciavano uno davanti all'altro con un po' di indecisione e decisamente poco equilibrio. Le piccole mani si agitavano per aria come le ali di un passerotto che tenta di volare per la prima volta, o come il bilanciere di un funambolo in bilico su una fune. 

 

Jimin spalancò gli occhi. 

 

"No. Basta. Non ancora." 

 

"Non può sopportare più di così." 

 

Con dolore, mischiato a tenerezza, osservò quel piccolo corpicino che barcamenava a destra e a sinistra con una risata simile ad uno squittio. Poi, comparvero due figure. Un uomo si accovacciò davanti alla bambina e aprì le braccia. 

 

Deglutendo pesantemente, Jimin si accorse che Jein stava osservando la scena con le palpebre dischiuse e gli occhi vitrei. 

 

La piccola guardò l'uomo e, continuando a ridere, si mosse verso di lui prima con incertezza, poi con sempre più sicurezza e determinazione. Quando finalmente lo raggiunse, vi si accasciò addosso perdendo l'equilibrio. L'uomo la prese in braccio e sorrise mentre lei lo guardava fiera, adorante. La seconda figura si fece avanti non appena la bambina protese le braccia verso di lei, sbilanciandosi oltre l'abbraccio dell'uomo. La donna, giovane, magra e con un luminoso sorriso sulle labbra, si avvicinò ai due corpi richiamata dalle piccole manine. La bambina si gettò su di lei non appena fu alla sua portata e la donna prese a ricoprirle le guance di baci, sotto le risa scatenate della piccola. 

 

Infine, la famiglia si allontanò, sparendo nella luce come se fosse diventata parte integrante di essa. 

 

Jimin emise un sospiro tremante e impercettibile, stringendo i denti con l'imperante paura del buio. Se fosse calato di nuovo, non sapeva se sarebbe più riuscito a salvare la ragazza. 

 

-Capisco.- 

 

I suoi occhi saettarono sul volto di lei. Jein guardava il punto in cui la famiglia era sparita e sollevò timidamente un angolo della bocca. Non disse nient'altro. Rimase semplicemente lì, ferma. Il suo corpo era immobile, ma non sembrava più sul punto di sbriciolarsi. I suoi occhi erano fissi davanti a lei ma non erano vitrei. Erano vivi. 

 

 

Jimin non sapeva quanto tempo fosse passato in quel limbo luminoso in cui non esisteva nient'altro che loro. Due corpi amalgamati insieme, in un abbraccio che sembrava un prolungamento della loro anima. Poi, comparve una porta. Dal nulla, in mezzo al bianco candore della luce, si stagliava la sua facciata lucida. Il ragazzo osservò la superficie blu notte aggrottando le sopracciglia e stringendo involontariamente le braccia intorno al corpo di lei. 

 

Jein guardò la porta per interminabili secondi, sotto allo sguardo ansioso di Jimin. 

 

-Restiamo qua.- mormorò lui contro la sua pelle. 

 

Chiuse gli occhi e pregò. 

 

-Dobbiamo uscire.- disse infine lei. 

 

La bocca del giovane si contrasse in una smorfia. 

 

-Andrà tutto bene.- aggiunse lei con un sorriso. 

 

A Jimin piaceva quel sorriso. Era ferito, martoriato, distrutto e guarito. Restaurato. Vincitore. Ingoiando le sue angosce, seguì i passi di lei, che la stavano portando verso la porta dopo aver sciolto dolcemente l'abbraccio. Quando lui fu accanto a lei, Jein posò la mano sulla maniglia e la abbassò. 

 

 

Acqua. Non c'erano altre parole per definire l'ambiente in cui erano emersi. Una piccola piattaforma impediva ai due corpi di cadere nel mare agitato da piccole perturbazioni che li circondava. La superficie rifletteva il blu infinito del cielo che troneggiava su di loro, lontano eppure apparentemente incombente. Acqua, cielo e poi... un materasso e una ragazza. Un'altra falsa Jein con le mani tremanti davanti al viso e il corpo disteso su quella barca di fortuna. 

