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Autore: destiel87    04/08/2020    6 recensioni
“Tesoro, forse se glielo chiedi, Sherlock ti aiuterà a trovare Hoppy. E’ davvero bravo a trovare le cose scomparse sai?” Disse John, dandole un bacio sulla testa.
“Davvero sei bravo?” Chiese Rosie, tirandogli la cravatta.
“Il più bravo di tutti.” Ammise Sherlock.
“Allora puoi trovare Hoppy? Per favore pap…” La piccola si bloccò.
“Io non sono…” Sussurrò lui, spostando lo sguardo verso il camino, senza riuscire a finire la frase.
Non ne avevano mai parlato, non ufficialmente almeno.
Ma Rosie dopotutto, era cresciuta con entrambi.
Quello che più odiava Sherlock, era che pur sapendo interpretare le persone e le loro emozioni, non era in grado di fare niente per farle stare meglio.
Però c’era una cosa che poteva fare, almeno in quella occasione, per farli felici entrambi.
“E va bene, troverò Hoppy.” Disse alla fine, con un mezzo sorriso.
“Sii!” Urlò Rosie, saltandogli in braccio.
John sorrise. Era uno di quei sorrisi caldi e sinceri, che Sherlock amava.
Per quanto lo indispettisse ammetterlo, quando John lo guardava in quel modo, con gli occhi che brillavano, lo faceva sentire bene. Più che bene, in realtà.
“Bene, andiamo allora, il gioco è…” Disse guardando Rosie, con l’aria complice.
“Iniziato!” Urlò lei.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Presente
 
“Papino, mi racconti la storia della buonanotte?” Chiese Rosie, abbracciando il suo coniglietto azzurro.
“Certo tesoro, che storia vuoi sentire?” Gli rispose John, rimboccandogli le coperte.
Lei s’illuminò subito, e John ebbe il presentimento di conoscere già la risposta.
“Lo strano caso del coniglietto scomparso!” Disse tutto d’un fiato, saltellando sul letto.
John guardò la piccola Rosie, accoccolata sotto le coperte, con i capelli che le ricadevano sulla fronte.
Doveva proprio decidersi a tagliarglieli, si disse. Solo che l’ultima volta non era andata proprio benissimo, e Sherlock gliel’aveva rinfacciato per quasi tre settimane.
John glieli spostò delicatamente dalla fronte. Aveva i capelli biondi della madre pensò, mentre gli occhi azzurri gli aveva presi da lui. Ma il carattere, quello l’aveva preso tutto da Sherlock, e di questo John, ne era ogni giorno più convinto.
“Ti piace proprio quella storia vero?”
“Si, è la mia preferita di quando ero piccola.” Disse lei tutta sorridente.
“Ah giusto, perché adesso sei grande.”
“Sherlock dice di si.” Annuì  decisa lei. “E lui ha sempre ragione.”
John sentì una risata famigliare, e alzando gli occhi notò una figura, appoggiata allo stipite della porta. Sorrideva, con le braccia incrociate, e  uno strofinaccio da cucina sulla spalla.
“E dimmi un po’ visto che sei così grande, mi fai vedere quanti anni hai?”
Lei alzò la manina, alzando prima tre e poi quattro dita, sorridendo soddisfatta.
“E va bene, chiudi gli occhi allora...”
Lei obbedì, stringendo a sé il coniglietto.
“Tutto iniziò un piovoso giorno di settembre, nel salotto di Sherlock Holmes. Sherlock era intento a meditare seduto sul tappeto, circondato da vecchi ritagli di giornale, quando qualcuno bussò alla porta... ”

 
 
