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Autore: Jane P Noire    01/08/2020    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.3.
 
 
«Ieri non sei venuta.»
Sollevai lo sguardo e vidi Adeline che si appoggiava contro l’armadietto di fianco al mio. I jeans scoloriti le cadevano perfettamente sui fianchi. La felpa verde oliva le stava lievemente corta, le maniche le lasciavano scoperto l’osso sporgente del polso e l’orlo non copriva una striscia di pelle color avorio della pancia.
Adeline era la mia unica amica, dal momento in cui anche lei era il soggetto principale di continue battute meschine e commenti maligni.
La prima volta che l’avevo incontrata e avevo sentito il chiacchiericcio che la seguiva ovunque andasse, credevo che fosse a causa degli occhiali da vista spessi come fondi di bottiglia che portava sul naso, o per colpa dei tratti asiatici della madre mescolati insieme a quelli irlandesi del padre che la rendevano unica e diversa. Ma poi avevo scoperto il vero motivo: Adeline poteva vedere le anime delle persone come un alone di colori e luci diverse che le circondavano. Il suo era un talento raro, che lei non aveva mai nascosto a nessuno, anche quando l’aveva resa la vittima delle stesse cattiverie che dovevo subire io.
Ci eravamo conosciute al primo anno di liceo e, quando mi aveva detto quello che poteva fare, io le avevo creduto immediatamente. Se io ero capace di vedere gli spiriti, perché non avrei dovuto credere che esistevano persone capaci di vedere le anime?
Ci eravamo alleate contro l’ignoranza e la cattiveria dei nostri coetanei, per poi non separarci più.
Sebbene mi fidassi ciecamente di lei, non le avevo mai parlato della mia vera identità e lei non mi aveva mai dato l’impressione che sospettasse la verità. Una parte di me, però, era sicura che lei sapesse: la mia anima non poteva essere come quella degli umani.
Sospirai, pronta a pronunciare l’ennesima bugia: «Ho avuto la febbre. Il giorno prima sono stata sorpresa da un temporale e devo aver preso freddo.»
«Che palle questa pioggia!»
«Già.» Le rivolsi un’occhiata di sfuggita. «Immagino che non vedi l’ora di trasferirti in Florida, finito il liceo.»
«Assolutamente. Non vorrò mai più vedere la pioggia per il resto della mia vita.»
«Potrebbe essere una cosa un po’ complicata.»
«No, per niente. Appena inizia a piovere, mi trasferisco in un altro posto assolato.»
«Hai già pensato a tutto, vedo.»
«Mi piace essere organizzata, lo sai.» Fece un sorriso complice, poi allungò una mano per sistemarsi gli occhiali sul naso.
Chiusi il mio armadietto e insieme ci avviammo lungo il corridoio.
Adeline si aggrappò al mio braccio per farsi guidare tra le auree troppo luminose e colorate che la distraevano e l’abbagliavano. «Senti, ieri non sei uscita dal letto proprio per niente?»
Mi allarmai e mi irrigidii, preoccupata al pensiero che potesse avermi vista in città mentre mi recavo o tornavo dal mio incontro clandestino insieme a Hawke.
Deglutii a vuoto, mentre i muscoli della mia schiena si tendevano al massimo. «Perché?»
«Perché è successa una cosa brutta.»
«Ah.» Mi afflosciai su me stessa e incurvai le spalle in avanti. «Ti riferisci a Daniel Sterling.»
Si fermò sul posto e mi fissò con i suoi occhi a mandorla nascosti dalle spesse lenti degli occhiali. «Lo sai?»
Seth mi aveva detto che avevano cercato di insabbiare la verità sulla morte di Daniel Sterling in ogni modo possibile, ma purtroppo le voci erano circolate troppo velocemente per essere controllate e la notizia del suo omicidio aveva raggiunto troppe orecchie per poter essere messa a tacere. Per fortuna, però, nessuno era a conoscenza dei dettagli e questa era l’unica cosa che importava.
«Me l’ha detto Seth.»
Adeline riprese a camminare, senza staccare gli occhi dal mio profilo. «Immagino che sia un bene che i Vigilanti stiano indagando insieme alla polizia.»
«Immagino di sì.»
Entrammo nell’aula di chimica e prendemmo i nostri posti vicini nel terzo banco dalla cattedra.
Mi afflosciai sulla mia sedia e abbandonai la fronte sul tavolo, mentre intorno a noi le persone parlavano con voce bassa e tono grave. Non avevo bisogno di sentirli per sapere qual era il loro argomento principale.
«Stai bene?»
