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Autore: Juliet8198    29/07/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel giro di pochi istanti, l'intero ambiente si trasformò in una gigantesca caverna ghiacciata. Non c'era più traccia del cielo azzurro, al suo posto invece si trovava un soffitto oscuro e carico di minacciosi spuntoni pendenti sulle loro teste. 

 

Ovunque i due ragazzi guardassero non vedevano altro che quello. Pugnali lucenti e appuntiti emergevano ad ogni batter d'occhio, circondando i loro corpi e punzecchiandoli con le loro affilate estremità. Il mostro stava di fronte a loro con occhi luccicanti e labbra tese in un ringhio animalesco. 

 

Jimin dovette ammettere a se stesso di essere un po' intimorito. 

 

-Che facciamo?- chiese a bassa voce senza distogliere gli occhi dalle potenziali armi puntate contro di loro. 

 

Jein si prese qualche istante per contemplare la loro situazione. 

 

-Dobbiamo cercare di avvicinarci a lei senza finire infilzati come un kebab.- mormorò in risposta con un tono così serio da stonare con la frase appena pronunciata. 

 

-Ottimo.- replicò il ragazzo con sguardo circospetto. 

 

Stringendo i denti, mosse il piede in avanti di qualche centimetro. Una stalagmite rispose prontamente al suo movimento spuntando dal pavimento e mirando al suo petto. La sua affilata punta si fermò non appena toccò il tessuto della sua maglia. Era così vicina che il suo corpo levigato rifletté l'espressione terrorizzata negli occhi del ragazzo, che deglutì nervosamente fissando l'arma. 

 

-Andate via!- 

 

La voce della creatura ghiacciata al centro della stanza sembrava il cavernoso verso di un predatore che cercava di proteggere la sua tana. Risuonando nella sua bocca, emetteva un eco talmente grottesca da trasmettere al ragazzo una scia di brividi lungo la schiena. 

 

-Perché dobbiamo andare via?- 

 

Jein fissò la sua controparte con la testa alta e il fuoco negli occhi. Il mostro ringhiò alle sue parole e assottigliò le palpebre. 

 

-Voglio restare da sola.- rispose con voce bassa.

 

-Non voglio restare sola.- 

 

Un bisbiglio sottile rimbalzò fra le pareti un paio di volte, trascinando quelle parole nell'aria. Jein e Jimin si guardarono attorno confusi. Non c'era nessun altro in quella specie di caverna a parte loro. Da dove proveniva quella voce? Anche la statua di ghiaccio studiò l'ambiente circostante con circospezione e un soffio felino sulle labbra. 

 

-Non mi lasciate sola.- 

 

La voce era quella di Jein. Sembrava provenire dalle pareti stesse, che continuavano a palleggiarsi quel suono lasciando infine che il vuoto lo assorbisse, zittendolo. Era certo. Non c'era nessun altro lì con loro. Ciò poteva solo significare che quella voce veniva dalla caverna stessa. 

 

-Taci!- esclamò rabbiosamente la falsa Jein, facendo saettare i cristalli dei suoi occhi da una parte all'altra. 

 

-È colpa mia!- 

 

Jimin sentì il pugno che gli aveva stretto lo stomaco fino a poco prima tornare a rinsaldare la sua morsa, provocandogli un moto di nausea. La ragazza accanto a sé, però, aveva uno sguardo che non dava segni di vacillamento. 

 

-Lei è l'Iceberg! Non sente niente!- 

 

La voce era cambiata. Più acuta, con un tono di ironia nel sottotesto della frase. Il corpo ghiacciato continuava a fare scattare la testa da una parete all'altra, accucciandosi leggermente come se fosse pronta a sferrare un attacco. Era un buon momento per approfittare della sua distrazione, il ragazzo lo sapeva. 

 

-Lasciatemi stare! Andate via!- 

 

Quelle ultime due parole erano diventate una sorta di mantra per quella statua animalesca. Continuava a ripeterle, mormorarle, masticarle fra i denti mentre cercava la fonte di disturbo. 