1 anno prima

 
Sherlock sapeva già chi stava bussando alla porta, per questo non rispose.
“Sherlock, non ha sentito che stavo bussando?” Disse lei, entrando nella stanza con un vassoio in mano.
“Certo che l’ho sentita signora Hudson, stavo cercando di ignorarla.” Rispose lui, con gli occhi ancora chiusi e la postura concentrata.
“Oh cielo, ma che cosa sta combinando con tutti questi giornali?” Esclamò meravigliata lei, appoggiando il the sul tavolino.
“Signora Hudson, sono troppo impegnato per intraprendere questa conversazione, quindi se non le dispiace…”
“Ero venuta a dirle che ha un cliente.” Sbottò lei, vagamente infastidita.
“Un cliente?” Esclamò Sherlock, aprendo gli occhi.
“Si, proprio fuori dalla porta.”
“Le avrò detto, approssimativamente 320 volte, di non far salire nessuno senza il mio permesso.”
“Ma ha insistito tanto, ha detto che  è un caso di grande importanza.”
“Ah si?” Esclamò lui, improvvisamente interessato.
“Si, sembrava davvero preoccupato, quel pover uomo.” Disse lei, con lo sguardo rammaricato.
“E va bene, lo faccia entrare.”
La donna annuì, dirigendosi verso la porta.
Fu allora, che l’uomo entrò.
“John?” Esclamò lui perplesso.
“Sherlock!” Rispose l’altro, con un mezzo sorriso.
Lui lo squadrò qualche momento, interdetto.
“Che sta succedendo qui?  Tu non sei un cliente!”
“Oh si che lo sono invece. Ho un caso da sottoporti. Perciò, adesso mi siederò qui, ti racconterò la mia triste storia, e tu mi aiuterai.” Disse, sedendosi sul divano.
“Continuo a non capire. Vivi qui, potevi parlarmi in qualsiasi momento, senza mettere in scena questo spettacolo.” Rispose Sherlock, incrociando le braccia.
“L’ho fatto, per ben due volte. Ma a quanto pare, l’unico modo che ho per farmi ascoltare è sedermi qui e sottoporti un caso.”
“Adesso non fare il melodrammatico, John.” Sbottò Sherlock, avvicinandosi a lui.
“D’accordo, questa mattina ti ho chiesto qualcosa che riguardava tua madre. Cos’era?”
Sherlock s’irrigidì. “Questo è un colpo basso.” Disse, con un sospiro seccato.
“Allora, vuoi aiutarmi o no? E’ una faccenda di vitale importanza. Non abbiamo molto tempo.”
Il sesto senso di Sherlock si attivò, unito a piccoli e famigliari brividi di piacere.
“Dimmi tutto, ma mi raccomando, mi servono  i dettagli. Non tralasciare niente.”
John fece un profondo respiro, raccogliendo i pensieri.
“Ho perso Hoppy.” Disse tutto d’un fiato.
“Tu cosa?” Rispose Sherlock, perplesso.
“L’ho perso, questa mattina. E’ una tragedia Sherlock, Rosie non ha smesso di piangere. Alla signora Hudson sta per venire una sincope.”
“John, onestamente, mi stai prendendo in giro? E’ uno di quelli scherzi che non capisco mai?”
“Sherlock, dico sul serio, senza quel dannato coniglio non sopravviveremo alla notte.”
“Ok punto primo, la situazione non è così tragica come cerchi di farla sembrare. E punto due, tu non sopravviverai. Io ho il sonno pesante.” Rispose, con un sorriso di sfida.
John sorrise a sua volta, raccogliendo la sfida.
“Allora facciamo un nuovo gioco: Se non dormo io, non dormi neanche tu.”
Sherlock rimase in silenzio qualche istante, soppesando la reale minaccia.
“Ti stancherai prima o poi. Devo solo resistere, finché non crolli.”
John sospirò, annuendo mestamente.
 “Ti sto chiedendo di fare una cosa per Rosie, che in questo momento sta piangendo al piano di sotto.”
Sherlock sospirò a sua volta, abbassando appena le spalle.
“Ti sto chiedendo, di fare qualcosa per me. Puoi concederci qualche minuto del tuo prezioso tempo, almeno di tanto in tanto?” Chiese a voce bassa, con gli occhi stanchi.
“Sensi di colpa eh, John? Furbo, molto furbo…” Sussurrò Sherlock, tra sé e sé. “Ma fuori luogo, visto che proprio tre giorni fa vi ho accompagnati allo zoo. E la cena dai miei? Io non volevo neanche andarci, sei stato tu obbligarmi. Per non parlare del fatto che la settimana scorsa c’è stato quel ridicolo incontro genitori insegnanti all’asilo. Sai a cosa stavo lavorando, prima che tu mi prendessi letteralmente per una manica, trascinandomi lì?”
“E di chi è la colpa, se siamo dovuti andare a parlare con mrs. Ferguson?”
“E’ stato un semplice incidente di calcolo, te l’ho già spiegato.” Esclamò Sherlock, alzando gli occhi al cielo. “Assolutamente impossibile da prevedere!”
“E va bene, Sherlock. Mi costringi ad usare l’artiglieria pesante.”
Sherlock inarcò il sopracciglio. “Che vuoi fare?”
John si alzò di scatto, aprì la porta di casa e uscì.
Sherlock stava ancora rielaborando i suoi pensieri, quando lui tornò, e questa volta non era da solo.
Aveva davvero sfoderato l’artiglieria pesante.
L’artiglieria pesante aveva due codini biondi, e gli occhi azzurri.  Indossava un vestito rosso con una grossa tasca nel centro, con due orsacchiotti che facevano da bottoni, e li stivali da pioggia gialli.
Prima che potesse dire qualcosa, si ritrovò addosso la piccola Rosie, che tirava su con il naso, con gli occhi impastati dalle lacrime e le guancie rosse.
“Non funzionerà.” Disse Sherlock, senza farsi intimidire.
“Devi solo guardarla e dirle che non cercherai Hoppy. Coraggio, se ci riesci ti lascio andare.” Disse John, seduto sul tappeto, con la piccola in braccio.
“Hoppy… Hoppy…” Disse lei tra i singhiozzi, strofinandosi gli occhi con le manine.
“Rosie ascoltami, sei una bambina intelligente.” Disse, prendendole le mani. “Quindi devi solo pensare che il tuo coniglietto è solo un pezzo di stoffa, ne possiamo comprare un altro uguale. Anche più grande se vuoi. O di un altro colore.”
In tutta risposta Rosie scoppiò in un pianto disperato.
Sherlock abbassò la testa, sconfortato. John lo guardava, rimproverandolo con lo sguardo.
“Non vorresti giocare mr poke? O con Sunny, che ti piace tanto? Oh e c’è anche muffin, adoravi giocare con lui.” Sherlock fu quasi stupito, di ricordarsi i nomi dei suoi peluche. Non perché non ne fosse in grado, ma perché le aveva sempre ritenute informazioni inutili, che occupavano spazio della sua memoria. Ma in effetti, non faceva fatica a ricordare tutte le volte che ci aveva giocato con lei.
Una volta avevano perfino preso il the tutti insieme, anche se cercava di dimenticarsene.
“No, voglio Hoppy…” Disse la piccola, tirando su con il naso, mentre cercava il viso di Sherlock con le mani. “Mi manca tanto…”
“Può capire a volte, di perdere qualcuno sai? Ma bisogna andare avanti e…”
La piccola ricominciò a piangere, e John a sospirare.
Sherlock sentiva il suo sguardo deluso, che lo trafiggeva da parte a parte.
Il pianto disperato di Rosie, che gli martellava nelle tempie.
Non poteva sopportare oltre.
“E va bene, adesso basta.” Esclamò, cercando di alzarsi. “Non ho tempo per queste cose.” Aggiunse, cercando di scrollarsi di dosso quel fastidioso senso di colpa.
“Non ci provare nemmeno!” Disse John, muovendosi a sua volta per bloccargli la fuga.
Sherlock fece qualche tentativo per svincolarsi, senza successo, mentre Rosie rideva entusiasta.
John invece aveva quel sorriso a metà tra il divertito e lo spazientito, che di solito portava guai.
Provo un’ultima volta a tentare di svincolare a destra, finché John non gli si sedette sopra, impedendogli di muoversi una volta per tutta.
Sherlock rimase per qualche istante considerevolmente confuso, osservandolo.
“Ti sei reso conto di essere seduto sulle mie… Mmh. Gambe.”
“A mali estremi, estremi rimedi.” Rispose l’altro, facendo spallucce.
Rosie sorrideva, giocherellando con la cravatta nera di Sherlock.
“Tesoro, forse se glielo chiedi, Sherlock ti aiuterà a trovare Hoppy. E’ davvero bravo a trovare le cose scomparse sai?” Disse John, dando un bacio sulla testa della piccola.
“Davvero sei bravo?” Chiese lei, tirandogli la cravatta.
“Il più bravo di tutti.” Ammise, non riuscendo a contenere il suo orgoglio.
“Allora puoi trovare Hoppy? Per favore pap…” La piccola si bloccò.
“Io non sono…” Sussurrò lui, spostando lo sguardo verso il camino, senza riuscire a finire la frase.
Sentiva quella pungente sensazione allo stomaco, che accompagnava sempre quella conversazione. 
Non era la prima volta che succedeva, e ogni volta si creava una strana atmosfera tra Sherlock e John. Avvertivano entrambi la tristezza  e la confusione della bambina, senza sapere come fare per risolvere la questione.
Non ne avevano mai parlato, non ufficialmente almeno.
Ma Rosie dopotutto, era cresciuta con entrambi.
Entrambi l’avevano cullata, sulla poltrona del salotto, in cucina, vicino alla finestra.
Entrambi avevano cantato per lei, quando le coliche si facevano sentire.
Anche se Sherlock si rifiutava di ammetterlo.
L’avevano tenuta in braccio nelle lunghe notti insonni, quando proprio non ne voleva sapere di dormire.
John le faceva dei massaggi alla pancia, o le raccontava delle storie, quelle che aveva condiviso con Sherlock.
Riadattandole ovviamente, ad una versione per bambini.
Sherlock le suonava il violino,  a volte per ore e ore, finché non si addormentava.
Le avevano dato il biberon, dopo svariati tentativi per misurare la temperatura, e una successiva formula matematica.
Le avevano cambiato approssimativamente, 45.790 pannolini.
Sherlock insisteva che li aveva contati, anche se John non ci credeva.
Dopo i primi, disastrosi e terrificanti tentativi, si erano muniti di tutta l’apparecchiatura necessaria: Guanti in lattice, occhiali protettivi, camice, e mascherina chirurgica. Erano diventati parecchio efficienti, negli ultimi tempi.
Le avevano fatto il bagnetto, giocando con paperelle gialle insieme a lei.
O con le astronavi, come faceva Sherlock. Gli piaceva fingere di essere in missione sull’Enterprise.
Le avevano preparato  da mangiare, a tutte le ore del giorno e della notte.
Compito non facile, ingrato, buffo ed estenuante al tempo stesso. C’era voluto un bel po’, prima di capire quale pappe le piacevano, e quali finivano sul pavimento, sul soffitto, sulle camicie appena lavate, e sui capelli. Sherlock non ricordava nemmeno la quantità di volte, cosa rara per lui, in cui era finito ricoperto di omogeneizzati, e le volte in cui Rosie si era conciata ancora peggio di lui.
Ma ricordava che ogni volta, John era arrivato con un panno, per pulirli entrambi con un sorriso, nonostante le loro energiche proteste.
Sherlock si oppose drasticamente, a tecniche ridicole come l’aeroplanino, come faceva John.  Tentava di invogliarla a mangiare, con piccoli trucchi di magia, che col tempo, ebbero l’effetto desiderato.
Con entrambi Rosie aveva giocato e riso, tanto che per lei non c’erano differenze tra di loro.
L’unica differenza è che il papà era più dolce con lei, le cantava canzoni, la faceva ballare insieme a lui. Le dava sempre tanti bacini, la rincorreva per casa con un mantello da superman e giocava a nascondino al parco. A volte diventava il mostro del solletico, ma solo per finta. Sherlock, le mostrava le stelle, raccontandole i loro nomi e le storie che avevano. A volte giocava con lei a scacchi, anche se in una versione un po’ diversa dal solito, in cui i pedoni avevano le spade laser. Ma quando era da solo con lei, cambiava. Si lasciava andare, togliendosi la pesante maschera dell’investigatore Sherlock Holmes. Fingeva di bere il the che lei gli preparava, faceva le voci buffe quando le raccontava le favole della buonanotte, e inventava sempre nuovi giochi ed indovinelli. A volte la portavano allo zoo e lui le insegnava i nomi degli animali, mentre John le faceva i versi. Altre volte Sherlock disegnava una mappa, e così andavano insieme a cercare il tesoro segreto dei pirati. Spesso dovevano lottare con il drago, John. O salvare la principessa, sempre John.
Però non poteva chiamalo papà, perché quando lo faceva, tutti diventavano tristi, anche se lei non capiva il motivo.
“Scusa, Sherlock.” Disse alla fine la piccola, abbassando la testa, giocherellando con l’orsacchiotto marrone del suo vestito.
Sherlock sospirò, guardando prima lei e poi John.
Erano tristi, delusi, feriti.
Non bisognava essere un genio per capirlo.
Quello che di più odiava Sherlock, era che pur sapendolo, pur sapendo interpretare le persone e le loro emozioni, non era in grado di fare niente per farle stare meglio.
Dopotutto, non era suo padre… Non biologicamente, almeno.
Però c’era una cosa che poteva fare, almeno in quella occasione, per farli entrambi felici.
“E va bene, troverò Hoppy.” Disse alla fine, con un mezzo sorriso.
Dopotutto, risolvere misteri, era quello che gli riusciva meglio.
“Siii!” Urlò Rosie, saltandogli in braccio.
John sorrise. Era uno di quei sorrisi caldi e sinceri, che Sherlock amava.
Per quanto lo indispettisse ammetterlo, quando John lo guardava in quel modo, con gli occhi che brillavano, lo faceva sentire bene. Più che bene, in realtà.
Era una strana sensazione, come un improvviso calore dentro il petto.
Un espressione assolutamente non scientifica, ma stranamente descrittiva.
“Bene, andiamo allora, il gioco è…” Disse Sherlock, guardando Rosie, con l’aria complice.
“Iniziato!” Urlò lei, saltando in piedi.
Poi John gli tese la mano, aiutandolo a rimettersi in piedi.
Stavano per varcare la porta d’ingresso, quando si bloccò.
“Mi servirà il mio cappello, per questo particolare caso. Può passarmelo, giovane Watson?” Affermò in tutta serietà, guardando Rosie. Lei si affrettò subito ad allungarsi dalle braccia del padre, per prenderlo dall’attaccapanni. Glielo sistemò in testa, con un sorriso soddisfatto.
“Allora John, dimmi dove siete stati questa mattina. Devo sapere ogni luogo, posizione, e strada percorsa.”
John si fermò a riflettere, facendo un rapido conto con le dita.
“Al supermercato, è il primo posto dove siamo andati.”
“E Hoppy c’era ancora?”
“Si!” Esclamò Rosie. “Abbiamo scelto insieme le caramelle.”
“Perfetto allora. Al supermercato dunque!” Disse con tono drammatico, sistemandosi il bavero della giacca.
 