«Non lo so», confessai. Non aveva senso mentirle su questo. «Mi sento davvero strana. Quando l’ho saputo mi sono sentita malissimo, perché lo odiavo davvero. Ma era solo un ragazzo e ora è morto…»
Fece un sospiro un po’ melodrammatico. «Già. Ho provato la stessa cosa.»
Poggiai una guancia sul palmo della mano. «Ci ha dato il tormento per anni e lo odiavo per questo. Ma ho sempre sperato che un giorno lui sarebbe cresciuto e si sarebbe reso conto che quello che ci diceva era sbagliato. E ora… lui non crescerà più.»
Adeline fece un secondo sospiro. Aprì la bocca per parlare, ma la chiuse con uno scatto.
Improvvisamente nell’aula cadde il silenzio. Pensai che fosse perché era entrato il professore per dare inizio alla lezione, ma quando aprii gli occhi mi accorsi che sulla soglia dell’aula c’era un ragazzo.
Liam Sterling, il fratello di Daniel.
Si fermò a pochi passi dal nostro banco e mi piantò gli occhi dritti in viso. Ricambiai il suo sguardo, con la schiena dritta come uno spillo e la mascella serrata.
Ci eravamo sempre e diligentemente ignorati, anche quando ci eravamo ritrovati nella stessa stanza, ma quel giorno Liam mi guardò davvero. E io guardai lui.
Non ci avevo mai veramente fatto caso, ma Liam era un ragazzo molto bello. Era alto, molto più di me, tanto che per poterlo guardare negli occhi ero costretta a rovesciare la testa all’indietro. Aveva il volto di un dio greco, con quella mascella marcata e squadrata e quel naso dritto e perfetto. I capelli castani erano lievemente arruffati sulla testa a causa dell’umidità della pioggia e delle ciocche gli ricadevano sulla fronte.
Poi lui abbassò di colpo la testa e camminò per prendere posto sulla sedia davanti alla mia. Vidi i muscoli della sua schiena tesi sotto il maglioncino grigio e i capelli umidi di pioggia che gli si appiccicavano alla nuca.
Si voltò con uno scatto così improvviso che mi fece sobbalzare sulla sedia. «Vorrei parlarti.»
Sentii Adeline trattenere il fiato alla mia sinistra.
Io sgranai gli occhi. «Cosa?»
«Vorrei parlarti», ripeté molto lentamente, come se fossi sorda o avessi un deficit dell’apprendimento.
E a quel punto fu impossibile trattenere la risatina sarcastica che mi sconquassava il petto. «Parlare con me? Sono per caso finita in un universo parallelo in cui io e te parliamo?»
Liam tese le labbra in una smorfia che sembrava avere tutta l’intenzione di essere un sorriso. Solo che non fu un successo. «Hai ragione. Noi non siamo amici e a malapena possiamo definirci conoscenti. Ma ho davvero bisogno di parlare con te.»
«Perché?»
«Perché mi serve un favore e tu sei l’unica a cui posso chiedere.»
«Io…»
L’intera aula era rimasta in silenzio, in attesa di una mia risposta o di una mia reazione. Sentivo perfettamente gli occhi di ogni singola persona presente fissi sulla figura alta e slanciata di Liam protesa verso la mia, rigida e statuaria sulla mia sedia.
Per fortuna il professore entrò nella classe e Liam fu costretto a tornare a guardare davanti sé. E solo quando mi ritrovai di fronte alla sua schiena riuscii a rilasciare il respiro che avevo trattenuto.
In sottofondo sentivo il professore che spiegava mentre disegnava formule sulla lavagna, dietro di me udivo il brusio del chiacchiericcio degli studenti che non prestavano attenzione e il fruscio delle penne che scorrevano sui quaderni. Ma io passai l’intera lezione con la matita in mano, ferma a pochi millimetri di distanza dalla pagina che rimase perfettamente bianca, e con gli occhi fissi sulla nuca di Liam Sterling.

§

«Oh, merda!» Adeline si batté una mano sulla fronte, per poi alzare gli occhi al cielo e imprecare una seconda volta.
«Che succede?»
«Ho dimenticato il libro di matematica nel mio armadietto.» Si voltò verso la porta che si era appena chiusa alle nostre spalle e piegò la bocca in una smorfia. «Devo prenderlo per forza per fare i compiti.»
«Allora vai a prenderlo.» Le feci un cenno con le mani. «Ti aspetto.»
Si mordicchiò l’unghia del pollice, come faceva ogni volta che era nervosa. «Pensavo che Seth ti avesse detto di tornare subito a casa.»
