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Autore: PiscesNoAphrodite    03/08/2020    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I prati d'asfodelo, capitolo VIII

 

 

XIX

 

Un turbine sfolgorante, simile al vorticare delle fiamme, invase il mio campo visivo e sbattei le palpebre per alleviare il fastidio agli occhi. Mi trovai bardato nell'armatura dopo averla richiamata.

“Abbassate la guardia, e non vi accadrà nulla” esordii determinato.

“Cosa significa, Santo di Libra?” Athena inarcò le sopracciglia, con mano salda impugnava lo scettro. Doveva avermi sottovalutato fino a quel momento, senza volerlo mai ammettere, o forse ero io a essere estremamente sospettoso.

“Dovete stare sulla difensiva.” Il tono di cui mi ero avvalso ebbe un effetto persuasivo su entrambi. Aphrodite non espanse il cosmo e Athena abbassò l'emblema della propria autorità facendo scorrere l'asta nel palmo della mano, fino a far coincidere l'estremità inferiore con la superficie del pavimento. La guardai: la commessura labiale formava una linea sottile, la mandibola era serrata e i muscoli contratti. Avvertivo il suo stato d'animo, la frustrazione e l'impotenza di chi potrebbe agire ma desiste al fine di adempire a una sorta di codice d'onore.

Il destino è davvero beffardo... e se mi fossi schierato con Apollo? No, non avrei potuto farlo. Lo sapevamo entrambi: io e il nume. Io e Aphrodite siamo Santi votati ad Athena e nemmeno gli dèi possono sfidare la sorte malgrado il loro potere.

La Parthenos era giunta avanzando pretese in un momento inopportuno, di conseguenza la reazione del dio del Sole era comprensibile e tuttavia fin troppo pacata, equilibrata più di quanto mi aspettassi, e percepivo un'amorevole indulgenza nei miei confronti. Ma ancora non capivo, l'intento di Febo mi era alquanto oscuro.

Parve intercorrere un lasso di tempo lunghissimo tra le mie riflessioni e il frangente in cui evocai la barriera – frapponendola tra noi e Apollo – ma in realtà era trascorso relativamente in fretta, nello stesso modo in cui una manciata di granelli di sabbia scorre attraverso le ampolle della clessidra. Persistevo in silenzio, concentrato, ma percepivo la sua energia aumentare, trascendere i limiti dell'impossibile come un boato assordante che infrange il muro del suono intensificandosi di ottava in ottava. Non immaginavo di possedere così tanto coraggio essendo da sempre preoccupato di preservare la mia incolumità. Dalla tragica esperienza vissuta nella vita precedente avevo imparato una lezione fondamentale: mai sottovalutare l'avversario.

Una forza sovrumana squassava il Tempio dalle fondamenta. Non vedevo il dio ma avvertivo la potenza delle onde di luce collidere e rimbalzare contro lo scudo d'aria e per un po' riuscii a stornare la sua offensiva. Diedi fondo a tutto il vigore che avevo in corpo: il turbine di vento spazzò in lungo e in largo la sala, ribaltò i bracieri, squarciò i drappi, infine svelse le colonne di marmo il cui basamento si sbriciolò con l'effetto di spezzare l'architrave facendo sprofondare la struttura soprastante che scomparve inghiottita dalle voragini aperte nel terreno. Piovevano detriti, frammenti d'intonaco, si alzarono cumuli di polvere e mi parve di non discernere più nulla nella caligine ma si trattò di un breve istante. Esortai la dèa a farsi da parte e vidi Aphrodite cingerle la vita con un braccio, per trattenerla sul lembo di superficie ancora intatto del suolo sacro che vedeva me e Apollo contendere. Confidavo nella mia forza sebbene conoscessi l'immenso potere di mio padre, rendendomi finalmente conto di come Athena avesse scherzato col fuoco istigando uno degli Olimpi più potenti, se non il più possente in assoluto. D'un tratto mi sovvenne l'immagine della ragazzina petulante che mi aveva sottratto all'oblio della morte per servirla; vidi le vesti immacolate, il luccichio dell'oro e delle gemme sopperire a una figura insignificante... il virtuosismo di orpelli che colma la vacuità della sostanza...

