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Autore: Caroline94    11/08/2020    1 recensioni
Tre Regni.
Una guerra che non lascia tregue.
Due ragazzi i cui cammini sono destinati ad intrecciarsi.
La vita o la morte.
🍀🍀🍀🍀
Dal testo:
{Gli uomini intorno al falò si mossero in imbarazzo ma non diedero risposta alla sua domanda.
Solo Wyrda, capitano della terza squadra e veterano di guerra, si decise a prendere la parola: “È un racconto popolare del nostro Regno, una specie di leggenda sulla nascita di Zolfanello City” spiegò, quasi divertito “È una storia che si racconta ai bambini che non vogliono dormire”.
Raf non fece una piega, scavalcò il tronco sedendosi tra Wyrda e Luefra, aggiustandosi la lunga gonna del vestito “Mi piacerebbe ascoltarla” decretò, infine.
Wyrda la fissò intensamente per qualche istante, poi bevve un lungo sorso di idromele: “Molto bene” acconsentì “In quanto promessa Ministrante conoscerete senza dubbio Zar’roc, il demone esiliato sulla terra per i suoi tentativi di rivolta contro Mefisto il Dio delle Tenebre” cominciò. Raf annuì. […]
“Ebbene, si dice che Zar’roc, giunto sulla terra in forma umana, si accoppiò con una sacerdotessa mortale concependo dal suo grembo il primo essere conosciuto metà demone e metà umano: Anya, fondatrice e prima Imperatrice di Zolfanello City…”}
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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Una folata di vento si alzò all'improvviso, scompigliandole fastidiosamente i capelli. Fece una smorfia e si tolse la frangia dal viso con un gesto stizzito della mano, alzando gli occhi verso il cielo divenuto di un tenue color albicocca: era lì da ore, ormai, anche se sembrava che fossero passati giorni da quando aveva lasciato il castello. Da quando era fuggita dalla propria stanza, con gli occhi pieni di lacrime di rabbia e delusione, ed era montata sul proprio cavallo (sotto gli sguardi confusi e sconvolti degli stallieri) per uscire dai giardini. Aveva cavalcato a lungo nei boschi senza una meta precisa, tutto ciò che voleva era mettere più distanza possibile tra lei, il palazzo reale e tutte le persone che vi vivevano dentro. Si era fermata solo quando le gambe avevano iniziato a dolerle e le cosce a bruciare a causa della mancanza della sella.
Sospirò e si massaggiò distrattamente la caviglia, affaticata dalla lunga lezione di danza di quella mattina, mentre rifletteva il proprio viso nel letto del fiume. La sua puledra era a pochi passi da lei, con il muso piegato nello specchio d'acqua per dissetarsi, e si sentì quasi in colpa per averla fatta stancare così tanto. Si passò una mano sul viso, sentendosi stanca e spossata, ancora sconvolta per ciò che aveva udito, per ciò che Arkan le aveva riferito... per ciò che i suoi gentori avevano deciso.
Sentì gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime e li sbatté più volte, scuotendo il capo, respirando a fondo per cercare di calmarsi: non poteva credere che l'avevano venduta. Perché questo avevano fatto, per la miseria: l'avevano venduta ad un altro paese per garantirsi un potente alleato economico e politico. L'avevano data via come se fosse un oggetto, qualcosa da barattare per ottenere vantaggi, e la cosa la faceva stare malissimo. Le avevano organizzato un matrimonio a sua insaputa e si erano decisi a dirglielo dopo ben sei giorni.
Sei dannatissimi giorni.
Si sentiva umiliata, ferita e usata come persona e come essere umano. La cosa peggiore di tutti è che non aveva neanche il tempo materiale per riprendersi da quello shock e elaborare la cosa poiché, da lì a dodici ore, si sarebbe ritrovata davanti il suo futuro marito: nientemeno che il principe ereditiero di Zolfanello City. Altro che “fungere da tramite per delle trattive”: quello lì sarebbe venuto al castello per ritirarla, neanche fosse un pacco postale!
E ora capiva anche molte cose: capiva tutto il fermento scatenato da quella visita, capiva perché l'avevano messa sotto torchio sin da subito e capiva perché sua madre aveva tirato in ballo la questione della dama da compagnia così all'improvviso. E, nonostante l'avesse fatta arrivare fino al suo cospetto conoscendo la situazione, non si era degnata di dirle nulla.
Si asciugò una lacrima all'angolo dell'occhio, prima che potesse solcarle la guancia, e strinse tra le dita, poggiate sul terreno, dei fili d'erba. Probabilmente le guardie di palazzo la stavano cercando da un bel po' ma la cosa non le importava affatto: non aveva voglia di tornare al castello e affrontare le ire di sua madre. Sentiva che quel giorno non avrebbe retto, che non sarebbe riuscita a stare in silenzio di fronte ai suoi rimproveri e che avrebbe dato di matto, urlandole in faccia tutto quello che si era tenuta dentro negli anni.
L'idea di rimettersi di nuovo in viaggio e non tornare più indietro l'aveva sfiorata più volte da quando se n'era andata; in fin dei conti, ormai, non aveva più nulla da perdere: le avevano già tolto tutto, compresa la libertà e la dignità. Era emotivamente e fisicamente distrutta.
Inspirò e un singulto involontario accompagnò quel gesto, seguito subito dopo da un sobbalzo quando udì il fruscio delle foglie calpestate al di là del fiume. Si voltò di scatto, drizzando la schiena, e il suo sguardo incrociò il profilo di un uomo che emergeva dai cespugli, guidando con una mano le redini di uno stallone dal manto marrone: era molto giovane, non poteva avere più di vent'anni, con corti capelli castani e occhi grigi. Indossava una divisa militare nera e rossa e una lunga spada dall'elsa d'argento era legata al proprio fianco. Il ragazzo si guardò distrattamente intorno, come in cerca di qualcosa, ma si fermò di colpo quando la scorse, seduta poco elegantemente sulla riva opposta. La scrutò per un istante e Raf si sentì tremendamente a disagio, stringendo la lunga gonna dell'abito verde in una mano: aveva un po' paura, se doveva dirla tutta, essendo praticamente sola in mezzo al nulla e in compagnia di un perfetto sconosciuto, armato per giunta. L'unica cosa a separarli era l'ampio letto del fiume che, tuttavia, non era difficile da attraversare in sella ad un cavallo (animale di cui lui era oltretutto munito).
Ma il nuovo arrivato non sembrava avere intenzioni strane o pericolose nei suoi confronti e si avvicinò alla riva con naturalezza e tranquillità, abbassando lievemente il capo in un cenno di saluto quando fu abbastanza vicino.
“Buonasera” salutò, allegramente, spostando l'attenzione sul proprio destriero per togliergli le briglie e permettergli di piegarsi più facilmente sullo specchio d'acqua a bere. Raf si mosse un po' nervosamente sull'erba ma cercò di mantenere un certo contegno, e chinò anche lei il capo, brevemente, rispondendo cortesemente al saluto.
“Buonasera” rispose e la sua voce tremò appena. Il ragazzo sganciò due grandi sacche di pelle dalla sella e s'inginocchiò sul terreno, iniziando a riempirle d'acqua. Nel mentre alzò di sfuggita gli occhi su di lei, una sola volta, e si passò velocemente un pollice a grattare il ponte del naso.
“Avete l'aria di chi ha passato proprio una brutta giornata” notò improvvisamente, dopo due minuti di silenzio, rialzando la prima sacca per controllarla. Evidentemente era abbastanza piena perché la richiuse subito con il tappo, indaffarandosi per immergere la seconda.
Effettivamente, pensò la ragazza gettando un'altra occhiata verso il fiume, aveva davvero un aspetto orribile: gli occhi lucidi, le guance rosse, le mani e i vestiti sporchi di terra e i capelli arruffati dal vento nella cavalcata. Sospirò sconsolata e annuì.