Era vero. Quella mattina, Seth si era raccomandato almeno un centinaio di volte affinché tornassi a casa appena finite le lezioni. Tutta quella apprensione feriva un po’ il mio orgoglio, ma allo stesso tempo mi scaldava il cuore al pensiero che ci fosse qualcuno che si preoccupava sempre per me. Però sapevo anche che Adeline aveva paura di camminare da sola per la città, perché le auree delle persone che incontrava per strada la accecavano e la distraevano troppo per potersi orientare. Si perdeva spesso e aveva sempre problemi a trovare la strada di casa.
Sollevai una spalla e le strizzai l’occhio. «Non succede niente se ti accompagno per un tratto.»
«Dici sempre così, poi finisce che mi accompagni fino alla porta di casa.»
«E dove sarebbe il problema?»
Si rosicchiò l’unghia per un lungo istante, senza dire una parola. Poi nascose la mano nella tasca dei suoi jeans e drizzò la schiena.
«Dammi cinque minuti, okay? Prendo il libro e torno.» Poi vidi la sua chioma di capelli neri e blu sparire dietro le porte.
Io diedi le spalle all’entrata della scuola ed estrassi il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. Scrissi un veloce messaggio a Seth per informarlo che avrei accompagnato Adeline a casa sua e di non entrare in paranoia se non rincasavo nella prossima ora, perché la mia amica abitava dalla parte opposta della città.
Stavo fissando lo schermo dello smartphone in attesa di una risposta, quando una mano dalle dita forti mi arpionò una spalla.
Sobbalzai dalla sorpresa, ma reagii senza attendere la seconda mossa del mio avversario: mi spinsi in avanti e, usando il peso del mio corpo come leva, sollevai il nemico sulla schiena e lo feci atterrare con una capriola ai miei piedi. 
Liam picchiò la nuca contro l’asfalto e gli occhiali da vista gli scivolarono dal naso. Rilasciò con un sibilo il respiro e gemette per il dolore.
«Cazzo», imprecò a denti stretti.
Lasciai di colpo la presa sul suo avambraccio e mi portai le mani alla bocca. «Oh, porca merda!»
Lui aprì un occhio e mi rivolse una specie di sorriso, misto ad una smorfia di dolore. «Ma che ti insegnano in quella casa?»
Con il cuore che mi era salito in gola, mi inginocchiai al suo fianco, mentre lui si sollevava per mettersi a sedere.
Mi sporsi subito in avanti e gli toccai la schiena per accettarmi che non gli avessi fatto davvero male. Sotto la stoffa del suo cardigan, le sue ossa mi sembravano ancora intatte. Allora gli schiaffeggiai una spalla. «Ma che diavolo pensavi di fare?»
Lui sgranò gli occhi e, ora che non portava gli occhiali, mi accorsi di quanto fossero grandi e profondi. Avevano una forma dolce e armoniosa, come quella deli occhi di un cervo. Erano castano chiaro, così chiaro da sembrare caramello fuso.
Wow. Erano davvero belli.
Ma io non dovevo pensare a certe cose perché la realtà era che non mi importava niente di lui. Inoltre, lo avevo appena sbattuto in terra come uno dei manichini con cui Seth mi faceva allenare.
Alzai gli occhi al cielo. «Perché mi attaccate tutti alle spalle, in questi giorni?»
«Non ti ho attaccata alle spalle!» ribatté. Recuperò gli occhiali dal suolo e li inforcò con uno scatto piuttosto violento. «E poi sei tu che mi hai scaraventato a terra come se fossi un sacco di patate. Quindi, dovrei essere io quello arrabbiato.»
«Mi hai afferrato una spalla e…»
Mi lanciò un’occhiataccia che spense le parole che stavo per pronunciare. «Ti ho chiamato due volte, ma non mi hai risposto.»
«Non ti ho sentito.» Sostenni il suo sguardo irato, con uno che ero certa fosse ancora più furioso del suo. Sollevai il mento e intrecciai le braccia al petto. «E comunque, non ti è stato insegnato che non è carino afferrare una ragazza per le spalle?»
«Non ti ho afferrata. Ti ho toccato una spalla per richiamare la tua attenzione.»
«È la stessa cosa!»
Inspirò di scatto come se volesse replicare ancora, ma all’ultimo secondo cambiò idea e scoppiò a ridere. Una risata vera e profonda, un suono rauco e inesperto come ridere fosse una cosa strana e insolita.
Avvertii una stretta alle pareti dello stomaco e un formicolio nella punta delle dita, ma lo ignorai.