 

-Mi dispiace.-

 

Jimin iniziò timidamente a compiere qualche passo in avanti. 

 

-Scemo, dove credi di andare? Riporta le tue belle chiappe qui prima che lei ti trasformi in una statua da esibire ai matrimoni dei milionari!- sentì sussurrare dietro di sé. 

 

Con un ghigno divertito e il cuore più leggero, si voltò verso la ragazza che lo stava incenerendo con lo sguardo. La sua ragazza. La sua Jein. 

 

-Ti fidi di me?- chiese con la tutta la sicurezza che riuscì a spremere dal suo corpo scombussolato. 

 

Jimin intuì la risposta ancora prima che essa fosse pronunciata grazie al lampo minaccioso che attraversò gli occhi della giovane. 

 

-Niente cagate alla Titanic, Park Jimin!- 

 

-Jimin...- 

 

Le teste dei due ragazzi si alzarono all'unisono, sintonizzando la loro attenzione sulla voce che rimbalzava fra le pareti. 

 

-Dov'è Jimin?- 

 

 

Il ragazzo abbassò lo sguardo su Jein, che esponeva un leggero imbarazzo sulla linea della bocca. 

 

-Ho bisogno di Jimin. Dov'è?- 

 

Il diretto interessato, con il sorriso più ampio che avesse mai prodotto dall'inizio di quella bizzarra avventura, lanciò un ultimo, languido sguardo alla sua compagna che aveva vergognosamente abbassato gli occhi a terra. 

 

Fece un passo e poi un altro ancora. Nulla. Nessuna punta di ghiaccio pronta a perforargli il petto. 

 

"Bene." 

 

-Io non ho bisogno di nessuno!- 

 

La falsa Jein sbraitava all'aria abbassando le orecchie come un animale circondato dal pericolo. Jimin sentì dei passi leggeri dietro di sé e, gettando uno sguardo rapido alle sue spalle, vide che la ragazza aveva preso a seguirlo. 

 

-È colpa mia, non è vero?- 

 

Una nuova voce. I corpi dei ragazzi si bloccarono per un momento al suono del disperato lamento di una donna. Jein si era bloccata con le orecchie protese, pronta a sentire cosa aveva da aggiungere sua madre. Il giovane, nel frattempo le afferrò una mano e riprese lentamente la sua avanzata. 

 

-Certo che è colpa mia.- 

 

La ragazza non fece opposizione alla forza trainante che la faceva andare avanti. Dopo qualche esitazione, riprese a camminare con sicurezza, mantenendo la stretta stretta che condivideva con il ragazzo. 

 

-Perdonami. È colpa mia se adesso ti trovi qui.- 

 

La voce della madre di Jein sembrava rotta. Non dal ghiaccio o dall'eco della caverna, ma dal pianto. 

 

-Sì! È esattamente colpa tua!- urlò la statua di ghiaccio con rabbia cieca. 

 

-Perdonami...- 

 

I due ragazzi erano ormai a qualche metro di distanza e, fortunatamente, erano lontani dall'attenzione e dagli occhi del mostro, intento a cercare ossessivamente la fonte della sua sofferenza. 

 

-Mai! È tutta colpa tua!- esclamò. 

 

Jimin era a due passi dalla schiena della falsa Jein. Allungò un mano. 

 

-È tutta...non...- 

 

La voce cavernosa si ruppe. Ai ragazzi era parso di sentire lo schiocco di un ghiacciaio che si spezza. Il rombo fu basso, ma penetrante. 

 

-Non... non è...- 

 

Le braccia di Jimin raggiunsero finalmente il corpo ghiacciato. Lo strinsero nella stessa maniera in cui avevano fatto con  quello della sua vera Jein. Sotto i polpastrelli iniziò a sentire l'umidità del ghiaccio che si scioglieva. 

 

-Va tutto bene.- mormorò con tutta la dolcezza che riuscì a raschiare dalla sua voce. 

 

-Sono qui, va tutto bene.- 

 

Il mostro ansimava sull'orlo delle lacrime, perdendo gradualmente il suo colore grigiastro e la sua fredda corazza. 

