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Autore: FalbaLove    03/08/2020    1 recensioni
Raccolta di One shots con protagonista Shiho Myano e i vari personaggi della serie in un ipotetico futuro in cui l'Organizzazione è stata finalmente sconfitta.
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[Dalla prima storia]
Due mani ghiacciate e pallide sfiorarono con bramosia la sua pelle del collo per poi stringere con forza: Shiho deglutì a fatica sentendo il fiato venirle meno mentre la vita pian piano si allontanava sempre di più dal suo corpo. Un strano rantolio uscì dalla sua bocca carnosa e due occhi color ghiaccio si iniettarono di eccitazione aumentando sempre di più la stretta sul suo collo.
-No!- l’urlo straziante di Shiho rimbombò forte per tutta la residenza squarciando un silenzio malato. La scienziata si guardò impaurita intorno mentre percepiva chiaramente il sangue pompare forte nelle tempie.
-Era solo un incubo- sibilò la scienziata lasciando che i suoi occhi scrutassero il suo stravolto riflesso allo specchio. La sua pelle candida aveva fatto posto a un pallore malsano mentre i suoi occhi ,stanchi e ancora impauriti, erano contornati da profonde occhiaie violacee che le regalavano un aspetto quasi cadaverico. Ma a Shiho tutto questo non importava, il solo sapere che questa era la realtà la faceva sentire incredibilmente leggera e viva.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Rei Furuya, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Tooru Amuro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia batteva forte, talmente forte che le foglie degli alberi parevano ballare una lenta melodia; grondava incessante scivolando via veloce, come calde lacrime sulle gote rosate. La gente correva a perdifiato alla ricerca del più piccolo riparo mentre tutto intorno era rumore, tutto batteva.
Solo una persona sembrò non farci caso e continuò la sua incessante camminata.
I capelli corvini, completamene zuppi, ricadevano scompigliati sulla sua fronte creando uno strano contrasto con il verde brillante dei suoi occhi assorti. I suoi piedi seguivano un ritmo ben preciso e incalzante e non esitarono neanche quando si trovarono di fronte a delle profonde pozzanghere: poi, ad un certo punto, la figura incappucciata di nero parve fermarsi. Si passò una mano sulla fronte, poi sugli occhi che si stroppiò due volte come se non si capacitasse di aver già raggiunto la sua meta.
Intanto la pioggia continuava a battere incessante offuscandogli la vista.
Con fare sicuro l’uomo allungò una mano aprendo il cancello e venendo circondato da quel luogo oramai troppo familiare: riprese a camminare mantenendo lo sguardo basso, dopotutto oramai conosceva amaramente alla perfezione ciò che lo circondava. Tutto attorno a lui era silenzio, emblema di un posto come quello, e solo il forte battere della pioggia sul freddo cemento scandì i passi svelti dello sconosciuto. Una solitaria goccia scivolò sulla guancia dell’uomo che parve finalmente accorgersi di essere completamente zuppo: lentamente alzò il capo osservando il cielo nuvoloso e privo di qualsiasi spiraglio di luce. Una miriade di altre goccioline batté sulla sua pelle olivastra e lui si limitò a socchiudere gli occhi serrando le labbra in un amaro sorriso: quel contatto, così freddo e fugace, riuscì finalmente a risvegliare la mente dello sconosciuto dai suoi pensieri malati riportandolo alla realtà. Come un automa percorse gli ultimi passi abbassando nuovamente lo sguardo e rifugiando le mani gelate nelle tasche dei pantaloni: le sue dita distrattamente sfiorano un pacchetto di sigarette, ma finalmente un sospiro scandì il raggiungimento della sua meta.
Non parlò, tra di loro non erano mai servite le parole, mentre il dolce sorriso della ragazza nella foto venne riflesso sulle sue iridi verdi: Akemi Myano era una ragazza come tante, dai tipici tratti giapponesi, che molti avrebbero considerato bella, ma che ai suoi occhi risultava stupenda. Con stizza Akai serrò le labbra lasciando trasparire dal suo volto provato tutto il dolore che attanagliava le sue stanche membra. La pioggia intanto aumentò ancora di più la sua intensità creando un illusionistico vetro tra la figura e la fredda lapide e Akai ebbe quasi la sensazione che, allungando semplicemente la mano, avrebbe potuto nuovamente affondare le dita tra i suoi morbidi capelli castani.
