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Autore: Star_Rover    02/08/2020    7 recensioni
Fronte Occidentale, 1917.
La guerra di logoramento ha consumato l’animo e lo spirito di molti ufficiali valorosi e coraggiosi.
Dopo anni di sacrifici e sofferenze anche il tenente Richard Green è ormai stanco e disilluso, ma nonostante tutto è ancora determinato a fare il suo dovere.
Inaspettatamente l’ufficiale ritrova speranza salvando la vita di un giovane soldato, con il quale instaura un profondo legame.
Al fronte però il conflitto prosegue inesorabilmente, trascinando chiunque nel suo vortice di morte e distruzione.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
Capitoli:
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XXIV. Natale 1917


Il tenente Green fu lieto di ricongiungersi con i suoi uomini, il sottotenente Waddington fu il primo a presentarsi a lui, informandolo sugli ultimi eventi.
«L’intervento del tenente Foley è stato provvidenziale, grazie al supporto delle sue truppe siamo riusciti a costringere il nemico alla ritirata»
«Questa tregua non durerà, anche con gli uomini di Foley non potremo resistere a lungo ad un prossimo contrattacco»
«L’unica speranza è che gli scozzesi riescano a raggiungerci prima dei rinforzi tedeschi»
Il tenente sospirò: «in ogni caso devo complimentarmi con lei, in mia assenza è riuscito a gestire al meglio la situazione»
«Purtroppo abbiamo subìto gravi perdite. Gli uomini sono devastati nel corpo e nello spirito, non sarà semplice risollevare loro il morale. La morte del soldato McCall ha colpito tutti noi»
Richard trasalì: «McCall è stato ucciso?»
«Un proiettile gli ha trafitto la giugulare, ha sofferto molto prima di esser soffocato dal suo stesso sangue. Il dottor Jones non ha potuto fare nulla per salvarlo»
«È davvero terribile…»
«Già, forse dovrebbe parlare con il soldato Walsh. I due erano amici, per lui deve esser stato orribile assistere ai suoi ultimi istanti di vita. Sono certo che uno dei suoi discorsi potrebbe essere d’aiuto in una simile circostanza»
«Temo che non sarà sufficiente, ma cercherò di fare del mio meglio»
Waddington parve soddisfatto da quella risposta, così si congedò senza aggiungere altro.
 