La barriera d'argento sfavillò, vibrò, e infine s'incrinò... avevo profuso tutte le energie e realizzai come l'impresa avesse travalicato i miei limiti. Vacillai e arretrai di un passo, non potevo prevedere come sarebbe finita, sudavo freddo e mi piegai su un ginocchio nel preciso istante in cui il muro d'aria sembrò sgretolarsi infrangendosi in minuscoli cristalli, infinite particelle, quasi fosse fatto di vetro.

No! Non può essere.

Il Santo di Pisces si era interposto tra me e Febo - lo notai attraverso uno spiraglio tra le palpebre semichiuse - nonostante gli avessi intimato di starsene in disparte. Realizzai che in quell'attimo fosse stato lui ad averci fatto da scudo col proprio cosmo... Confidavo nel suo buon senso, credevo si fosse ripromesso di non interferire; non avrebbe mai dovuto farlo allo scopo di salvaguardare il mio onore e, invece, mi stava infliggendo l'ennesima umiliazione!
Collera. Scarti di pensiero.
Udii lo sferragliare metallico dell'armatura: Aphrodite era crollato privo di sensi al suolo strabuzzando gli occhi, ma l'elmo doveva aver attutito l'impatto proteggendogli il capo. Con un ultimo sforzo mi accostai a lui prendendolo tra le braccia, sebbene l'armatura limitasse i movimenti.
Rivolsi una labile occhiata al dio del Sole appurando come anch'egli avesse desistito a sua volta: era fiero, compassato, la chioma baluginava simile alle fiamme ormai spente che dapprima erano arse nei bracieri, e il manto candido volteggiava gonfiandosi dietro le spalle. Tronfio, come un'arpia che drizza a ventaglio la corona di penne sul capo, Febo avrebbe avuto la meglio in ogni caso perché...

Non si può vincere un dio.”

Il monito echeggiò nella mente, egli anticipò i miei pensieri mentre sfilavo l'elmo dalla testa che Aphrodite reclinò incosciente contro il pettorale intarsiato della corazza. Era successo tutto così in fretta, troppo in fretta per riuscire a crederlo.

Scostai i capelli dal volto terreo: mio fratello mi fissava con una vacuità inespressiva, lo scrollai con cautela nella speranza che reagisse ma, rassegnato, risolsi di coprire gli occhi sbarrati con una mano e, dopo, con le dita mi premurai di chiudergli le palpebre. Un fiotto di sangue scuro fluì dall'angolo della bocca come un guizzo d'inchiostro su un foglio bianco. Il suo cuore non aveva retto. Ero esterrefatto, sconvolto, affranto, percepivo le sclere asciutte riscoprendomi incapace di esternare i miei sentimenti con le lacrime.

“Avevamo disquisito a proposito del prezzo della gloria ma, quest'oggi, hai avuto la dimostrazione di quanto essa possa rivelarsi un concetto astratto” sentenziò Apollo, enigmatico. “Ho deciso che siete liberi di tornare al Santuario e, per ripagare il coraggio di entrambi, la mia ira non si abbatterà sui mortali.”

“Ma...” balbettai.

La gloria... certo, avevo bramato la gloria in tempi non remoti. Il coraggio? A quale coraggio alludeva? Sì, forse avevo mostrato più ardimento del solito, ma con la consapevolezza di aver fatto una cosa ovvia, tra le più scontate, ovvero proteggere la mia dèa, e mi sarei sacrificato non tanto per appagare l'ego quanto per sincera fedeltà nei miei ideali.

Le mani di Saori mi lambirono a coppa il volto e mi destai dallo sbigottimento, si era chinata, forse nell'intento di condividere il mio dolore composto e silente. Lei non disse nulla e io non levai lo sguardo per incontrare il suo, avevo voglia di ritrarmi, non la guardavo per non mortificarla.