“Ho ricevuto notizie poco liete” ammise, con una smorfia.
Il ragazzo tirò su la sacca, chiudendola accuratamente, e si rialzò in piedi. “Mi dispiace” mormorò “Lungi da me farmi gli affari vostri o essere invadente ma, giusto per curiosità, posso chiedervi cosa vi turba?” domandò, senza troppi giri di parole.
Era evidente, dal suo linguaggio, che fosse abituato ad avere a che fare con persone dell'alta aristocrazia, tuttavia vi era un atteggiamento molto confidenziale e amichevole nel suo approcciarsi con lei: come se mantenesse un certo distacco (dandole del “voi”) più per educazione che intento vero e proprio e che, in realtà, voleva parlarle con franchezza e libertà senza alcuna convenzione sociale di mezzo.
Non sapeva perché ma questo la fece sentire stranamente a suo agio. Era sempre abituata a persone che si inchinavano al suo passaggio e indivano conversazioni con frasi accuratamente pesate e selezionate; le uniche persone che le parlavano liberamente, e con cui lei poteva parlare senza peli sulla lingua erano, Arkan, Miki e Urié. Persino con suo fratello doveva assumere determinate maniere e toni.
Forse fu per questo che quel ragazzo le suscitò un'innata simpatia: era chiaramente un forestiero e, probabilmente, non aveva la più pallida idea di chi fosse lei in realtà; evidentemente pensava di trovarsi davanti una ragazzina qualunque, figlia di contadini o di cittadini del luogo, e questo le diede un certo senso di sicurezza e tranquillità. Pensò che, in fin dei conti, non c'era nulla di male a parlare con lui... e poi aveva davvero bisogno di sfogarsi con qualcuno.
Si passò una mano tra i capelli e si rilassò un po'.
“I miei genitori mi hanno scelto un marito contro la mia volontà” ammise, cercando di non sfociare in troppi dettagli che l'avrebbero tradita: dopotutto, non era strano che una ragazza (di qualunque ceto sociale fosse) venisse incastrata in un matrimonio combinato.
Il ragazzo sgranò gli occhi e, per un istante, sembrò incupirsi. “Ahia...” mormorò, abbassando lo sguardo “Deve essere un duro colpo” commentò, fissando intensamente le borracce che aveva tra le mani, per poi tornare ad alzare gli occhi su di lei “Posso immaginare come vi sentiate” ammise, con un misto di tristezza e malinconia nella voce “Anche mia sorella si è sposata nelle stesse circostanze e, come voi, non ne è stata affatto felice. Era un'amante della vita e della libertà e ha sempre sognato una storia d'amore romantica, di quelle che leggeva nei libri” raccontò, con un lieve sorriso, voltandosi per legare le sacche alla sella del cavallo. “È stata molto dura per lei, all'inizio, ma è riuscita a trovare il lato positivo in tutta la faccenda, anche se a fatica, e ora vive la sua vita piuttosto felicemente.
Non sto dicendo che dovete fare lo stesso, ma certi eventi della nostra vita non possiamo cambiarli: tanto vale cercare il modo per goderci quelli che ci capitano” disse, raccogliendo le briglie da terra. Raf rimase molto stupita da quelle parole, non avendo mai considerato quella filosofia di vita così banale eppure così complessa: in fin dei conti trovare il lato positivo in ciò che positivo non era affatto era un'impresa quasi impossibile.
Il ragazzo alzò le spalle e sospirò, rimettendo le briglie all'animale: “Guardate me, ad esempio: volevo fare il filosofo, avevo anche un'ottima base di studi alle spalle, e invece sono finito nella guardia reale del mio paese” confessò “Il cibo non è granché, è un lavoro faticoso e a tempo pieno e in caso di disordini sei tra i primi a rimetterci le ossa...” e s'interruppe di colpo, con un'espressione piuttosto perplessa sul volto “Visto così fa davvero schifo” ammise, realizzando, come se avesse considerato tutti quei lati negativi solo in quel momento; ma scosse la testa e si ricompose in fretta. “Però la paga è buona, la compagnia accettabile e si viaggia molto spesso. Tutto sommato non è poi così male... tranne quando il tuo superiore ti becca a giocarti la spada a poker e ti mette a pulire la stalla per una settimana. Ecco, quello non è affatto divertente” aggiunse, con una smorfia amara, e Raf non riuscì a trattenere un sorriso. Anche il ragazzo sorrise e prese le redini del suo destriero.
“Sono sicuro che troverà un lato positivo in questa faccenda. Magari il tipo non è così male” indovinò. Il sorriso sul volto della ragazza si affievolì un poco e alzò le spalle.
“Non lo so” ammise “Lo vedrò domani per la prima volta.”
“Ah” rispose lui, etereo, preso in contropiede “Beh, sperare non ha mai ucciso nessuno” annuì vigorosamente, salendo agilmente sulla sella “Sarà meglio che torni dai miei compagni o mi beccherò una tirata d'orecchi che non finisce più” annunciò, con un sospiro, girando il cavallo “Buona fortuna per domani, spero che troverete il lato positivo di cui avete bisogno” concluse, con un tono estremamente dolce e fraterno che la fece quasi commuovere.
Sorrise, anche se un po' tristemente, e annuì: “Lo spero anche io.”
Il ragazzo le fece un ultimo cenno con il capo, diede un colpetto ai fianchi dell'animale e sparì trotterellando tra i cespugli.
Rimasta sola, Raf sospirò stancamente e chiuse gli occhi per un'istante, lasciandosi andare alla lieve brezza serale che stava cominciando a soffiare tra gli alberi. Trovare il lato positivo in quella faccenda era un'impresa titanica: stava per essere data in moglie ad un perfetto sconosciuto, portata in un altro paese e costretta a divenire la bambola di porcellana tutti pizzi e riverenze che tanto detestava.
Sarebbe diventata come sua madre.
La sua pledra le si avvicinò lentamente e le diede un colpetto sulla spalla con il muso, facendola rinsavire dai propri pensieri. Aprì piano gli occhi e alzò una mano per accarezzargli il muso. Forse doveva semplicemente accettare il destino che le era capitato e cercare di trovare il modo per renderlo meno pesante possibile. Non sarebbe stato facile ma era l'unica soluzione per non farla uscire di testa. Si alzò lentamente e si arrampicò sulla schiena della compagna, con non poche difficoltà, aggrappandosi al suo collo (data l'assenza delle briglie) e dandole un lieve colpetto sul fianco per iniziare l'avanzata verso il castello, verso quella prigione dorata che l'avrebbe lasciata libera solo per vederla incatenata altrove.
Sospirò: chi diceva che essere una principessa era il sogno di tutte le ragazze chiaramente non aveva mai conosciuto una vera principessa.




Adrë l'aveva trovata a metà strada, quasi per caso, dopo ore perse a girogavare per i boschi. Era saltato giù dalla propria cavalcatura ancora in movimento e le era corso in contro, preoccupato, facendole mille domande sulla sua salute. Raf non si scompose e rispose in tutta calma, scusandosi per averlo fatto preoccupare con sincero rammarico. Aveva deciso di affrontare la cosa con maturità, attingendo a tutto il senso del dovere che aveva a disposizione: era la principessa di Angie Town, dopotutto, e come tale doveva porre il bene del paese sopra ogni cosa, anche sé stessa. Se sposarsi avrebbe garantito sicurezza e stabilità al regno allora lo avrebbe fatto, senza “se” e senza “ma”.