Richard era intenzionato a rispettare la sua parola, ma appena raggiunse il posto di soccorso un grido lo distolse dal suo compito.
«Signor tenente!»
L’ufficiale si rassicurò riconoscendo la voce del sergente Redmond.
«Sono davvero felice di rivederla. Ero certo che lei sarebbe stato l’uomo giusto per portare a termine quella missione»
«Non è stato semplice, ma siamo stati fortunati a trovare il tenente Foley» rispose Redmond.
Richard si limitò ad annuire con un cenno. 
Il sergente notò l’espressione preoccupata del suo superiore.
«Signore, credo che dovrebbe vedere una persona…»
Green intuì il significato di quelle parole e non esitò a seguire il sottufficiale lungo il corridoio. Redmond lo accompagnò in una stanza dove erano stati radunati alcuni feriti. Tra quei volti stremati e afflitti Richard riconobbe i lineamenti del suo attendente.
Finn aveva atteso a lungo quell’incontro, nonostante tutto dentro di sé non aveva mai perso la speranza. Il ragazzo osservò con apprensione il braccio fasciato del suo superiore, non sapeva ancora nulla a riguardo, ma era certo che la ferita del tenente fosse connessa al suo tentativo di salvataggio, in qualche modo si sentì responsabile.
Entrambi avrebbero voluto dire molte cose, ma l’essenziale venne comunicato senza l’uso della parola. Un semplice scambio di sguardi fu sufficiente a svelare i sentimenti reciproci.
Richard percepì qualcosa di strano, ma in quell’occasione lasciò perdere. Aveva la consapevolezza che il suo amato fosse vivo e al sicuro, per il momento era tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
Il soldato Walsh era rannicchiato contro il muro in un angolo dell’infermeria, il suo sguardo vacuo restava perso nel vuoto.
Green interpellò il dottor Jones.
«Da quanto tempo è in quelle condizioni?»
«Dal termine della battaglia, non parla, non dorme e non mangia. È davvero ridotto male»
Richard prese un profondo respiro, non era mai semplice affrontare situazioni simili.
Il tenente si avvicinò al soldato, lentamente si posizionò al suo fianco e si chinò per guardarlo negli occhi.
«Il sottotenente Waddington mi ha raccontato quello che è successo a McCall. Mi dispiace, so che eravate molto amici…»
Walsh rimase impassibile e in silenzio.
«So che cosa hai provato in quegli istanti, quando hai avvertito il suo ultimo respiro e hai visto il suo sguardo spegnersi davanti ai tuoi occhi. Ti sei sentito impotente, avresti desiderato trovarti al suo posto. Saresti stato disposto a sacrificare la tua vita pur di non perdere il tuo compagno»
Il soldato sentì gli occhi lucidi, per la frustrazione strinse i pugni finché le nocche non divennero bianche.
«Non sei l’unico ad aver provato questo dolore, purtroppo nulla potrà mai colmare il vuoto della tua perdita, ma voglio che tu sappia che non devi affrontare tutto questo da solo»
Walsh non riuscì ad impedire alle lacrime di scendere lungo il suo viso.
Il tenente lasciò che il suo sottoposto si sfogasse, aveva bisogno di tempo, non c’era altro che potesse fare per lui. Prima di lasciarlo posò una mano sulla sua spalla per rassicurarlo.
Walsh alzò la testa, non disse nulla, ma il suo sguardo manifestò un velo di gratitudine.
Richard si rialzò, in quel momento si accorse di star tremando. Ripensando alla morte di Davis aveva rievocato anche le medesime sensazioni.
 
Il tenente Foley corse per le strade ghiacciate e deserte, strinse l’arma tra le mani e si affrettò a raggiungere la postazione d’osservazione. Salì affannosamente le scale del campanile e con ancora i polmoni in fiamme interrogò le sentinelle.
«Che cosa succede? Per quale motivo mi avete chiamato con tanta urgenza?»
«Signor tenente, qualcuno si sta avvicinando, guardi lei stesso» spiegò un soldato porgendo il binocolo al suo superiore.
William seguì le indicazioni del suo sottoposto, attraverso le lenti opache vide solamente delle ombre all’orizzonte.
L’ufficiale si mostrò turbato, il suo plotone era rimasto isolato troppo a lungo. Non aveva idea se l’avanzata delle truppe alleate avesse avuto successo, non sapeva se il confine si fosse spostato, non conosceva l’esito delle ultime battaglie…non poteva più avere un quadro chiaro e preciso del fronte.
Proprio mentre era immerso in queste riflessioni una sentinella iniziò a strillare.
«Signore, quelli sono i nostri Mark IV! Sono arrivati gli scozzesi!»
Dopo aver controllato di persona William emise un respiro di sollievo ed alzò lo sguardo al cielo: «grazie a Dio, questo è davvero un miracolo di Natale»
La sentinella si stupì nel sentire quelle parole. Il suo superiore non si era mai dimostrato particolarmente religioso, inoltre a causa della guerra aveva dimenticato anche le date. Soltanto in quel momento si ricordò che quella giornata era la seconda domenica d’Avvento.
 