“Avevo sognato che almeno uno dei miei figli ti voltasse le spalle, invece il senso del dovere è in loro così profondo e radicato...” Febo si era rivolto ad Athena e una nota di disprezzo e rancore risuonò in quelle parole. “Lo spirito di abnegazione che li contraddistingue non si è rivelato inferiore a quello millantato dai tuoi protetti” concluse, laconico.

 

 

Avevamo fatto ritorno al Santuario recando un doloroso fardello sulle spalle, quantunque agli occhi attoniti dei miei pari e delle altre Caste di guerrieri sembrasse scivolarmi tutto addosso e, forse, non si sbagliavano. Ne avevo percepito sulla pelle gli sguardi inquisitori, era naturale mi ritenessero responsabile dell'accaduto e quasi riuscivo a empatizzare con loro odiando me stesso. Eppure la morte di un Santo poteva essere l'ordinario scotto da pagare in una simile impresa. Le Sacre Vestigia di Pisces sarebbero state assegnate a un nuovo aspirante possessore. Niente di nuovo o di strano, era la norma. Per una volta la mia presunta insensibilità mi faceva orrore, e presagivo che presto o tardi quel muro fragile d'indifferenza mi sarebbe rovinato addosso...

Mi ritirai nella Settima Casa al fine di preparami psicologicamente per l'ultimo compito che dovevo svolgere al termine della giornata, il tempo necessario a liberarmi dell'armatura e bere un sorso d'acqua. Sbirciai nei frammenti dello specchio che Aphrodite aveva infranto con un pugno – da quella volta non mi ero più preoccupato di sostituirlo con uno nuovo – l'uniforme era spiegazzata e sporca, sebbene rimuovendo la corazza mi fossi scoperto del tutto indenne. Sbattei le ciglia, come infastidito da un corpo estraneo che raschiava le cornee, trattenendomi però dallo stropicciare gli occhi arrossati.

Al calar del sole mi apprestai a lasciare il Tempio per dirigermi ai livelli superiori. Procedetti con lento incedere seguendo il cammino illuminato dalla disposizione dei bracieri e, guardando oltre il confine delimitato dal lato esterno delle scale, mi parve di barcollare suggestionato dall'altezza vertiginosa delle rocce a picco su cui si snodava il sentiero. Intravidi uno scorcio sul mare Egeo, placido alla stregua di uno specchio che, in breve, avrebbe riflesso il manto nero della notte ma non la luce pacata delle stelle. Levai gli occhi al cielo nel quale si rincorrevano dense nubi.

Udii lo squittio di una civetta e varcai con ritrosia l'ingresso del Dodicesimo Tempio presidiato dalle guardie, per poi introdurmi in una delle sale più appartate. Le ancelle si dileguarono in mia presenza. L'ultima volta che avevo messo piede nella Casa di Pisces era stata un giorno in cui ero soltanto di passaggio...

Pochi passi mi separavano dalla figura giacente sul letto funebre, mi ci approssimai con deferenza. Era un addio definitivo perché non ci sarebbe stata un'altra occasione di rinascita, ne ero più che convinto e avvertii un profondo senso di solitudine. Mi presi il volto tra le mani per poi ravviare la massa dei capelli all'indietro, ma ricaddero di nuovo, ribelli, sugli occhi. Umettai le labbra asciutte con la punta della lingua.
Credo di odiarti, Aphrodite, perché in realtà vorrei essere al tuo posto.

Lui era lì, a capo scoperto: i tratti come cesellati nel marmo, di una perfezione tale da rasentare l'inespressività; il colorito livido dell'incarnato riprendeva la sfumatura bluastra dei capelli, sottolineata dal riverbero della corazza nella stanza semibuia e lugubre. Accostai le dita al volto che finalmente ebbi il coraggio di percorrere con una carezza, gli lambii una guancia, le ciglia folte, fino a ritrarre la mano dopo aver tastato senza volerlo la sporgenza ossea dell'orbita. In cuor mio rifuggivo, inorridendo, il pensiero della morte, ancorché fossi conscio che un Santo non poteva avvizzire alla stregua di un fiore reciso...
La vita dei Santi è effimera come la fiamma di una candela che si spegne con un soffio di vento, ma perlomeno i nostri corpi sono incorruttibili e non soggiacciono all'ingiuria del Tempo.

