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Autore: Nadine_Rose    05/08/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 36

 

Ricordi d’amore

 

“Sento qualcosa di insoddisfatto nel mio cuore, sempre.”

Francesco Petrarca

 


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Immagine dal film “L’amore oltre la guerra”

 

Era da ben due anni che Hermann non baciava una donna, attribuendo al bacio un valore d’indiscussa importanza rispetto all’amplesso e astenendosi dal concederlo a signorine di postriboli e avventure di una notte o poco più. Nello scambio di sapori e respiri, vedeva racchiusa la massima espressione d’intimità fisica da riservare a una relazione sentimentale stabile, di fiduciosa complicità e condivisione di vita.

In quel momento, il cuore si era ribellato alla ragione e il crescendo di emozioni lo aveva spinto inconsapevolmente a violare la «legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco», mentre prendeva con dolcezza il viso di Sarah tra le mani per dare intensità al bacio. Non aveva esitato nell’abbassare le proprie difese, nello spogliarsi della maschera di se stesso per offrirsi al muto dialogo dell’amore e sugellare la recondita volontà di appartenere a lei.

Poté avvertire il suo corpo irrigidirsi e i suoi occhi spalancarsi, come se stentasse a credere alla realtà di quello che, considerandone l’innocenza, doveva essere per Sarah il primo bacio. Non glielo avrebbe rubato. Indietreggiò nella ricerca travolgente del sapore della sua bocca per donarle la magia che sapeva appartenere all’immaginario di una ragazza ancora acerba e chiuse le labbra per sfiorare le sue con tocchi leggeri, ripetuti che lei, timidamente, ricambiò quasi subito, fino a lasciarsi andare.

Con gli occhi semiaperti per sbirciare le sue espressioni facciali e coglierne, dietro le ciglia chiuse, l’anima di un sentimento amoroso, gli posò sul petto i palmi delle piccole mani e aprì un poco la bocca per assecondare il desiderio di Hermann che, adesso, era anche il suo.

Lo scorrere delle dita tra i suoi capelli, che, dallo chignon, si liberarono sulle spalle, diede il ritmo alla passione di un bacio che lei accolse tra stupore e tremore e che, emozionata e inesperta, seppe restituirgli soltanto a notte inoltrata nel continuo scambio di aneliti e nell’armoniosa fusione dei battiti dei loro cuori vicini nell’abbraccio, sciolti dalle carezze.

E l’amore aveva il sapore, adesso, dolce del malto della vodka e il profumo muschiato delle guance rasate di fresco; l’odore di nicotina non impregnava più le sue narici né il dolore avvolgeva l’anima sua, protetta fra le braccia di Hermann.

Senza andare oltre, cullati e appagati da tante effusioni e stanchi per la giornata, quasi simultaneamente, chiusero gli occhi e si addormentarono stretti l’uno all’altra, fronte contro fronte, mano nella mano. E non furono più due corpi uniti da un contratto per la sopravvivenza su di un letto macchiato di disonore, ma un’anima sola fuori dal tempo e dallo spazio di un mondo che li voleva nemici.

Le tenui luci del nuovo giorno sorpresero Sarah rannicchiata in posizione fetale al centro del letto con i piedi rivolti verso il bordo e la coperta – tirata un po’ su da Hermann per non svegliarla, quand’era ancora buio – a scaldarle la schiena. Si svegliò con il braccio ancor più indolenzito, ma stralunata e con un motivetto allegro nella testa, con i vestiti addosso solo sgualciti da una notte di tenera passione e spogliata dei suoi dubbi. Sul comodino, una tavoletta di cioccolato che non avrebbe più visto come umiliante pagamento.

 

Napoli, ottobre 1946

~ Una settimana al matrimonio ~

 

La nota di tristezza sul suo viso, incorniciato dal Juliet cap veil[1], stonava con il bellissimo vestito bianco in stile impero con maniche lunghe in pizzo e un leggero strascico e, per assurdo, nessuna delle donne presenti seppe coglierla, troppo prese da lei e dal suo apparire. Fissandosi nello specchio della sartoria, Sarah ricercava dentro di sé e nel luccichio dei suoi occhi quelle emozioni che credeva l’avrebbero accompagnata nell’ultimissima prova dell’abito da sposa.

