Capitolo
13- Buon viso a cattivo gioco
Rin
pregava con le mani giunte, lo sguardo basso e inginocchiata sul freddo
pavimento. Aveva acceso un bastoncino di incenso.
Quando
ebbe finito alzò lo sguardo e vide la foto di nonna Kaede
sorriderle, o almeno
era questo che le piaceva pensare.
Erano
passati quasi due anni dalla sua scomparsa, ma abituarsi non era
facile. Subito
dopo lo scioglimento della compagnia, sua nonna aveva avuto un altro
attacco.
Anche
in quell’occasione, l’intervento del suo ammiratore
si era palesato quasi
subito: Kaede era stata ricoverata in una clinica dove avrebbero
provveduto
alle cure necessarie.
Solo
che quella volta l’attacco era stato più forte del
solito e la donna sapeva
dentro di sé che non sarebbe sopravvissuta. Non disse nulla
alla nipote per non
gettarla nello sconforto, ma parlò con Midoriko, chiedendole
di potersi
prendere cura di Rin al momento della sua dipartita.
-Ti
chiedo di
proteggerla, come hai fatto anche prima- le disse Kaede quel giorno,
stringendole la mano supplichevole.
L’altra
annuì.
Passò
più di un mese ricoverata e i medici, dopo un po’,
ritennero necessario
informare la nipote delle condizioni fisiche della nonna.
Rin
non aveva preso bene la notizia ma dopo poco dovette arrendersi
all’evidenza.
Cercava di passare ogni momento possibile con lei per renderle le
sofferenze
più leggere.
Durante
uno di questi pomeriggi, quando Rin se ne andò per lasciare
Kaede riposare,
fece il suo ingresso nella stanza Sesshomaru. Sapeva che Rin se
n’era andata.
Kaede,
leggermente affaticata, si girò verso quella figura
silenziosa e sorrise
appena.
-E
così la storia si ripete- disse sorridendo.
Lo
youkai non capì.
Kaede
riprese:- Non ti sei ancora risvegliato, ma con il tempo capirai. Anche
prima
sei stato tu il protettore di Rin-
-Lei
che cosa sa?-
-Quando
ti ho rivisto, ho come avuto un flash e la mia mente stanca si
è risvegliata.
Ho capito subito che eri tu il famoso ammiratore di Rin. In passato sei
stato
tu quello ad andartene prima, ma stavolta non è
così: ero vecchia allora e lo
sono ancora adesso. Prenditi cura di Rin e abbi pazienza come ne hai
avuta
tanto tempo fa, quando lei crescerà le cose cambieranno.
È ancora troppo piccola
per capire- disse Kaede ansimando leggermente per la fatica.
Sesshomaru
si era avvicinato al letto della paziente, sempre silenzioso ma attento
a tutte
le parole che erano state pronunciate, desideroso di capirne il senso,
ma
invano.
-Non
riesci a capirmi, eh? Non ti preoccupare, col tempo tutto
tornerà al proprio
posto. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi finora-
sentenziò Kaede,
prima di chiudere gli occhi per potersi riposare.
Non
aveva intenzione di continuare il discorso con Sesshomaru, era presto
anche per
lui cercare di capire.
E
infatti il demone si girò e se ne andò. Il viso
corrugato in un’espressione di
confusione più totale.
Quelle
parole sibilline decise di seppellirle in un angolo della mente: non
erano
nient’altro che le parole di una povera vecchia in preda ad
un delirio nel letto
d’ospedale. Pensava questo mentre il suono delle sue scarpe
era l’unico che si
udiva in tutto il corridoio della struttura ospedaliera.
Sesshomaru
avanzava con le mani in tasca, sicuro e veloce. Le sopracciglia erano
leggermente corrucciate e formavano una piccola ruga sulla fronte
pallida. Le
parole della vecchia lo avevano turbato.
Sciocchezze! Urlò una voce nella
sua
testa.
Sono solo sciocchezze da
umani.
Eppure
come poteva sapere che era lui l’ammiratore di Rin?
Difficile
da credere, ma proprio come aveva detto Kaede, qualcosa nella sua mente
si era
risvegliato. La sua mente stanca, così l’aveva
definita, si era scrollata il
torpore del sonno di dosso poco prima della sua dipartita. Nemmeno lei
sarebbe
stata in grado di spiegare come fosse avvenuto quel miracolo, ma
tornarono a
galla sprazzi di vita che non aveva vissuto, almeno non in
quell’epoca.
Se
aveva affidato sua nipote alla caparbia maestra Midoriko, fu
perché Kaede
sapeva che lei era “sveglia” da molto prima di lei.
Le
donne lo sapevano, ne erano consapevoli, talmente tanto da non sentire
nemmeno
il bisogno di dirselo.
Pochi
giorni dopo le condizioni dell’anziana si aggravarono e Rin
ebbe il permesso di
poter stare accanto a lei giorno e notte.
-Rin,
bambina mia… vieni qui- la supplicò Kaede,
facendole cenno con la mano. Sentiva
che la fine era vicina e aveva ancora delle cose da dire.