Aphrodite era ancora bardato nelle Sacre Vestigia e bisognava rimuoverle, dovevo farmi forza perché mi ero accollato – e mi era stato concesso – l'onere di prendermi cura delle sue spoglie in quanto parente più prossimo. In un canto vidi riposte le vesti e i monili che avrebbe dovuto indossare, li soppesai incuriosito: erano di ottima fattura ma lui era così nobile e bello, al pari di un simulacro divino, avrebbe brillato anche avvolto in un semplice sudario. Trattenni il fiato per poi emettere un lungo sospiro e apprestarmi a rimuovere le manopole, distendendogli le dita chiuse sul palmo: erano serrate come artigli ricurvi, graffiate dagli aculei delle rose, con le unghie spezzate e sporche. Poi sfilai i bracciali dopo averne allentato le fibbie. Mi vidi costretto ad approcciarmi in modo brusco strattonando il corpo inerte, pesante come piombo, che in quel particolare frangente ebbi il timore di spezzare. L'operazione sembrò richiedere uno sforzo non comune, come se i singoli elementi dell'armatura non volessero staccarsi dal possessore opponendo una strenua resistenza. Insolito, mi dissi tra un'imprecazione e l'altra, passandomi il dorso della mano sulla fronte grondante sudore.

Ripresi ad armeggiare con gli altri elementi che componevano le Sacre Vestigia: sganciai gli spallacci dal pettorale dell'armatura, i cosciali e gli schinieri, per riporli singolarmente e comporre il totem. Il Santo di Aries avrebbe poi provveduto a riparare l'armatura.

Rimanevano gli indumenti sottostanti: la tunica corta senza maniche andava sfilata dalla testa, non disponeva di intagli laterali che mi facilitassero il compito, ma risolsi di allargare la scollatura e finii per strapparla sul petto, scoprendo il torace tumefatto che recava i macabri postumi dell'impatto con la corazza ammaccata e divelta. Realizzai quello non fosse un trattamento rispettoso nei confronti del mio maestro, ma ero consapevole di non aver ancora metabolizzato il dolore. In verità ero arrabbiato per la sua dipartita. Se solo Saori avesse temporeggiato ancora un po'... ma gli dèi sono lungi dal concepire sentimenti paragonabili a quelli umani e, con ingenuità, mi ero illuso fossero a dir poco in grado di comprenderli...

Affondai le dita nei capelli morbidi, li scostai dalla fronte per posargli un bacio con una sorta di rammarico: rare volte avevo manifestato affetto nei confronti di qualcuno, mi sovvenne il dubbio di non essere mai stato in grado di amare e di come, al pari, mi sentissi poco amato.
Sembrava sorridere: si era reso fautore di un gesto eroico degno di un Santo di Athena, ed era ciò che io desideravo sopra ogni cosa e letteralmente invidiavo ad altri Santi, miei pari e non. E ora? Lui mi aveva rubato l'occasione e la scena e avrei dovuto odiarlo per questo, eppure ogni emozione era come bandita dal mio essere. Gli sarebbero stati tributati tutti gli onori e io sarei incorso nell'ennesima reprimenda del Sommo Sacerdote: c'erano le guardie ad attendermi fuori dal Tempio e mi avrebbero scortato al Tredicesimo.
Hai la coda di paglia, Misty? No, ero solo consapevole di cosa mi aspettasse ed ero stato avvertito. A causa della legge del contrappasso o della sorte infausta? Mi chiesi, immergendo in un bacile d'acqua un panno con il quale inumidii il volto di Aphrodite, immoto nella sua apparente beatitudine. Indugiai prima di procedere e rimuovere il sangue rappreso dall'angolo della bocca.
Percepii una folata di vento che sibilò nell'ampiezza della sala ma la ignorai e finii per completare la vestizione.