 

Il ragazzo si sentì toccare la spalla e si voltò verso la sua compagna. I suoi occhi erano come il sorriso che poco prima gli aveva rivolto. Morti e resuscitati. Fragili e rinforzati. 

 

"Tocca a me." 

 

Jimin capì. Con un breve passo, si fece indietro lasciando spazio alla ragazza. Questa si portò davanti al mostro, che si girò verso di lei come se avesse sentito il richiamo della sua padrona. 

 

Ci furono lunghi istanti di silenzio. Il ragazzo guardava nervosamente la scena, sentendo l'impazienza e l'incertezza fargli inciampare il cuore. Le due figure identiche si fissavano negli occhi. Una terrorizzata, ferita, furiosa. L'altra calma, sicura e calorosamente accogliente. 

 

 

Jein non era sicura di quello che stava facendo. Fino a quel momento, tutto quello che aveva fatto era stato spinto dall'istinto, insieme ad una serie di intuizioni e veloci ragionamenti. In un modo o nell'altro, se l'era sempre cavata. Ma come si affrontava la parte più oscura di sé? 

 

Aveva toccato il fondo e ne era risalita, ma era stato solo grazie all'aiuto di Jimin. L'ultimo passo lo doveva fare lei. Davanti a sé, stava in piedi la personificazione di tutto ciò che odiava. 

 

"Dovrei liberarmi di lei?" 

 

Era davvero la soluzione giusta? Eliminare quella parte della sua anima che odiava? Eliminare la vecchia Jein, insieme alle sue paure, alla sua rabbia e alle sue insicurezze? 

 

"E ritrovarmi esattamente al punto di partenza." 

 

No. 

 

Sollevò una mano e la allungò verso quella debole e volubile frignona collerica che stava in piedi, tremante, al suo cospetto. 

 

"Non ti caccerò più via." 

 

Gli occhi, i suoi occhi, carichi di lacrime si sollevarono dalla mano al suo viso. La stava implorando. 

 

"Davvero?" 

 

La falsa Jein sollevò una mano a sua volta, esitante. 

 

"Mai più." 

 

Le loro mani si unirono. La falsa Jein ebbe un tremito e iniziò ad illuminarsi. Sempre di più. Stava evaporando nell'aria come pulviscolo dorato, scivolando dalle dita della ragazza. Ogni parte di lei, infine, sparì. 

 

Al suo posto, apparve un'altra porta dalla superficie blu. Ma sulla sua sommità vi era la scritta "EXIT". 

 

 

Non si apriva. Jein provò insistentemente ad abbassare la maniglia, ma essa girava a vuoto. La porta non si muoveva. Sollevando un sopracciglio, si voltò verso il ragazzo che non aveva lasciato il suo fianco. Prima di aprire la bocca ed esprimere la sua perplessità, però, abbassò lo sguardo. La chiave. 

 

"La chiave! Come ho fatto a non pensarci?!" 

 

Sfilandosi il nastro blu dal collo, prese saldamente il mano l'oggetto leggermente pesante. La serratura sembrava combaciare con la dimensione dei denti, perciò senza ulteriore esitazione infilò lo strumento nella toppa. 

 

Un giro. La maniglia ebbe un leggero sussulto. 

 

Prima di riprovare, la ragazza si voltò e prese per mano Jimin. Lui aveva un'ansia negli occhi che lei riusciva a comprendere perfettamente. Una volta passata quella porta non avrebbero avuto più nessuna certezza. 

 

Si sarebbero svegliati? 

 

Si sarebbero ricordati di tutto quello che era successo? 

 

Nulla era sicuro. Loro lo sapevano bene. Ma Jein ingoiò l'angoscia che tentava di instillare il dubbio in lei e strinse la mano del ragazzo che amava. Se dovevano farlo, dovevano farlo insieme. 

 

Abbassò la maniglia e dallo spiraglio che si aprì fra la porta e la cornice poté solo intravedere il bianco più accecante che potesse immaginare. Nient'altro che quello. Un bianco infinito. 

