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Autore: Ghirigoro1994    17/08/2020    1 recensioni
Dal testo:
La luce arancione di un lampione penetrava nell'abitacolo, tingendo i suoi capelli di un rosso ancor più caldo e acceso, e rendendo i suoi occhi quasi demoniaci.
“Quella è la tua casa?”
Mi abbassai per guardare l'edificio in legno: mi ricordava in modo impressionante alcune baite che avevo visto in Trentino.
“Casa dolce casa”, confermò. Poi il suo tono cambiò e si fece serio, quasi ostile, quando disse: “Ora scenderai da questo lato e correrai dietro di me fino a dentro. Non fermarti e non allontanarti da me o dalla luce dei lampioni, chiaro?”
Non sapevo come reagire... voglio dire, ma faceva sul serio?
A giudicare dallo sguardo, sembrava proprio di sì...
“Cosa?” mugugnai.
“I lupi escono di notte”, fu la sua risposta.
Cosa diavolo centrava la luce con i lupi? Non mi risultava ne fossero spaventati! Ebbi un brivido, immaginando che cose ben più oscure si muovessero fra gli alberi lì attorno.
---(Il rating potrebbe cambiare da arancione a rosso)---
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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N.d.A: Nonostante la “somiglianza”, tutto ciò non ha niente a che fare con la Poesia di Cesare Pavese "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", in principio volevo usarla, ma poi ho preferito pensare ad una leggera variazione.
Ultima cosa: sarei felice di ricevere pareri e, se del caso, anche consigli. Non sono un tipo permaloso o iracondo, quindi anche se hai una critica da farmi io l'accetto volentieri; penso che l'unica recensione sbagliata sia quella scritta al solo scopo di offendere o ferire (non mi è mai successo, per fortuna).
Quindi, in breve, sarei felice di sapere cosa te ne pare.

Buona lettura!

 


 


Verrà l'Oscurità ed Avrà il Tuo Volto

 



 


I
Incontro Fortuito?




 

Il paesaggio scorreva immutato da ormai più di mezz'ora. Tutto era bianco, azzurro, freddo e spoglio. In una parola? Monotono.
Il rettilineo sembrava senza fine. Forse lo era, a sto punto.
La macchina procedeva quasi per inerzia; ormai non ero più neppure certa di avere il piede sull'acceleratore o le mani sul volante. Ero annichilita da tutta quella monotonia; persino la parte più ansiosa di me si era ormai stufata di presenziare, smettendo di ragguagliarmi sui pericoli di una guida assente.
Fra i pochi e superficiali pensieri che avevo in quel momento, uno rischiava di nausearmi e mi invogliava a tornare sui miei passi: dov'erano le foreste, i laghi e tutto quel ben di Dio di cui andavo in cerca?
Finalmente accadde qualcosa, la cosa più vicina a qualcosa di eccitante: cominciò a nevicare.
I piccoli fiocchi cominciarono a danzare davanti al parabrezza come fossero imprigionati in uno di quei cilindri in cui puoi sperimentare l'ebrezza di un lancio nel vuoto, tipo paracadutismo... come si chiamano? Forse non ha importanza. Fatto sta che mi persi, quasi per costrizione, in quella strana ballata di petali bianchi.
Attivai i tergicristalli con una certa amarezza: avevo la sciocca ma feroce convinzione di rovinare la benedizione di un cambiamento, agendo come se lo stessi scacciando. Ma del resto, benché fosse un rettilineo, non potevo di certo procedere alla cieca. Non nego che il pensiero mi sfiorò: solo per sfidare quella linea retta a trovare la sua fine.
I minuti passavano lenti, ed è inutile negare che ben presto anche la neve ed il suo movimento, unito a quello dei tergicristalli, cominciarono a diventare un tutt'uno con la noia del previsto e immutato.
Un suono acuto ed elettrico mi trapanò i timpani.
Dallo spavento dimenticai che frenare sulla neve fresca fosse una scelta tutt'altro che consigliabile o vagamente saggia.
Ci fu un testa-coda da film action in cui, ancora turbata da quel suono insistente e prolungato, mi ritrovai a sperimentare la sensazione di un calzetto solitario in una lavatrice in funzione.
Dopo quelli che dovevano essere stati tre giri su me stessa, (ma che a me parvero almeno tremila) finalmente la macchina si fermò. Per qualche strano miracolo mi trovavo ancora sulla carreggiata e il mio corpo pareva illeso; stessa cosa non potevo dire della mia mente: quel trillare proseguiva imperterrito e, se possibile, ancora più incazzato di prima.
“Taci, maledizione!” Afferrai il navigatore con una violenza senza eguali, staccandolo dal suo nido di plastica.
“Cosa c'è?!” gli gridai, guardando la sua faccia-monitor.
“Vittoria, fare inversione. Svoltare a sinistra. Vittoria, fare inversione... far... fa... fare... iver...” La voce elettronica sembrava essersi appena scolata una bottiglia di whisky scadente. “Farrr-fa-fa-farrrrr-fa-”
Niente, si era completamente impallato...
“Ma taci!” Spinsi il bottone di spegnimento e cercai di riguadagnare la calma. Mi ero davvero presa un bello spavento e quel suono mi aveva mandato in tilt il cervello.