La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte. Tesi le orecchie riconoscendo lo scroscio cristallino della pioggia. Le volte monumentali del Tempio avevano facoltà di amplificare anche i suoni più flebili. Lasciai la mano rigida di mio fratello, che mi ero premurato di stringere nella mia, e mi diressi a sbirciare oltre la soglia della stanza, percorrendo poi il tratto di deambulatorio il quale sbucava sul pronao. Mi attardai qualche minuto ad ascoltare il tintinnio cadenzato della pioggia: si riversava al suolo variando d'intensità, e non ero in grado di distogliere gli occhi dal velo d'argento che alla luce delle torce catturava il mio sguardo. Il cielo piangeva lacrime che non riuscivo a versare.

Poco dopo ritornai sui miei passi per dare ad Aphrodite l'ultimo saluto prima del rito funebre che si sarebbe celebrato il terzo giorno, affinché fosse tumulato e riposasse in pace senza vagare errante ai confini dell'Ade, ma una volta rientrato nella camera ardente percepii una presenza estranea, non ostile o indesiderata. Nell'attimo in cui mi predisposi a difesa scorsi le sembianze sgradevoli del satiro, il quale aveva fatto capolino da dietro la testiera del letto funebre su cui mio fratello giaceva. Lo scrutai, interdetto. Quello scherzo della natura accennò un saluto per poi svolgere una benda e cingerla attorno al volto di Aphrodite annodandogliela sul capo.

“Dimenticavi un particolare importante” spiegò, prima che riuscissi a farfugliare qualcosa.

Già, in effetti, non ricordavo tale accorgimento avesse lo scopo di mantenere serrata la mandibola prima del sopraggiungere del rigor mortis. Aveva ragione ed evitai di replicare, dopotutto non conoscevo le sue reali intenzioni quindi lo esortai, con un silenzio che doveva essere persuasivo, a fare il primo passo e darmi una spiegazione. Mi domandavo cosa volesse Sileno dal momento che il suo padrone ci aveva congedato dal proprio regno in virtù di una tregua, seppur pagata a caro prezzo con una grave perdita.

“Hai affrontato il dio Apollo con estremo coraggio, ma ciò non ti è stato riconosciuto” soggiunse. “Non sono affatto sorpreso.”

Adagiai il braccio, dal lato in cui cingevo una rosa, lungo il fianco. Sperai, in tal modo, di aver messo fine alla conversazione e mi avvicinai a mio fratello ponendogli il fiore tra le mani giunte in grembo. No. Questa volta Sileno non mi avrebbe persuaso fomentando risentimento verso le autorità che presiedevano il Grande Tempio. Silenzio.

“Sei una persona solare sotto la scorza labile con la quale ti fai scudo, proprio come una gemma racchiusa in uno scrigno. Aphrodite, invece, lo ricordo cinico e scostante... eppure hanno dato rilevanza solo al suo nobile gesto e ignorato il tuo altrettanto encomiabile. La stessa Athena non ne ha fatto menzione. Sui piatti della loro bilancia buone e cattive azioni hanno lo stesso peso se provengono da te.”

“Non me ne importa.” Gli risposi con falsa tranquillità, per poi chiedermi cosa mi avesse indotto a non perdere il controllo. Quell'essere era detentore di un curioso potere, di un'intrinseca propensione ad ammaliare, irretire, sedurre... istigare, ma al contempo sembrava del tutto esente da malvagità. Ci avrei scommesso, e di rado l'intuito mi ingannava. Il suo approccio amichevole confermava che Febo non avesse mai celato mire di conquista, in realtà, e il fine ultimo del dio poteva essere stato diverso. Ma quale, se non quello di soddisfare il capriccio di avermi trattenuto al suo fianco seppure per poco tempo?

“Ne sei proprio sicuro? Davvero non te ne importa nulla?” insisté, lisciandosi la barba ispida.

“Sì. Non nutro più alcuna ambizione, velleità, o speranza” deglutii nel vano tentativo di alleviare un senso di oppressione alla gola.