Erano quindi tornati al castello dove, aveva appreso, Arkan aveva tenuto nascosto a tutti la sua fuga, onde evitare di crearle problemi con i genitori: aveva mandato solo Adrë a cercarla, raccomandandogli la massima discrezione. Di questo gli fu molto grata e capì quanto doveva essere stato difficile per lui darle quella notizia: aveva visto chiaramente il dolore dietro i suoi occhi mentre le spiegava la decisione presa dal re nei suoi riguardi. Lì per lì era stata troppo infuriata e preda delle proprie emozioni per badarvi ma in quel momento, e a mente lucida, si rendeva conto di quanto quella situazione facesse soffrire anche lui.
Scivolò lentamente dal dorso del proprio cavallo e si congedò da Adrë, risalendo lentamente il prato e rientrando a palazzo. Si diresse direttamente in camera propria dove ad attenderla seduta sul letto vi era Urié. La ragazza sobbalzò quando la vide entrare e le gettò le braccia al collo, con le lacrime agli occhi: era presente quando il suo tutore era salito nelle sue stanze e aveva iniziato a parlare degli accordi politici presi con il regno di Zolfanello City (che in quel momento stava attraversando una fase piuttosto tesa con uno dei regni a loro vicini); quando era arrivato a spiegare che tale concordato era stato accompagnato dalla proposta di unire i due imperi tramite un matrimonio Raf si era sentita gelare e, ancor prima che le venisse detto chi erano i due disgraziati scelti per le nozze, aveva già intuito il tutto. Quando i suoi timori avevano trovato conferma si era sentita mancare, per poi esplodere nel subbuglio di emozioni che l'aveva portata a fuggire. Urié aveva assistito alla scena, impotente e sconvolta, e tutto ciò che aveva potuto fare era stato rimanere lì, nella sua stanza, aspettando che tornasse.
Raf cercò di mantenere un certo contegno, ricacciando indietro le lacrime per non mostrare quanto in realtà fosse turbata e ferita, per non farla preoccupare ulteriormente, e ricambiò l'abbraccio. Quando si staccarono lei aveva ancora gli occhi gonfi.
“Non posso credere che tu... che vogliano davvero... non possono...” singhiozzò, cercando di asciugarsi le guance. Raf si sentì stringere il cuore a vederla in quello stato ma le prese la mano e sorrise maliconicamente.
“Lo so” mormorò “Ma non possiamo farci nulla, dobbiamo accettarlo e basta. Sono pur sempre una principessa e ho dei doveri a cui non posso sottrarmi” le disse, sforzandosi di sembrare tranquilla, cercando di consolarla; anche se ad aver bisogno di conforto, in quel momento, era proprio lei. Eppure non voleva dirle addio sapendola in pensiero per il suo avvenire: doveva credere, almeno per il momento, che avesse accettato la cosa con serenità.
Al resto avrebbe pensato in un secondo momento.
“Però...” provò a ribattere Urié, per nulla convinta, venendo prontamente interrotta dalla ragazza con un gesto della mano.
“Va tutto bene. Dico sul serio” disse, marcando bene l'ultima frase dato lo sguardo scettico che l'amica le rivolgeva “Non preoccuparti e vai a riposare. Sono molto stanca anche io e domani sarà una giornata lunga” tagliò corto, facendole ben intendere di non voler proseguire oltre la conversazione. Era davvero esausta e non aveva voglia di parlare ancora della faccenda, l'avrebbe solo resa più nervosa di quanto già non fosse. Tutto ciò che desiderava in quel momento era farsi una bella dormita che le scrollasse di dosso tutte le emozioni di quella sera ma, sopratutto, voleva restare sola.
Era un po' egoistico da parte sua poiché era evidente che anche Urié avesse preso malissimo la notizia della sua partenza così improvvisa, ma trovava quasi fastidiosa la sua presenza, sepcialmente dal momento che sembrava intenzionata a rimarcare tutti i lati negativi della situazione. Si sentì un po' in colpa ma aveva davvero bisogno di stare un po' da sola, senza nessuno che le ricordasse constantemente quanto tutto quello fosse ingiusto e doloroso. Urié sembrò sul punto di ribattere ma sospirò, asciugandosi le lacrime.
“Sei hai bisogno sono qui accanto” le disse. Raf sorrise e annuì, guardandola uscire lentamente dalla stanza. Ma appena la porta si fu richiusa il sorriso disparve dal suo volto e si abbandonò stancamente sul materasso. Il pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poche ore continuava a tartassarle la mente e, ne era quasi certa, avrebbe affollato anche i suoi sogni quella notte. Ovviamente, sempre ammesso che fosse riuscita a prendere sonno: anche se il suo corpo urlava pietà da ogni fibra, la sua mente era ben lucida e piena di nefasti pensieri.
Inspirò a fondo e si raggomitolò di traverso sul letto senza preoccuparsi di cambiarsi d'abito o anche solo togliersi le scarpe, chiudendo gli occhi, cercando di sprofondare nell'abisso più buio della propria coscienza e trovare un po' di pace almeno nel sonno.












“Avete davvero dormito così?! Una posizione così scomoda non fa bene alla vostra costituzione... per non parlare del mal di schiena che sicuramente avrete. Su, venite di là, il bagno è pronto: siamo già in notevole ritardo.”
Raf registrò con qualche secondo di ritardo le parole della donna in piedi di fronte a lei: le faceva male la testa, aveva gli occhi gonfi e brucianti e sentiva una lieve fitta alla schiena ogni volta che drizzava il busto. Aveva dormito pochissimo e in una posizione scomodissima, senza contare il brutale risveglio quando il sole, appena sorto, le era arrivato dritto in faccia dalle tende aperte con poca grazia dalla servitù.
Nonostante tutto non riconobbe nessuna delle sue domestiche tra le molte donne che si indaffaravano all'interno della stanza e questo la lasciò molto perplessa. Si strofinò gli occhi e cercò di dare un senso a ciò che le stava accadendo intorno.
“Che succede?” mormorò, confusa. La donna che le aveva parlato poco prima abbassò lo sguardo su di lei e sembrava visibilmente impaziente.
“Succede, vostra altezza, che fra poche ore il seguito di Zolfanello City sarà alle porte della città e voi siete ancora in condizioni impresentabili” spiegò, prendendola per una mano e tirandola giù dal letto “Abbiamo molte cose da fare e poco tempo per farle, quindi vi prego di sbrigarvi. Vostra madre ha dato direttive molto precise, non rendendoci le cose semplici” ammise, conducendola velocemente verso il bagno: la vasca era stata riempita con acqua calda e fiori di lavanda e due domestiche stavano preparando asciugamani ed accappatoio accanto ad essa.
Il fatto che fossero presenti tutte quelle persone la metteva tremendamente a disagio: mai c'era stato tutto quel fermento, a palazzo, neanche quando era venuto a far loro visita il re di Aurum, fratello di sua madre e loro maggior alleato commerciale.
La donna, che si presentò come Arya, la invitò a spogliarsi senza troppi complimenti e Raf pensò bene che non fosse il momento di fare la ritrosa; mandando a farsi benedire la propria politica sulla privacy lasciò che le tre donne l'aiutassero a lavarsi e le asciugassero minuziosamente i capelli. Dopodiché si avvolse nell'accappatoio e le seguì fino alla propria stanza dove, in un angolo, era stato appena portato un manichino su cui era esposto l'abito che avrebbe dovuto indossare quel giorno: era di un tenue azzurro terso, con le maniche lunghe che sfociavano in un giradito; i bordi della lunga gonna, non eccessivamente ampia, erano ornati di elaborati ricami bianchi, così come il corpetto, il colletto alto e le spalle. Aveva l'aria di essere molto stretto e questo non le piacque affatto.
Si sedette dunque davanti lo specchio dove due domestiche iniziarono a pettinarle e acconciarle i capelli in una crocchia alta e molto stretta, tanto da farle accentuare il dolore alla testa tirandole tutta la nuca; le incipriarono quindi il viso, abbondando sotto gli occhi per nascondere i segni del mancato riposo, e le truccarono leggermente le ciglia e le labbra, aggiungendo un po' di colore sulle gote. Tutto il processo durò una buona mezz'ora, ma la parte peggiore arrivò quando iniziarono a smontare l'abito dal suo espositore, tirando fuori biancheria intima coordinata e corsetto.
