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Autore: Alexiel Mihawk    17/08/2009    3 recensioni
Io invece ti ho sentita piangere. Piangevi e chiamavi il suo nome, ma appena ti accorgevi di chi stavi chiamando trattenevi il respiro e riprendevi a piangere, silenziosamente. Ti ho vista chiudere gli occhi e infilarti le unghie nei palmi delle mani fino a farli sanguinare, ti ho vista rifiutare la verità fino a farti male da sola, un po’ come ora.
Genere: Malinconico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Alexiel Mihawk
Titolo:
Norne
Personaggi/Pairing:
Sakura, accenni NaruSaku e SasuHina.
Genere:
Introspettivo, nonsense, malinconico, vagamente horror/angst
Rating:
Giallo
Avvertimenti:
AU, one shot.

Note dell'Autore : Norne sono le divinità nordiche che controllano il tempo degli uomini, secondo la mitologia sono tre Urd, Skuld e Verdandi, che controllano passato, futuro e presente. Nella mia fic il personaggi è unico, ma al suo interno vi sono le tre Norne, in questo caso ho visto Hanabi, Karin e Temari come futuro, passato e presente di Sakura. E’ molto nonsense, perdonate se è una cavolata, ma non so proprio cosa mi sia preso. Le parti in corsivo sono flashback, l’ultimo è quello che vede Hanabi quando descrive a Sakura il suo futuro, è messo in fondo perché di fatto succede dopo, è un flashforward.
Questa fic ha partecipato al contest "Il misterioso Viaggiatore" indetto da BlackRose 88 classificandosi 4°: Link bando e risultati



 
Norne
 


Era già la una e la strada, poco illuminata di suo, appariva più buia del solito.
Sakura si morse l’unghia del pollice con fare nervoso, probabilmente non sarebbe arrivata a Londra prima delle sette e se avesse avuto davvero fortuna a quell’ora avrebbe potuto trovarlo sveglio.
Forse.
Accese gli abbaglianti, tanto sulla strada non c’era nessuno, quindi ingranò la terza e accese la radio.
Le note leggere di una canzone di Cat Stevens invasero l’auto e la giovane si sentì prendere da un’improvvisa malinconia.
La strada di fronte a lei era tutta dritta e ai lati vi era solo campagna, una distesa di prati e boschetti per niente illuminati, vagamente tetri durante la notte. Per questo motivo la ragazza si stupì particolarmente quando notò che lungo le strisce bianche che costeggiavano la corsia vi era una persona seduta.
Rallentò per controllare che stesse bene, che fosse tutto a posto - la sua anima da crocerossina tornava a farsi sentire – e fu in quel momento che notò il pollice inclinato, evidente richieste di un passaggio.
Autostoppisti.
La gente più assurda e fiduciosa della terra. Sakura li detestava.
Una volta, anni prima, lo aveva fatto anche lei, dormire dove capitava, salire sulla macchina di chiunque fosse così bendisposto a dare un passaggio, vivere senza pensieri, fidarsi degli altri.
Poi era cambiato tutto, Sasuke era tornato in Giappone con sua moglie, sua moglie…
Non riusciva ancora a dirla ad alta voce quelle parole, era troppo assurdo, troppo umiliante, era semplicemente troppo per lei.
E ora cercava di andare avanti, di dimenticare e voltare pagine, ma non era facile.
La persona era seduta una sacca da viaggio grigio topo, aveva un’aria pensierosa, vagamente stanca, ma alla ragazza fece subito una buona impressione, era un viso antico quello, elegante e sì, anche molto affascinante.
Sakura ne rimase incantata, forse fu quello il motivo per cui si fermo, forse solo la noia o la solitudine, o il fatto che il cartello ai piedi dell’autostoppista indicasse “Londra”, che era dove lei stava andando.
Fece scendere il finestrino e sorrise gentilmente.
- Puoi salire se vuoi – disse.
La portiera si aprì lentamente e di fianco a lei si sedette una ragazza.
- Grazie – sussurrò con una voce flebile e gentile – Pensavo che non si sarebbe fermato nessuno. –
- Oh, sì, so cosa vuol dire, è una sensazione orribile, sei lì al freddo e credi che nessuno ti farà salire o che magari si fermerà qualcuno di pessimo. – rispose continuando a guardare avanti.
La ragazza di fianco a lei annuì e si spostò una ciocca dietro l’orecchio.
- Come ti chiami? – le chiese mentre giocava con i capelli.
- Oh, io sono Sakura, e tu? –
- Io ho tanti nomi – mormorò la ragazza.
- Eh? –
Fu solo in quel momento che Sakura osservò davvero bene la ragazza che aveva di fianco, quella che all’inizio le era apparsa come una donna matura, ora le sembrava una bambina, rabbrividì, era come se qualcosa non andasse, c’era qualcosa nell’aria.
- Cosa... Cosa ci facevi lì? Sul ciglio della strada, da sola? –
- Aspettavo te – rispose la bambina e dicendolo alzò il capo verso di lei.
Sakura frenò all’improvviso.
Occhi bianchi, quella cazzo di bambina aveva gli occhi bianchi, dov’erano le sue fottute pupille?
- Oh merda! – esclamò parcheggiando la macchina in una piazzola di sosta e riprendendo a respirare.
Fu allora che la bambina iniziò a ridere, era una risata strana, sprezzante, da adulta, assai dissimile dalla voce che aveva parlato prima.
- Hai paura? – le chiese canzonatoria.
Sakura non disse nulla, non si mosse, si morse solo il labbro.
- E’ ovvio che ha paura K. Non farle domande stupide. – disse un’altra voce, più secca, sempre femminile, ma molto più tagliente delle altre due.
- Cosa sei tu? – domandò piano, senza avvicinarsi troppo.
Sul volto della sconosciuta comparve un sorriso sbilenco, vagamente malinconico.
- Noi siamo il tuo tempo. -
 