La
ragazzina si avvicinò a lei con il volto rigato dalle
lacrime. Si sedette sulla
sedia accanto al letto e le strinse la mano.
-Dimmi,
nonna- singhiozzò tra le lacrime.
-Quando
non ci sarò più, ci sarà Midoriko a
prendersi cura di te. Io e lei abbiamo
sistemato ogni cosa. Mi dispiace tanto, avrei voluto
proteggerti…-
-Ma
cosa dici, nonna? Tu mi hai sempre protetta- la interruppe Rin, vittima
dei
singulti.
La
nonna scosse la testa:- Non è vero, ho pensato che fare
determinate scelte fossero
le soluzioni migliori per te, ma ora mi rendo conto che non
è così-
A
quelle parole Rin la guardò perplessa. Aveva paura che la
nonna stesse
delirando.
Le
prese la mano, stringendola forte. La donna le sorrise debolmente.
-Rin,
sei ancora così giovane, hai una vita davanti-
continuò mentre le carezzava i
capelli corvini- Mi auguro che crescendo tu possa imparare, diventare
ogni
giorno una persona migliore. Avrei voluto essere un esempio migliore
per te-
-Ma
cosa dici, nonna? Sei stata l’esempio migliore che potessi
avere- rispose
subito la ragazzina.
Kaede
sorrise di nuovo, stavolta amaramente. Avrebbe voluto dire a Rin tante
cose,
cose che la nipote ignorava.
Rin
poggiò la testa sul petto della nonna e le due rimasero
così per un po’. Ormai
le parole erano superflue e le due avevano bisogno l’una
dell’altra
silenziosamente.
La
ragazzina ricordava di quando era piccola: le notti insonni per paura
dei
mostri che la nonna puntualmente “scacciava” per
aiutarla ad addormentarsi; i
bento pronti per le lunghe giornate scolastiche; le storie mitiche del
Giappone.
Tutte
immagini che passavano in rassegna nella sua testa, come un film in
bianco e
nero. Una calda lacrima le rigò la guancia, ma lei fece di
tutto per non farsi
notare da Kaede, perché non voleva farsi vedere con il viso
paonazzo per colpa
del pianto disperato, che, sapeva, sarebbe arrivato dopo.
Perse
la cognizione del tempo, poi all’improvviso sentì
il petto della nonna
immobile.
Si
girò, i lineamenti del viso contratti in una smorfia di
terrore.
Terrore
di quello che sarebbe accaduto dopo, terrore di dover affrontare la
vita senza
di lei, il terrore della consapevolezza di essere, ormai, completamente
da
sola.
-No…nonna?-
soffiò debolmente, allungando una mano verso il viso rugoso
della donna.
Ma
la risposta non arrivò.
E
lì Rin si sentì sola al mondo.
I
ricordi di quello che avvenne immediatamente dopo erano un agglomerato
di
immagini sfocate nella memoria di Rin.
Ma
ricordava perfettamente quando quella notte si ritrovò nella
sua nuova stanza,
a casa di Midoriko, avvolta nelle lenzuola e in un mare di lacrime
silenziose.
Piangeva ininterrottamente e quella sera non si era presentata a
tavola.
Midoriko non le disse nulla e non insistette quando vide che Rin
proprio non ce
la faceva a sforzarsi.
Le
lacrime avevano inondato il cuscino e sentiva che anche alcune ciocche
dei suoi
capelli ormai erano bagnate.
Sdraiata
su un fianco, con le spalle rivolte verso la porta, Rin
sentì un cigolio e una
lama di luce illuminò il mobilio davanti a lei.
Non
si voltò, ma riconobbe il suono sordo di due piedi nudi sul
pavimento.
Kagome,
che non era riuscita a prendere sonno, si avvicinò al letto
e si immerse sotto
le lenzuola.
Con
delicatezza avvicinò il viso alla schiena di Rin e con le
braccia la strinse in
un abbraccio silenzioso.
Al
tocco delle mani della sua amica, Rin esplose in singulti rumorosi,
come se
finalmente stesse tirando fuori tutto il dolore che covava dentro da
settimane.
Dentro
di sé aveva avuto quella sensazione d’ingiustizia,
ma l’aveva ignorata perché,
quando Kaede era ancora ricoverata, sperava in un miracolo.
Kagome
la strinse ancora di più.
Poi
le sussurrò:- Mi dispiace…-
-Oh
Kagome, è come se non avessi più delle radici!-
disse lei con la voce rotta per
lo sforzo.
-Lo
so…- fu la laconica risposta.
E
le ragazze si addormentarono così, vicine e cullate
l’una dalla vicinanza
dell’altra.
Con
il passare del tempo Rin riuscì pian piano ad abituarsi alla
sua nuova casa.
Oltre
alla morte di Kaede dovette far fronte a tante cose: prima di tutto la
vendita
della piccola casa nella quale aveva vissuto e il trasloco; poi ci fu
lo
scioglimento della compagnia e quello fu un altro duro colpo da
digerire.