«Devi aver sbattuto la testa più forte di quello che credevo», commentai. Piegai la testa di lato e allungai una mano dietro la sua nuca. Accarezzai l’attaccatura dei suoi riccioli castani alla ricerca di una ferita.
Lui smise di ridere con la stessa rapidità con cui aveva cominciato. Abbassò lo sguardo sul mio braccio teso in avanti e poi lo sollevò di nuovo per fissarlo sul mio volto.
Avvolse il mio polso fra le dita, ma questa volta la sua fu una stretta delicata che mi incendiò ogni terminazione nervosa dell’arto che stava toccando.
Mi feci indietro con uno scatto improvviso.
Dio, sembrava che non avessi mai parlato o toccato un ragazzo prima. Mi stavo davvero comportando come una stupida, come… un’umana.
Mi alzai in piedi e lui fece lo stesso.
Feci schioccare la lingua contro il palato e sollevai il mento. «La mia risposta è no.»
Sbatté le ciglia un paio di volte e la sua espressione confusa mi fece venire voglia di accarezzare la ruga che si era creata fra le sue sopracciglia. Invece intrecciai le braccia al petto.
«La tua risposta è no?» ripeté.
«Prima hai detto di aver bisogno di un favore. La mia risposta è no.»
«Ma non sai nemmeno cosa devo chiederti», disse. «Potresti almeno ascoltarmi solo per cinque minuti? Se dopo ancora non vuoi avere nulla a che fare con me, ti lascerò in pace. Lo giuro.»
«Anche se volessi – e non voglio – non posso. Devo accompagnare Adeline a casa, e poi devo correre alla villa.»
«Ma Adeline non è ancora qui.» Si guardò intorno come a voler dimostrarmi di aver ragione. «Puoi ascoltarmi almeno fino a che non arriva?»
C’era così tanta determinazione nel suo sguardo, così tanta tenacia nel modo in cui parlava, così tanta sicurezza nel modo in cui si poneva. Ma allo stesso tempo riuscivo a vedere chiaramente le sue fragilità.
Mi afflosciai su stessa come un palloncino bucato. «Che cosa vuoi da me, Liam?»
Lui inspirò così tanto da gonfiarsi il petto, poi gettò fuori l’aria e disse: «Aiutami a trovare l’assassino di Daniel.»
Spalancai la bocca come se volessi replicare, ma la richiusi subito dopo. Credevo che nessuno fosse a conoscenza dei dettagli sulla morte di Daniel Sterling, invece sembrava proprio che Liam sapesse molto più di quanto avrebbe dovuto. 
«Ma... Che cosa? Perché lo sta chiedendo proprio a me?»
«Perché nessun altro in città ha le tue conoscenze.»
«Ma che c’entrano le mie conoscenze?»
Fece un passo verso di me, e io ne feci subito uno indietro. «Io so che cosa è successo a mio fratello e so che lo sai anche tu.»
«Non so di che cosa tu stia parlando…»
«Invece io credo proprio di sì.»
Deglutii a vuoto. «Non so cosa pensi di sapere, ma…»
«Rowan, non c’era più sangue nel suo corpo. E non so cosa accidenti significa», disse con voce tremante, come se si stesse sforzando di trattenere le lacrime. «Va bene mentire al resto della città, capisco che certe informazioni devono restare un segreto. Ma Danny era mio fratello e io devo capire chi gli ha fatto una cosa del genere.»
Ingoiai il nodo che mi aveva serrato la gola. «Io non ne so molto più di quanto ne sai tu.»
«Ma tu sei cresciuta in mezzo a loro e potresti aiutarmi a capire.»
Il dolore che provava mi si riversò dentro come se mi appartenesse. Sentivo perfettamente il suo cuore che si spezzava e sanguinava, e fui così tanto sopraffatta dalla sua sofferenza che sarei potuta scoppiare a piangere.
Allungai una mano, come se avessi voluto stringere la sua in un gesto di conforto, ma all’ultimo secondo cambiai idea e lasciai ricadere il braccio lungo il busto.
«Ascoltami», dissi, «non posso immaginare quanto tutto questo possa essere difficile e doloroso per te. Ma non penso che indagare per conto tuo possa aiutarti in qualche modo. Forse dovresti tornare a casa e lasciare che siano le autorità competenti a gestire tutta questa storia. Sono sicura che troveranno il vero colpevole.»
«Non trattarmi con accondiscendenza.»
«Cercavo solo di essere gentile.»
«Non voglio la tua gentilezza. Ho bisogno del tuo aiuto!»
«Sterling, parliamo chiaro: giocare a fare Sherlock Holmes non riporterà Daniel in vita.»