 
 Scomparsa del coniglietto: Luogo sospetto #1 – The penny market

 
 
“Allora John, dimmi, cos’hai comprato di preciso.” Chiese Sherlock, mentre si guardava intorno.
“Mi prendi in giro?” Rispose John.
Rosie intanto camminava tra di loro, dando la mano a tutti e due.
“Non in questo particolare momento, John.”
“Mi hai aiutato a sistemare la spesa, meno di due ore fa.”
“Davvero l’ho fatto?” Chiese Sherlock, incredulo.
“Si.” Ribatté l’altro, seccato.
“Allora l’ho completamente rimosso.”
John scosse la testa, sospirando. “Per fortuna dovrei ancora avere la lista della spesa, da qualche parte.” Disse, frugandosi nelle tasche.
Quando finalmente la trovò, Sherlock la analizzò scrupolosamente.
Avanzarono per tutto il supermercato, ripercorrendo il percorso. Sherlock e Rosie cercando tra gli scaffali, rovesciando quasi tutto. John scusandosi con i commessi.
Rosie guardava sotto gli scaffali, Sherlock si avventurò anche dentro il frigorifero dei surgelati, per scrupolo.
“Oh adoro questi biscotti.” Disse all’improvviso, fermandosi davanti all’ultimo prodotto della lista.
“Lo so benissimo, è per questo che li compro.” Esclamò John con un sorriso.
“Oh, mi chiedevo da dove provenissero, in effetti.” Disse Sherlock, con la solita espressione tra le nuvole.
“Sei gentile a prendermeli sempre, grazie John.”  Aggiunse dopo, sorridendo.
John era quasi sicuro di poter contare sulle dita di una mano, le volte in cui Sherlock l’aveva ringraziato.
Per questo, non poté far a meno di sorridere in quel modo.
E Sherlock non poté far a meno di notarlo, e di trovarlo piacevole.
“Hoppy non c’è…” Disse Rosie, sconsolata.
“Non preoccuparti tesoro, vedrai che lo troveremo.” Rispose John, accarezzandole i capelli.
Prima di uscire, Sherlock si fermò ad interrogare la cassiera.
“Stiamo cercando un coniglietto.” Disse il più seriamente possibile.
“Mi spiace signore, ma non vendiamo animali in questo negozio.” Rispose lei, impegnata ad imbustare la spesa.
“Mi sembra più che evidente. Non voglio comprarlo, ma ritrovarlo. E’ azzurro, alto più o meno  50 centimetri, con le orecchie lunghe.”
La donna lo guardò qualche istante, con non poca preoccupazione, quando si accorse della bambina attaccata alla sua gamba.
“Oh, mi dispiace davvero, ma non abbiamo trovato nessun peluche, tesoro.” Esclamò, facendo una carezza alla testa di Rosie.
“Grazie lo stesso.” Disse John, con un sorriso di circostanza.
Stava per avviarsi verso l’uscita, quando voltandosi, si ritrovò davanti due bambini supplicanti, con delle barrette di cioccolato in mano.
“No.” Esclamò solamente.
“Ho un calo di zuccheri.” Esclamò Sherlock.
“Non è vero, e ora mettila giù.”
Sherlock fece una smorfia, poi sussurrò qualcosa a Rosie.
“Mi manca tanto Hoppy, papino…” Disse lei, con la voce più triste possibile.
John sorrise, o almeno, per chi non lo conosceva poteva sembrare un sorriso.
Ma Sherlock, sapeva benissimo cosa significava quel sorriso: Guai.
John guardò Sherlock, che fece spallucce.
Alla fine si arrese, e comprò quelle dannate barrette.
“Cinque, cinque!” Disse Rosie, alzando la manina verso Sherlock.
John li guardò confuso, e Sherlock fece di nuovo spallucce.
Quando si voltò a prendere il resto, Sherlock batté il cinque alla piccola.