“Ma potresti ancora fare qualcosa. Diciamo, per...” replicò Sileno. “Essere almeno in pace con te stesso.”

In pace con me stesso? Lo fissai, probabilmente a occhi sgranati, ma lui si premurò di sviare il discorso, spesso faceva allusioni vaghe senza arrivare al nocciolo della questione ed era molto abile a instillare dubbi nella mia mente esasperata.

“Dimentichi ancora qualcosa, Santo di Libra” osservò, interrompendo la mia riflessione.

“Cosa?”

“L'obolo per il traghettatore dell'Ade.”

Sì, certo. “Giusto" rovistai nella scarsella appesa alla cintura ed estrassi due dracme che non sapevo di possedere, senza proferire verbo le soppesai avvicinandomi al corpo di mio fratello. Sfilai la rosa che poco prima gli avevo inserito tra le dita, deponendola sul petto, e mi premurai di porgli le monete in mano richiudendo le falangi sul palmo. Dopodiché alzai gli occhi e Sileno era già scomparso. Compresi di aver avuto una visione, ero così provato che dovevo essermi immaginato tutto.

In compenso avvertii un'energia alle mie spalle e nello stesso tempo udii alcuni passi, mi voltai scorgendo nell'ombra i volti di Asterion e di Algol: “Poteva finire diversamente” dissi incrociando il mio sguardo con il loro. Dopo alcuni istanti pervennero anche i Santi d'Oro...

“Credo tu abbia agito nel modo giusto a prescindere da cosa sostengono gli altri.” Il Santo di Canis Venatici mi pose una mano sulla spalla, Perseus annuì con un cenno degli occhi grigi che balenarono da sotto le ciglia e sembrò concordare con la sua affermazione.

Ti esprimi così perché sei un mio amico.

Non sapevo se volessero rassicurarmi, se agivano per amore della verità o cameratismo, ma nonostante il dubbio ero più che convinto si stessero rapportando con lealtà nei miei confronti. Ignorai la presenza di tutti gli altri, sperando che a loro volta non mi rivolgessero la parola, e mi congedai dai miei ex-commilitoni, volgendo loro le spalle per dirigermi in fretta verso l'uscita e col presentimento che non li avrei rivisti per qualche tempo. Mi imbattei in Saga, non appena giunto sulla soglia, ma il Santo di Gemini fu magnanimo nel rivolgermi uno sguardo conciliante e si fece da parte senza emettere alcun giudizio. “Grazie.” Gli dissi, e lui annuì con un sorriso blando.

I soldati mi aspettavano fuori dal Tempio, aveva smesso di piovere e un soffio d'aria gelida mi riscosse dal torpore: un quarto di luna faceva capolino attraverso le nubi diradate che ancora velavano il cielo, e lambì d'argento la distesa di rose abbarbicate alla scalinata di pietra come un rigagnolo di nero sangue. Erano splendide e vitali, malgrado il cosmo del Custode fosse ormai spento. Strano, mi dissi dopo aver constatato il fenomeno innaturale, ma l'estremità aguzza di una lancia puntata alla schiena mi spronò a distogliermi dai pensieri. Rilevai il piglio derisorio di quegli uomini i quali, con un ghigno sghembo e uno sguardo obliquo, mi scrutarono dalla testa ai piedi per poi distanziarsi senza provare a toccarmi. Li seguii docilmente fino all'ingresso del Tredicesimo Tempio, oltre il quale mi accompagnarono con mio sommo disappunto che malgrado tutto non palesai. La Sala delle Udienze era vuota, avvolta dalla penombra e fredda, trassi un sospiro constatando con sollievo che la convocazione si sarebbe tenuta a porte chiuse.

