Capitolo 36
Ricordi d’amore
“Sento
qualcosa di insoddisfatto nel mio cuore, sempre.”
Francesco
Petrarca
Immagine
dal film “L’amore oltre la guerra”
Era da ben due anni che
Hermann non baciava una donna, attribuendo al bacio un valore d’indiscussa
importanza rispetto all’amplesso e astenendosi dal concederlo a signorine di
postriboli e avventure di una notte o poco più. Nello scambio di sapori e
respiri, vedeva racchiusa la massima espressione d’intimità fisica da riservare
a una relazione sentimentale stabile, di fiduciosa complicità e condivisione di
vita.
In quel momento, il
cuore si era ribellato alla ragione e il crescendo di emozioni lo aveva spinto
inconsapevolmente a violare la «legge per la protezione del sangue e dell’onore
tedesco», mentre prendeva con dolcezza il viso di Sarah tra le mani per dare
intensità al bacio. Non aveva esitato nell’abbassare le proprie difese, nello
spogliarsi della maschera di se stesso per offrirsi al
muto dialogo dell’amore e sugellare la recondita volontà di appartenere a lei.
Poté avvertire il suo
corpo irrigidirsi e i suoi occhi spalancarsi, come se stentasse a credere alla
realtà di quello che, considerandone l’innocenza, doveva essere per Sarah il
primo bacio. Non glielo avrebbe rubato. Indietreggiò nella ricerca travolgente
del sapore della sua bocca per donarle la magia che sapeva appartenere
all’immaginario di una ragazza ancora acerba e chiuse le labbra per sfiorare le
sue con tocchi leggeri, ripetuti che lei, timidamente, ricambiò quasi subito,
fino a lasciarsi andare.
Con gli occhi semiaperti
per sbirciare le sue espressioni facciali e coglierne, dietro le ciglia chiuse,
l’anima di un sentimento amoroso, gli posò sul petto i palmi delle piccole mani
e aprì un poco la bocca per assecondare il desiderio di Hermann che, adesso,
era anche il suo.
Lo scorrere delle dita
tra i suoi capelli, che, dallo chignon, si liberarono sulle spalle, diede il
ritmo alla passione di un bacio che lei accolse tra stupore e tremore e che,
emozionata e inesperta, seppe restituirgli soltanto a notte inoltrata nel
continuo scambio di aneliti e nell’armoniosa fusione dei battiti dei loro cuori
vicini nell’abbraccio, sciolti dalle carezze.
E l’amore aveva il
sapore, adesso, dolce del malto della vodka e il profumo muschiato delle guance
rasate di fresco; l’odore di nicotina non impregnava più le sue narici né il
dolore avvolgeva l’anima sua, protetta fra le braccia di Hermann.
Senza andare oltre,
cullati e appagati da tante effusioni e stanchi per la giornata, quasi simultaneamente,
chiusero gli occhi e si addormentarono stretti l’uno all’altra, fronte contro
fronte, mano nella mano. E non furono più due corpi uniti da un contratto per
la sopravvivenza su di un letto macchiato di disonore, ma un’anima sola fuori
dal tempo e dallo spazio di un mondo che li voleva nemici.
Le tenui luci del nuovo
giorno sorpresero Sarah rannicchiata in posizione fetale al centro del letto
con i piedi rivolti verso il bordo e la coperta – tirata un po’ su da Hermann
per non svegliarla, quand’era ancora buio – a scaldarle la schiena. Si svegliò
con il braccio ancor più indolenzito, ma stralunata e con un motivetto allegro
nella testa, con i vestiti addosso solo sgualciti da una notte di tenera
passione e spogliata dei suoi dubbi. Sul comodino, una tavoletta di cioccolato
che non avrebbe più visto come umiliante pagamento.
Napoli, ottobre 1946
~ Una settimana al
matrimonio ~
La nota di tristezza sul
suo viso, incorniciato dal Juliet cap veil[1], stonava con il
bellissimo vestito bianco in stile impero con maniche lunghe in pizzo e un
leggero strascico e, per assurdo, nessuna delle donne presenti seppe coglierla,
troppo prese da lei e dal suo apparire. Fissandosi nello specchio della
sartoria, Sarah ricercava dentro di sé e nel luccichio dei suoi occhi quelle
emozioni che credeva l’avrebbero accompagnata nell’ultimissima prova dell’abito
da sposa.