Quando riguadagnai possesso delle mie facoltà mentali, un pensiero mi costrinse a trattenere il respiro. “Svoltare a sinistra”, aveva detto? Ma se mi trovavo su un cavolo di maledetto rettilineo!
Forse perché avevo cominciato a girare come una trottola? Ma no! Cazzo: il suono era stata la causa della mia esperienza stile girandola in un tornado!
“Okay. Vittoria, con la calma si risolve tutto...” dissi a me stessa, un secondo prima di estrarre il cellulare dalla tasca dei jeans.
“Ransung J396, dove mi trovo?” gli chiesi, guardando lo schermo nero rimandare la mia immagine riflessa.
Una leggera vibrazione, e, mentre lo schermo inghiottiva il mio riflesso trasformandosi in una mappa con vista molto dall'alto (satellitare), la voce robotica e vagamente maschile mi rispose: “Non ho capito la domanda, Vittoria.”
“Come sarebbe a dire?” mugugnai.
“Non ho capito la domanda, Vittoria”, ribadì.
Feci un respiro profondo e, scandendo bene le parole, richiesi la mia posizione.
“Non ho capito la domanda, Vittoria. Riprova.”
“Ma riprova cosa!? Sei stupido o sordo!?” inveii contro l'oggetto.
Un'altra vibrazione, poi: “Non essere rude, Vittoria. Non posso essere stupido: sono un'intelligenza artificiale progettata a scopo di semplificare la vita umana, ne consegue che...”
Non lo ascoltai finire: gettai il cellulare sul sedile del passeggero e scesi dalla macchina per cercarla da me, una risposta.
Il morso del vento mi attanagliò subito la faccia, facendomi credere di aver appena perso qualche parte d'essa.

“Un freddo cane...!” sbottai, rabbrividendo da testa a piedi.
A quanto mi ero dato vedere, nei minuti successivi alla mia folle acrobazia sulla neve, il meteo era completamente mutato in violenta tempesta di neve.
“Merda!” imprecai, incapace di tenere gli occhi aperti.
A tentoni riconobbi la silhouette dalla maniglia, così riuscii a rintanarmi nel sicuro e tiepido abitacolo.
“Lancia, riaccendi motore e riscaldamento”, balbettai, cercando di mantenere calma e lucidità.
La vibrazione del veicolo si unì al mio tremore. “Buon pomeriggio Vittoria. Impossibile procedere all'avviamento del motore e delle funzione di Lancia Y 3993. Errore server 606”, mi informò la voce preimpostata di un'attrice Italiana.
“No, dai, per favore...” piagnucolai, portandomi le mani alla faccia.
Quanto stavo rimpiangendo la monotonia di soli cinque minuti prima... quanto!
“Lancia, invia segnale S.O.S...” Ci pensai mezzo secondo, poi: “Per favore?” Non si sa mai: a volte la gentilezza può fare la differenza.
“Mi dispiace, Vittoria. Errore server 606 impedisce a Lancia Y 3993 di eseguire il comando.”
“Lancia, entra in modalità emergenza!” gridai esasperata.
“Buon pomeriggio Vittoria. Il meteo previsto per oggi annuncia... Seguono dati, attendere... Errore server 606 impedisce a Lancia Y 3993 di connettersi a Satellite JH3 per aggiornamento meteo.”
“Cosa cazzo c'entra il meteo?! Lo vedo da me il tempo! Lancia, invia segnale S.O.S, ora!” sbraitai.
“Non usare quel linguaggio, Vittoria.”
“Ma... ma... ma...” Scoppiai in una risata isterica, che sovrastò perfino il rumore del vento.
“Ransung J396... chiama 911...” sussurrai, massaggiandomi la sella del naso. Ero consapevole fosse l'ultima mia speranza.
“Non ho capito la domanda.”
“Oh, ora non ti degni neppure più di chiamarmi per nome?”
“Sono offeso.”
Un'altra risata nevrotica da parte mia e: “Non puoi offenderti... sei un cellulare...” ridacchiai, nel tentativo di non cominciare a piangere. Non mi era mai successa una cosa nel genere, anzi, sono certa che a nessuno sia mai capitata!
“Ransung J396...?” chiesi, dopo qualche secondo in cui ero rimasta a fissare il parabrezza ormai completamente sommerso dalla neve.
Nessuna risposta.
“Mi dispiace, Ransung J396, possiamo fare pace?” Avevo addolcito il tono come se mi fossi rivolta ad un bambino capriccioso.
Il silenzio ostinato del mio cellulare non fece che intensificare la percezione del suono esterno, rendendolo un boato sordo.
“Sono fottuta...” Mi abbandonai in avanti, lasciando che la fronte impattasse contro la parte superiore dello sterzo.
Senza riaprire gli occhi o spostare la testa, pigiai il pulsante manuale delle quattro frecce; sarebbe bastato a non farmi ammazzare?
Lo schioccare ritmato delle luci di emergenza mi fece immaginare di essere in macchina con una me bambina: potevo durarla per ore di far schioccare la lingua, infrangendo i nervi dei miei poveri genitori. Quel pensiero mi causò una fitta di dolore: mi mancavano tanto.