Avrei voluto darti di più.
Avrei voluto fare di più.
Avrei voluto essere migliore.
Avrei voluto conoscerti meglio.
 
- Voi siete cosa? – chiese ancora una volta, incerta sul significato della risposta datale.
- Io sono il tuo presente. – disse la voce che aveva parlato per ultima, quella più fredda.
- Io sono il tuo passato. – e questa volta il tono era di scherno.
- Io sono il tuo futuro. – sussurrò la bambina.
Sakura si diede un pizzico, mentre una parte di lei avrebbe voluto aprire la portiere e buttare giù dalla macchina quella tizia assurda, magari rifilandole un bel calcio in culo.
- Assì? – domandò scettica, decidendo di prendere la cosa con filosofia, in fondo lo sapeva che gli autostoppisti non sono gente normale – e come mai siete qui? –
- Tu avevi bisogno. Io ti ho sentita urlare dalle tenebra più buie della disperazione, e gridavi, gridavi. Eri disperata.  E ho visto il sangue e i tagli e i medici che correvano, e ho sentito il tuo dolore e quello degli altri e tu non smetti di urlare. – disse quella chiamata K.
- Taci – sbraitò seccata Sakura stringendo il volante.
 
Era andato via da lei.Era così ingiusto.
Glielo aveva portato via, glielo aveva rubato.
Si era fidata di Sasuke, per anni gli aveva affidato tutto quello che aveva, i suoi sogni, i suoi desideri, le sue paure. E lui l’aveva tradita, li aveva traditi tutti.
Era andato via con Hinata.Aveva abbandonato lei in quella casa vuota dove avevano condiviso tutto e lei aveva lasciato Naruto solo, ancora una volta.
Era stato così facile quel giorno fare quel taglio, era così sottile quel coltello, ma una volta passato sul suo polso il sangue aveva iniziato a uscire copioso, senza fermarsi.
E sì, Sakura quel giorno aveva urlato. Aveva pianto, aveva gridato con quanto fiato aveva in corpo e si era lasciata andare tra le braccia di Naruto, che silenziosamente l’abbracciava e stringeva i denti.
 
- Io invece ti ho sentita piangere. Piangevi e chiamavi il suo nome, ma appena ti accorgevi di chi stavi chiamando trattenevi il respiro e riprendevi a piangere, silenziosamente. Ti ho vista chiudere gli occhi e infilarti le unghie nei palmi delle mani fino a farli sanguinare, ti ho vista rifiutare la verità fino a farti male da sola, un po’ come ora. – la voce questa volta era distaccata, malinconica.
- Basta. Stai zitta – esclamò Sakura girando il capo, per non vederla –Non voglio ascoltare altro. –
 
Era sdraiata sul letto scuro e piangeva, i singhiozzi regolari si alternavano senza sosta, uno dopo l’altro.
- Naruto… Naruto – sussurrava in lacrime. Poi si era fermata di botto, non doveva, non doveva.
Era Sasuke che la faceva piangere, era Sasuke che lei voleva, era Sasuke a cui doveva pensare, non Naruto.
Non era Naruto che doveva volere al suo fianco quando si sentiva così, non le sue braccia che doveva volere che la scaldassero, non la sua voce che doveva volere udire.
Strinse i pugni. Riprenditi Sakura, riprenditi.
Sentì il sangue caldo scivolarle lungo il palmo e finire sul letto, ma che importanza aveva?
Era solo altro dolore.

