Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: _Lightning_    20/08/2020    5 recensioni
Dopo aver lasciato Nevarro, Din Djarin ha ormai poche certezze: è ancora un Mandaloriano, deve trovare il pianeta natale del Bambino, e i compagni sfuggiti al massacro di Gideon sono vivi, da qualche parte nella Galassia. Quest'ultima è più una speranza, e lui non ha idea di come si viva di speranza. Soprattutto quando tutte le altre certezze, quelle che ha sempre custodito tra cuore e beskar, sembrano sgretolarsi con ogni passo che compie.
Non tutti i suoi fantasmi sono marciati via.
Dall'ultimo capitolo: Il Moff lo conosceva – sapeva il suo nome, da dove veniva, chi fosse la sua famiglia.
Anche Din lo conosceva. Ricordava il suo nome sussurrato di elmo in elmo come quello di un demone durante le serate attorno al fuoco della sala comune, l’unica luce che potessero concedersi in quegli anni di persecuzione. Ricordava il Mandaloriano mutilato e con la corazza deforme che narrava singhiozzando della Notte delle Mille Lacrime, quando interi squadroni d’assalto erano stati vaporizzati a Keldabe dalle truppe imperiali.

[The Mandalorian // Missing Moments // Avventura&Azione // Din&Grogu // Post-S1 alternativo]
Genere: Avventura, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin, Jango e Boba Fett, Yoda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
•••
 

•••
 
 

Episodio 3
LA SPIA

Parte I


 

Bas’an shev’la: l’addio silenzioso. 
È così che siamo sopravvissuti, guerra dopo guerra, disfatta dopo disfatta.
Non importa quante volte ci divideranno: i Figli di Mandalore torneranno sempre a marciare sulla loro Via.”

— Bes, Armaiola della Tribù di Nevarro,
ai sopravvissuti alla Notte delle Mille Lacrime


 

 

La discrezione è la chiave per la sopravvivenza... quasi la sentiva, la voce compassata di Bes nelle orecchie, di solito accompagnata dall’immediato sbuffo ironico di Ruu in risposta. Nonostante il timore reverenziale che provava per l’Armaiola, nel corso degli anni aveva imparato ben presto a unirsi a Ruu, almeno mentalmente: essere discreti era facile a dirsi, nelle catacombe di Nevarro, ma diventava mera utopia quando faceva il suo ingresso in una qualsiasi cantina in qualsiasi angolo sperduto della Galassia con una beskar’gam completa addosso. 

La reazione standard era quasi sempre la stessa: il chiacchiericcio scemava e dozzine di teste di varia forma, colore e dimensione si voltavano verso di lui, accompagnate da occhi altrettanto diversificati che coprivano uno spettro emotivo che andava dalla sorpresa, alla diffidenza, al disgusto, all’ammirazione, creando una tremolante bolla di stasi ad accompagnare la sua comparsa. Nel peggiore dei casi, agli sguardi si aggiungeva l’occasionale colpo di blaster, se aveva la sfortuna di capitare in un locale con qualcuno a caccia di beskar “facile” e abbastanza incosciente da sfidare un Mandaloriano per appropriarsene. L’Orlo Esterno era sempre pieno di disperati.

Il Sale Fiorito non sembrava affatto quel tipo di locale, a giudicare dalle decorazioni dozzinali, ninnoli e suppellettili sgargianti che lo ravvivavano, gridando il benvenuto a chi entrava: miriadi di fili di perline variopinte pendevano dalle travi del soffitto, conchiglie marine e fossili tappezzavano i muri, fialette di sale multicolore disposte in ordine cromatico rallegravano le mensole dietro al bancone, inframezzando le bottiglie di alcolici. L’aria era persino respirabile, priva di qualsivoglia sentore di spezia. Era intaccata solo dalla perenne nota salmastra che permeava la città e dall’odore stuzzicante di quello che sembrava pesce fritto. 

Ad attutire l’atmosfera briosa e distesa, su una delle colonne portanti in legno troneggiava il teschio oblungo e munito di rostro di una creatura che non riconobbe, decorato con complessi e intricati motivi geometrici intarsiati nell’osso. Le enormi orbite vuote e ovoidali scrutavano i clienti del locale, per lo più lavoratori delle saline con un giorno libero per via della mareggiata, riconoscibili dagli aloni bianchi di sale sulle tute impermeabili, o minatori di salgemma infagottati in robuste tenute da lavoro. Tutti erano impegnati in fitte ma pacate conversazioni davanti a un bicchiere d’alcol.

A prescindere dalle apparenze tendenzialmente accoglienti, Din registrò con qualche istante di ritardo un particolare che mise subito in allarme il suo sesto senso, ancora reattivo dopo il presunto pedinamento di poco prima: la mancata reazione che si aspettava. Poche, sparute teste si voltarono verso di lui, quasi nessuno lo fissò per più di un battito di ciglia, e l’emozione collettiva sembrò virare su un’incuriosita sorpresa, invece di assumere tinte più diffidenti. Stentava a ricordare l’ultima volta che aveva suscitato così poco scalpore. Vi riusciva persino quando metteva piede nella cantina di Gyra, dove gli avventori erano ormai abituati alla sua presenza o a quella di altri membri della Tribù – e sentì il cuore arricciarsi attorno a un battito.