***

Hugh strinse tra le mani tremanti quel prezioso foglio, ancora non credeva che ciò fosse reale: era stato uno dei pochi fortunati a ricevere una licenza per Natale.
In realtà non avrebbe dovuto stupirsi, in passato aveva provato in ogni modo ad ottenere quel pezzo di carta, ricordava di aver insistito a lungo con il tenente Green. Era certo che fosse stato lui a concedergli quel permesso.
Fino a poche settimane prima avrebbe accolto quella notizia con estrema gioia e felicità, ma in quell’istante provò soltanto un’intensa tristezza. Ovviamente desiderava tornare a casa, ma l’idea di rivedere la sua famiglia per poi abbandonarla nuovamente gli provocava solamente un profondo dolore.
Inoltre quello era il momento peggiore per abbandonare Dawber, le sue condizioni non erano migliorate, a quel punto nemmeno i medici avevano più alcuna certezza.
Hugh lesse ancora il permesso di licenza, considerando i giorni di viaggio avrebbe potuto restare con la sua famiglia per due intere settimane. Nonostante tutto il giovane accennò un debole sorriso, quello sarebbe stato il primo Natale insieme ai suoi figli.
Il soldato ripiegò il foglio e lo ripose con cura nel taschino della giacca, avrebbe dovuto sfruttare al meglio quell’occasione, forse non ci sarebbe stata un’altra possibilità.
Hugh trascorse l’ultima notte prima della partenza in ospedale, vegliando sul suo commilitone. Si sentiva in colpa per il suo imminente abbandono, ma allo stesso tempo era consapevole che la sua presenza al capezzale del compagno ferito non avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Il pensiero che più lo opprimeva era la possibilità che Dawber potesse andarsene senza che lui fosse al suo fianco, in quel caso avrebbe solamente desiderato potergli dire addio.
Era ormai notte fonda quando la giovane infermiera, il cui nome era Beth, giunse a controllare le condizioni del paziente. Hugh si rassicurò, quella ragazza era stata la sua unica confidente, almeno aveva la consapevolezza di non star lasciando Dawber completamente solo.
L’infermiera si sorprese nel trovare il soldato seduto sulla solita sedia: «come mai è ancora qui? Credevo che fosse in partenza…»
«Prenderò il treno all’alba, volevo restare qui questa notte»
«So che è difficile, ma non deve perdere la speranza»
«Non avrei voluto lasciarlo così…»
«Anche la sua famiglia ha bisogno di lei»
Hugh sospirò: «a dire il vero sono piuttosto nervoso all’idea di tornare in Inghilterra»
«Per quale motivo? Sono certa che tutti saranno felici di rivederla»
«Ho paura di deludere i miei cari, manco da casa da tanto tempo, i miei figli non si ricordano nemmeno di me»
«Quando sarà con loro non dovrà preoccuparsi di questo. Quei bambini hanno solo bisogno dell’amore di un padre, in quel momento saprà esattamente cosa fare»
Egli si rassicurò a quel pensiero: «la ringrazio, le sue parole sono davvero confortanti»
La ragazza rispose con un timido sorriso: «sua moglie è una donna molto fortunata, spero di sposare un buon uomo come lei un giorno»
Hugh distolse lo sguardo con lieve imbarazzo.
Beth si allontanò augurandogli buon viaggio, lasciandolo nuovamente solo con i suoi tormenti.
 