 
- Anche io ti ho vista – disse poi la bambina.
Sakura scosse il capo, con le lacrime agli occhi. Le i non voleva vedere. Era stufa di vedere, era stufa di stare male, di soffrire, non voleva vedere nulla, né il passato, né il presente, né tantomeno il futuro.
La ragazzina le toccò il braccio, la sua mano era calda e candida e lei ricordò tanto una sensazione che conosceva, ma che sapeva negare a sé stessa da molto tempo.
- Io ti ho vista felice. Ti ho vista sorridere con il sole tra i capelli, ti ho vista mano nella mano alle persone che amavi, circondata di amici. Ti ho vista vestita di bianco mentre ridevi e vestita di nero mentre piangevi, ma ti ho vista felice. –
Sakura la guardò, ma non disse niente. Sentiva le lacrime scivolarle lungo le guance e iniziava a sentirsi stanca.
- Non puoi negarti la felicità Sakura. Non puoi essere sempre divisa in due, il passato è passato, non portarti dietro il dolore di una vita, non lasciare che una sola persona rovini il tuo futuro e pregiudichi la tua felicità. Ama, ridi, piangi, abbi una felicità delirante, fatti trasportare dai tuoi sentimenti e dal tuo istinto e se questo ti porterà a sbagliare, che importa? Avrai vissuto senza rimpianti, senza negare te stessa, senza chiuderti in una gabbia, e sarai cresciuta. –
Ora la ragazza piangeva senza riuscire a frenarsi, magari stava sognando, anzi probabilmente era così, sennò come avrebbero potuto sapere, come avrebbero fatto a capire?
Non era possibile.
La voce di bambina rise, una risata argentina, felice, una risata come mai ne aveva udite prima e improvvisamente le piacque. Cullata dal suono ritmico di quelle risa si addormentò, senza nemmeno accorgersene.
Si svegliò verso le cinque, quando i raggi del sole entrarono dai finestrini dell’auto e le scaldarono dolcemente il viso, il riscaldamento era rimasto spento tutta notte e lei aveva oramai la pelle d’oca.
Si guardò attorno, ma nell’auto con lei non c’era nessuno, era vuota e non vi era traccia alcuna della donna della notte precedente.
Quando arrivò a Londra era già mattina inoltrata, lui l’aspettava sulla porta con aria preoccupata, il volto, solitamente disteso, era attraversato da una miriade di piccoli solchi. Sakura sorrise quando lui le venne incontro correndo.
- Sakura chan! Sakura chan! Ma dov’eri finita? Ero preoccupato, tantissimo. Sei in ritardo di almeno quattro ore! –
La ragazza abbassò il capo, dispiaciuta, ma intimamente grata della sua preoccupazione per lei.
- Mi sono addormentata durante il viaggio Naruto, ma ora è tutto a posto. Ho ritrovato il tempo perduto. –
Naruto scosse il capo senza capire, quindi la prese gentilmente per un braccio e la invito a entrare.
- Poi mi racconterai, ora andiamo a casa. –
 
Sakura camminava nel prato, la sua mano era chiusa dentro quella di un bambino di poco più di cinque anni, capelli biondi come il grano e occhi verdi come i suoi, come quelli di sua madre. Seduto in mezzo all’erba stava Naruto, una palla da calcio in mano, agitava l’altro braccio con foga ad indicare dove i trovava. Accanto a lui una ragazzina dai capelli rosa saltellava felice.
Sakura scoppiò a ridere e si avvicinò, al suo dito brillava un anello dorato, non c’erano più rughe sulla sua fronte, né ferite nel suo animo. Un bravo osservatore avrebbe potuto scorgere i segni, quasi del tutto scomparsi, di un taglio sul polso destro, risalente a molti anni prima, che oramai non era che una cicatrice del passato.
 
La porta dell’appartamento si chiuse con un tonfo.
Dall’altra parte della strada una bambina sorrise e se ne andò lasciando l’eco di una risata argentina nell’aria.






   
 
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