Il materasso scivolava sull'orlo dell'acqua dolcemente, come se volesse cullare quella forma di vita che trasportava. 

 

Dopo qualche istante di contemplazione, il giovane si accorse che dal viso della ragazza scorreva qualcosa. Lacrime. Una goccia alla volta, scendevano sulle sue guance ad ogni singhiozzo. Sembravano non finire mai. Jimin non aveva mai visto qualcuno produrre così tante lacrime. 

 

Abbassando lo sguardo, infine, si accorse che quei rigagnoli scendevano sul tessuto del materasso e scivolavano nel mare, producendo piccoli cerchi concentrici. Una dopo l'altra, facevano tutte lo stesso percorso. Nascevano dai suoi occhi, viaggiavano per il suo corpo e morivano unendosi ad un essere più grande. Un dubbio balenò nella mente di Jimin. 

 

-È... un mare di...- 

 

-Lacrime.- concluse Jein, interrompendo la sua voce. 

 

I due ragazzi contemplarono quel corpo acquoso che si estendeva a vista d'occhio, oltre l'orizzonte della loro visione. 

 

-Sono rimaste intrappolate qui dentro per anni. Le ho imprigionate, costringendole ad accumularsi senza dare loro l'opportunità di uscire.- continuò la ragazza in un mormorio. 

 

Quelle parole sembrarono attirare l'attenzione della giovane sdraiata sull'acqua. Alzò gli occhi e parve notare per la prima volta i due visitatori. Il suo sguardo era terrorizzato. 

 

-Chi siete?- chiese con la voce incollata alla gola.

 

Jimin non fece in tempo ad aprire la bocca.

 

-Andate via!- urlò la falsa Jein, stringendosi le braccia attorno al corpo. 

 

-Non avvicinatevi!-

 

I suoi occhi erano spalancati e saettavano da un corpo all'altro, la bocca era contratta in una smorfia sofferente. 

 

-Non vogliamo farti del male.- 

 

Il ragazzo si fece avanti, sforzandosi di aprirsi in un sorriso rassicurante che potesse accompagnare il suo tono accondiscendente. 

 

-Bugiardo!- replicò la giovane, fissandolo con rabbiosa sofferenza. 

 

Jimin, a quelle parole, sentì una fitta all'altezza del cuore. Pensava di capire chi era quell'essere davanti a sé. E se aveva ragione, il rigetto lo feriva in maniera fin troppo profonda. 

 

-Smettila di piangerti addosso.- 

 

La voce fredda di Jein fece spostare l'attenzione del ragazzo su di lei. Anche la figura sdraiata sul materasso si voltò verso la ragazza, con una furia che le incendiava lo sguardo. 

 

-E smettila di isolarti.- continuò la ragazza, con un tono più caldo benché costantemente imperioso. 

 

Terminato di pronunciare quelle parole, fece un passo avanti. La piattaforma terminava appena oltre la punta del suo piede. Oltre di essa, c'era solo acqua. Quando Jein provò a muovere un secondo passo, però, la giovane distesa emise un sibilo quasi animalesco. 

 

-State lontani!- 

 

In un istante, l'acqua si condensò in un freddo, spinoso ghiaccio. La figura urlava selvaggiamente contro di loro e ad ogni grido, aumentava la superficie congelata. I due ragazzi si ritrovarono stretti l'uno all'altra non appena lance e pugnali emersero dal terreno ghiacciato in forma di appuntite stalagmiti. La figura stessa, che portava i tratti di Jein, si stava velocemente trasformando in una statua di ghiaccio. 

 

La sua pelle si stava macchiando di un grigio trasparente, le sue membra diventavano rigide e spigolose. Fino a che i suoi occhi non divennero cristalli luminosi. 

 

-Andate via!-

 

 

BREVE ANGOLO BREVE

Volevo solo condividere il mio tentavo di edit per festeggiare il superamento delle 100 stelline alla storia. Spero vi piaccia, anche se non è nulla di professionale. 

(Come al solito il popolo di EFP rimarrà a bocca asciutta. Sorry)

 

 

 

 

 

   
 
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