Probabilmente mi addormentai per qualche secondo, non saprei dirlo con certezza: ero totalmente rincoglionita dal fragore del vento e dal suono delle quattro frecce.
Un pensiero fastidioso cominciò a graffiarmi le pareti della mente: mi vedevo sdraiata sulla neve fresca ed il mio sangue macchiava il soffice manto con il suo vermiglio colore, tutto incorniciato dai rottami della mia povera macchina verde, a mo' di corona funebre.

Dovevo assolutamente uscire per assicurarmi che le luci arancioni delle frecce non fossero state coperte dalla neve, vanificando i miei sforzi per non essere travolta da qualche veicolo.
Avevo visto passare qualcuno, durante le sei ore di viaggio in macchina? No. Avevo abbastanza sfiga, quel giorno, da trovarmi morta sulla neve, mentre il mio fantasma mi guardava dall'alto? Probabilmente sì.
Sollevai la testa e borbottai: “Merda. Fa già freddo qui dentro... figuriamoci là fuori! Forse mi troveranno ibernata, altro che morte spettacolare con allegato splatter per i giornalisti più affamati...”
Scossi la testa, rassegnata: avevo sperato che qualcuna delle intelligenze artificiali mi rispondesse per consolarmi o per dirmi che non c'erano più errori di sistema...
“Okay, dai...! Scendi, cercando di non romperti il collo fai il giro della macchina, una strisciata con la manica sui quattro fanali e torni dentro... Se hai culo dovrai solo sbirciare se vedi le luci e tornare dentro. Un gioco da ragazzi, giusto?”
Un corno...
Mi alzai la sciarpa fin quasi agli occhi e la strinsi per bene; alzai bavero e cappuccio della giacca e, pregando i pochi santi che conoscevo, aprii la portiera.
Un lampo nero e la portiera sfuggì dalla mia mano guantata come un proiettile. Urlai di terrore senza capire che cazzo fosse appena successo.
Passarono diversi secondi, nei quali me ne stetti completamente schiacciata contro la portiera del passeggero, a tremare di freddo e paura.
“Ma porca...!” Una voce femminile che imprecava in inglese, la stessa che aggiunse: “Hey! Tutto bene, voi della macchina?” Aveva una voce ruvida e morbida allo stesso tempo, mi fece pensare ad un misto fra un suono infantile e uno tremendamente maturo. Che strana combinazione.
Non avevo fiato per rispondere: ero troppo impegnata ad ossigenare i tessuti irrorati dal troppo sangue pompato dal mio cuore impazzito.
Un volto comparve laddove una volta c'era la mia portiera.
“Tutto okay?” La donna era completamente piegata: doveva essere molto alta. Portava i capelli corti fino alla sommità delle spalle, leggermente ondulati e rossi come immaginavo fossero le fiamme dell'inferno a cui ero appena sfuggita, ma scuri, molto scuri. Il viso era magro, ma non eccessivamente spigoloso, leggermente abbronzato; non era truccata, ma i suoi occhi nocciola spiccavano comunque e mi fissavo in un modo che non seppi descrivere.
“Credo che il mio braccio sia ancora attaccato al tronco...” fu tutto quello che uscì della mia bocca.
“Già... Bé, direi che è qualcosa, no?” sorrise, continuando a fissarmi. “Ti sei ferita?” aggiunse.
Guardai verso il basso, cercando di percepire il mio corpo. L'adrenalina modificava le sensazioni; ero consapevole che avrei potuto non percepire dolore in una situazione come quella, ma non vedevo sangue. Lo interpretai come un buon segno.
“Perché non hai guardato nello specchietto, prima di aprire? Stavo per fermarmi per vedere se ci fosse qualcuno qui dentro.” Mi rimproverò e informò, prima che potessi aggiornarla sul mio stato di salute.
Stava per fermarsi? Meno male...! Figurati se non ne avesse avuta l'intenzione: la mia povera portiera sarebbe voltata sulla luna! Comunque decisi di tenere quei pensieri per me.