Raf detestava i corsetti: era dolorosissimo indossarli e le limitavano moltissimo i movimenti, persino un'azione naturale come respirare diventava un'impresa impossibile. Quegli affari erano una vera e propria lotta per la sopravvivenza, a parer suo, ma sua madre non gliel'avrebbe fatta passare liscia se avesse rifiutato di metterlo proprio quel giorno.
Indossò l'intimo, le lunghe calze bianche e le scarpette, fortunatamente senza tacchi, in tinta con il vestito (impresa che le sarebbe stata impossibile svolgere dopo) e lasciò che Arya le infilasse il bustino, iniziando a tirare le lunghe stringhe con particolare vigore, in barba alle sofferenze della giovane.
“È proprio necessario... che sia così stretto...?” annaspò, poggiata con le mani all'armadio per non perdere l'equilibrio.
“Ordini della regina, vostra altezza...” soffiò la donna, con il fiato corto per la fatica, allacciando le stringhe “Mi dispiace” aggiunse, con un cenno di compassione nella voce, potendo comprendere perfettamente i tormenti della povera ragazza. Presero quindi l'abito e, in due, lo fecero scivolare lentamente sul corpo di Raf, passando per la testa, facendo attenzione a non rovinare trucco e parrucco. Strinsero il corpetto per farlo aderire perfettamente al busto e sistemarono meglio sottogonna e colletto, finché il risultato finale non le soddisfò abbastanza.
Raf si guardò allo specchio con una smorfia: il vestito era splendido, il trucco le stava d'incanto e, nel complesso, era davvero affascinante. L'unica pecca è che lei si sentiva schiacciata peggio di una sardina in scatola. Doveva fare piccoli respiri profondi per non morire soffocata e aveva difficoltà ad alzare le braccia anche solo ad altezza spalle: come poteva sua madre pretendere che danzasse con indosso quell'affare se a malapena riusciva a camminare senza sembrare un manico di scopa?
“Siete incantevole” si complimentò una delle due domestiche e Raf avrebbe tanto voluto piangere, non tanto per il complimento quanto per il dolore al petto e alla cute. Sperò tantissimo che più tardi ci sarebbe stato un cambio d'abito, lo sperò con tutta sé stessa.
Una delle ragazze si avvicinò alla scrivania per recupare uno scrigno di legno intarsiato di ghirigori dipinti d'argento, con cristalli e perle a fungere d'ornamento, e lo portò nei pressi del gruppetto: Raf sapeva esattamente cosa conteneva anche se erano rare le volte in cui le veniva presentato e, come tutto ciò che riguardava il protocollo di corte, non fu affatto contenta di vederlo. Ma quel giorno era particolarmente speciale e non poteva assolutamente mancare il simbolo per eccellenza della sua regalità.
Arya aprì cautamente il cimelio, mostrando il diadema d'argento tempestato di diamanti poggiato accuratamente sul velluto nero, e lo prese maneggiandolo con estrema delicatezza. Era davvero stupendo, un capolavoro della goielleria locale, e anche molto resistente poiché progettato per resistere agli urti in caso fosse scivolato dal capo della proprietaria (come le era già successo una volta, diversi anni prima), tuttavia preferivano evitare spiacevoli incidenti. La donna lo poggiò sul suo capo a tre quarti, esattamente sulla linea che separava la frangetta dal resto della chioma, incastrando le estremità sotto la stretta acconciatura per una tenuta maggiore, e ammirò il proprio operato.
Mancava solo il mantello di raso bianco, usato per le cerimonie ufficiali (ed essere presentata al proprio futuro marito era decisamente una cerimonia ufficiale, con tanto di consegna di doni e benedizioni) e sarebbe stata pronta per scendere nella sala del trono, dove avrebbe atteso l'arrivo degli ospiti seduta sul suo seggio insieme al resto della famiglia reale e della corte.
Quindi era vero, stava succedendo sul serio. Stava per conoscere l'uomo che avrebbe sposato e che l'avrebbe portata via dal proprio paese di lì a pochi giorni per sempre. Stavano per rendere tutto ufficiale. Tutto reale.
In quel momento il desiderio di divincolarsi dalla presa delle tre donne e fuggire lontano fu più forte e vivido che mai. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a piangere di nuovo e insipirò a fondo, mentre il suo già limitato apparato respiratorio veniva compresso ancora di più grazie alla cordicella del mantello, che venne legata intorno al suo collo e nascosta da una spilla recante lo stemma della casa reale. Si allargò il nodo con un dito, già desiderando di togliersi tutta quella roba di dosso, e lasciò che Arya le sistemasse meglio l'indumento sulle spalle prima di annunciare la fine della preparazione.
Il sole era ormai alto nel cielo e batteva attraverso la finestra, riscaldando pian piano la stanza, e la stupì non poco rendersi conto del tempo che era passato: sembrava quasi assurdo che delle azioni banali come lavarsi e vestirsi potessero richiedere addirittura delle ore, eppure ciò era il minimo quando gli indumenti erano complicati da indossare e si pretendeva la perfezione assoluta.
“Possiamo andare, principessa” disse d'un tratto Arya, risvegliandola dai propri pensieri. Raf sospirò e annuì, alzando le estremità della gonna per non calpestarla e avviandosi fuori la stanza. Scese con calma i gradini del grande scalone, tenendo la testa ben dritta per non rischiare di far cadere il diadema, e sperando di arrivare nella sala del trono il più tardi possibile; sapeva che questo non avrebbe evitato lo svolgersi degli eventi ma sentiva di doversi concedere ancora un po' di tempo con sé stessa.
Arya si fermò davanti una delle porte secondarie che davano sui vari corridoi dove, ad aspettarle, vi era Adrë infilato nella divisa militare da cerimonia bianca e azzurra che le guardie di alto rango indossavano solo nelle occasioni ufficiali. Sarebbe rimasto al suo fianco tutto il giorno e questo la fece sentire un pochino meglio. La donna si congedò e sparì oltre le scale che portavano ai piani inferiori, dove vi erano le cucine e le stanze della servitù, e Adrë le porse la mano.
“Siete pronta?” domandò, con un velo di preoccupazione nella voce.
“No” ammise lei, in tutta franchezza “Ma temo che la cosa non importerà alle persone che sono là fuori” constatò, poggiando la propria mano sulla sua. L'uomo non rispose ma era evidente che avesse tante cose da dire, Raf leggeva ogni singola parola nel suo sguardo e non poté che concordare con tutto, accettandolo come una specie di consolazione.
Lui bussò quindi due volte alla porta ed entrambi gli spiragli vennero prontamente aperti dalle guardie, posteggiate dall'altra parte. La sala del trono era già gremita di persone, che si aprirono a ventaglio intorno a lei quando la videro entrare, inchinandosi al suo passaggio. Adrë, in piedi al suo fianco, la scortò elegantemente fino al suo seggio dorato, leggermente più piccolo rispetto a quello dei genitori, posto vicino la regina. Salì i pochi gradini e si sedette compostamente sul bianco cuscino di velluto, lasciando andare la mano dell'uomo che si sistemò alla sua destra, pochi gradini più dietro rispetto all'allineamento dei seggi, abbastanza lontano da rispettare il protocollo ma vicino quanto bastava per intervenire in caso di emergenza.