 
Scomparsa del coniglietto: Luogo sospetto #2 – The Regent’s Park

 
“Allora Rosie, voglio che tu mi mostri a cosa stavi giocando, quando siete venuti qui.”
La piccola stette un po’ a pensarci, poi si diresse verso la piscina di sabbia.
“Stavi scavando qui?” Chiese Sherlock, esaminando la sabbia.
“Si.” Rispose lei, scavando con le mani.
“Perché?” Chiese lui, sinceramente perplesso.
“Per fare i castelli! E’ divertente.” Disse Rosie, costruendo delle piccole torri.
Sherlock si mise a scavare, cercando con la sua lente tracce di pelo azzurro.
Non trovandone, finì per aiutarla a costruire un castello, compreso di fossato, due torri di vedetta e il grande bestione all’interno del fortino.
Nel frattempo, John scattava delle foto, con un sorriso sereno sul viso.
Dopo un po’ si diressero verso gli scivoli, dove Sherlock e Rosie si arrampicarono, senza però trovare nulla.
Decisero che non era una cattiva idea scendere giù dallo scivolo.
Cercarono vicino alle antalene, dove finirono entrambi per fare un giro, mentre John ridacchiando spingeva entrambi. Sherlock sosteneva che lo aiutava  a concentrarsi, Rosie che stava volando.
Cercarono accanto agli alberi, sotto le panchine.
Sherlock interrogò alcuni bambini, John si scusò con i genitori.
Alla fine Rosie si distrasse rincorrendo delle bolle di sapone, fino ad arrivare davanti ad un venditore ambulante, ben felice di avere una potenziale acquirente.
“Bolle, bolle!” Urlava Rosie, cercando di acchiapparle con le mani.
“No, niente bolle, siamo in missione. Cerca di rimanere concentrata, giovane Watson.” Esclamò Sherlock, tirandola via.
“Ma io voglio le bolle…” Disse lei, facendo gli occhi dolci.
“Oh no, con me questa tecnica non funziona. Tuo padre ci prova da anni.”  Disse, incrociando le braccia con fare solenne.
John sussurrò un: “Aha…” Mentre gli dava un pizzico al braccio.
La piccola lo guardò a lungo, corrucciando la boccuccia, stropicciandosi il vestito con le mani.
“Mi manca tanto Hoppy…”
“Che furbetta…” Sbottò Sherlock, inarcando il sopracciglio.
“Glielo hai insegnato tu, se ricordo bene.” Lo rimbeccò John, tirandogli una gomitata.
Alla fine, Sherlock si ritrovò a fare bolle di sapone, mentre Rosie saltava e correre per prenderle.
E John intanto, scattava delle foto.
“Smettila subito!” Urlò Sherlock. “E’ tutto il giorno che fai questa cosa irritante.”
“Non ci penso neanche!” Rispose l’altro, facendo spallucce.
“Non puoi farmi delle foto.”
“Posso eccome!”
“Ti nego il mio consenso.”
“Non so che farmene.” Rispose John, facendogli una linguaccia. Rosie rise, imitandolo.
“Ah si, eh? Bene.” Sussurrò lui.
Sherlock si allungò nel tentativo di prendere il cellulare, mentre John si scostava, da una parte all’altra.
Rimasero qualche minuto intrappolati in quel buffo balletto, saltando e spostandosi, rincorrendosi e lottando, finché John inciampò, rotolando a terra e trascinandosi dietro Sherlock.
Stavano ancora sorridendo, leggermente affaticati, uno sopra l’altro in quel prato verde. Quando lentamente qualcosa cambiò. C’era una sorta di complicità nel loro sguardo, di intimità. Un velo di malizia, nel sorriso. Una chimica, che era maturata in quegli anni, e che adesso stava per esplodere.
“Stai bene papino? Ti sei fatto la bua?” Chiese Rosie, tirandolo appena per il braccio.
“Si sto bene tesoro, non ti preoccupare.” Rispose lui, dandole un bacio sulla fronte.
“Sono caduto anch’io, vorrei far notare. E ho anche perso il mio cappello, per giunta.”
“La solita regina del dramma.” Esclamò John ridendo.
Sherlock aprì la bocca interdetto, inarcando il sopracciglio, con fare seccato.
“Ecco, ti ho preso il cappello Sherlock!” Esclamò Rosie, mettendoglielo in testa.
“Grazie, giovane Watson.” Rispose lui. “Prossima tappa?”
Scoprì che era il chiosco di gelati, a nord del parco.
John era andato a chiedere al signore che lo gestiva, mentre lui e Rosie erano rimasti li vicino ad aspettarlo.
La bambina stava in braccio a lui, e canticchiava una canzone del suo cartone preferito, quando un’anziana signora si avvicinò a loro, sorridendo e incrociando le mani.
“Ma che bella bambina!” Esclamò raggiante, dandole un pizzico sulla guancia.
Rosie si ritrasse, nascondendosi sotto il collo di Sherlock.
“Le assomiglia davvero tanto sa?” Aggiunse la donna, facendole una carezza sulla schiena.
“Come?” Chiese lui, emergendo prepotentemente dai propri pensieri.
“La sua bambina, è davvero graziosa, e le assomiglia molto.”
“Lei non… Non è…” Sherlock si bloccò. Sapeva cosa doveva dire, era quello che ribadiva ogni volta in quelle occasioni. Solo che più Rosie cresceva, più diventava difficile dirlo.
Perché adesso iniziava a capire. E con la comprensione arrivava anche il dolore.
“La vuoi una caramella, tesorino?”  Chiese la signora, spezzando quello strano silenzio.
Sherlock scrutò quella caramella verde, pescata da una borsa enorme. Esaminò velocemente la borsa, piena di scatolette per gatti, ortaggi imbustanti, e sigarette.
“No grazie.”  Esclamò spazientito. “Abbia una discreta giornata, signora.”Disse, allontanandosi.
L’anziana rimase lì con la caramella in mano, fissando il vuoto.
John li raggiunse poco dopo, con un cono gelato in mano, e l’espressione avvilita.
“Non l’hai trovato?”
“No…” Rispose lui, scuotendo la testa.
“Non credo che consolarsi con del cibo ipercalorico sia una buona idea, ad ogni modo.”
“Non è per me, ad ogni modo.” Rispose, porgendoglielo. “Menta e cioccolato, è il tuo gusto preferito no?”
“Tu mi vizi, John.” Esordì Sherlock soddisfatto, afferrando il gelato.
“Fin troppo. Tra tutte e due…” Sussurrò rassegnato, guardandoli.
“Anch’io voglio il gelato!” Urlò Rosie.
“No, tu l’hai già mangiato stamattina.” Le rispose John, scuotendo la testa.
“E poi non ti piace la menta.” Aggiunse Sherlock, dandogli una leccata.
“Si che mi piace.” Sbottò decisa lei.
“Non è vero.”
“Si che è vero.”
Continuarono così per un po’, finché la piccola iniziò a dare piccoli morsi al gelato, mentre Sherlock lo leccava dall’altra parte.
Alla fine avevano tutte e due la bocca sporca e l’espressione felice, al punto che John non riuscì a trattenersi dal fare una foto, e scoppiare a ridere.
“Prima o poi prenderò quel telefono, John Watson, e quelle foto spariranno. Non puoi sapere quando, non puoi sapere come, ma succederà.” Esclamò Sherlock, il più seriamente possibile.
John scoppiò a ridere, estrasse una salvietta dalla borsa e li pulì entrambi, nonostante le solite proteste.
Camminarono per una mezzora, ripercorrendo i passi di quella mattina, ma di Hoppy ancora nessuna traccia.
Passando vicino al laghetto, Rosie si mise ad inseguire le anatre e i cigni, correndo in mezzo a loro, sbattendo le braccia come se avesse le ali.
I due uomini camminavano dietro di lei, guardandola correre e ridere, come solo un bambino poteva fare.
Con quella sincerità e purezza d’animo, che inevitabilmente si perde crescendo.
“Ti ricordi quando è stata l’ultima volta, che hai finto di essere un uccello?”
“Che domanda ridicola, non ho mai finto di essere un uccello.” Rispose lui seccato.
“Oh per amor del cielo, sei stato bambino anche tu Sherlock!”
“Si, ma ero dotato di troppo intelletto, per poter fingere di fare una cosa simile.” Esclamò con supponenza, incrociando le mani dietro la schiena.
“Lo chiederò a tua madre, la prossima volta che la sento.” Lo rimbeccò John, facendogli l’occhiolino.
Fu a quel punto che sentirono Rosie urlare, e piangere disperata.
Corsero subito da lei, trovandola sulla riva del lago, con il ginocchio sanguinante stretto tra le mani.
“Ahiaaa!” Urlava lei, sollevando le mani verso il papà.
“Oh tesoro, vieni qua.” Disse John, prendendola in braccio. “Fai vedere a papà...”
“Non è niente, una semplice escoriazione. Tra qualche momento smetterai di sentire dolore.”  Disse gentilmente Sherlock, accarezzandogli la testa.
“Che cos’è un esc… Esco… Azione?” Chiese la bimba confusa.
“Oh niente, parolone da grandi.” Rispose John, pulendole il ginocchio con una salvietta umida. “Adesso ci soffio sopra, e così il dolore vola via. Pronta?”
Lei annuì, e lui soffiò, dandole poi un bacino sul ginocchio sbucciato.
“Non dovresti inculcarle queste credenze ridicole.” Lo rimbeccò Sherlock, parecchio contrariato. “Non insultare la sua intelligenza!”
John scoppiò a ridere, con un moto di orgoglio per entrambi.
Afferrò meglio la bambina, e tirò lui per la manica della giacca, spostandolo dall’acqua.