«Lo so. Voglio solo che lui abbia giustizia» esclamò. «E poi pensavo che tu avresti voluto la stessa cosa. Non è questo che fate tu e la tua famiglia?»
«Ma cosa vuoi che faccia in pratica? Ce l’hai un piano?»
«Io...» Liam scosse la testa. «Prima ho bisogno di più informazioni. Niente di quelli che è successo a Daniel ha senso.»
«E dopo? Dopo che avrai ottenuto le informazioni che cerchi. Che succede dopo?»
«Ancora non lo so.»
«Non è un gran bel piano, fattelo dire.» Feci scoccare la lingua contro il palato. «Io non penso che tu sappia davvero cosa mi stai chiedendo di fare.»
Lui abbassò lo sguardo e serrò la mascella, rendendo la linea della sua mandibola ancora più dura. «Aiutami lo stesso. Un piano mi verrà in mente non appena ci capirò qualcosa. Ti prego.»
Abbassai lo sguardo sulla punta delle scarpe. Come facevo ogni volta che ero nervosa, mi mordicchiai il labbro inferiore.
Alzai di nuovo gli occhi per osservare il suo volto.
Dio, era davvero molto bello e io mi detestavo per il modo in cui non riuscivo più a non vederlo.
Però dovevo essere onesta con me stessa: anche se il suo aspetto fisico non mi era affatto indifferente, Liam non mi piaceva. Ma allo stesso tempo, suo fratello era appena stato ucciso in modo terribile e il colpevole ancora camminava libero, e credevo fermamente che nessuno meritasse di soffrire così tanto.
Sospirai e incurvai le spalle in avanti.
Mi stavo facendo sconfiggere dagli occhi ricolmi di dolore di Liam Sterling.
Lui fece un altro mezzo passo in avanti, invadendo completamente il mio spazio personale. Istintivamente arretrai ancora e mi ritrovai con la schiena contro il muretto del parcheggio. Avvertivo comunque il calore del suo corpo sulla mia pelle attraverso gli strati dei vestiti che ci separavano.
«Ti prego, dimmi che mi aiuterai.»
Avrei tanto voluto dire di no, voltargli le spalle e fingere che tutta quella faccenda non mi toccasse. Ma anche se fossi riuscita a ignorare gli incubi che facevo ogni notte, non ero sicura di poter dimenticare gli occhi pieni di dolore e supplica con cui Liam Sterling mi stava guardando in quel momento. Ed ero certa che non avrei mai potuto ignorare il modo in cui mi sentivo – accaldata, nervosa, eccitata – adesso che eravamo così vicini.
Lanciai un’occhiata alla mia destra, dove la porta si era aperta e Adeline ci veniva incontro con il libro di matematica sotto il braccio e le sopracciglia aggrottate verso il centro della fronte.
«Possiamo parlarne in un altro momento, lontano dagli altri?»
«Perché?» Liam seguì il mio sguardo e, quando capì, fece un vago cenno d’assenso. Serrò la mascella e fece un passo indietro. «Se vi può fare comodo, posso darvi un passaggio con la macchina.»
Piegai la testa di lato e mi morsi di nuovo il labbro.
Un posto sul sedile dell’auto di Liam, al caldo dell’aria condizionata e all’asciutto, avrebbe fatto comodo sia a me sia ad Adeline. Ma avevo appena ammesso a me stessa di essere fisicamente attratta da lui. Ero troppo orgogliosa per poter accettare anche questo.
Scossi la testa. «Non fa niente.»
«Sei sicura?»
Feci schioccare la lingua sul palato, piegando le labbra in un sorriso serafico. «Non dimenticare che non siamo amici.»
Non siamo amici, mi ripetei mentalmente.
Liam fece un sorriso diverso da tutti quelli che gli avevo visto fare. Era storto, più ampio verso il lato destro delle labbra. E maledettamente affascinante.
«Giusto» disse. Poi mi salutò con un cenno del capo e andò via.
Adeline mi raggiunse. Le sue calosce di gomma facevano rumore ogni volta che affondavano in una pozzanghera. «Che succede con Liam Sterling?»
«Non lo so ancora.»
Con gli occhi fissi sulla schiena ampia di Liam, che camminava con le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, Adeline tornò a mordicchiare l’unghia del pollice. «Roe, la sua aura…»
«Suo fratello è morto da meno di quarant’otto ore, Addy. È normale che la sua aura sia diversa.»
Lei scosse la testa. «Però, quello non è dolore. C’è solo rabbia.»

 

   
 
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