 

Prendendo un bel respiro, spalancò la superficie e fece un passo oltre la soglia. Non appena il suo piede ebbe varcato quel nuovo mondo bianco, una mano invisibile la prese, afferrandole saldamente le membra, e la strattonò in avanti. 

 

-Jein!- 

 

La mano di Jimin era sfuggita dalla sua. Spalancando gli occhi, la ragazza vide che il giovane era intrappolato al di là della porta e sbatteva freneticamente contro quello che sembrava un muro invisibile. La sua voce si spense velocemente e la porta si chiuse sulla sua espressione disperata. 

 

-No!- 

 

Serrò le palpebre, accecata dal bianco e terrorizzata da quella morsa che la stava trascinando da qualche parte. 

 

E poi, il nulla. 

 

 

-Jein!- 

 

Lei era andata via. Era scivolata dalle sue dita come il vento e lui non aveva potuto fare niente per impedirlo se non guardare i suoi occhi terrorizzati e cercare di penetrare la forza invisibile che gli impediva di seguirla. Nel momento in cui la superficie blu si schiantò contro la sua faccia e le sue mani, il suo corpo precipitò. Il vuoto sotto di sé lo ingoiò improvvisamente, dandogli la sensazione di cadere dalla sommità del cielo. Cadeva e cadeva, senza fermarsi. L'aria gli frustava la schiena e gli graffiava la faccia, ma non faceva abbastanza resistenza per impedirgli di continuare la sua avanzata. 

 

Lo stomaco si rivoltò su se stesso sentendo la gravità che lo attirava e la sua mente sanguinava in cerca di una soluzione. Non ce n'erano. Lei era sparita e lui era ancora incastrato lì. In quell'incubo. 

 

Si fermò. Dopo tanto, troppo tempo. Quando aprì gli occhi, si trovò davanti un salotto famigliare, con un arredo famigliare e un irritante negoziante fastidiosamente famigliare. 

 

-Bentornato.- 

 

La copia bionda e civettuola di sé stesso si avvicinò al suo corpo spiaccicato su un tappeto persiano, ondeggiando i fianchi. 

 

-Hai fatto un buon viaggio?- chiese con tono suadente, abbassandosi sul suo viso. 

 

-Dov'è Jein?- 

 

Si alzò di scatto dal pavimento e si portò all'altezza di quegli occhi sereni e placidi, fissandoli con furia accecante. L'interlocutore non sembrò affatto turbato dal suo fare minaccioso. 

 

-Ha compiuto il suo viaggio. Adesso le opzioni sono due, ma non sono sicuro a quale delle due sia andata incontro.- 

rispose semplicemente, sollevando le spalle. 

 

-Quali opzioni?- sputò prepotentemente Jimin, senza lasciare andare le sguardo dal negoziante. 

 

-Non posso rivelarti tutti i segreti di questo posto. Anche perché adesso tocca a te.- 

 

Il giovane raddrizzò la schiena, tendendo il suo corpo in nervosa aspettazione di un pericolo. 

 

-Cosa intendi?- 

 

La sua copia indicò semplicemente con il capo una porta dalla superficie argentata. Jimin passò uno sguardo scettico e perplesso sul legno. 

 

-Come vi avevo detto, eravate destinati a giungere qui individualmente. E anche i vostri viaggi hanno un termine individuale. Non potevi uscire dalla sua porta. Devi compiere il tuo viaggio personale.- 

 

Jimin si voltò velocemente frustando l'aria con il viso e rivolse un'occhiata priva di fiducia verso l'altro ragazzo. 

 

-Quindi se compio il viaggio e arrivo alla fine potrò svegliarmi?- chiese, abbassando il tono della voce. 

 

L'interlocutore alzò di nuovo le spalle, come se i problemi del mondo non lo coinvolgessero. 

 

-Può darsi.- 

 

Jimin riportò gli occhi sulla superficie argentata. Trasse un respiro. 

 

"Come farò senza il tuo aiuto?" pensò amaramente. 

 

Infine, allungò la mano e abbassò la maniglia.

   
 
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