Sua madre le gettò solo un'occhiata che non sapeva né di critica né di sospetto, sembrava piuttosto malinconica: anche se fosse evidente che cercasse di nasconderlo, i suoi occhi tradivano un leggero velo di tristezza che colpirono molto Raf, lasciandola stupita. Accanto a lei, sulla sinistra, suo padre sembrava indifferente a tutto ciò e parlava fitto fitto con Arkan, piegato leggermente su di lui da dietro il trono, mentre suo fratello fissava il grande portone con sguardo assente e un po' estraneo, come se pensasse a tutt'altro. E Raf sentiva crescere l'ansia ogni secondo che passava.
I nobili sembravano, tuttavia, molto eccitati da tutta la situazione e bisbigliavano tra di loro con aria elettrizzata. Tra le prima file Raf vide Navea, avvolta in un elegante abito color avorio e l'aria pensierosa, mentre al suo fianco vi era Dolce riconoscibile grazie ai suoi sgargianti capelli rosa sempre ben acconciati. Esmeralda era in piedi accanto alla donna e Miki, qualche passo dietro di lei, aveva la faccia di chi aveva appena ricevuto la più grande batosta della propria vita. Non sapeva perché ma si appuntò di chiederglielo più tardi, se fosse riuscita a parlarle in mezzo a tutto il casino che sarebbe scaturito di lì a pochissimo.
Difatti, un'istante dopo, si sentì uno squillo di trombe provenire dall'esterno e il grande portone principale venne prontamente aperto da due ufficiali, lasciando entrare una piccola comitiva di otto persone tutte vestite di nero.
Erano arrivati.
Raf sentì il cuore balzarle in gola e un fortissimo senso di nausea scombussolarle lo stomaco, seguiti da ansia, panico e paura; sarebbe potuta svenire da un momento all'altro senza alcun preavviso tanta era l'angoscia ma fece di tutto per mantenersi lucida.
Il gruppetto si fermò a pochi passi da loro e una donna, l'unica lì presente, si abbassò il cappuccio del mantello dal capo, mostrando un viso pallido e non più tanto giovane in cui erano incastonati due grandi occhi gialli; il tutto era incorniciato da una lunghissima cascata di capelli rossi che le arrivavano fino alle caviglie. L'abito che indossava era decisamente fuori dai canoni estetici a cui Raf era abituata: se lì a corte spopolava la moda degli abiti pomposi e dalle ampie gonne, quello che si ritrovò ad osservare era un'elegante giacchetta viola scuro dalle maniche e dal colletto lunghi, sotto il quale era stata sistemata un'aderente gonna della stessa tonalità che poggiava morbidamente sul pavimento. Il tutto risaltava magnificamente sul corpo snello e sinuoso della donna che, dopo aver sorriso leggermente, fece un elegante e dignitoso inchino a tutta la famiglia.
“Portiamo i nostri ossequi, maestà” esalò con voce limpida e profonda, ostentando tuttavia un lievissimo tono malizioso nella propria voce che la ragazza non riuscì a spiegarsi “Io sono Temptel, odierna Ministrante della corte di Zolfanello City, appartenente alla famiglia reale in quanto sorella della regina” si presentò, brevemente e con fare piuttosto sbrigativo, ma mantenendo una certa regalità in ogni suo gesto e parola che affascinò moltissimo Raf. “Permettetemi di presentarvi mio nipote, Sulfus, principe ed erede al trono del nostro regno, giunto qui oggi per chiedere la mano della vostra principessa.”
Un brivido gelido scorse giù per la schiena della ragazza ad udire quelle parole e deglutì, iniziando a scorgere i vari uomini in piedi dietro la donna e cercando di capire chi di loro fosse il suo ormai confermato “fidanzato” (solo pensare a quella parola le fece rigirare lo stomaco). Da quando aveva saputo del loro arrivo aveva sempre immaginato il principe come un adulto e non sapeva neanche lei perché; forse il motivo era che, semplicemente, quasi tutti i principi che aveva visto in vita sua avevano più di diciotto anni e aveva creduto, spontaneamente, che neanche quella volta avessero fatto eccezione.
Per questo restò a dir poco stupita quando vide farsi avanti un... ragazzino. Sì, era proprio un ragazzino.
Poteva avere sì e no la sua età, forse un pochino di più volendo esagerare. Era infilato in una divisa militare completamente nera e portava al proprio fianco una lunga spada dall'elsa dorata, intarsiata fino al fodero di rubini, diamanti e ambre ornamentali. Aveva dei profondi occhi gialli molto simili a quelli di Temptel (evidentemente ereditati dalla famiglia della madre) e lunghi capelli blu notte legati in una bassa coda. A dispetto della zia, che manteneva constantemente un lieve sorriso dall'aspetto sinistro sul volto, il ragazzo restava serio e impassibile di fronte a loro, mostrando un contegno senza eguali. E non si inchinò, di fronte a nessuno di loro.
L'aveva letta qualcosa a riguardo, diversi anni prima, su un libro trattante gli usi e le tradizioni nei vari paesi del mondo, e Zolfanello City aveva valso una menzione speciale poiché nessun membro della famiglia reale sul trono, o prossimo ad esso, s'inchinava dinnanzi a qualcuno che non fossero il re e la regina della capitale stessa. Neanche i sovrani s'inchinavano l'uno dinnanzi all'altro, quando lì ad Angie Town era prassi che persino la regina doveva inchinarsi davanti al re quando vi chiedeva udienza (e mai il contrario).
Poteva sembrare un gesto di scortesia per la maggior parte delle persone lì presenti, ma era semplicemente una questione di costumi differenti che lei non aveva alcun problema ad accettare (che poi detestasse tutte quelle ridicole riverenze era un altro paio di maniche).
Suo padre, tuttavia, non fece una piega e si alzò in piedi, scendendo i gradini e raggiungendo il ragazzo come a volerlo osservare meglio. Infine si proferì in un breve discorso di benvenuto rivolto ad entrambi i rappresentanti, ignorando deliberatamente la scorta militare dietro di essi.
E fu proprio su di loro che Raf si concentrò, attirata dalla divisa nera e rossa che indossavano gli uomini della guardia e che lei era sicurissima di aver già visto da qualche parte, e anche piuttosto recentemente. Tuttavia in quel momento non le venne in mente nulla, per quanto si sforzasse, e s'impose di tornare a concentrarsi su quanto stava avvendendo di fronte a lei per non perdere il filo degli eventi.
Nonostante avesse appena visto in faccia il proprio futuro marito non aveva provato nulla nei suoi confronti, neanche un misero pizzico di curiosità o interesse: quel ragazzo la lasciava totalmente indifferente, su ogni fronte. Neanche nell'aspetto fisico le diceva qualcosa: per quanto non fosse per nulla da disprezzare in termini di fascino e bellezza, la cosa non la toccava più del dovuto.
Era un estraneo per lei, uno sconosciuto, alla stregua di un passante incrociato per caso sul marciapiede per mezzo secondo. Nulla da rilevare, nulla da dire, nulla da pensare. Nulla di nulla.
Aveva appena incontrato colui con cui avrebbe dovuto passare il resto della propria vita e non provava assolutamente nulla, le era rimasto giusto il residuo della nausea di poco prima.
Tuttavia non aveva altra scelta che mostrarsi un minimo ospitale e gentile nei suoi confronti, giusto per senso del dovere ed educazione. Ma dovette ammettere che non fu particolarmente contenta quando suo padre l'annunciò con voce altisonante, invitandola velatamente ad avvicinarsi al gruppetto.
Esitò un secondo, presa di sorpresa, poi si alzò in piedi non potendo fare altrimenti e scese lentamente i gradini di marmo bianco, reggendosi delicatamente la gonna, sotto gli occhi di tutti, fermandosi solo una volta accanto al genitore e faccia a faccia con lui.
Era più alto di lei di sette o otto centimetri buoni e il pallore sulla sua pelle sembrava meno accentuato visto da vicino. Tuttavia le sensazioni non cambiarono e rimase impassibile, non sapendo assolutamente cosa fare, per due secondi buoni, tempo nel quale si guardarono negli occhi con espressioni indecifrabili l'uno per l'altro.