Quella della corazza e dell’elmo in beskar era una vista familiare, realizzò, sentendo quell’increspatura accentuarsi fino ad accartocciargli le arterie. Dovevano aver visto altri Mandaloriani, e abitualmente. La possibilità, la remota, eppure auspicabile possibilità che qualche sopravvissuto della Tribù fosse capitato e rimasto proprio su Awath gli si parò davanti, imponendogli di essere presa in considerazione a dispetto di tutte le incognite e incertezze che implicava. 

Dopo più di un mese, si concesse di guardare fuggevolmente nella direzione in cui erano scomparsi i suoi compagni, dissipando il muro d’ombra che aveva interposto tra se stesso e loro. Si era impedito persino di pensarne i nomi, o di ricordarli nelle sue parole serali nel timore di condannarli. Era stato più semplice pensare che fossero semplicemente marciati via, piuttosto che immaginarli uccisi dagli Imperiali su Nevarro, o caduti vittima di qualche cacciatore di taglie, contrabbandiere di beskar o schiavista zygerriano. Non si era mai permesso di considerarli vivi. Ma, in fin dei conti, erano anche loro Mandaloriani. Dei guerrieri attaccati alla vita quanto lo era lui, e altrettanto in grado di ricostruirla da capo, pezzo per pezzo, ovunque fossero.

Ba’slan shev’la, gli sovvenne alla mente. Il tacito addio. Un’espressione mormorata, dal timbro conosciuto e rassicurante. Ruu ne parlava spesso, di quella tattica: sparpagliarsi dopo una sconfitta, per poi essere pronti a riunirsi come un sol uomo al momento opportuno. Era già successo alle Tribù dopo la Battaglia di Mandalore, gli aveva raccontato, e non servivano pianificazione né grandi preparativi; solo la naturale inclinazione di ogni Mandaloriano a riunirsi col proprio gruppo o clan, a cercarsi da un capo della Galassia all’altro come magneti per ricomporre ranghi e famiglie.

Per la frazione di secondo in cui quei pensieri presero forma oltre il beskar della visiera, facendogli tirare le labbra a trattenere la speranza, divenne semplice credere che fossero vivi e a pochi passi da lui, intenti a seguire delle linee guida millenarie che avevano permesso al loro popolo di sopravvivere fino ad allora. Le stesse che aveva diligentemente seguito lui finora, girovagando di sistema in sistema e di pianeta in pianeta per depistare i nemici e trovare al contempo tracce amiche. E continuò a fare lo stesso anche ora, solo con più determinazione, sin dal successivo passo che compì nella Cantina: le priorità slittarono repentinamente di posizione, pungolandolo per indagare e ritrovare qualunque labile scia che potesse ricongiungerlo ai suoi compagni. Alla sua casa e famiglia, che aveva perso fin troppe volte – e che però aveva sempre ritrovato.

Fu costretto ad ammettere di non essere del tutto lucido, e di non esserlo basandosi su quello che era poco più di un sospetto corroborato da indizi fin troppo labili – e non si agiva a testa bassa sull’orma di un sospetto infondato, si rammentò a fatica. Soprattutto, non poteva allontanarsi incautamente dalla sicura zona d’ombra che aveva creato attorno a sé e al Bambino, neanche per seguire la Via. 

D’un tratto, le parole di Cara al riguardo gli sembrarono ancor più sensate, messo di fronte alla prospettiva di dover tracciare quella Via per qualcun altro, oltre che per se stesso. Non poteva più affermare che fosse una sola, adesso, anche se avrebbe già dovuto capirlo e impararlo anni prima, quando si era diramata inaspettatamente dinanzi a lui, lasciandolo indietro. Il pensiero dava adito a confronti su cui non era certo di volersi soffermare, né ora, né mai, e che riaprivano un vuoto fin troppo pesante e colmo di rimpianti, annidato nel metallo stesso della sua beskar’gam. Respirò a fondo, chiudendo in fondo alla corazza quei pensieri, e tornò al presente.

Si avvicinò al barman, un umano stempiato che gli restituì uno sguardo a occhi stretti, come cercando di scrutare oltre la T del visore. Lo accolse in modo neutrale e Din trattenne qualunque domanda o commento, limitandosi a ordinare del cibo a portar via e a chiedere dove fosse l’oloschermo con le taglie disponibili. Gli fu consegnato invece un olopad leggermente incrinato: ringraziò sollevandolo appena e lasciò qualche credito extra di mancia sul bancone, selezionando poi a colpo d’occhio un tavolino all’angolo della sala, da dove avrebbe avuto una buona visuale su entrambi gli ingressi, oltre che su una discreta porzione di vetrata. Forza dell’abitudine, in parte, ora incrementata dal suo particolare interesse per chiunque avrebbe varcato la soglia della Cantina.

