Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: Juliet8198    05/08/2020    1 recensioni
Vivevano in un sogno meraviglioso. In quel mondo fittizio, i due ragazzi potevano fare quello che volevano ed essere quello che volevano. Potevano toccare le stelle e vivere in fondo al mare. L'unico limite era la loro immaginazione.
Ma i sogni nascondono ciò che temiamo di più. Essi liberano le ombre che cerchiamo di reprimere nella parte più nascosta della nostra psiche.
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-Tutto questo...non è reale.-
-Lo so, ma tu lo sei. Noi lo siamo. Questo mi basta. Questa può essere la nostra realtà.-
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Me lo spieghi di nuovo, per favore.- 

 

Namjoon osservò l'uomo leggermente più basso di lui emettere un sospiro. Anche ripetendo la spiegazione, la situazione non sarebbe cambiata. Namjoon lo sapeva. Ma sperava davvero di essere troppo stupido e di non aver realmente capito la portata delle parole che il dottore gli aveva appena rivolto. 

 

-Nel cervello di Jimin si è formato un altro aneurisma. Può succedere, purtroppo, anche se non ne sappiamo la causa. Può essere una condizione cronica o può essere una patologia genetica. Il problema fondamentale è questo: se lasciamo che l'aneurisma cresca, c'è un'alta possibilità che esploda e questo porterebbe a morte certa. Ma sottoporre il paziente ad un'altra operazione dopo così poco tempo dalla prima può recare gravi danni al sistema nervoso.- 

 

Il giovane si portò le mani sul volto, aggrappandosi alla propria pelle e strofinandosi gli occhi. Sentiva già un principio di mal di testa emergere e stuzzicarlo, nel tentativo di farlo esplodere una volta per tutte. 

 

Quanto era passato ormai? Un mese? Il tempo sembrava non contare all'interno di quel posto. Scorreva lento come miele, una goccia alla volta, scivolando placidamente e incollandosi alla sua mente. Era come se volesse fargli sentire tutto il peso di ogni minuto che Jimin passava rinchiuso in quella stanza. 

 

Dopo aver emesso un pesante sospiro contro le proprie dita, abbassò la barriera dietro alla quale si era nascosto e tentò di convivere con il perforante fastidio che gli trapanava i pensieri. 

 

-Qual è la percentuale di successo dell'intervento?- chiese a bassa voce, riportando gli occhi sull'uomo in camice che lo fissava pazientemente. 

 

Il suo interlocutore abbassò brevemente lo sguardo, prima di schiarirsi la gola. 

 

-Cinquanta percento di riuscita. Venticinque percento di riuscita senza causare danni cerebrali.- 

 

Il petto di Namjoon si alzò e si abbassò con estrema difficoltà. Tremava, come se un macigno da migliaia di quintali gli fosse stato scaricato sullo sterno. Non respirava. Non arrivava ossigeno al cervello. I suoi pensieri erano offuscati quanto i suoi occhi. 

 

Venticinque percento di possibilità di riavere il Jimin che conosceva. Cinquanta percento di riaverlo e basta. 

 

Non era una scelta, quella. Era una scommessa. Per quale stupido motivo si era proposto come amministratore delegato in sostituzione dei genitori di Jimin? 

 

-E se lo lasciassimo stare? Se non lo facessimo operare?- chiese con voce ancora più bassa. 

 

Il ragazzo vide una smorfia attraversare brevemente il viso del dottore. 

 

-L'aneurisma sta crescendo molto velocemente. Potrebbe esplodere nel giro di giorni e, anche se questo non succedesse, nel momento in cui lo svegliassimo dal coma lo stress della situazione potrebbe causare la rottura.- 

 

Aspettare che muoia o accettare la scommessa? No, quella non era una scelta! Era un bivio con una strada a fondo chiuso da una parte e un sentiero sospeso su un burrone con rischio di frane dall'altra. 

 

"Come lo dico ai ragazzi?" 

 

La gola gli si chiuse, diminuendo ancora di più l'apporto di ossigeno. 

 

"Come lo dico a Tae?" 

 

-Ne parlerò con i suoi genitori e le farò sapere la decisione.- rispose infine, congedandosi velocemente dal dottore. 

 

L'uomo, con sguardo comprensivo, annuì allontanandosi dal giovane. 

 

Namjoon si ritrovò seduto nella sala d'aspetto con le poltroncine basse con la testa fra le mani e il petto tremante. Il trapano che gli perforava le meningi si era fatto più sfacciato e insistente. Il suo fastidioso rumore gli riempiva i neuroni fino al nucleo. 

 

-Allora? Ci sono novità?- 

 

Sentendo la voce di Yoongi, il giovane alzò brevemente lo sguardo. Fu sufficiente a trasmettere la sua risposta al maggiore. 

 

-Grandioso.- mormorò quest'ultimo, lasciandosi cadere accanto al suo amico. 