Infine, contro ogni aspettativa e tradizione, fu Sulfus a interrompere quell'attimo di smarrimento: le prese la mano e, con grazia, sfiorò le dita con le labbra inchinandosi brevemente. Questo lei non se lo aspettava minimamente, credendo che mai lo avrebbe visto inchinarsi dato che le loro usanze non lo permettevano, e rimase a dir poco sconcertata e stupita. Ma si ricompose in fretta, preferendo non porsi domande, e chinò leggermente il capo a sua volta in segno di saluto e, in un certo senso, di rispetto.
Beh, come primo approccio non era andato poi così male in fin dei conti, e anche Temptel doveva essere d'accordo poiché Raf la scorse sorridere piuttosto compiaciuta: qualcosa le disse che lei non era l'unica ad essere stata in ansia per quell'incontro. Non ci aveva pensato minimamente, ma anche lui stava vivendo la sua stessa situazione: costretto a sposare una ragazza che non conosceva per nulla senza che nessuno avesse chiesto il suo parere a riguardo. Stavano condividendo la stessa triste sorte che altri avevano deciso per loro e, per un attimo, provò un senso di malinconia ancora peggiore; sperò che sarebbero riusciti ad andare almeno un minimo d'accordo per rendere la cosa il meno pesante possibile per entrambi.
Non poteva amarlo ma nulla le vietava di diventare quantomeno sua amica, anche solo per garantire un quieto vivere a quel matrimonio. I presupposti c'erano tutti, non le restava che capire come la pensava il diretto interessato a tal proposito.
“Molto bene, direi” esclamò d'un tratto suo padre, riportandola alla realtà, abbandonando il fare austero per tentare un approccio più diretto e affabile: chiaramente avevano temuto il peggio da quel primo incontro e vederlo andare così a buon fine li aveva messi tutti di buon umore. Almeno qualcuno aveva tratto qualcosa di positivo da quella faccenda che a Raf aveva valso solo un gran mal di stomaco.
“Decisamente” sorrise Temptel, voltandosi poi verso la propria scorta “Ci siamo permessi di portarvi dei regali, principessa, come dono di nozze” informò, schioccando le dita dalle lunghe unghie dipinte di nero. Il suono rieccheggiò, secco e forte, per tutta la sala e una lunga sfilza di damigelle e cortigiani fece capolino nella sala portando con sé ceste piene di stoffe e tessuti, bauli colmi di abiti sontuosi e splendidi gioielli, diversi ornamenti delle più preziose porcellane e sacchetti di pregiate foglie di thé e spezie; ma ad attirare maggiormente la sua attenzione fu il pacchetto di stoffa contenente quattro grandi libri rilegati in pelle e dall'aria molto antica. Tutte cose che sarebbero state sistemate nelle sue stanze e che, in seguito, avrebbe dovuto portarsi dietro a Zolfanello City. Forse.
Mentre il lungo corteo sfilava con esasperante lentezza di fronte a lei, qualcosa le disse che non avrebbe avuto il tempo di scambiarsi neanche mezza parola con il ragazzo per chissà quanto ancora. Sospirò discretamente pensando che, in fondo, avevano tutta la vita dinnanzi a loro per parlare di quell'assurda situazione.








Raf si gettò letteralmente di peso sul letto, sentendosi incredibilmente stanca e spossata: era quasi sera, ormai, ed era rimasta incastrata in quella festa di benvenuto tutto il santissimo giorno. Si erano spostati nella sala dei banchetti ed erano partiti da una semplicissima colazione a buffet divenuta, poi, un raduno di chiacchiericcio che suo padre e Arkan avevano passato a parlare con Temptel e Sulfus in un angolo della sala. Sua madre era rimasta a far salotto con le dame di corte mentre lei era stata assediata dalle damigelle, costretta ad ascoltare il loro inutile farneticare eccitato su tutto ciò che era successo quel giorno.
Dopo l'ennesima domanda estrememante indelicata e fuori luogo su come si sentisse riguardo quelle nozze non aveva più retto ed era corsa a rifugiarsi sul proprio trono di scorta, posto in fondo alla sala, accusando un lieve mal di testa. Era più piccolo e meno “ufficiale” di quello posto nella sala del trono e serviva a permettere ai reali di riposarsi un po', magari dopo un ballo o dopo aver passato ore in piedi a socializzare; Raf lo considerava la sua zona rossa, una specie di ancora di salvezza poiché nessun nobile poteva avvicinarsi a lei senza il suo consenso mentre era seduta lì sopra.
Si era quindi abbandonata su di esso, prendendosi la fronte tra le dita, cercando un po' di tranquillità: il senso di nausea ancora non l'aveva abbandonata e le aveva impedito di toccare cibo tutto il giorno. Solo Urié, capita la situazione, le si era accostata per accertarsi che stesse bene.
Sembrava assurdo ma, paradossalmente, i domestici avevano molta più libertà di porsi nei confronti dei reali: un nobile doveva chiedere il permesso anche solo per avvicinarsi ad uno dei sovrani e conseguente prole, mentre una cameriera, un maggiordomo o anche solo lo sguattero che puliva i pavimenti della cucina vi si poteva accostare senza alcun problema. Al massimo sarebbe dipeso dall'interlocutore se congedarlo o meno.
Il motivo era semplice: il compito della servitù non era solo quello di fornire beni e servizi materiali alla famiglia reale ma anche di informarli su quanto accadeva all'interno del palazzo, fungere da portavoce o ricordare loro impegni e appuntamenti. Ovviamente dovevano rapportarsi a loro come prevedeva il protocollo, ma per il resto non aveva nessuna barriera dinnanzi.
I domestici di alto rango, poi, avevano anche una mise particolare e che si avvicinava di più all'eleganza di coloro che servivano: la cameriera personale della regina non poteva certo stare al suo fianco con indosso le stesse vesti di una domestica qualunque, in fin dei conti. E anche Urié rientrava in quella categoria, tanto che quel giorno aveva indossato il suo abito da cerimonia preferito: nero, con la gonna lunga, il colletto alto e la maniche ornate di merletto bianco. Solo un candido grembiule di seta ornamentale lasciava intendere che facesse parte della servitù e non degli invitati.
Raf le aveva chiesto solo un bicchiere d'acqua, dopo varie domande di rito in cui la ragazza si era anche offerta di farla tornare in camera con una scusa, che lei purtroppo aveva dovuto rifiutare in quanto non poteva assolutamente permettersi di abbandonare un evento presidiato da ospiti così importanti. Prima o poi sarebbe dovuta tornare in mezzo ai nobili e sorbirsi di nuovo le loro chiacchiere, volente o nolente.
Era così durata fino a pomeriggio inoltrato, quando tutti gli ospiti si erano congedati per tornare nelle proprie abitazioni per un cambio d'abito in vista del ballo di quella sera. La giornata non era ancora finita, malaguratamente, e la parte difficile doveva ancora arrivare. A Raf erano state quindi concesse sì e no un paio d'ore di riposo che avrebbe dovuto usare per prepararsi, ma non aveva la benché minima voglia di alzarsi dal letto: voleva solo sprofondare nel suo morbido cuscino e dormire fino al giorno dopo.
Arya, tuttavia, non fu dello stesso avviso, perché entrò frettolosamente nella sua stanza senza neanche premurarsi di bussare, portando al seguito due cameriere che reggevano un lungo abito blu scuro avvolto in della plastica protettiva.
“Perdonatemi, principessa, so che siete stanca ma dovete iniziare a preparavi. Se avanza un po' di tempo vi riposerete, ma non ora” decretò, sbrigativa, attraversando la stanza per raggiungere il bagno. Le due donne avevano poggiato l'abito sul letto, invitando Raf ad alzarsi così da poter iniziare a toglierle quello che già indossava; quella premessa bastò per rimetterla in piedi: non vedeva l'ora di togliersi quella roba strettissima di dosso.