Prima di poter raggiungere Calais Hugh fu costretto a sostare in diversi villaggi distrutti dalla guerra, la ferrovia era un obiettivo ambito dalle squadriglie della Luftstreitkräfte, a causa dei frequenti bombardamenti anche i minimi spostamenti erano lenti e complessi.
La traversata fu altrettanto travagliata, con il mare in tempesta la nave continuò a sobbalzare pericolosamente tra le onde. Hugh rimase per tutto il tempo rinchiuso nella sua cabina, disteso su una branda soffrendo di nausea e vomito. Le scogliere di Dover apparivano come un lontano miraggio, soltanto quando la nave attraccò al porto Hugh si rese conto di aver davvero attraversato la Manica. Il viaggio però era ancora lungo.
I suoi compagni erano cupi e silenziosi, con i loro volti inespressivi e gli sguardi vacui apparivano già come fantasmi.
Il treno si allontanò dalla periferia di Londra, attraversò il confine della contea e proseguì la sua corsa verso est. Le stazioni sembravano tutte uguali, ma pian piano il paesaggio divenne sempre più familiare. Dal finestrino Hugh contemplò con malinconia i campi innevati e i laghi ghiacciati, finalmente provò la sensazione di essere vicino a casa.
Con uno sbuffo di fumo nero la locomotiva segnalò il suo arrivo in un piccolo paese di campagna dall’aspetto anonimo e tranquillo. Quando Hugh scese dal vagone si ritrovò circondato da una piccola folla di curiosi, un signore di mezza età si levò il cappello e gli strinse la mano con sincera ammirazione.
«Bentornato soldato, siamo tutti orgogliosi di voi ragazzi che combattete al fronte. Viva il Re! Viva l’Inghilterra!»
Hugh rimase alquanto disorientato e confuso, quell’uomo non fu l’unico ad accoglierlo con tanto entusiasmo.
Il giovane fuggì fuori dalla stazione, iniziò a camminare guidato solamente dall’istinto, conosceva a memoria i luoghi dove era cresciuto. Attraversò il ponte e con commozione riconobbe la strada dove da bambino giocava a biglie con i suoi amici.
Hugh svoltò l’angolo per raggiungere la via principale, nella piazzetta della chiesa notò un gruppo di ragazzini che si rincorrevano lanciandosi palle di neve. Egli sorrise, era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva visto qualcuno ridere e scherzare in quel modo.
Uno di loro si avvicinò incuriosito e gli rivolse il saluto militare, il soldato rispose assecondando il suo gioco, ma provò un profondo dolore nel pensare che i nuovi arrivati al fronte non erano molto più vecchi di quel ragazzino.
Poco più avanti Hugh sostò davanti alla vetrina di una bottega, non riuscì a credere che quell’immagine fosse il suo riflesso. Si domandò cosa avrebbe pensato sua moglie di lui, in quelle condizioni quasi non era in grado di riconoscere se stesso.
Era ormai calata la sera quando Hugh si ritrovò a percorrere la via di casa. Non aveva avvertito nessuno del suo ritorno per timore di non rispettare la promessa, dunque quella sarebbe stata una sorpresa per la sua famiglia.
Hugh si fermò sul vialetto, la luce del salotto era accesa, oltre alle tende intravide un’ombra.
Il soldato rimase immobile davanti al portone, esitò a lungo prima di trovare il coraggio di battere sul legno.
Avvertì il rumore di alcuni passi, poi la porta si spalancò e l’esile figura di sua moglie Edith comparve sulla soglia.
«Hugh! Sei tornato!»
Il giovane non trovò la forza di rispondere, stringeva ancora il fucile nella mano destra e l’elmetto nella sinistra.
Sua moglie scoppiò in lacrime gettandogli le braccia al collo: «oh, tesoro. Non posso credere che tu sia davvero qui!»
A quel contatto Hugh tornò in sé, abbandonò il peso dell’arma per ricambiare quell’abbraccio.
Finalmente riuscì a parlare: «sì, amore. Sono tornato…sono a casa»
Hugh prese il volto della moglie tra le mani e la guardò negli occhi.
«Sei sempre bellissima» disse prima di baciarla.
Entrato in casa Hugh fu avvolto da una piacevole sensazione di calore.
«Dove sono i bambini?»
«È tardi, stanno già dormendo…però voglio che tu li veda»
Edith prese la mano del marito e dolcemente l’accompagnò sulle scale.
Hugh sbirciò all’interno della stanza, mosse qualche passo nella penombra, facendo attenzione a non svegliare il bambino rannicchiato sotto alle coperte. Sua moglie aveva ragione, più cresceva e più diventava simile a lui.
Hugh si avvicinò con esitazione alla culla posizionata vicino alla finestra. Aveva visto sua figlia solamente una volta, in quell’occasione la neonata era ancora avvolta in fasce. Erano passati otto mesi da allora, Hugh avvertì una fitta al petto, la guerra l’aveva tenuto lontano dalla sua famiglia per troppo tempo.
Edith raggiunse il marito lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio, entrambi restarono ad ammirare la bambina beatamente addormentata.
 