Hannah raccoglieva nel fazzoletto silenziose lacrime di commozione, immaginando l’ingresso della sua amica in chiesa e fantasticando sul proprio, mentre la sarta le spiegava solerte i passaggi della vestizione e la cura che avrebbe dovuto impiegare nell’aiutarla. Accerchiata, Sarah si sentiva già soffocare dalla nuova vita che aveva voluto ricucirsi addosso per dimenticare il passato.

“Il Signore mi ha donato solo figli maschi”, esordì la moglie del signor Gennaro con un’espressione serena, prendendo dalla sua borsa un cofanetto. Da lì, estrasse un prezioso filo di perle e glielo mise delicatamente al collo. “Questa l’ho indossata al mio matrimonio. Adesso, è tua.” La signora Carmela concluse con un sorriso che Sarah non seppe ricambiare, né ringraziò per quel dono, preannuncio, secondo una vecchia credenza popolare, di lacrime e tristezza nella sua vita futura.

La sarta iniziò a girarle intorno, sfiorando il vestito e illustrandone gli eleganti dettagli alla moglie del signor Gennaro e alla futura suocera – la cui presenza Sarah aveva accettato per non dispiacere Matteo –, compiacendosi dell’ottimo lavoro svolto per “’a guagliona cchiù bell ’ro rion[2]”.

“A me sembra tutto molto eccessivo”, intervenne donna Filomena con un tono di sufficienza, riferendosi all’intera organizzazione del matrimonio. Come al solito, la futura suocera non si era trattenuta nell’esprimere un giudizio negativo che la signora Carmela subito contraddisse, affermando un po’ altera: “La cerimonia in Cattedrale richiede un abito come questo.”

La sarta trovò un buon pretesto per continuare a pavoneggiarsi per l’abito confezionato, mentre Hannah fissava l’amica con sguardo sognante, senza accorgersi della tristezza che incupiva i suoi lineamenti. A nessuno sembrava importare e la solitudine, di nuovo, strinse in una morsa il cuore di Sarah che tentò di liberarsi, aggrappandosi inconsciamente ai ricordi d’amore di cui Matteo non faceva parte.

“Ma certo! Infatti, avrebbe potuto scegliere di sposarsi nella Chiesa della Beata Vergine del Carmelo, come le avevo suggerito io”, insisté donna Filomena, facendo inalberare la moglie del signor Gennaro che ribatté: “Siete forse impazzita, ’onna Filumè[3]?! Quella chiesa è ancora danneggiata dai bombardamenti.”

Il battibeccare delle due donne e le parole di compiacimento della sarta iniziarono ad arrivare alle orecchie di Sarah come un suono fastidioso, poi lontano e sempre più indecifrabile e fu pervasa da un’ansiosa voglia di fuggire da lì, mentre gli occhi che pizzicavano di lacrime trattenute le si aprivano a verità che, fino a quel momento, aveva finto di non vedere sulla famiglia di Matteo e su di sé.

Desiderò spogliarsi del candido abito per vestire la scura divisa da cameriera e la cintura dell’abbraccio sicuro di Hermann che, da dietro, le cingeva la vita, sussurrandole all’orecchio parole rassicuranti. E il desiderio si rifletté nello specchio come proiezione di un momento già vissuto, portando via voci e immagini della realtà circostante, ma, subito dopo, Sarah tornò in sé e nel presente. Scosse e chinò la testa.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno che, conoscendo il suo vissuto e giustificando le sue scelte, potesse aiutarla a comprendere il suo stato d’animo e affrontare i fantasmi del suo passato. E chi altro meglio di Davide sarebbe stato capace di farlo?

 

“E i venti del cuore soffiano

e gli angeli poi ci abbandonano

con la voglia di volti e di parole,

seguendo fantasmi d’amore,

i nostri fantasmi d’amore.”

 

Fiorella Mannoia, I venti del cuore

 



[1]Molto in voga negli anni ’20, il Juliet cap veil era composto da un berretto che fasciava il capo della sposa come una cloche da cui partiva un lungo velo.

[2]La ragazza più bella del quartiere.

[3]Donna Filomena.

   
 
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