 Si schiarì la voce lasciando trasparire sul suo viso  provato una smorfia amara, ma non parlò, tra di loro le parole erano sempre state superflue: alla ragazza, quando era ancora in vita, bastava solo una fugace occhiata tra le sue iridi verdi per leggere l’anima dell’agente dell’FBI.
Cinque anni, era questo il tempo che era passato dall’ultima volta che aveva affondato le sue callose dita tra la sua morbida chioma, dall’ultima volta che aveva fatto scorrere i polpastrelli sulle sue gote pescate, dall’ultima volta che le aveva detto di amarla. Di fronte a questi pensieri così dolorosi, ma allo stesso tempo carichi di un calore che gli alleggeriva il cuore, Shuichi serrò i pungi lungo i fianchi con decisione: era inutile lasciarsi andare a questo genere di sentimentalismi, i mostri che le avevano strappato la vita oramai avevano avuto la fine che meritavano eppure non era servito a niente, non era servito a riportare lei da lui, non era servito ad alleviare quel senso di colpa che ancora pesantemente alleggiava nel suo cuore. Perché Akai Shuichi aveva commesso tanti errori nella sua vita, ma questo era stato il più grave di tutti.
Lentamente una solitaria lacrima sfuggì dal suo controllo mischiandosi alla pioggia e lasciandogli quasi l’illusione di non essersi sfuggito la consapevolezza della sua debolezza. Quasi come un automa si abbassò per posare a fianco della lapide una solitaria rosa bianca che sfiorì con stizza per colpa dello scosciare incessante: un amaro sorriso comparve sul suo volto provato alla vista di quei petali martoriati, ma non fece niente.
Improvvisamente dei solitari passi si fecero sempre più vicini, ma non sembrarono turbare affatto la figura incappucciata che malamente sollevò il colletto della giacca. I suoi occhi verdi continuarono a fissare incessantemente il volto sereno di Akemi come volessero assicurarsi che il suo sorriso non sarebbe potuto sfuggire dalla sua memoria.
-Me ne stavo andando- mormorò l’agente dell’FBI senza muovere neanche un muscolo, ma non percepì alcuna sorpresa nella figura che si era fermata a pochi passi da lui: qualsiasi altra persona si sarebbe meravigliata di essere riconosciuta senza contatto visivo, ma non lei, lei che rimase immobile lasciando che la pioggia sbattesse con violenza sul suo ombrello nero.
Poi, silenzioso come era venuto, riprese la sua incessante camminata ripercorrendo la piccola stradina che oramai conosceva molto bene i suoi passi: non la guardo né le parlò così come lei gli aveva chiesto. Per un attimo si domandò se, anche in piccola parte, facesse male anche a lei.
-Aspetta! - la sua voce squarciò in un istante il silenzio di quel luogo: Akai però non si fermò come se dubitasse che quella parola provenisse proprio da lei.
-Aspetta- mormorò nuovamente lei perdendo per una volta la compostezza che caratterizzava il suo tono di voce. E finalmente Shuichi si fermò.
-Non andare- questa volta le parole le uscirono con bramosia come se sapesse che da un momento all’altro si sarebbe pentita. L’agente dell’FBI percepì chiaramente il fastidioso rumore della ghiaia venir schiacciata dal peso della ragazza, ma non sembrò capacitarsene fino a quando il suo calore non lo avvolse, fino a quando il suo profumo, lo stesso profumo di lei, non inebriò l’aria circostante, fino a quando un ombrello nero non coprì la sua figura lasciando che la pioggia martellante cessasse di martoriare la sua figura e liberandolo di un peso che neanche lui si era accorto di avere.
-Puoi restare, se vuoi- continuò la ramata sfiorando la sua mano fredda e in quel momento Akai si domandò se riusciva ancora a ricordare cosa si provasse a percepire il calore umano di qualcuno mischiarsi con il proprio, ma non ci fu bisogno di domandarsi altro: le dita di Shiho scivolarono tra le sue sicure come a volergli dire che se lui non si ricordava più cosa volesse dire amare non era un problema perché sarebbe bastata lei per entrambi.
E così fu.
   
 
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