Hannah raccoglieva nel
fazzoletto silenziose lacrime di commozione, immaginando l’ingresso della sua
amica in chiesa e fantasticando sul proprio, mentre la sarta le spiegava
solerte i passaggi della vestizione e la cura che avrebbe dovuto impiegare
nell’aiutarla. Accerchiata, Sarah si sentiva già soffocare dalla nuova vita che
aveva voluto ricucirsi addosso per dimenticare il passato.
“Il Signore mi ha donato
solo figli maschi”, esordì la moglie del signor Gennaro con un’espressione
serena, prendendo dalla sua borsa un cofanetto. Da lì, estrasse un prezioso
filo di perle e glielo mise delicatamente al collo. “Questa l’ho indossata al
mio matrimonio. Adesso, è tua.” La signora Carmela concluse con un sorriso che
Sarah non seppe ricambiare, né ringraziò per quel dono, preannuncio, secondo
una vecchia credenza popolare, di lacrime e tristezza nella sua vita futura.
La sarta iniziò a
girarle intorno, sfiorando il vestito e illustrandone gli eleganti dettagli
alla moglie del signor Gennaro e alla futura suocera – la cui presenza Sarah
aveva accettato per non dispiacere Matteo –, compiacendosi dell’ottimo lavoro
svolto per “’a guagliona cchiù bell
’ro rion[2]”.
“A me sembra tutto molto
eccessivo”, intervenne donna Filomena con un tono di sufficienza, riferendosi
all’intera organizzazione del matrimonio. Come al solito, la futura suocera non
si era trattenuta nell’esprimere un giudizio negativo che la signora Carmela
subito contraddisse, affermando un po’ altera: “La cerimonia in Cattedrale
richiede un abito come questo.”
La sarta trovò un buon
pretesto per continuare a pavoneggiarsi per l’abito confezionato, mentre Hannah
fissava l’amica con sguardo sognante, senza accorgersi della tristezza che
incupiva i suoi lineamenti. A nessuno sembrava importare e la solitudine, di
nuovo, strinse in una morsa il cuore di Sarah che tentò di liberarsi,
aggrappandosi inconsciamente ai ricordi d’amore di cui Matteo non faceva parte.
“Ma certo! Infatti,
avrebbe potuto scegliere di sposarsi nella Chiesa della Beata Vergine del
Carmelo, come le avevo suggerito io”, insisté donna Filomena, facendo
inalberare la moglie del signor Gennaro che ribatté: “Siete forse impazzita, ’onna Filumè[3]?! Quella chiesa è
ancora danneggiata dai bombardamenti.”
Il battibeccare delle
due donne e le parole di compiacimento della sarta iniziarono ad arrivare alle
orecchie di Sarah come un suono fastidioso, poi lontano e sempre più
indecifrabile e fu pervasa da un’ansiosa voglia di fuggire da lì, mentre gli
occhi che pizzicavano di lacrime trattenute le si aprivano a verità che, fino a
quel momento, aveva finto di non vedere sulla famiglia di Matteo e su di sé.
Desiderò spogliarsi del
candido abito per vestire la scura divisa da cameriera e la cintura
dell’abbraccio sicuro di Hermann che, da dietro, le cingeva la vita,
sussurrandole all’orecchio parole rassicuranti. E il desiderio si rifletté
nello specchio come proiezione di un momento già vissuto, portando via voci e
immagini della realtà circostante, ma, subito dopo, Sarah tornò in sé e nel
presente. Scosse e chinò la testa.
Aveva bisogno di parlare
con qualcuno che, conoscendo il suo vissuto e giustificando le sue scelte,
potesse aiutarla a comprendere il suo stato d’animo e affrontare i fantasmi del
suo passato. E chi altro meglio di Davide sarebbe stato capace di farlo?
“E
i venti del cuore soffiano
e
gli angeli poi ci abbandonano
con
la voglia di volti e di parole,
seguendo
fantasmi d’amore,
i
nostri fantasmi d’amore.”
Fiorella
Mannoia, I venti del cuore