Hugh si sedette sul bordo del letto accanto alla moglie.
Edith osservò con apprensione il suo viso pallido e scarno.
«Deve essere terribile laggiù…»
Egli tentò di rassicurarla: «non è sempre così. Nonostante tutto sono stato fortunato, ho dei buoni compagni e un ottimo comandante»
«Ho sentito storie tremende, i giornali parlano dei gas e dei lanciafiamme»
Hugh ripensò agli orrori delle trincee, una volta aveva visto un uomo bruciare vivo, si era dimenato come un dannato finché non si era accasciato al suolo, asfissiato dal fumo e ustionato dal fuoco. A volte nei suoi incubi sentiva ancora quelle urla strazianti. Di certo non avrebbe potuto raccontare nulla del genere alla sua amata.
«Non dovresti credere a quello che dicono i quotidiani, i giornalisti scrivono solamente menzogne»
In fondo non aveva mentito, la situazione era decisamente peggiore rispetto a quella presentata nelle prime pagine del Times o del Daily Mail.
Edith si rannicchiò contro il suo petto in cerca di conforto. Hugh provò una strana sensazione, mentre stringeva la moglie tra le sue braccia si sentiva ancora lontano, pensava ai suoi compagni rimasti al fronte, a Dawber che giaceva inerme nel suo letto d’ospedale, a Friedhelm e alla sua condanna…
Hugh strinse ancora più a sé il corpo dell’amata, poteva avvertire il profumo dei suoi capelli e il calore della sua pelle, ma ciò non rendeva la sua presenza più reale. Il giovane era consapevole che presto quella illusione di pace sarebbe svanita, diventando solamente un lontano ricordo.  
Non poteva fare nulla per impedirlo, ormai era già tutto perduto.
 
***

Il capitano Howard accolse nel suo rifugio il tenente Green con sincera commozione.
«Sono davvero felice di rivederla, ciò che ha fatto a Flesquieres è stato davvero ammirevole»
«Se non fosse stato per l’intervento del tenente Foley la missione sarebbe terminata in un massacro»
«Ho letto il resoconto del sottotenente Waddington, anche in una situazione così drammatica lei ha sempre anteposto il bene dei suoi uomini»
«Ho dovuto compiere delle scelte…purtroppo non ho potuto fare di più»
«Ha svolto il suo dovere. Sono lieto di informarla che il suo plotone resterà a riposo ad Arras per un paio di settimane»
Richard parve rincuorato da quella notizia: «almeno quest’anno i miei uomini non dovranno festeggiare il Natale in trincea»
«A proposito, lei più di tutti ha bisogno di riposo. Nelle sue condizioni può richiedere un permesso speciale, se lo desidera può prendere il treno per Calais questa stessa sera. Sarà di ritorno a casa in tempo per la Vigilia»
Il tenente rifiutò: «la ringrazio, ma non posso accettare. Sono certo che qualche altro ufficiale sarà felice di prendere il mio posto per trascorrere questo periodo in Inghilterra»
«È passato molto tempo dalla sua ultima licenza…»
«Sono consapevole che finché ci sarà questa guerra il mio posto resterà qui sul campo di battaglia»
Howard comprese le sue ragioni: «capisco, almeno mi prometta che penserà a riprendersi»
Green si limitò ad annuire per gentilezza, si congedò rapidamente, desiderava terminare al più presto quella conversazione.
 
Durante il viaggio in treno Richard ripensò all’offerta del capitano Howard, non aveva riflettuto nemmeno un istante prima di rifiutare. Da tempo trascorreva tutte le sue licenze a Parigi, ormai erano trascorsi due anni dall’ultima volta in cui aveva attraversato la Manica. Era tornato a casa per Natale nel 1915, un mese dopo la morte di Albert.
Ricordava l’atmosfera cupa e opprimente che regnava in quella borghese villa di campagna, le stanze buie e vuote, il silenzio interrotto solamente dal pianto di sua madre.
Suo padre invece non aveva fatto altro che caricarlo di nuove responsabilità, sulle sue spalle gravavano anche tutte le aspettative e le speranze che il genitore aveva precedentemente riposto nel suo primogenito.
Il signor Green aveva grandi piani per i suoi figli, ma se Albert si era sempre dimostrato all’altezza della situazione Richard non aveva mai mostrato particolare interesse nel soddisfare i desideri del padre.
Egli era certo di non poter essere quel figlio ideale, odiava tutti quei discorsi riguardanti il suo futuro, soprattutto quando l’argomento principale diventava un suo possibile matrimonio.
Così aveva deciso che non sarebbe più tornato in Inghilterra, aveva già troppe preoccupazioni al fronte, non aveva intenzione di affrontare anche il severo giudizio dei suoi parenti.
La morte di Albert aveva lasciato un vuoto incolmabile, la famiglia Green era stata distrutta dalla guerra.
 