“Scu-hm” Mi schiarii la gola e riprovai: “Scusami, mi dispiace. La neve... sai... non vedevo niente.”
Lei annuì. “Almeno non ti ho ammazzato”, si rallegrò.
“Già, che culo...!” convenni, mostrandole un sorriso imbarazzato.
“Dove stavi andando?” inquisì, senza cambiare posizione o smettere di guardami negli occhi.
“Ahm... Toronto, più o meno”, le dissi, rimanendo sul vago: non volevo rivelarle troppo.
“Toronto-più-o-meno? Mmh, mai sentita questa località.” Mi sorrise. Poi aggiunse: “Questa non è la strada per Toronto.” Tornò immediatamente seria e concluse: “Penso che tu ti sia persa.”
“Questa non è la 404...?” esalai, consapevole di conoscere già la risposta.
Sorrise nuovamente. “Direi proprio di no.” Si raddrizzò per un momento, celando il volto e gran parte del busto alla mia vista. “Questa è la zona sud di Lake Simcoe”, la sentii dire.
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva...
“Sono ad un centinaio di chilometri più a nord di dove dovrei essere...” mugugnai, frastornata.
La donna riportò l'attenzione all'interno dell'abitacolo. “Sei fuori di novantatré chilometri, se ami la precisione.” Mi sorrise di nuovo. “Non sei di qui, ma il tuo accento non mi suggerisce alcun indizio.”
“Sono italiana...” risposi con un filo di voce.
Come cazzo c'ero finita a tutti quei chilometri dalla mia meta?!
“Ah!” Sembrava sorpresa. “Parli bene l'inglese!” mi gratificò.
“Grazie. Mi piacciono le serie tv Canadesi...” risposi, ancora allibita dalla scoperta.
Rise, coprendo completamente il fischio del vento. “Questa è la risposta più bizzarra che abbia mai ricevuto.”
“E' la verità: è così che ho imparato...” replicai, sperando scioccamente che concentrandomi su quello mi avrebbe distratta da tutto il resto di quella assurda vicenda.
“Interessante. Io dell'italiano conosco solo le parolacce, neppure tutte!” rise. “Senti, ho come l'impressione che tu stia congelando là dentro. Mi sbaglio?”
No, non si sbagliava: stavo decisamente andando in ipotermia. E la cosa che mi fece provare ancora più freddo, fu il rendermi conto che lei se ne stava lì, in piedi nella tormenta, indossando dei semplici jeans e una canottiera nera, sotto una camicia a scacchi rossa e nera.
“Ma che caz-... Ahm... ma non hai freddo?!” esclamai.
Si guardò brevemente. “Dovrei?”
“Mah... vedi te”, borbottai.
“Ascolta, non puoi restare lì. Ti do un passaggio verso la cittadina in cui abito e domani potrai proseguire il tuo viaggio.” Il suo lungo braccio penetrò all'interno e la sua mano si fermò a pochi centimetri da me. “Ti aiuto ad uscire.”
Non sapevo com'ero arrivata lì, non sapevo nulla di quella donna, non conoscevo le sue intenzioni né le mie... rimasi immobile a fissare le sue lunghe dita. Mi sorprese il fatto che avesse le unghie corte; non so esattamente perché, ma mi concentrai su quel dettaglio.
“Guarda che fra poco calerà la notte e la neve diventerà ghiaccio, di conseguenza rimarremo bloccate entrambe qui per chissà quanto.”
Il suo ragionamento non lasciava adito a dubbi, ma io continuai a guardarle la mano, incapace di afferrarla.
“Va bene. Io comincio a prendere la tua roba.” Si sporse all'interno ed afferrò la valigia nera. “Poi quando sei pronta mi raggiungi, okay?”
Okay un corno...! Era stata davvero gentile, era molto bella e tutto, è vero, ma io che cavolo ne sapevo di chi fosse! Li guardavo i telegiornali, ah se li guardavo!
“No. Ferma, ferma...” Afferrai una delle rotelle della valigia. “Non ti conosco...” protestai, poco convinta riguardo la scelta delle mie parole.
Lasciò la presa sulla maniglia e io mi ritrovai un po' schiacciata dal peso del bagaglio.