 
 
Scomparsa del coniglietto: Luogo sospetto #3 – Etro Boutique
 

“Allora, dov’è?” Chiese Sherlock spazientito.
“Proprio dietro l’angolo.”  Gli rispose John, per la terza volta.
Sherlock stava per rispondere, quando il suo sguardo cadde su un vicolo alla sua destra.
Due agenti stavano ammanettando un uomo. Era ben vestito, indossava delle scarpe di pelle italiane, e aveva un rolex d’oro al polso . Sembrava un qualunque uomo d’affari, ma aveva un sorriso inquietante e gli occhi sbarrati, fissi su un punto indefinito davanti a lui.
Sherlock sentì il suo sesto senso attivarsi, e istintivamente fece qualche passo verso di loro.
“Non pensarci nemmeno!” Sbottò John, tirandolo per un braccio.
“C’è qualcosa di singolare in quella persona John, devo controllare.”
“Spiacente, ma sei fuori servizio!”
“Io sono sempre in servizio, John.” Esclamò Sherlock, più serio che mai.
“Beh non oggi, caro mio.” Gli rispose John, altrettanto serio.
Senza attendere una risposta, afferrò Sherlock per la manica del cappotto, trascinandolo via.
“Devi proprio smetterla di tirarmi in questo modo!” Si lamentò Sherlock.
“Senti, io non posso star dietro a te e a lei nello stesso momento, senza rischiare di perdere uno dei due. Quindi o ti fai tirare dalla manica, oppure mi prendi la mano, come un adulto normale.” Lo disse tranquillamente, senza la minima vergogna.
Sherlock avvampò, borbottando qualcosa di incomprensibile.
“Oh non iniziare a fare il melodrammatico, adesso. Lo abbiamo già fatto una volta, ricordi?” Lo stuzzicò John.
“Era una situazione completamente diversa!” Urlò Sherlock, incrociando le braccia.
“Sherlock è arrossito!” Disse Rosie, indicandolo.
“Non… Non è vero, è solo il vento.” Esclamò lui a bassa voce.
“Si che è vero!” Sussurrò John, con un sorriso divertito.
Rosie rise,  e Sherlock le fece una linguaccia, che lei ricambiò felice.
Poco dopo entrarono nel negozio, un elegante boutique dove vendevano camicie, giacche e completi.
Sherlock rimase ad osservarne uno, che trovava particolarmente soddisfacente, mentre John parlava con la commessa, una ragazza bionda sulla ventina.
“No mi spiace, non abbiamo trovato nessuno peluche.” Disse lei sinceramente dispiaciuta, mentre faceva il solletico alla piccola. “Ma mi ricordo di questa bella bambina! Siete venuti stamattina, giusto?”
“Si, esatto. E’ proprio sicura di non aver trovato nulla?”
“Si purtroppo, me lo ricorderei…” Poi sembrò riflettere qualche momento, studiandolo. “Oh giusto, allora la camicia è piaciuta al suo compagno?” Disse gentilmente, facendogli l’occhiolino.
Questa volta fu John ad avvampare, piuttosto violentemente.
“Come ha detto scusi?” Chiese Sherlock, che stava origliando distrattamente la conversazione.
“Oh ma allora dev’essere lei il…”
“Scusi tanto per il disturbo!” Urlò John, afferrando poi la manica di Sherlock.  “Buona giornata!” Urlò, cercando di uscire in tutta fretta.
“John…” Esclamò John, serissimo.
“Allora, la prossima tappa è il negozio di giocattoli…” Rispose lui, fingendo indifferenza.
“John.” Esclamò di nuovo, con lo stesso tono.
“Dovrebbe essere qui vicino, se ricordo bene.” 
“Non cambiare argomento. A chi si riferiva la commessa?” Chiese, con una punta d’irritazione.
“Eh? Ah non ne ho idea, veramente.” Rispose l’altro, facendo spallucce.
“John, è inutile mentirmi, sai che scoprirò la verità in un modo o nell’altro.”
“Non c’è niente da scoprire, si sarà confusa.” Rispose John, evitando di guardarlo negli occhi.
“Non mi è sembrato.”
“Beh ti dico che è così!”
“Stai uscendo con qualcuno?” Esclamò Sherlock, fermandosi di colpo in mezzo alla strada.
“Ma non essere ridicolo! Come ti viene in mente?!” Urlò John, tirando lui con una mano, e Rosie con l’altra.
Sherlock rimase un po’ in silenzio, riflettendo.
“Stando così le cose, allora non poteva che riferirsi a…”
“A nessuno ok? Si è solo confusa.”
“Papino è arrossito.” Esclamò sorridente Rosie.
“E’ il caldo.” Sbottò li.
“Si, è arrossito.” Le rispose Sherlock, facendole l’occhiolino.

 
 
 Scomparsa del coniglietto: Luogo sospetto #4 – The Disney store

 