***

La cittadina di Arras era stata ridotta in rovine, non era l’ambientazione ideale per un sereno Natale, ma qualunque luogo lontano dalla prima linea sarebbe apparso santo quanto la stessa Betlemme.
La notte del loro arrivo i soldati si dedicarono ai festeggiamenti, ricorrendo alle riserve di alcolici e ai rifornimenti che prontamente erano giunti in supporto dalla Patria.
In breve una folla consistente si riunì in piazza, gli inglesi, animati dallo spirito natalizio, non esitarono a condividere le scorte di cibo con i civili.
Richard rimase in disparte ed osservò con una certa malinconia i suoi commilitoni che ridevano e cantavano con ritrovata spensieratezza.
«Tenente! Venga con noi, c’è da bere per tutti qui!» esordì il sottotenente Waddington, avvicinandosi con una bottiglia di brandy.
Egli rifiutò scuotendo la testa: «brindate anche alla mia salute»
Green si allontanò, dopo una breve passeggiata tra le macerie tornò con calma al suo rifugio. All’interno trovò il suo assistente, il quale si era rintanato in solitudine. Il ragazzo era rimasto in silenzio per l’intero viaggio, Richard aveva voluto attendere il momento giusto, ma ormai era stanco di vedere il giovane in quelle condizioni.
«È da quando abbiamo lasciato Flesquieres che ti comporti in modo strano, avanti, dimmi che cosa è successo»
Finn esitò, era certo che Richard avrebbe potuto comprenderlo e aiutarlo, eppure faticava a trovare il coraggio di parlare dell’accaduto.
«Durante l’assalto al villaggio io…ho ucciso un uomo. Ho sparato a un tedesco guardandolo negli occhi…» rivelò infine con voce tremante.
Il tenente non si trovò impreparato di fronte a quella confessione: «non devi avere rimorsi per quello che hai fatto, hai solo svolto il tuo dovere come soldato»
«Se davvero non ho fatto nulla di sbagliato allora perché non riesco a liberarmi da questo senso di colpa?»
«Uccidere non è mai semplice, nemmeno quando non si ha altra scelta»
«Sono consapevole di quale sia il mio compito in questa guerra, eppure ancora non riesco ad accettarlo»
Richard si sedette accanto al suo assistente.
«Non ho mai dimenticato nessuna delle mie vittime. Ricordo bene la prima volta in cui ho ucciso un uomo. Accadde durante un violento assalto sul fronte dell’Yser, mi ritrovai ad affrontare il mio primo nemico in un violento corpo a corpo. Riuscii a sopraffare il mio avversario e lo infilzai con la baionetta. La lama si incastrò tra le sue coste, il tedesco soffriva orribilmente, tanto che alla fine decisi di premere il grilletto per liberarlo da quell’agonia»
Finn rabbrividì ascoltando quel racconto.
«Come puoi sopportare tutto questo?»
Lo sguardo del tenente si incupì: «un soldato deve imparare a convivere con i suoi fantasmi»
 