“Va bene. Manderò qualcuno a recuperare il tuo corpo appena cesserà la tempesta”, la sentii dire, mente si allontanava.
Merda, merda e merda!
“Aspetta, okay! Scusami, vengo con te!” uggiolai.
Qualche secondo e vidi il suo viso riapparire al di sopra della valigia, mi guadagnai anche un “good girl”. Prese la mia borsa e la tirò fuori.
“Nessuno passa mai di qua”, iniziò, sporgendosi di nuovo a recuperare un'altra valigia, questa volta più piccola e bianca. “E' una strada fantasma. Non riesco proprio a capire come tu abbia fatto.”
Eh, ottima domanda... è quello che vorrei tanto sapere anche io.
Strisciai leggermente verso il fantasma della mia portiera e la sentii dire: “Suv, aprì bagagliaio.”
“Hey...” Scesi dalla macchina, completamente in balia della tormenta. “La tua IA funziona!” urlai, cercando di respirare nonostante le raffiche mi mozzassero il fiato.
“Cosa certa”, replicò, caricando i due bagagli sul retro dell'enorme Suv nero. “La tua intelligenza artificiale ti ha mollata?” s'informò. Effettivamente non le avevo ancora detto il perché fossi ferma nel nulla siderale.
“Decisamente...” risposi, voltandomi per dare le spalle al vento. Come diavolo faceva a non avere freddo? E davvero lei era la mia unica possibilità? Ovviamente sapevo che rimanendo in macchina sarei morta congelata, ma sul serio nessun bus passava da quelle parti? Decisi di chiederglielo.
Si voltò verso di me e mi guardò in un modo che contribuì a gelarmi il sangue nei polsi.
“Pensi sia una psicopatica o qualcosa del genere?” Incrociò la braccia al petto. “Non so come funzioni in Italia, ma da queste parti, quando qualcuno ti soccorre, si usa dire grazie”, mi sgridò.
Ecco, l'ho offesa... Bella mossa, Vittoria! Se è davvero una squilibrata, ora le possibilità che voglia ucciderti sono esponenzialmente aumentate.
“Mi dispiace, sono diffidente di natura...” Abbassai gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo. “Grazie per l'aiuto...” aggiunsi poi.
“Non fa niente”, replicò, più dolce. “Prendi il resto delle tue cose e sali sul Suv, io spingerò la macchina verso il bordo, in modo che non intralci il traffico.”
Il traffico? Ma se lei stessa mi aveva appena detto che quella era una strada fantasma... forse lo faceva per sé stessa, ma si definiva 'traffico'? Forse si trattava di un'incomprensione linguistica; sì, decisi che non aveva importanza, o meglio: non volevo farla incazzare.
“Ti aiuto a spingere...” Mi avvicinai alla mia povera Lancia, ma lei mi si mise davanti. “Non ce n'è bisogno. Sono una donna forte, e tu stai congelando.”
Già, tremendamente alta, forte e... immune al gelo? Che altro?
Indietreggiai lievemente. “Okay... ahm, si chiama Suv?” chiesi, indicando col pollice il suo enorme mezzo nero: avevo notato che era sprovvisto di maniglie.
Mise entrambe le mani sul tettuccio della mia lancia, ma prima di cominciare a spingere disse: “Sì, ma non eseguirà un ordine ricevuto da una voce diversa dalla mia.”
E allora perché mi dici di salire?!
“Scusami, non ci avevo pensato...” aggiunse.
Devo fare qualcosa per la mia ira... meno male che non l'ho detto ad alta voce! Comunque, quella mi era nuova: certo, serve una password per aprire/far partire le auto, altrimenti chiunque potrebbe rubarle, ma il riconoscimento vocale a quel livello era una vera novità per me.
“Suv, apri portiera anteriore passeggero e attiva riscaldamento”, dettò, per poi concentrarsi sulla mia macchinina e la sicurezza del traffico.
Ci fu un rumore metallico e la portiera scattò, aprendosi leggermente.
“Ti ringrazio...”
Sbirciai ancora un attimo dentro la Lancia per assicurarmi di non aver dimenticato nulla e raggiunsi il Suv.