“Questo è l’ultimo negozio.” Disse John, esausto. “Se non è qui, siamo perduti, Sherlock.”
“Sherlock?” Ripeté, non ottenendo risposta.
Alzò gli occhi al cielo, guardandosi intorno.
Erano lì da appena  quattro minuti, ed era già riuscito a perderli.
“Perfetto.” borbottò tra sé e sé.
Lo ritrovò quasi venti minuti di estenuante ricerca dopo, intento a costruire un castello con dei lego.
Rosie era accanto a lui, che gli passava i pezzi, incantata.
“Santo cielo Sherlock, sai da quanto ti sto cercando?”
Lui non alzò nemmeno gli occhi, da quanto era concentrato.
“E va bene allora, restate qui, io intanto chiedo alla commessa. Rosie, tienilo d’occhio ok?”
La bimba annuì, concentrata quando Sherlock, su quel castello alto e colorato.
Passarono altri trenta minuti, prima che John facesse ritorno.
“Niente, ogni speranza è perduta.” Esclamò sconsolato.
“Dovremmo comprare questo castello.” Esordì Sherlock, uscendo dal suo palazzo mentale.
“Come?”
“Il castello John. E’ sorprendentemente rilassante, costruirlo.”
“Sherlock, no.”
“A Rosie piace.”
“E’ vero papino, mi piace tanto.” Disse lei, annuendo energicamente.
“Rosie, ho detto di no.”
“Per favore papino, me lo puoi comprare?” Chiese lei, attaccandosi alla sua gamba.
“No. Ti ho già comprato la bambolina stamattina.”
Rosie mise il broncio, guardando Sherlock.
Lui si tirò in piedi, cercò tra gli scaffali, individuò alcune scatole e le prese, porgendole poi a John.
“Cosa precisamente della parola no, non capisci, Sherlock?”
“Ho una piena comprensione di quella parola, John, ma non è questo il punto.”
“E allora qual è? Illuminami!”
“Le costruzioni aiutano lo sviluppo del bambino, lo sapevi? Si tratta di un grossolano ma efficace approccio alla matematica, alla geometria, e all’ingegneria.”
John incrociò le braccia, accarezzandosi il mento, pensieroso.
“Inoltre, Rosie ha un significativo approccio artistico, se lo vuoi sapere. Le piacciono i colori e le forme, si diverte a costruire cose e disegnare. Potrebbe sviluppare la sua invettiva.”
“E’ troppo piccola per i lego, potrebbe ingoiarne uno per sbaglio.” Esclamò stancamente, quasi convinto.
“Le starò dietro io.”
“Tu? Ah tutto risolto allora.”
Sherlock mise il broncio. “Grazie della fiducia che riponi in me John, è confortante.” Disse  nervosamente.
“Oh adesso non incominciare con i tuoi melodrammi…”
Sherlock assunse un espressione seria, quasi ferita.
“E io che volevo contribuire alla sua crescita, assistere al suo sviluppo. Assicurarmi che abbia una carriera futura che soddisfi il tuo intelletto. Ma evidentemente il mio contributo, non è apprezzato. Mi rinfacci sempre di non passare abbastanza tempo con lei, e quando mi impegno a farlo me lo neghi.”
John impiegò qualche minuto, a elaborare quanto aveva appena sentito.
“Questo non è vero…” Disse, accarezzandogli dolcemente il braccio.  “Lo sai che ci tengo che voi due abbiate un bel rapporto, apprezzo sempre l’aiuto che mi dai con lei, e il tempo che passate insieme. Insomma dopotutto siamo una…”
S’interruppe, strinse il suo braccio, e la parola gli morì in gola, troppo pericolosa per essere pronunciata.
Stava per ritrarre la mano, poi Sherlock disse qualcosa che glielo impedì.
“Se fosse davvero così, mi lasceresti decidere qualcosa, ogni tanto.” Disse lui, il più seriamente possibile, guardandolo negli occhi.
John non si stupì del fatto che Sherlock avesse capito dove voleva arrivare, si stupì del fatto che stesse affrontando apertamente l’argomento, cosa che di solito evitava.
“Ti ricordo, che sei stato tu a scegliere l’asilo. Hai personalmente selezionato tutti i libri che le leggo, per non parlare dei cartoni che le hai proibito di vedere. E ti ricordi quando volevo andare al mare per qualche giorno, e tu hai insistito per andare a fare un, com’erano le parole esatte? Intensiva e rigenerante escursione in montagna?”
“E’ stato divertente.” Esclamò lui deciso.
“Siamo stati inseguiti da un orso. E Rosie è stata punta da un ape.”
“Si, me lo ricordo, non la smetteva più di piangere.” Esclamò lui, ridendo.
“E’ stata la prima volta che le hai cantato qualcosa…” Ricordò teneramente John.
“Non hai le prove.” Sbottò Sherlock.
“Le ho eccome invece.”
I due si guardarono per qualche secondo, prima di scoppiare a ridere.
“Dai su, dammi questi benedetti lego e torniamo a casa.” Esclamò John, prendendoglieli dalle mani. “Sei veramente un figlio di…” John si interruppe un momento, osservando Rosie che giocava con un orsacchiotto ai suoi piedi. “Figlio di Minnie.”
“Acuto.” Osservò Sherlock, prendendo Rosie per mano.
“Minnie è la tua mamma?” Chiese la piccola, seguendolo.
“Certo che no, è solo un modo dire. L’hai conosciuta la nonn… Mia… Mia madre.”
Sherlock tirò un sospiro di sollievo, ultimamente le parole gli uscivano da sole. Era questione di tempo prima che gli sfuggisse di peggio, pensò, guardando pensieroso John.
“E tu l’hai conosciuta la mia mamma?” Chiese la piccola, stringendogli la mano.
Sherlock si fermò di colpo.
Guardò la bambina, che osservava tristemente una signora li vicino, con in braccio la sua bambina.
“Si, l’ho conosciuta.”
“E com’era?” Chiese lei, illuminandosi.
“Bellissima.” Disse lui, guardandola.
“Come una principessa?”
“Ancora di più. E tu le assomigli molto…”
“Raccontami di lei, per favore!”
Sherlock sorrise malinconico, prendendola in braccio.
“Era… Coraggiosa. E forte. Ma aveva anche un gran cuore… Era gentile, e spiritosa.”
Sherlock pensò a lei. Non ci tornava spesso con la memoria, perché ogni volta, faceva male.
E il dolore lo distraeva dal suo lavoro.
“Sei triste, Sherlock?” Disse la piccola, stringendosi a lui.
“Un pochino.” Ammise lui.
“Ti faccio nasino nasino! Così ti senti meglio!”

