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Autore: MC_Gramma    04/08/2020    0 recensioni
In tre anni gli erano passati tanti corpi sotto gli occhi e tra le mani, nessuno gli era mai interessato al di là della fedele riproduzione su carta eppure, appena l’aveva vista entrare, la domanda era sorta spontanea: «Chi è quella?» tuttavia si era imposto di non darle voce e gli era rimasta incastrata in gola, procurandogli un fastidioso grattino.
Sapeva benissimo che era la sostituta...

Hunter Clarington e Marley Rose si incontrano così: lui studente della succursale di belle arti, lei modella di nudo. Le loro vite si intrecciano, in classe e fuori, ma si congiungeranno in un'unica strada o sarà solo un susseguirsi di incroci?
(Nota sul titolo: equivale al nostro "col senno di poi", 2020 è il modo inglese per dire dieci decimi. Non fatevi trarre in inganno!)
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Blaine Anderson, Hunter Clarington, Marley Rose, Rachel Berry, Wesley Montgomery | Coppie: Blaine/Rachel
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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A/N: ci tengo a precisare che per il letto di Hunter mi sono ispirata a quello di mio cugino, che si ruppe quando il suo cucciolo di ottanta chili gli saltò in braccio e vi finirono entrambi violentemente sopra... però non ho ancora deciso le esatte dinamiche in questa storia, sono aperta a suggerimenti purché siano fantasiosi e non banali!

 

 

 

N’est pas l’épouse légendaire
N’est pas plus Elsa que Gala
D’un génie la muse ordinaire
La Jeanne n’en fut pas moins là
Jeanne n’en fut pas moins là

(Véronique Pestel - Jeanne Hébuterne)

 

 

Iniziò a delinearsi uno schema nei loro incontri: Hunter preparava il tè e, in base alla tazza che le metteva davanti, Marley cercava di indovinare cosa avesse in serbo per lei.

L’associazione ceramica orientale/assenza di coinquilini venne automatica! La porcellana inglese suggeriva che le avrebbe affiancato una delle bambine in vaso: per il momento la sua preferita restava la calathea medallion, ma aveva preso in simpatia anche il piccolo ficus elastica variegata. Il servizio d’argento venne usato una volta soltanto, tanto bastò perché legasse lo scintillio delle tazze appena lucidate (da Wes) al lampo di dispetto che rese ancora più brillante il verde degli occhi di lui.

Perciò, quando le presentò una tazza grande con manico, comoda da portare in giro, munita di scomparto per biscotti, Marley capì che stava per essere ammessa nella sua tana da artista. Infatti sembrava più uno studio che una camera!

Il letto era buttato in un angolo, non aveva testiera e nella parte finale i piedini avevano ceduto. Hunter aveva ovviato il problema sostenendo la struttura con tre pile di voluminose enciclopedie rilegate. Soluzione tanto pratica quanto bohemien! Altri libri erano schierati sulla cassettiera e impilati sul pavimento vicino alla poltrona di pelle che le piaceva tanto. Non gli chiese se lo spostamento fosse temporaneo, dettato dall’occasione, né se l’avesse fatto appositamente per lei. La scrivania era invasa da barattoli di vetro pieni di pennelli, matite e pennarelli, poi c’erano scatole di pastelli, acquarelli, colori a tempera, colori ad olio… colori ovunque tranne sulle pareti.

“Hai imbiancato i muri di recente?”

“No, perché? C’è odore di pittura?” le chiese di rimando, aprendo la basista per arieggiare.

Un collage, formato da ritagli di opere più o meno famose, ricopriva interamente le ante della cabina armadio. Non sembrava esserci un ordine, cronologico o di stile, però riuscì a distinguere due gruppi ben definiti: da una parte c’erano dettagli di mani, a riprova della sua ossessione, dall’altra particolari di ali d’angelo e il punto di congiunzione era un quadro di Hamilton. 

Per la prima volta Marley notò la delicatezza del movimento delle braccia, vuoi perché la scena era zoomata sul gesto di Eros nel trarre a sé la sposa Psiche, tagliando lo sguardo del dio greco che le era sempre parso un tantino morboso.

Subito sotto, il dettaglio di un’altra scena attirò la sua attenzione. Si trattava del busto (senza testa) di una dama elegantemente vestita che reggeva davanti al corpetto un fiore bianco. C’era anche un altro paio di mani, nell’angolo in basso a sinistra, non riuscì a stabilire se appartenessero a un uomo o a una donna.

“Sei proprio fissato con le mani! E coi fiori. Non sarà anche per questo che insisti a chiamarmi Rose?”

“No.” fu la risposta secca.

Marley decise di non insistere sulla questione, tirò fuori le dispense e si lasciò cadere sulla poltrona. A volte Liz le permetteva di tenere il telefono, soprattutto se la posa era sdraiata, tuttavia quando era a casa di Hunter preferiva studiare per mettersi in pari. Lui le aveva fatto capire che non gli dispiaceva anzi, preferiva se teneva qualcosa in mano. In bocca a chiunque altro quelle parole sarebbero state un campanello d’allarme ma aveva ormai appurato che non c’era nulla da temere, né da lui né dal suo coinquilino. 

Smaltito il jet lag Wes si era trasformato nell’essere più garbato che avesse mai conosciuto: non mancava mai di invitarla a pranzo o a cena, a seconda di quanto si tratteneva, e non sembrava offeso dai suoi continui rifiuti. Le era sembrato di approfittare della disponibilità dei due ragazzi, stava pur sempre lavorando… ma questo era stato prima che Hunter le chiedesse se poteva dedicargli un po’ del suo tempo nei giorni di festa. Era perfetto, perché non avrebbe dovuto inventare scuse con sua madre! 