La prima cosa che fecero fu far sparire il diadema, poiché da quel momento in poi non le sarebbe più servito, e la sgusciarono come un gamberetto strato dopo strato. Quando finalmente le tolsero il corsetto Raf tornò a respirare con sollievo.
Arya uscì quindi dal bagno portando un catino di acqua calda profumato con fiori d'arancio, con cui Raf si lavò accuratamente il viso per eliminare i residui di trucco. Le sciolsero i capelli e li pettinarono a lungo, acconciandoli in una lunga treccia che chiusero intorno al suo capo, come una specie di corona. Non indossò alcun tipo di calze e, fortunatamente, anche quella volta le scarpe furono basse, con un tacco leggerissimo, e sui toni dell'abito.
L'unica pecca fu il nuovo corsetto che dovette indossare, più largo rispetto al primo ma abbastanza stretto da costringerla a respirare con moderazione. Le fecero quindi scivolare l'abito sulla testa e Raf lo trovò sorprendentemente nel suo stile: nessun cerchio o sottogonna, nessun colletto alto o maniche lunghe e nessun tessuto pesante. Era di chiffon, con la gonna composta da più strati e di una leggerezza incredibile; la maniche erano corte e lo scollo ampio, ornato da fiori di pizzo blu scuri con un cristallo azzurro al centro di ognuno. Il corpetto era composto da due strisce di tessuto ripiegate una sull'altra ed era separato dalla gonna dagli stessi dettagli dello scollo, posti a V sui fianchi.
Non la truccarono eccessivamente, premurandosi di passarle solo un po' di lucido rosato sulle labbra, così da farle risaltare nel buio della sera. In tutto quello Raf si ritrovò ad avere meno di mezz'ora di tempo per riposarsi un po' prima di dover scendere al piano di sotto, e dubitava fortemente le sarebbe bastato. Quando le tre donne l'ebbero lasciata sola, sospirò stancamente e raccolse le pieghe della gonna, aprendo la porta ed avviandosi nel corridoio illuminato tenuemente dalle candele. Dopo aver passato tutto il giorno chiusa in una stanza gremita di persone aveva bisogno di un po' di aria fresca, e quale posto migliore del grande balcone che dava sulla Sala del thé?
Situata nella parte più a est del castello, la sala veniva utilizzata raramente e solo in occasioni particolari, pertanto era sempre vuota e un posto perfetto in cui andare quando non si voleva essere disturbati. Ogni tanto Raf vi andava anche a studiare, agevolata dalla luce che entrava dalle grandi vetrate che occupavano un'intera parete, o sedeva direttamente sull'ampio balcone. Aprì leggermente la porta e se la richiuse alle spalle, attraversando la stanza ed aprendo una delle finestre, sgusciando fuori: il cielo era nero e già ornato di stelle, una falce di luna faceva pigramente capolino da dietro le fronde di un albero e i giardini erano silenziosi. La lievissima brezza serale era tiepida, donandole una piacevole sensazione di tepore, e si appoggiò con le mani alla balustra di marmo bianco respirando a fondo il profumo dell'erba e dei fiori che saliva fin lassù.
Era decisamente tranquilla in quel momento, come se tutta la fatica e l'ansia di quel giorno stesse svanendo man mano che i minuti passavano. Era una cosa estremamente positiva e la consapevolezza che non tutto era perduto nacque con gioia dentro di lei. Doveva solo resistere un altro po', poi avrebbe potuto godersi moltissimi momenti come quello per ritrovare la propria pace interiore e, doveva ammetterlo, anche un pizzico di sanità mentale.
Certo, sarebbe stato tutto estremamente più semplice se non ci fosse stato quel dannatissimo corsetto a stringerle la vita. Fece una smorfia e si massaggiò il ventre con una mano, a dir poco sofferente, cercando di trovare un ritmo giusto al proprio respiro per allinearlo con le disponibilità che le offriva l'indumento.
Scarsissime, ma sempre presenti.
“Difficoltà?”
Raf sussultò e si voltò di scatto, colta alla sprovvista dalla voce sconosciuta che aveva udito alle proprie spalle: non si aspettava di trovare qualcuno lassù, nessuno ci veniva mai e non aveva la più pallida idea di chi potesse essere. Si ritrovò quindi a fissare, stupita e decisamente a disagio, il proprio futuro sposo.
Cosa diamine ci faceva lì? Come ci era arrivato? E perché?
Le sue stanze erano dall'altra parte del castello, aveva fatto proprio una bella e inspiegabile passeggiata per trovarsi in quel posto. E a Raf non piacque per nulla incontrarlo nel suo fugace attimo di pace, nel quale l'ultima persona a cui voleva pensare era proprio lui: ci sarebbe stato tempo per preoccuparsi del loro avvenire insieme, ma non in quel momento. Senza contare che quella era effettivamente la prima volta in assoluto che udiva il suono della sua voce.
Tuttavia sarebbe risultato estremamente scortese cacciarlo via, sebbene avesse già in mente un paio di risposte molto poco eleganti, e cercò di riprendere quanto più contegno riusciva a racimolare... anche se non aveva idea di che cosa dirgli: un “Scusa, sai, mi hanno infilato in un dannato corsetto che mi sta schiacciando così tanto i polmoni che potrei morire soffocata in qualunque momento. Per il resto tutto ok, a te come va la vita?” non era contemplato.
Ma prima che potesse rimuginare su qualunque altra cosa fu lui a prendere la parola, senza staccarsi dalla vetrata a cui era poggiato. “Fatemi indovinare: corsetto troppo stretto” buttò lì, con una nota maliziosa nello sguardo, incrociando le braccia al petto; i suoi capelli erano sciolti e indossava solo una camicia bianca sopra un paio di pantaloni e degli stivali nerissimi. I suoi occhi erano stranamente brillanti al tenue chiarore della luna e Raf si sentì molto in imbarazzo. “Ho una sorella, riconosco i sintomi” ammise, scrollando le spalle “Una volta ne ha letteralmente gettato uno dalla finestra, intimandomi di bandirli dal nostro regno quando sarei diventato re” raccontò, con un lieve sorriso, come se ricordare quell'episodio lo divertisse molto.
Raf sgranò gli occhi, immaginando spontaneamente una ragazzina simile a Sulfus gettare un corsetto giù dal balcone urlando minacce, e si ritrovò combattuta tra lo scoppiare a ridere o restarne perplessa. Ma sopratutto non capiva perché glielo stesse raccontando.
Non si erano praticamente rivolti la parola neanche una singola volta per tutto il giorno, ignorandosi deliberatamente se si passavano accanto nella sala, e ora parlava con lei con una naturalezza quasi snervante come se la conoscesse da anni.
Non aveva idea del perché e quel comportamento la lasciò smarrita: forse, semplicemente, non voleva che la loro prima conversazione fosse sotto gli occhi attenti di mezzo palazzo. Forse aveva voluto aspettare il momento opportuno per restare da solo con lei e parlare in tranquillità, senza nessuno a guardarli o sentirli, anche se trovava assurda l'idea che avesse attraversato l'intera magione solo nella speranza di trovarla in un posto isolato. Ma era più probabile che fosse solo un caso che si trovasse lì in quel momento.
“Volete una mano?” chiese d'un tratto, risvegliandola dalle sue elucubrazioni.
Raf sbatté le palpebre un paio di volte, non del tutto sicura di aver capito bene la domanda “Come, prego?” domandò, perplessa.
“Ah, ma allora parlate anche voi!” esclamò Sulfus, fingendosi stupito, prendendo palesemente in giro il suo ostentato silenzio. La ragazza si ritrovò ad arrossire ma, allo stesso tempo, pensò che quel ragazzo fosse estremamente maleducato e indelicato nel suo modo di porsi: che cosa pretendeva? Che gli dedicasse una marea di moine, riverenze e risatine come tutte le altre damigelle di corte? Forse non aveva capito che quella che aveva di fronte non era affatto una principessina come le altre.