Sherlock si guardò un po’ intorno. C’erano solo genitori, troppo presi a star dietro ai loro bambini, per stare dietro a lui. E soprattutto, non c’era John. Era davvero una cosa troppo imbarazzante, da fare davanti a lui.
Una volta sicuro di non essere visto, avvicinò il naso a quello di Rosie, sfregandolo contro il suo.
Glielo aveva insegnato lui, perché i baci veri e propri lo mettevano a disagio. Aveva pensato che il bacio eschimese fosse un discreto compromesso. Anche se col tempo, aveva finito per trovarlo piacevole.
Si ritrovarono seduti su una panchina, poco dopo, vicino a Marble Arch. Esausti, sconfitti, ma sostanzialmente sereni.
John stava pensando a come rimpiazzare degnamente Hoppy, mentre Sherlock era intento ad osservare i disegni geometrici, che la luce del sole disegnava sulla pietra.
Rosie stava saltellando sulle pozzanghere, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Ci vollero solo pochi minuti, prima che sparisse nella folla.
Altri pochi minuti, prima che John si accorgesse che era sparita.
Iniziò a chiamarla, guardandosi in giro, mentre il panico aumentava.
Si ritrovò a correre in mezzo alla folla, urlando il suo nome.
Sentiva la voce di Sherlock poco distante, chiamarli entrambi.
Quando finalmente lo raggiunse, John era completamente in preda al panico.
“Non c’è… E’ sparita.” Continuava a ripetere. “Non c’è Sherlock.”
“La troveremo, stai tranquillo.”
“Non posso stare tranquillo!” Urlò lui. “E’ sparita capisci? E’ così piccola… Dov’è? Dov’è finita?” Continuava ad urlare, tirandolo per la camicia, all’altezza del petto. Urlando il nome della figlia, cercandola tra la folla.
“La troveremo, te lo prometto.”
“Non posso perderla Sherlock, non posso perd…”
Sherlock lo interruppe, prendendogli il viso tra le mani.
“Non la perderemo. E’ qui vicino, calmati ok? Respira…”
Pur in quel momento terribile, a John non sfuggì che aveva parlato al plurale.
Era la prima volta, che lo faceva.
“Devi trovarla Sherlock. Ti prego, ti prego, devi…”
“Lo farò. Fidati di me, ok?”
John annuì, trattenendo a stento le lacrime.
Sherlock lo abbracciò, con tutta la forza che aveva, stringendolo al suo petto.
John ci sprofondò. Ansimando, tremando, pregando.
Sherlock fece un profondo respiro, sgombrò la mente, e si concentrò.
Doveva esserci qualcosa che avesse attirato la sua attenzione, qualcosa che l’avesse spinta a allontanarsi.
Considerò un cagnolino marrone poco distante, un negozio di cappelli, due bambini che si rincorrevano.
E poi lo vide, un gigantesco coniglio azzurro.
Gli spuntavano le orecchie, tra le teste della gente.
Per un considerevole momento, pensò di esserselo immaginato.
Poi lo vide scontrarsi contro una signora, e svoltare l’angolo.
Afferrò John per la mano, e si mise a correre.
Non seppe dire quanto, o per quanto tempo.
Quando finalmente lo raggiunse, trovò Rosie proprio dietro di lui che gli tirava la coda.
“Hoppy hoppy!” Diceva lei, tirandolo.
“Rosie!” Urlò John, correndole incontro.
La prese tra le braccia, stringendola forte a sé.
“Perché l’hai fatto? Perché?” Urlò. “Potevi perderti! Poteva succederti qualcosa di terribile, lo capisci?” Disse, scuotendola per le braccia.
“Scusa papà…” Balbettò lei, scoppiando in lacrime. “Scusa.”
Sherlock li raggiunse, inginocchiandosi accanto a loro.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento, lo sai?” Le disse dolcemente, tirandole un codino.
“Mi dispiace…”
“Lo so. Ma non devi farlo mai più, ok?” Disse Sherlock gentilmente.
Lei annuì, tirando su con il naso.
John la abbracciò forte, baciandole la testa, la fronte e le guancie.
“Ti prego tesoro, non farlo mai più.” Sussurrò, lasciando andare le lacrime.
“Il tuo papà era davvero tanto triste e spaventato… Dovresti dargli un bacino, per consolarlo.” Disse Sherlock, accarezzandogli la testa.
“Scusa papà…” Disse lei tristemente, dandogli un bacio sulla guancia.
“Va bene piccola, papà adesso sta bene.” Rispose lui, baciandola a sua volta.
“Anche tu eri triste, Sherlock?” Chiese la piccola, posandogli la mano sulla guancia.
Lui la guardò qualche istante, e annuì.
 “Nasino nasino!” Esclamò lei, allungandosi verso Sherlock, che iniziò a scuotere energicamente la testa.
“Di cosa parla?” Chiese John, osservandoli confuso.
“Ah non lo so.” Rispose, facendo spallucce.
“Nasino nasino!” Ripeté lei, avvicinando il viso verso di lui.
Sherlock continuò a scuotere la testa, finché i suoi occhi entusiasti ebbero la meglio.
“Se ti metti a ridere John, giuro che ti do un pugno.” Sussurrò, guardandolo intensamente.
John aveva lo sguardo perplesso, ma curioso. Annuì, senza aggiungere altro.
Sherlock si avvicinò alla piccola, sfregando il naso contro il suo, lasciandosi sfuggire un sorriso sereno.
Dopotutto, non poteva negare di essersi preso un bello spavento a sua volta.
Quando si voltò verso John, temendo che scoppiasse a ridere, lo ritrovò a strofinarsi gli occhi con la manica della giacca.
“Oh per l’amor del cielo, John.”  Esclamò seccato.
“Papino, sei triste?” Chiese Rosie, preoccupata.
“No no, è tutto ok tesoro.”
“Ti faccio nasino nasino?”
Lui annuì mestamente, mentre la piccola strofinava  il naso contro il suo.
“Anche tu dovresti fargli nasino nasino, così non piange più.” Esclamò poi, guardando Sherlock.
“Oh ma sto bene, non c’è bisogno che…”
“Dici che lo farà stare meglio Rosie?”
La piccola annuì soddisfatta, con una mano dietro al collo del padre e l’altra aggrappata alla cravatta di Sherlock.
“Beh, in questo caso…” Disse Sherlock a bassa voce, avvicinandosi a lui.
Sfregò delicatamente il naso contro il suo, e dopo l’iniziale stupore, anche John ricambiò il gesto. Rimasero con le fronti appoggiate l’una contro l’altra, sospirando. Poi lentamente Sherlock si spostò, restando appoggiato alla sua guancia ancora bagnata, per poi scivolare sotto il suo collo, incastrandosi tra lui e Rosie.
Rimasero così a lungo, stretti in un unico abbraccio, tra gli sguardi confusi, indifferenti, o affettuosi dei passanti.
Il viaggio di ritorno in autobus fu lungo, ma Rosie dormiva tra le braccia del padre, il quale aveva appoggiato la testa sulla spalla di Sherlock. Lui gli aveva passato un braccio sulle spalle, ancora troppo scosso, per poter filtrare i suoi istinti più umani.
Era strano, stare in quella posizione, ma non strano come aveva immaginato.
Si sentiva sereno, sicuro, in pace.
Proprio quando stava per abbandonarsi a quella sensazione, vide qualcosa dal finestrino.
Qualcosa di fin troppo famigliare.
“Fermi l’autobus!” Gridò immediatamente all’autista, tirando su John per il braccio. “E’ un emergenza!”
“Non posso fermarmi qui, giovanotto! Sono in mezzo alla strada!” Replicò un uomo di colore, con una folta barba.
“Sono un agente di Scotland Yard, e le ordino di fermarsi immediatamente! E’ una questione di sicurezza nazionale.”
Il pover uomo, al sentir quelle parole, inchiodò immediatamente la vettura, aprendo le porte.
“Come ha detto che si chiama, agente?” Chiese, mentre Sherlock scendeva, tirandosi dietro John e Rosie.
“ Lestrade!” Urlò, prima che le porte si chiudessero dietro di lui.
Corse per una considerevole distanza, ad una considerevole velocità, prima di raggiungere il suo obbiettivo.
“Fermati immediatamente, è un ordine!”  Urlò, indicandolo.
Il bambino, che aveva circa quattro anni, si aggrappò immediatamente alla madre, nascondendo tra le braccia il suo coniglietto di peluche.
“Che diavolo vuole lei?” Urlò a sua volta la madre, una donna sulla quarantina, vestita con un elegante tailleur.
“Quel peluche. Devi consegnarmelo.”
“No!” Esclamò il bambino, stringendolo di più.
“Ma come si permette? Guardi che chiamo la polizia!”
“Io, sono la polizia.  E le ordino di consegnarmi immediatamente quel peluche.”
“E perché mai alla polizia serve un pupazzo per bambini?” Si indispettì lei, per niente incline a credergli.
Sherlock la guardò attentamente, assumendo un espressione seria.
“Il peluche in questione è stato trovato sulla scena di un crimine. Un omicidio multiplo, per la precisione, ma non posso rivelarle di più, le indagini sono ancora aperte.”
“O-Omicidio?” Esclamò lei inorridita.
“Precisamente. Il peluche ci serve per trovare del dna. Non l’ha ancora lavato giusto? Perché siamo convinti che siano delle macchie di sangue, che potrebbero ricondurci al colpevole.”
“Santo Dio!” Urlò lei, strappando bruscamente il pupazzo dalle mani del bambino. “Si preda questa cosa orribile e vada via!” Disse, trascinando via il bambino in lacrime.
“Hoppy! Hoppy!” Urlava Rosie, correndogli incontro.
Quando Sherlock glielo consegnò, lei lo strinse forte, abbracciandolo e baciandolo, saltellando dalla gioia.
John era proprio al suo fianco, che gli sfiorava leggermente la mano, sorridendo felice.
“Mi sei mancato tanto Hoppy!” Disse lei stringendolo al petto.
“Bene, adesso siete di nuovo insieme, contenta?”  Disse John, prendendola in braccio.
“Si si!” Rispose lei, abbracciando il suo coniglietto.
“Però ancora non ho sentito un grazie, mi pare.” La rimproverò John.
“Grazie papà.” Esclamò lei, dandogli un bacino. “Anche Hoppy ti ringrazia!” Aggiunse, posando il muso del coniglio sulla sua guancia.
“Prego tesoro.”
“Grazie anche a te, papà!” Disse lei, dando un bacino a Sherlock. Poi si bloccò.
Accarezzava le orecchie di Hoppy, guardandolo incerta, con un sorriso che stava per svanire.
Lo guardava con quegli occhi colmi di un affetto così grande e sincero, che Sherlock quasi ne aveva paura.
C’erano solo un’altra persona, che lo guardava in quel modo, ed era proprio al suo fianco.
E anche in quel momento, mentre cercava una risposta nei suoi occhi, vide lo stesso, infinto amore.
“Scusa, lo so che ti arrabbi se ti chiamo così.” La vocina triste di Rosie, era una delle poche cose che riuscivano a farlo vergognare di se stesso.
Dopotutto, non era forse solo una parola? Non era forse quello che già faceva da anni? Non era forse, quello che già era?
Guardò John, che annuì comprensivo.
“Non… Non devi… Non devi scusarti. Se vuoi, puoi chiamarmi così. “
“Davvero?” Chiese lei, piena di entusiasmo.
“Si.” Rispose lui, facendo un profondo respiro. “Ne sarei felice...”
Rosie gli diede un altro bacio sulla guancia, restando appoggiata sulla sua spalla. Poco dopo John si avvicinò a lui, dandogli a sua volta un bacio leggero sulle labbra. Naturale, semplice, ma carico di gioia e gratitudine.
Sherlock non disse niente, sorrise e basta.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi.
Era inevitabile come le maree, si diceva a volte per calmarsi.
Non poteva sapere quando, né in che modo sarebbe accaduto.
Non poteva essere certo di come si sarebbe sentito, o se gli sarebbe realmente piaciuto.
E adesso, aveva finalmente avuto le risposte che stava cercando.
C’era un quando, c’era un come, e c’era un si.
Quella sera John decise di cucinare spaghetti con le polpette, il piatto preferito di Rosie.
Stava per sedersi finalmente a tavola, quando una polpetta volante attirò la sua attenzione.
La suddetta polpetta atterrò contro la faccia di Sherlock, provocando le risate della piccola.
“Rosie! Ma ti sembra il caso di fare queste cose? Dopo tutto quello che…”
E di nuovo, una polpetta volante, attirò la sua attenzione.
Finì sulla testa di Rosie, che scoppiò a ridere.
“Sherlock Holmes! Mi stupisco di te!”
Prima che riuscisse a fermarli, quei due avevano già trasformato la cucina in un campo di battaglia, e non davano segno di volersi fermare, nonostante le sue energiche proteste.
Fin quando lo colpirono insieme, in una perfetta sincronia.
“Ah si? Bene bene, stando così le cose…” John si voltò lentamente, verso la padella.
“Ammetto che forse abbiamo esagerato John, ti chiedo scu…” Stava dicendo Sherlock.
Non riuscì a finire la frase, che gli arrivò una manciata di spaghetti sulla testa.
Rosie se li beccò in faccia.
John scoppiò a ridere, talmente tanto che gli sembrò di soffocare.
Fu una battaglia lunga e terribile.
Una strage di spaghetti, pane e polpette.
Alla fine comunque, riuscirono a mangiare qualcosa.
Poi John spedì Rosie a lavarsi la faccia, mentre si apprestava a ripulire il campo di battaglia.
“Ci penso io…” Esclamò Sherlock. “Dopotutto è anche colpa mia.”
“Sherlock Holmes che pulisce la cucina, è proprio il mio giorno fortunato.” Rispose John con un gran sorriso, porgendogli lo straccio. Sherlock inarcò il sopracciglio, spazientito.
Mentre stava per entrare in bagno, John si assicurò di dare un’ultima controllata alla cucina, giusto in caso, si disse. Vide una figura furtiva, dirigersi verso la porta di casa. “E non chiedere di nuovo alla signora Hudson di pulire al posto tuo!” Urlò tutto d’un fiato, chiudendosi in bagno.
“Non avevo intenzione di fare niente di simile, John.”  Urlò a sua volta Sherlock, fermandosi di colpo.
“Maledizione.” Borbottò poi tra sé e sé, impugnando la spugna.
Era passata quasi un ora, quando stanco e allo stremo delle forze, riemerse dalla cucina. Prima di andare a letto, si fermò a dare un occhiata alla stanza dove dormivano John e Rosie.
La piccola era sotto le coperte, addormentata tra le braccia del padre. Lui russava appena, con un piede a penzoloni fuori dal letto, e la coperta sotto la vita.
Sherlock guardò la porta della sua stanza, e poi di nuovo lui.
Decise di andare almeno a dargli una sistemata. Dopotutto, cosa poteva mai succedere?
Gli rimise la gamba sul letto, tirandogli su le coperte fino al petto.
E poi, per qualche inspiegabile motivo, rimase a guardarli dormire.
Perché per qualche, spiegabile motivo, erano davvero belli insieme.
Perché anche se non lo aveva mai detto ad alta voce, erano la sua famiglia.
D’improvviso si sentì tirare per la manica della camicia.
John aveva gli occhi socchiusi, e borbottava il suo nome.
Sherlock sospirò, afferrando la sua mano, stringendola nella sua.
“Che ci fai in piedi a quest’ora?” Disse John, tra uno sbadiglio e l’altro.
“Niente, mi sono fermato a controllarvi. Adesso vado a dormire.” Rispose lui, accarezzandogli il pollice.
“Perché non resti qui? C’è spazio…” John aveva ancora gli occhi semi aperti, la voce roca.
“Sei… Sei sicuro?” Chiese incerto Sherlock.
“Si… Abbiamo risolto un caso importante oggi, ci meritiamo un po’ di pace, no?”
“Immagino di si.” Sussurrò Sherlock.
Si avvicinò a lui, sedendosi lentamente sul letto.
Si tolse le scarpe, e si sdraiò al suo fianco.
Era caldo, morbido. Ed era piacevole, stargli vicino.
Se ne stava tranquillo sul letto, con un braccio intorno alla sua bambina. Lo guardava mentre si avvicinava, con lo sguardo assonnato e felice.
Gli accarezzò i riccioli neri, passandoseli tra le dita, poi la guancia, fino a stringergli la spalla, facendolo avvicinare a lui.
Sherlock ce la mise tutta, per combattere il fastidioso ed impellente istinto di fuga.
Ma non era abituato a tutto quello, a quel calore.
Neanche lo voleva, non all’inizio almeno.
Poi aveva conosciuto John, e le cose erano cambiate, lentamente, nel profondo, senza che potesse farci niente. Come un fiume che scava lento il suo letto nella dura terra.
Era così John, s’infiltrava nelle crepe, si apriva varchi dove prima non c’erano, costruiva nuove strade da percorrere.
Sherlock se ne stava con la testa appoggiata al suo petto, che oscillava ad ogni suo respiro.
Le sue dita che sfioravano quelle di lui, intrecciandosi, accarezzandosi.
Senti i suoi baci sulla testa, sulla fronte, sulla guancia, e si lasciò andare ad essi.
Perché lo facevano sentire bene, perché dopotutto, anche lui aveva il diritto di sentirsi bene, di essere amato.
La consapevolezza gli arrivò come un fulmine a ciel sereno, lasciando senza fiato.
Alzò il viso, cercando quello di John, sfregandosi contro la sua guancia, con insolita dolcezza.
E poi sentì le sue labbra, semi aperte e calde, in attesa.
Si avvicinò di più, cercandone il contatto.
Le sfiorò, con calma, assaporando ogni momento, ogni sensazione.
Sapeva di dentifricio, sapeva di buono, di casa.