La telefonata di Sebastian interruppe la sua concentrazione ma non sentì il bisogno di rispondere, era un piacevole sottofondo dal momento che non stavano ascoltando musica.

“Non rispondi nemmeno questa volta?” domandò Hunter dabbasso “Vivaldi potrebbe offendersi se continui a ignorare i suoi inviti.”

Marley emise uno sbuffo e si sistemò meglio sulla poltrona.
“Non farmi ridere...”

“Perché? Hai una bella risata.”

“Devo stare ferma, è per questo che mi paghi.”

“Non essere così rigida, Rose.” 

“Sei davvero spiritoso!”

Il suo sorriso si allargò mentre continuava a guardarla dal basso verso l’alto. Marley non si capacitava che la stesse guardando così. Di nuovo. E da quella posizione poi!

“Come fai a stare in ginocchio sul pavimento?”

“Abitudine.”

“Sembri quasi un... ”

“... un samurai?” concluse Wes, entrando senza bussare “Glielo dico sempre anch’io.”

Quello che stava per dire era «un pastore in adorazione dell’angelo» ma non lo corresse anzi, lo ringraziò mentalmente per averla interrotta. Meglio non fornire suggerimenti con tutte quelle ali in giro!

Hunter male interpretò la sua espressione, rimproverò aspramente il coinquilino per non aver bussato e ne seguì un piccola discussione. Nella lingua madre del matematico. Marley si sarebbe messa a ridere se non fosse che sembravano per venire alle mani! Wes doveva aver detto qualcosa di veramente offensivo perché Hunter era scattato in piedi - rischiando di giocarsi un legamento o due - e gli si era avvicinato con fare minaccioso. Parlava veloce, come facesse Wes a capire era un mistero.

In mezzo a quella cantilena Marley riuscì a distinguere due nomi: Fillide Melandroni e Gala Èluard. La prima non le diceva niente, la seconda invece… 

Wes sollevò una mano, in un chiaro segno di resa, e con l’altra gli porse la custodia di un CD. Hunter parve calmarsi e accettò il dono di pace. Si scambiarono ancora qualche parola mentre lei cercava di non ridere per la loro ridicola cadenza.

“Spero non ti sia offesa, Marley!” esclamò Wes, prima di congedarsi “Resti per cena?”

Fece del suo meglio per darsi un contegno prima di rispondere. Aveva già deciso, in previsione della consueta richiesta, ma non c’era ragione di farglielo sapere.

“Con molto piacere!”

Entrambi la fissarono con diversi gradi di stupore. Hunter fu il primo a riprendersi, mentre un elettrizzato Wes si informava su eventuali allergie o semplici preferenze, e si diresse al vecchio stereo abbandonato nell’angolo più in ombra della camera.

“Oh, ti prego, no… Perché devi subito riprendere a torturarmi?!”

Lui non considerò minimamente le lamentele del coinquilino e premette il tasto play, mettendolo in fuga.

Marley provò a chiedergli cosa si erano detti ma venne zittita. Lo osservò, lì accucciato che si teneva le gambe, come un bambino autistico. Decise di trattarlo alla stessa maniera e tornò alle sue dispense, mentre il rumore di fondo veniva sostituito dalle note di una chitarra. Di nuovo, non capì una parola! Tuttavia il cantante giapponese - la differenza di pronuncia era abissale - aveva una voce che toccava il cuore e, di nuovo, non le fu difficile intuire il contesto.

“Perdonami, erano anni che non la ascoltavo…” disse a traccia conclusa, rialzandosi “I ragazzi decisero all'unanimità di requisirmelo.”

Le sembrò assurdo impedire a qualcuno di ascoltare la propria musica e, una volta di più, ringraziò di non aver mai coabitato con nessuno.

“Cosa volevi sapere?”

“Mi chiedevo chi fosse… Filli-qualcosa.”

“Fillide Melandroni, una delle modelle del Caravaggio.”

“E qual è il nesso con la moglie di Salvador Dalì?”

“Erano entrambe la principale fonte di ispirazione per il rispettivo artista.”

“E perché le hai tirate in ballo con Wes?”

“Dovevo mettere in chiaro le cose anche con lui.”

Il discorso era tutto fuorché concluso ma lui aveva recuperato matita taccuino ed era già tornato al suo posto. 

Marley continuò a pensarci, tenendo le dispense solo per far scena: di Dalì sapeva soltanto quello che lo accomunava a Van Gogh, il fatto che entrambi fossero nati per rimpiazzare un fratello morto e ne portassero il medesimo nome; Caravaggio, d’altra parte, doveva sentire il peso del chiamarsi come il maestro Buonarroti. Hunter però non aveva parlato di loro, aveva tirato in ballo le donne dietro gli artisti. 

Le venne da ridere. Era talmente assurdo!

C’era stato un momento in cui si era illusa di essere la Jeanne del suo Modì, almeno sulla scena. Compresa la cruda verità - che nessuno è insostituibile e lo spettacolo deve continuare - si era sentita meno di niente e adesso che aveva accettato quel ruolo miserabile arrivava lui, metà artista e metà fighter, a eleggerla sua musa ispiratrice.

“È questo che sono per te?” domandò, incapace di trattenersi “Una specie di fertilizzante per la tua arte?”

Hunter la guardò e per la prima volta lei si sentì una tigre nella giungla dei suoi occhi.

“Ti pare poco?”

Il suo cellulare riprese a suonare e appena registrò il movimento centrale, largo e cantabile, Marley si rese conto che questa volta ignorare la chiamata non era una scelta opinabile.

  
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