“Su, lasciate che vi aiuti, non vorrei che mi sveniste sul pavimento perché non vi è arrivato abbastanza ossigeno al cervello” decretò infine, staccandosi dalla finestra e avvicinandosi a lei. Raf lo guardò stupita e anche un po' persa, non riuscendo ben a capire cosa volesse fare con esattezza, e rimase totalmente spiazzata quando lui le mise le mani sulle spalle e la voltò. Arossì poi violentemente quando le abbassò il vestito oltre le scapole, iniziando a slacciare le stringhe del corsetto.
Sobbalzò e cercò di sottrarsi da quella scena inverosimile, totalmente sconvolta: “Io non credo che questo sia...” iniziò, imbarazzatissima, ma lui la rimise al proprio posto tirandola a sé per i lacci.
“Non preoccupatevi, tanto non c'è nessuno qui ad urlare allo scandalo” constatò tranquillamente, allargando leggermente il busto con le mani. Raf riuscì quasi a sentire i propri polmoni allargarsi quando l'aria entrò di colpo dentro di essi e inspirò di getto quasi insintivamente portandosi una mano al ventre ormai libero.
“Va meglio?” chiese lui, con tono leggermente canzonatorio, e Raf fu troppo impegnata a impedire ai propri occhi di lacrimare per il sollievo per curarsene. Le aveva appena fatto un immenso favore, anche se condito da un bel po' di irriverenza e molto poco rispetto, quindi avrebbe potuto tranquillamente lasciar correre.
“Sì” ammise, rilassandosi notevolemente non avendo più il corsetto a mantenerle la schiena ben dritta, e pensò che fosse più che doveroso dimostrargli almeno un minimo di gratitudine “Vi ringrazio” mormorò.
Il ragazzo alzò le spalle, riallacciando delicatamente le stringhe per adattarle alla nuova misura: “Quando volete” rispose, risistemando l'abito in modo appropriato.
Certo, l'aveva praticamente spogliata di punto in bianco, ma lo aveva fatto con buone intenzioni e questo lei lo apprezzava molto. Dubitava che qualche altro ragazzo si sarebbe comportato allo stesso modo nelle stesse circostanze, anche perché un'azione del genere richiedeva fegato e una certa sicurezza in sé stessi. Cose di cui lui sembrava anche troppo provvisto.
Si sentiva ancora un po' a disagio, ad essere sincera, e cercò un modo per smorzare quella tensione e, magari, districarsi da quella situazione piuttosto scomoda: “Come mai siete venuto fin quassù?” domandò, voltandosi per guardarlo.
Sulfus si portò una mano a grattarsi la base del collo e, per un attimo, le sembrò davvero in imbarazzo “A dire il vero mi sono perso” ammise “So che è scortese ma ho aperto un po' tutte le porte cercando quella giusta... e qui ho trovato voi” spiegò, tornando serio “Ne ho approfittato per parlarvi senza orecchie indiscrete intorno” concluse, confermando ciò che lei già sospettava; in effetti era piuttosto logica come spiegazione. “Spero di non aver fatto una pessima impressione” buttò lì, evidentemente per rompere il ghiaccio. Raf lo guardò piuttosto scettica.
“Mi avete praticamente tolto le vesti di dosso” gli fece notare, cinicamente e un po' seccata.
Il ragazzo si infilò le mani in tasca, con aria colpevole: “Le intenzioni erano buone, però” ricordò, per pararsi un po' il didietro, e Raf provò una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Se prima quel ragazzo non aveva attirato minimamente il suo interesse, ora era incuriosita da lui: aveva dimostrato di essere ben lontano dal classico modello di principe che era abituata a vedere, esternando un carattere e un modo di porsi estremamente personali e libero da qualunque etichetta.
Esattamente come lei.
Un brivido le corse su per la schiena e per un attimo si ritrovò a fissarlo, sconcertata, non sapendo assolutamente cosa pensare: era assurdo che le avessero combinato un matrimonio con l'unico principe sulla faccia della terra a non comportarsi come tale. Che non la trattava come una bambola di porcellana di cui usufruire a proprio piacimento ma come un essere umano, come una persona vera, che aveva addirittura spogliato per allentarle il corsetto senza malizia o doppi fini, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non poteva innamorarsi di lui, questo no, ma la possibilità di diventare sua amica non le sembrava poi così assurda o improbabile. Forse sarebbero davvero riusciti a far funzionare le cose in modo sereno, in qualche maniera.
Fu il rintocco dell'orologio a svegliarla da quel momento, segnando il cambio dell'ora, e si rese conto di quanto fossero in ritardo per la festa con un sussulto. “Dovremmo scendere di sotto” constatò, un po' ansiosa.
“Sì, dovremmo” concordò Sulfus “Fate strada voi?” domandò, con una lieve nota speranzosa nella voce che la fece sorridere.
“Ovviamente” rispose, raccogliendosi la gonna e avviandosi dentro il palazzo, seguita a ruota dal ragazzo. Non avevano toccato l'argomento matrimonio neanche per sbaglio e, almeno per il momento, andava bene così; le aveva fatto piacere, tutto sommato, quella improvvisa chiacchierata ed era convinta che conoscersi meglio avrebbe facilitato le cose ad entrambi.
“Quindi... come ve la cavate con il ballo?” domandò d'un tratto, affiancandola nel lungo corridoio.
Raf fece una smorfia. “Entrate in una zona pericolosa” rispose “Nel vero senso della parola: l'ultimo giro di valzer che ho provato non è finito bene” ammise, sconsolata, ripensando all'ultimo capitombolo che aveva fatto sul pavimento dello studio. Giurò di vedere il ragazzo sorridere ma non si voltò per trovarvi conferma, concentrandosi sui gradini da scendere senza inciampare nella veste.
“Temo che si aspettino che danziamo” le ricordò lui.
“Solo perché si aspettano qualcosa da noi non significa che dobbiamo farla per forza” rispose lei, scoprendosi sorprendentemente a proprio agio nell'esternare così facilmente i propri pensieri con lui.
Sulfus si voltò a guardarla per un'istante e, stavolta ne fu sicurissima, sorrise per davvero: “Mi piace il modo in cui ragionate” ammise.
Anche Raf sorrise, fermandosi davanti le porte della sala poco prima che queste venissero aperte: “Lieta di saperlo.”
Sì, forse non sarebbe andata poi così male come credeva.
















Note🎶:
Tre anni di silenzio assoluto e poi tre capitoli sfornati in pochi giorni. A volte non mi capisco neanche io, sta di fatto che la nuova trama che ho elaborato mi sta ispirando molto più della precedente.
Ho cercato di mantenere i personaggi il più IC possibile, nonostante tutto, anche perché il Sulfus del fumetto non ce lo vedo per nulla nella parte del principe serio e composto: sarebbe stato strano e sconcertante. Quindi mi sono adattata, provando a mantenere il suo fare irriverente e ribelle anche in questo ruolo (nel quale serve comunque una discreta dose di buon senso e determinata educazione). Bon, spero di aver fatto un lavoro accettabile.
Ultimo appunto: visto che faccio schifo a descrivere abiti e accessori vi lascio le immagini qui sotto dei vestiti e della tiara che ho usato per Raf in questo capitolo. Giusto così, per scaramanzia.




Tiara: scrolling-crystal-tiara-rose-gold-2000x


Abito della cerimonia: 526e222c6e457f104129f95015b0932d


Abito del ballo: gallery-hero-3b577bb7-0edf-4c28-b6eb-6e729319cf0a
   
 
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