Giunsi ai piedi dei seggi preposti ad accogliere le autorità e mi chinai come al solito sulla passatoia cremisi, dopodiché scorsi la loro presenza: avevo fatto correre lo sguardo fino alla sommità delle scale con la sensazione di trovarmi al cospetto di due statue di marmo, o di sale, un tutt'uno col soglio che occupavano. Fissai la dèa con insistenza: dopotutto, lei stessa, aveva appurato la mia onestà e devozione nei suoi confronti, in teoria non avrei avuto nulla da temere... ma l'espressione del Sommo non esternava la stessa disponibilità al dialogo. Già, non si stava apprestando a ricevere il suo allievo prediletto, docile e perfettino... Era prevenuto nei miei riguardi ma saperlo onesto e imparziale mi rassicurava, in un certo senso, sebbene non potessi dirmi sereno a causa del trapasso di mio fratello.

“Si sarebbe preservata l'incolumità di un Santo d'Oro, e con un esito ben diverso della missione” interloquì Dohko. “Se non fosse stato per l'avventatezza di un altro.”

Ingoiai un bolo di saliva. Come? Mi sta accusando deliberatamente evitando di rendersi partecipe del mio dolore... Non replicai subito, soppesando con attenzione le sue parole in attesa ch'egli continuasse il discorso, ma tacque e la mia reazione fu inevitabile dopo la riflessione: “Incolumità?! Ma Aphrodite è...” Mi detersi il sudore dalla fronte.

“È in stato catatonico ed è il cosmo di Athena a preservarne le funzioni vitali” svelò il Sommo. “Lo hai lavato e vestito e nemmeno te ne sei accorto, razza di idiota. La tua superficialità è eclatante!”

Dovetti impallidire dallo sconcerto, ma la rivelazione riuscì a infondermi un briciolo di speranza, tanto da farmi sorvolare sull'invettiva crudele che in altre circostanze avrei considerato come un serio affronto.

“Non dovevi agire di testa tua.” Mi rimproverò alzandosi dal seggio, deponendovi elmo e mantello.

“In che senso?” replicai di rimando e senza riflettere.

“Nel senso che avresti dovuto consultarci prima di lasciare il Santuario di tua iniziativa, sentenziando cosa fosse giusto o sbagliato.”

“Non è stata una mia scelta.” Ravviai la solita ciocca di capelli che ricadeva davanti agli occhi, per poi avvolgere distrattamente uno dei legacci dell'uniforme attorno a un dito. “Non ho agito di mia iniziativa e voi lo sapete benissimo.”

“Non ci risulta tu sia stato trascinato con la forza alla corte del dio Apollo.”

“Nessuno lo ha trascinato con la forza, è vero, ma potrebbe aver agito per paura. È andata così, Santo di Libra?” S'intromise Athena, ma se avesse davvero intenzione di difendermi non era molto chiaro. Febo mi aveva messo in guardia, e ricordavo la nostra ultima conversazione durante la quale aveva avanzato dubbi sull'eventualità che credessero alla mia versione.

“Ho creduto di agire nel modo giusto” replicai, distogliendo l'attenzione dalla stringa avvolta tra le dita, per incontrare lo sguardo interrogativo della dèa e proponendomi di riuscire a interpretare quale fosse il suo reale pensiero. Tuttavia non trovai risposta.

“Invece il tuo gesto ha prodotto il risultato tipico di chi agisce mosso da individualismo, per tornaconto personale, e con la pretesa arrogante di operare a beneficio della comunità. È sempre bene agire in squadra, e non in solitario per poi pavoneggiarsi” insinuò Dohko, il quale si apprestò a lasciare il proprio scranno premurandosi di raggiungermi, e si stagliò torreggiando di fronte a me. “Non staremmo qui a dibattere sul tragico epilogo se solo tu avessi ponderato alcune scelte con discernimento.”

Mi levai in piedi – senza attendere l'ordine per farlo – allo scopo di pormi al suo stesso livello e sondare nei suoi occhi verdi: “Athena possiede un cosmo molto potente, superiore a quello di noi Santi, ma non è intervenuta...” affermai senza esserne realmente convinto, ma più per reazione istintiva al modo ingiusto in cui la seconda carica del Santuario si stava rapportando nei miei confronti.