 

-Qualsiasi cosa sia successa, non sei costretto a prendere una decisione da solo. Parlane con i suoi.- 

 

Namjoon annuì distrattamente. 

 

Decisione... gli sembrava quasi irrisorio chiamarla decisione, quella. 

 

Aveva bisogno di distrarsi. Aveva troppe cosa da fare. Doveva chiamare il padre di Jimin, doveva riunire i ragazzi e spiegare loro la situazione, doveva contattare i manager e aggiornarli una volta presa la... decisione. 

 

-Tae è nella stanza?- 

 

La risposta che ricevette da Yoongi fu un semplice mugolio. Annuendo nuovamente, il più giovane si alzò nonostante avesse il corpo legato da invisibili elastici che gli costringevano i movimenti e gli affaticavano i muscoli. Sentiva la testa fastidiosamente pesante. 

 

Prima che potesse rendersene conto, si trovava già dentro la stanza con il singolo, grande letto al centro. I suoi occhi allora si posarono sulla figura addormentata sulla scomoda sedia, il corpo arrotolato su se stesso e la testa appoggiata al cuscino, rivolta verso il ragazzo incosciente. Vedere quei due volti vicini per, un momento, lo riportò indietro nel tempo a quando per lui era normale entrare in camera da letto e trovare Jimin e Taehyung addormentati insieme, abbarbicati l'uomo all'altro come due cuccioli. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire a ritornare al presente e ricordarsi che uno dei due non era addormentato. 

 

Quando anche Yoongi fu rientrato nella stanza ed ebbe chiuso la porta dietro di sé, Taehyung si svegliò. 

 

-Scusa Tae.- mormorò il maggiore. 

 

-Hyung...- mormorò il ragazzo con le ciglia incollate dal sonno e la voce più cavernosa del solito. 

 

-...cosa ha detto il dottore?- aggiunse, cercando di uscire dalla fase di dormiveglia in cui era ancora immerso. 

 

Namjoon deglutì pesantemente. 

 

"Devi dirglielo." 

 

-Ne parliamo quando ci saranno tutti.- replicò lui febbrilmente. 

 

Taehyung alzò la testa verso di lui, fissandolo con i suoi grandi occhi scuri. Essi analizzarono Namjoon per qualche istante, prima di lasciarlo libero dalla loro presa. Aveva capito che qualcosa non andava. Lui aveva sempre avuto una sensibilità che gli permetteva di comprendere quello che le persone nascondevano. 

 

-Va bene.- disse in risposta. 

 

Namjoon lo osservò mentre faceva scivolare la mano in quella inerme del suo migliore amico, giochicchiando con quelle dita tanto più corte delle proprie. 

 

-Hei, Jimin... vuoi sapere cosa abbiamo fatto ieri?- 

 

 

La stanza di Jein sembrava un fantasma di se stessa. Le dava una fredda sensazione di estraneità, con le sue mensole vuote e l'armadio spoglio. Non che si fosse portata via così tante cose. Aveva inscatolato giusto i suoi libri preferiti e i suoi album, oltre che ai vestiti. In fin dei conti, la sua vita si era riassunta in quattro scatoloni e un trolley di modeste misure. Era quello il valore della sua esistenza? Non credeva. Nonostante ciò, osservare la mancanza di quegli oggetti dalla stanza a cui essi appartenevano le dava una sensazione di cambiamento che le solleticava lo stomaco e le trasmetteva un senso di vertigine. 

 

Quattro scatoloni e un trolley non erano molto, ma erano una somma di quello che Chang Jein era. E Chang Jein stava per uscire da quella che era stata la sua vita per ventiquattro anni per imboccare una strada nuova e inesplorata. 

 

Rivolgendo un'ultima occhiata al suo ormai vecchio habitat, si voltò e uscì dalla stanza. Entrando in salotto, sentì il sommesso sbuffare della macchina di Kippeum, ferma davanti a casa in attesa del suo arrivo. La ragazza al suo interno doveva essere sicuramente impaziente, ma sapeva anche che quel momento aveva necessità di spazio. 

 

Il tremito eccitato che aveva invaso il corpo di Jein morì velocemente nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulla figura singhiozzante seduta per terra. Con la schiena appoggiata al divano, sua madre si stava sciogliendo in un mare di lacrime che sembrava farla affogare nella sua impetuosità. Dalla sua gola usciva un rauco lamento, strozzato dai singhiozzi convulsi che le stringevano il petto. 

 

Una lancia perforò il cuore di Jein.  Rimorso. 

 

"Forse non dovrei farlo..." 

 

"Forse è la decisione sbagliata."

 

Le lacrime che continuavano a scendere sul volto della donna e la sua voce simile a un grido d'aiuto non facevano che spingere la lancia sempre più in profondità, torcendola, rivoltandola nella ferita, lacerandole le interiora e strappandole le carni. 

 

-Perché... te ne... vuoi andare?- urlò finalmente la donna, interrompendo la frase ad ogni sobbalzo del suo petto. 