Si accomodò in attesa sul sedile in legno, accogliendo di buon grado il tepore dell’ambiente dopo il gelo umido della città costiera, e puntellò l’Amban contro lo schienale della panca, pronto ad essere imbracciato alla prima avvisaglia di pericolo, così come il blaster. Rifiutò con un cenno la birra bluastra offertagli dal cameriere, ignorando la gola secca, e prese a scorrere a capo chino le schermate del registro taglie awathiano. Si concentrò solo marginalmente sui contratti che si susseguivano sullo schermo e tenne sotto stretto controllo la visuale periferica dell’elmo. Trasferì un paio di incarichi interessanti sul proprio datapad da polso, ma la sua mente era altrove, febbricitante di ipotesi e tenue fiducia retta da un filo sottile quanto quello di un ragno da spezia.

Era scivolato in quello stato di soffusa allerta che lo avvolgeva durante gli appostamenti, all’interno del quale tutti i suoi sensi si affinavano, pronti a scattare come vibrolame e a impartire al suo corpo le istruzioni per reagire a qualunque turbamento nell’ambiente che lo circondava. Ma quella condizione familiare era inframezzata da interferenze moleste, che lo distraevano a colpi di pensieri. 

Vivi, gli si rimescolava in testa, dietro ai caratteri sfocati in Aurebesh e oltre il brusio alticcio dei presenti, forse sono vivi; ed era pericoloso pensare, lasciarsi andare – credere, illudendosi, di poter percepire i propri compagni attraverso l’impercettibile fremito che propagavano nel manda con la loro essenza – e forse quello era in realtà il Bambino che tentava di raggiungerlo, per chiamarlo e avvertirlo...

Il senso di pericolo imminente lo soverchiò con un rombo improvviso, come non accadeva ormai da anni – da quel giorno su Alzoc III – e si trovò ad avvinghiare il palmo sul calcio del blaster nell’istante stesso in cui udì lo scampanellio della porta d’ingresso che si apriva.

Alzò il capo ed ebbe un sussulto interno quando si trovò a fissare la sagoma inconfondibile e familiare di un buy’ce con un visore a T. Il vuoto di sollievo che lo avvolse si frantumò nell’istante successivo, liquefacendogli lo stomaco nel mettere a fuoco per intero la massiccia sagoma che aveva appena varcato la soglia: non una beskar’gam, ma una corazza in katarn bianco opaco, e la T che restituiva il suo sguardo era anomala, deforme, di un freddo azzurrino che gli perforò i polmoni con una stilla acuminata di gelo. Mille spie e sirene d’allarme presero a lampeggiare e gridare nella sua testa, come il quadro comandi della Crest in avaria.

Un Imperiale.

La reazione si innescò in automatico, incontrollabile, frutto di anni di fughe, terrore e scontri: sfoderò il blaster, mirò alla testa e fece fuoco.

 
 


 

Note: 
– Ba’slan shev’la (lett. "silent departure" in originale, io l’ho resa un po’ più liberamente): la tattica in questione viene citata sia nella serie Republic Commando, sia in fumetti/opere dell’ex-EU. La dinamica esatta di come e perché la Tribù l’abbia adottata verrà adeguatamente spiegato in seguito.
– Alzoc III viene citato nell’Episodio 6 della serie; sembra che Din sia stato lì coinvolto in qualche fattaccio di cui non si conoscono i dettagli (se non che lui "ha fatto ciò che doveva fare"), e ho quindi rielaborato una mia versione personale. Sono comunque abbastanza convinta che c’entrino degli Imperiali, di qui i pensieri di Din nel capitolo.

 

Note dell'Autrice:

Carissimi Lettori, rieccomi!
Perdonati i mancati aggiornamenti, ma questa era la mia settimana di stacco e relax e quindi ho lasciato tutte le storie a cuocere nel loro brodo (e l'assenza d'internet tra i monti non ha aiutato) :')
Quindi eccoci qua, con un altro finale cliffhanger perché... perché no? In realtà avrei potuto scrivere un unico capitolo un po' più lungo, lo ammetto... ma ciò che avverrà subito dopo è cruciale e volevo mantenere l'attenzione sui dettagli giusti ;) Per ora, godetevi un po' di PoV Mando.

Si accettano scommesse su chi sia il solito "signorino", ma vi avverto che ho fatto un bel mash-up tra canon, fanon e headcanon altri ne abbiamo?, quindi spero si riveli una sorpresa. Qualcuno, nelle recensioni allo scorso capitolo, mi ha detto che vedere apparire il simbolo dell'Impero come separatore dei PoV è stato inaspettato, e di questo sono contenta... ma occhio, che quello non è lo stemma dell'Impero ;) (lo sottolineo qui nel caso abbia tratto in inganno altri). La pianto di dilungarmi e vi lascio in attesa del prossimo capitolo, che spero possa arrivare con più puntualità <3

Grazie di cuore alla mia Guascosa
Miryel per supportare la storia e per la grafica bellissima che trovate qui, a Old Fashioned, LadyOfMischief e AMYpond88 per aver letto e commentato assiduamente gli scorsi capitoli e un grazie particolare a leila91
 per averli recuperati tutti in un sol fiato o quasi <3
A prestissimo,

-Light-


 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: _Lightning_