Egli mi penetrò di rimando con lo sguardo, e nello stesso istante rovinai al suolo sopraffatto da un dolore sordo. Percepii un fluido caldo e dolciastro inondarmi la bocca, avevo la guancia sinistra in fiamme. Realizzai di aver suscitato la collera del Sommo del quale scorsi l'orlo dei paramenti dalla posizione in cui mi trovavo. Aveva disatteso la sua calma proverbiale colpendomi con un manrovescio.

“Dovrei farti fustigare a causa di ciò che hai detto, invece te la cavi così, a buon mercato, perché disapprovo l'utilizzo di certi metodi arcaici per imporre la disciplina.”

Certo, nonostante l'antipatia malcelata nei miei riguardi per aver sottratto l'armatura di Libra al suo discepolo Shiryu, Dohko era un uomo giusto e non era il caso disattendesse quella nomea proprio adesso... Guardai verso l'alto e soppesai di sottecchi quegli occhi ardenti velati da un'ira repentina e funesta, rendendomi conto della gravità di parole avventate, ma ormai non potevo più tornare indietro perché l'orgoglio me l'avrebbe impedito. Non avrei mai ammesso la legittimità della reazione del Sommo, una replica che trascendeva la sua pacatezza abituale a dire il vero. Preferii ingoiare il mio sangue anziché sputarlo davanti a lui, e poi mi riscossi con un battito di ciglia vedendo Athena assurgere; mi aspettavo si proponesse d'infierire a sua volta per averla chiamata in causa. Scese trafelata i gradini del trono.

“Non tollero si ricorra alla violenza.” La dèa redarguì Dohko, neanche si trattasse di un sottoposto d'infimo livello.

“Perdonatemi, milady. Non succederà più, è stato un imperdonabile accesso d'ira il mio.” Si scusò il Gran Sacerdote, neanche troppo dispiaciuto mi era parso di capire, dandomi le spalle dopo aver celato le mani nelle ampie maniche dei paramenti. “In quanto a te, in risposta alla tua ignoranza, sappi che uno scontro diretto tra divinità avrebbe comportato un evento catastrofico e il buonsenso di Athena lo ha scongiurato” chiarì ripiegando verso i gradini di pietra del seggio. Lo raggiunse, calcò l'elmo sul capo, e poi vi sedette sospirando.

Chinai la testa. L'umiliazione subita bruciava più dello schiaffo ma mi proposi di soffocare l'ultimo moto d'insofferenza... in realtà Athena aveva fomentato lo scontro con Febo – in cuor mio lo sapevo – e tuttavia non potevo sottolineare quel particolare benché desiderassi farlo.

I Santi fungono da capro espiatorio nella contesa tra gli dèi, così come lo sono i popoli in un conflitto tra i potenti che decidono le sorti del mondo.

Il peggio si sarebbe potuto evitare ma io non avrei mai avuto facoltà di presagirlo.

Non ho il dono della preveggenza.

Infine fui vinto dall'impeto di ribellione e, malgrado la sensazione di nausea causatami da un capogiro, ebbi la forza di levarmi in piedi girando sui tacchi per avviarmi in direzione del portale a doppio battente. Ma le guardie furono solerti a precedermi sovrapponendo le picche per sbarrarmi il cammino. In realtà non c'erano vie di fuga.

“Dove credevi di andare?” Mi redarguì Dohko, che dal tono di voce intuii avesse ritrovato la calma.

Non replicai perché quanto accaduto suggellava per me la morte di ogni ambizione.
Non voglio più essere un Santo di Athena... cancellate la mia memoria ed esiliatemi.

Udii alcuni passi alle mie spalle e una pacata esortazione la quale suonava come un ordine: “Voltati.”

Chiusi i pugni e le unghie si conficcarono nei palmi, mi tremavano i polsi, ma serrai le palpebre e inspirai lentamente. Obbedii con riluttanza alla gentile richiesta di Saori. In passato ero stato sempre ligio alle regole, anche le più ferree; ma qualcosa stava cambiando dentro di me o forse era già mutato. Come una corda tesa al parossismo che inevitabilmente si spezza.

 

 

 
   
 
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