Dopo qualche istante di silenzio Finn riprese la parola: «per quale motivo il tenente Foley ha voluto salvarti la vita?»
Richard scosse le spalle: «per mantenere fede ad una vecchia promessa»
«Quando ti ha accusato di omicidio provava solo odio e rancore nei tuoi confronti»
«Foley non mi ha perdonato per quello che ho fatto, per lui resterò sempre l’assassino di suo fratello»
«Hai intenzione di fidarti di lui?»
«Dopo quel che mi ha rivelato non ho motivo per dubitare della sua sincerità»
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Richard estrasse dal taschino l’orologio d’oro: «mi ha riconsegnato questo, apparteneva a mio fratello…era un dono molto importante per lui»
Finn riconobbe il prezioso oggetto che aveva visto nella fotografia.
«Mio fratello l’aveva regalato a William in nome della loro amicizia. È strano, ma…entrambi abbiamo sofferto per la scomparsa di Albert»
«Sono contento che il tenente Foley abbia deciso di soccorrerci, ma non posso dimenticare quello che ti ha fatto»
«William si è lasciato sopraffare dal rancore, ma le sue ragioni sono comprensibili. Posso assicurarti che egli non è un uomo malvagio»
Finn non credette del tutto a quell’affermazione.
Richard non disse nulla su Randall, non aveva ancora preso alcuna decisione a riguardo, ma di certo non voleva coinvolgere il suo attendente in quella pericolosa faccenda.
 
***

Quel periodo di riposo fu accolto come una benedizione dalle truppe britanniche. I soldati furono lieti di non dover trascorrere un altro Natale in trincea, a tremare dal freddo, chiedendosi quando la tregua sarebbe giunta al termine, domandandosi da quale fronte sarebbe partito il primo sparo e pregando di non essere i destinatari del prossimo proiettile.
Il tenente Green trovò alloggio in un’elegante villetta borghese risparmiata dai bombardamenti. Era più piccola, ma non molto differente da quella appartenente alla sua famiglia. Aveva a disposizione un letto comodo, un tavolo spazioso, la libreria dei vecchi proprietari, sedie per gli ospiti e un bel camino ancora perfettamente funzionante.
Non avrebbe potuto chiedere di più per trascorrere in pace e tranquillità quel breve periodo di riposo.
In tutto questo però ciò che più contribuì a rendere piacevole la sua permanenza ad Arras fu la compagnia del suo attendente. Era solo una questione di tempo, ma seppur per poco, i due amanti poterono approfittare di quella tregua per vivere a pieno il loro rapporto.
Entrambi erano consapevoli che quell’illusione presto sarebbe svanita, al di fuori di quelle mura diroccate la loro relazione restava qualcosa di estremamente pericoloso, un oscuro segreto da nascondere.
 
Quella sera il tenente si posizionò accanto al camino, osservò le fiamme che danzavano nell’oscurità abbracciato al suo attendente.
«Sarà tutto diverso quando torneremo al fronte» disse Richard con profonda tristezza.
Finn poggiò la testa sul suo petto: «lo so, ma va bene così. L’importante è restare insieme, non conta in che modo»
Il tenente rimase sorpreso dalla sua risposta. Il suo assistente aveva dimostrato di essere disposto ad accettare quelle condizioni, dando prova della sua maturità.
L’ufficiale guardò il suo compagno negli occhi, in lui non riconobbe più l’ingenuo ragazzino che più volte si era lasciato sopraffare dalle proprie emozioni. In quel momento comprese di essersi posto delle preoccupazioni inutili, non doveva più pensare a Finn in quel modo, certe cose erano già cambiate per entrambi.
Green sfiorò il viso del suo attendente con una tenera carezza.
«Qualunque cosa accada voglio che tu sappia che i mei sentimenti nei tuoi confronti sono sinceri e lo saranno sempre»
Pur non avendo mai avuto dubbi a riguardo Finn si rassicurò nel sentire quelle parole.
Richard strinse il giovane a sé, non aveva intenzione di sprecare quei preziosi momenti, non restava che quell’ultima notte per abbandonarsi al loro amore.
 
 
 
 
Note dell’autrice
Grazie a tutti voi per essere arrivati fin qui.
In questo capitolo di tregua lontano dalle trincee ho voluto prendermi un po’ di tempo per permettere ai vari personaggi di confrontarsi con se stessi e con gli eventi che li hanno coinvolti.  
Prossimamente ritroveremo i protagonisti al fronte, esattamente a un anno di distanza dall’inizio di tutte queste vicende.
Siamo così giunti all’ultimo anno di guerra, ma l’Armistizio è ancora lontano.
Grazie di cuore per il prezioso supporto, spero che il racconto possa continuare a interessarvi e appassionarvi^^
   
 
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