 
 
Presente
 
Rosie dormiva serena, con la faccia nascosta da Hoppy.
John stava cercando di alzarsi senza svegliarla, e ci riuscì per un pelo.
Sulla soglia c’era ad aspettarlo Sherlock, immerso in chissà quale pensiero.
Gli diede un bacio leggero sulle labbra, che lui ricambiò.
Lo prese per mano, accompagnandolo nella camera da letto, travolto dall’emozione dei ricordi.
Sherlock gli stava parlando di un nuovo caso, ma lui lo sentiva a malapena.
Stava ripensando alla sensazione di quei primi baci, e a tutti quelli che vennero in seguito.
Quelli timidi e impacciati, dati sul divano in una fredda serata, o sulle scale, prima di entrare a casa con le buste della spesa.
Quelli rubati dietro il bancone della cucina, in bagno mentre si radevano, la notte in un taxi.
Quelli veloci, prima di andare al lavoro, mentre cucinava il pranzo.
Quelli passionali, scambiati la notte sotto le coperte, sdraiati sul tappeto senza più fiato, sotto una doccia calda.
Si, pensò con gioia John, c’erano stati tanti  baci importanti quanto il primo, unici e speciali, ognuno a modo loro.
“Sai Sherlock, stavo pensando che ancora non ti ho detto del nostro nuovo caso.” Esclamò, sistemandosi sul letto.
“Nuovo caso? E quando pensavi di dirmelo? Di che si tratta?”
In tutta risposta, Sherlock si beccò una maglietta in faccia.
“Dello strano caso del uomo nudo nel tuo letto.”
“Sembra interessante.” Esclamò Sherlock, incrociando le mani.
“Oh lo è. Ma sembra anche piuttosto pericoloso” Disse, abbassando lentamente il lenzuolo. “Perciò sarà meglio che ti concentri al massimo delle tue forze, se vuoi risolverlo.”
Sherlock stette qualche istante ad osservalo, annuendo.
“Si, John. Questo potrebbe essere il caso più pericoloso che io abbia mai affrontato. Dunque, richiede un adeguata preparazione.” Disse, mettendosi  il suo cappello. Si sfilò lentamente la camicia, buttandosi con grazia sul letto.
Si sdraiò poi sul suo compagno, baciandogli il collo, mentre lui gli passava le mani tra i riccioli neri, richiedendo di più.
“Il gioco, è iniziato, John Watson!” Sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarlo.
 

 
  
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