 

-Io...- 

 

Jein avrebbe voluto rinchiudersi in una minuscola scatola e sparire. Per sempre. Sarebbe rimasta lì, da sola, in un piccolo e buio spazio che le avrebbe recato conforto. Niente pianti. Niente sensi di colpa. Nulla. 

 

"No." 

 

Non era così che doveva andare. Una parte della sua mente si ribellò violentemente davanti a quella idea, lacerando i pensieri che dominavano la sua coscienza. 

 

-Mamma, io non ti sto abbandonando.- disse a bassa voce, avvicinandosi alla donna. 

 

-Bugiarda!- 

 

L'accusa volò nell'aria come una freccia e si piantò nella sua testa, trovando terreno morbido in cui affondare. Poi, si fermò contro un muro di acciaio. 

 

Nella mente di Jein comparve una timida striscia di luce. Luce, calore. Ne aveva bisogno. Ne aveva serbato una piccola quantità dentro di lei, ma era davvero sufficiente?

 

-Mamma...- iniziò con il tono più dolce che riuscì a racimolare. 

 

-Non me ne sto andando per sempre. Sono sempre qui.- 

 

Dovevano bastarle. Doveva trovare la forza in quella luce e in quel calore residui, farne la sua fonte di ristoro e di energia. 

 

-Mi odi, non è vero?- pigolò la donna, sollevando gli occhi carichi di lucidi goccioloni. 

 

Il suo volto era sfigurato da un'espressione disperata. La sua bocca era contratta in una smorfia di dolore, il suo naso arricciato a causa del continuo aspirare e la fronte era tempestata di rughe. 

 

Jein si accovacciò davanti alla donna, abbassandosi al livello dei suoi occhi. 

 

Luce, calore. Delle braccia che la avvolgevano facendola sentire al sicuro. La ragazza deglutì il groppo di angoscia che aveva preso a risalirle la gola. 

 

-No, non ti odio.- rispose. 

 

-Invece sì! È per questo motivo che te ne stai andando!- 

 

La giovane sentiva gli occhi pizzicare fastidiosamente, mentre la parte frontale della sua testa sembrava sempre più pesante. Tutte le emozioni che aveva serbato per anni sembravano essersi accumulate nel retro della sua gola, pronte a saltarle addosso tutte assieme. 

 

-No, mamma, ti sbagli.- mormorò con voce appena udibile. 

 

C'era qualcosa incastrato nel suo palato che le impediva di parlare. Il petto non riusciva a sollevarsi per respirare. 

 

-Non mi lasciare da sola.- 

 

La donna la guardava con occhi imploranti. Era disperata. Sembrava sospesa sull'orlo di un baratro. 

 

A quel punto, Jein sollevò le braccia e le protese verso di lei. Le passò attorno alla donna e strinse il corpo di quella bambina rinchiusa nel corpo di un'adulta, appoggiando la fronte contro la sua spalla. 

 

-Ti voglio bene.- 

 

Qualcosa di bagnato strisciò lunga la guancia di Jein. Nel momento in cui la ragazza fece questa scoperta, il suo petto aveva già preso a sollevarsi convulsamente incamerando aria e ricacciandola fuori senza trattenerla. Aveva le guance completamente inondate. 

 

-Ti vo- 

 

I singhiozzi uccisero tutte le potenziali parole che le avrebbe voluto rivolgere. Le avrebbe voluto dire che non era sola, che era comunque a dieci minuti di distanza, che andarsene non voleva dire abbandonarla a se stessa. Nulla di tutto ciò uscì dalle sue labbra. Esse erano troppo impegnate a tremare, mentre le lacrime le continuavano a bagnare insistentemente trasformando ogni tentativo di suono in un gorgoglio. 

 

Trascorsero diversi minuti in cui, oltre al ticchettio paziente dell'orologio, per la casa non si sentì altro suono che i loro singulti. Jein non sapeva perché, ma non riusciva a fermarsi. Era come se qualcuno avesse aperto un rubinetto e si fosse dimenticato di chiuderlo. Non sembrava esserci fine all'acqua che il suo corpo poteva produrre. 

 

Finalmente, riuscì a smettere di singhiozzare. Dovette deglutire più volte per tirare fuori un suono dalla sua gola. 

 

-Ti voglio bene, mamma.- 

 

Sollevando gli occhi, infine, vide che la donna aveva capito. Aveva ancora le ciglia umide, ma il suo sguardo era su di lei ed era sereno. 

 

Era ora di andare. 

 

~~~~~~~

 

ANGST A VOLONTÀ 

Eh, lo so... gli ultimi capitoli sono stati un po' tosti. Ne sono consapevole. Ma ormai mi conoscete, lo sapete che sono un torturatrice di lettori di pressione lol. 

Dunque... dal prossimo capitolo entreremo nell'inconscio di Jimin. Cosa vi aspettate di trovare? Che aspetto avrà? Largo alle teorie!

   
 
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