Lo spazioso abitacolo divenne immediatamente caldo; quasi persi i sensi, tanto ero confortata dalla sensazione.
La voce della donna, resa ovattata dalle pareti del mezzo, mi raggiunse appena.

“Suv, apri portiera sinistra anteriore e chiudi bagagliaio.”
Mi stupì il fatto che nessuna voce rispondesse alla donna; inizialmente pensavo di non averla udita perché mi trovavo all'esterno, ma poi capii che non c'era e basta.
“Come mai non ti risponde?” chiesi, quando lei mi si sedette accanto, al posto di guida.
“Le parole delle IA sono vuote. Suv deve solo eseguire gli ordini ricevuti. Se voglio qualche informazione, glielo domando esplicitamente”, mi rispose guardandomi, come sempre, dritta negli occhi.
“Ca-capisco...” annuii, senza sapere esattamente cosa quelle parole mi avessero trasmesso, bé, non calma o sicurezza di certo!
“Suv, avvia motore. Destinazione: casa”, ordinò.
Poi, mentre il mezzo partiva senza che lei facesse null'altro, si sporse verso di me e, allungando la mano, si presentò: “ Robin, comunque.”
Gliela strinsi, rendendomi immediatamente conto di quanto fosse calda, nonostante fosse appena emersa da una tempesta.
“Vittoria...” mormorai.
Davvero, che diavolo stavo facendo?
“Victoria?” mi chiese, senza lasciare la presa attorno alla mia mano.
“Ahm, quasi... Vittoria: senza 'c' e con la doppia 't'”, spiegai.
“Ora ho capito, Vittoria!” esclamò, pronunciando correttamente il mio nome, ma in un modo che mi diede comunque i brividi.
“Allora, come mai ti trovi così lontano da casa?” chiese, percorsi pochi metri.
Decisi che ogni ulteriore resistenza sarebbe stata inutile e probabilmente controproducente.
“Sono alla ricerca di me stessa... e sono venuta in Canada per scrivere un romanzo. Ho affittato una piccola baita poco lontano da Toronto: pensavo di rimanerci per tutto l'inverno”, illustrai, evitando il suo sguardo curioso.
“Oh, sto viaggiando con una scrittrice! E com'è che ti sei portata così poca roba?” domandò, puntando il pollice all'indietro, verso il bagagliaio.
Mossi il peso sul sedile alla ricerca di una posizione più confortevole, ma non la trovai: il problema non era il morbido sedile, ero io.
“Non sono una scrittrice, invero... non ho ancora pubblicato dei libri, solo qualche saggio o articolo su piccoli giornali locali.” Mi schiarii la gola, e continuai parlando questa volta della pochezza che avevo appresso: “Sono una minimalista. Nella valigia nera c'è qualche vestito. Posso sempre fare un po' di shopping qui, no...? E in quella bianca ho una vecchia Olivetti.” Mi schiarii la voce un'altra volta per nascondere il disagio. “E tu, insomma, cosa fai nella vita?”
Sorrise in un modo assolutamente magnetico e inquietante. “Me la godo, è tanto breve.”
Ridacchiai, non trovando un commento idoneo.
“Quanti anni hai, Vittoria?” s'informò, graffiando con la corta unghia dell'indice una piccola macchia del parabrezza. “Il tuo viso sembra appartenere a qualcuno molto giovane, ma la tua voce tradisce qualcosa”, concluse.
“Ahm... ho ventisei anni. Fra tre mesi ventisette. Posso chiederti la stessa cosa?” dissi, concentrandomi a mia volta sulla macchiolina che, per inciso, penso fosse all'esterno.
Anche lei doveva essersi resa conto che non avrebbe potuto nulla, perché ritrasse la mano e si voltò a guardarmi.
“Anche tu compirai gli anni a febbraio!” esclamò gioviale. “Comunque, ho ventotto anni, ventinove a febbraio”, sorrise, facendomi l'occhiolino.
“Forte... Ahm, ho l'età che immaginavi?” chiesi poi, cercando di non soccombere al disagio.
“No, per niente.” Poi aggiunse: “Non ti offendere, per favore, ma pensavo che tu avessi al massimo vent'anni.”
Guardai fuori dal finestrino e facendo gesto plateale delle mani, sbottai: “Come sono sorpresa!”
I suoi occhi si socchiusero mentre rideva, ma continuai a vedere le pupille, che erano fisse nelle mie...
“Ti capita spesso.”
“Eh già”, annuii, continuando a guardare fuori. Il paesaggio stava mutando velocemente, trasformando le praterie in foreste fitte, il che non faceva che aumentare l'oscurità della notte ormai imminente.
“Hey, ahm...” Mi schiarii la gola. “Come si chiama la città in cui abiti?” volli sapere, dopo vari minuti in cui, probabilmente, ero solo io ad essere imbarazzata.
“Darktown”, mi rispose senza guardarmi.
Mi misi a ridere: città oscura? Ma dai!
“Per quale motivo stai ridendo?”
Ora che il fitto bosco gettava differenti ombre sul suo volto, esso mi parve severo e inquietante, forse omicida.
“Oh, cazzo!” esalai. “Sei seria...! Ascolta, mi dispiace! Pensavo fosse una battuta.” Ora ero certa che mi avrebbe pugnalata.
“Una battuta...” sussurrò. Vidi il riflesso del suo viso nel finestrino: il lato nascosto della sua bocca era leggermente piegato all'insù. Improvvisamente sentii che avevo finalmente ragione ad avere paura di lei: in un attimo era passata da una cordialità esagerata ad un silenzio che vestita uno strano ghigno.
“Mi... mi dispiace! E' solo che non l'ho mai sentito nominare.” Avevo la sensazione di respirare con sempre più fatica.
Infine si voltò verso di me, e forse avrei preferito che non l'avesse fatto: il sorriso era ricomparso, ma non riusciva a perdere quella nota malata che, forse -spero-, la mia immaginazione le conferiva.
“Conosci tutti i nomi della città canadesi?”
Mi leccai le labbra secche e deglutii. “Manco, probabilmente, la metà di quelle italiane”, confessai. “Sono tantissime...” mugugnai, a mo' di giustificazione.
Rise e guardò avanti.
Istintivamente gettai lo sguardo alla portiera, considerando il fatto che se si fosse presentata l'occasione e se la macchina avesse rallentato a sufficienza, mi sarei anche potuta gettare fuori dal Suv. Trattenni il fiato quando notai che non v'era alcuna traccia della possibilità di aprire la macchina dall'interno, non dal mio lato, almeno.
Ero in trappola.
“Non ti offendere, Vittoria.” La sua voce mi fece sussultare. “Ma penso che tu ti stia comportando in modo strano. Devo forse temere per la mia vita?”
Davvero iconico... adoro!
Mi voltai lentamente verso di lei; verso i suoi occhi, che ora sembravano più scuri della notte ormai calata.
“Cosa?” annaspai.
“Sto solo chiedendo.” Alzò le mani e continuò a guardarmi. “Sto cercando di aiutarti e tu, grottesco, ti comporti come se ti stessi portando in mezzo al bosco per sacrificarti.”
Un lamento sfuggi dalle mie labbra.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” La sua voce era bassa e morbida ora.
Non esplicitamente...
“No, certo che no, scusami. Mi sto comportando da vera maleducata”, risposi, un poco pentita per il trattamento che le stavo riservando. Giusto un poco, però, eh!
Rivolse di nuovo l'attenzione all'esterno.
“Tutto okay”, mormorò, senza troppa convinzione.
Doveva pensare che fossi strana duro... se solo avesse saputo quanto strana lei, appariva a me. Dannatamente bella e sexy, per carità, ma strana...

Il Suv illuminava il bianco percorso con le sue luci altrettanto fredde, nessuna di noi due sentì il bisogno di comunicare con l'altra; il viaggio proseguì dunque tranquillo e silente.

   
 
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