Hakudoshi
ormai aveva palesato a tutti il suo tradimento, entrando a far parte
della
scuderia di attori della società di Naraku.
Fu
Shippo a mostrare a tutti gli altri la foto sul giornale. Miroku lesse
l’articolo silenziosamente, Ayame invece si lasciò
andare ad una serie di
imprecazioni e minacce di morte che però il diretto
interessato non avrebbe mai
sentito, Jakotsu invece si lanciò in un teatrino drammatico
solo per avere la
scusa per abbracciare Inu-Yasha mentre Kohaku aveva la faccia contrita
dalla
rabbia.
Rin
se ne accorse e gli posò una mano sulla spalla per cercare
di risollevargli il
morale.
-Avrei
dovuto picchiarlo quella sera- ruggì il ragazzo.
La
notizia peggiore, però, arrivò una settimana dopo.
E quelal volta fu Kanna a tradire. Sempre sul giornale apparve un
articolo che
celebrava il nuovo acquisto della società Onigumo. Sembrava
proprio che Kanna
fosse destinata a diventare la punta di diamante delle future
produzioni
cinematografiche e televisive, oltre che a quelle teatrali.
Rin,
nonostante fosse palese l’allontanamento tra le due, in cuor
suo sentì un altro
dolore farsi strada: il dolore della delusione.
Kanna
era andata al funerale di sua nonna, ma l’abbraccio che le
aveva riservato era
freddo e distante, una manifestazione d’affetto ma obbligata
dalla buona
creanza.
Vedere
l’amica come un’estranea era
un’esperienza sgradevole e Rin avrebbe voluto
capire cosa avesse incrinato il rapporto tra di loro.
Quel
giorno il suo ammiratore le fece recapitare un mazzo di garofani
bianchi per
darle conforto in quel momento così buio. Rin si
sentì talmente grata che, per
un attimo, la solitudine scomparve dal suo cuore.
I
fiori per lungo tempo troneggiarono sul davanzale della finestra della
sua
nuova camera e, quando venne il momento di cambiarli, estrasse dal vaso
un
singolo fiore, che ebbe cura di pressare e di sigillarlo in due fogli
trasparenti ricavandone un segnalibro che iniziò a portare
sempre con sé.
Era
seduta sulla sedia della scrivania, di fronte alla finestra, e
contemplava
l’ennesimo mazzo di fiori che le era stato recapitato dopo
una piccola
performance teatrale di Rin: una parte piccola in una programmazione
estiva di
un modesto teatro di Tokyo.
Indossava
un vestito di lino leggero color rosa, un regalo del suo ammiratore.
Con
la mano che sorreggeva il mento, Rin giocava con il dito con i petali
bianchi,
assorta nei pensieri.
“Vedere che prende il
suo lavoro con tanta serietà, mi fa solo piacere. Continui
ad esercitarsi e a
cimentarsi in qualsiasi ruolo le daranno, vedrà che le
tornerà utile.
La sua perfomance è
stata, come sempre, impeccabile.
Ricordi, non esistono
parti piccole ma solo piccoli attori.
Con affetto,
il suo
ammiratore”
Il
continuo bussare di qualcuno, fece ridestare Rin dai suoi pensieri.
Si
voltò e vide i grandi occhi di Kagome.
-Sì?-
-Rin,
sta arrivando Kikyo- le annunciò l’amica, con la
voce leggermente disperata.
Alzò
gli occhi al cielo: da quando era diventata membro permanente della
casa di Midoriko,
Kikyo pure aveva deciso di prendere residenza fissa. Rin ringraziava
sempre il
cielo che le sue visite si limitavano al periodo estivo.
Kikyo
faceva avanti e indietro da Londra, i motivi rimanevano oscuri a Rin.
Con
lei la ragazza si era dimostrata cordiale, ma nulla di più:
le sue parole
rimanevano vuote, i suoi sorrisi freddi, i suoi gesti cordiali troppo
posati.
E
poi doveva ammettere che essere amica di Kagome non aiutava affatto: da
quando
si era iscritta al suo stesso liceo, passavano quasi tutto il tempo
della
giornata insieme, con il resto della compagnia Sengoku.
Scavallò
le gambe, si lisciò il vestito e, cercando di incoraggiare
Kagome
silenziosamente, scesero insieme, pronte ad accogliere la nuova
inquilina.
Rin
poteva sentire l’agitazione dell’amica: Kagome non
sopportava molto la presenza
della sorella, si sentiva come oscurata sempre e comunque.
L’eterna
seconda.
E
pensare che un tempo Rin aveva invidiato tutti i suoi amici con
fratelli o
sorelle, ma si rese conto che non tutto era rose e fiori.
Quello
che faceva più male a Kagome era la vicinanza che Kikyo
aveva instaurato con
Inu-Yasha, una vicinanza che lei non sopportava e che invidiava, in
cuor suo.
Per lei, che era presente ogni singolo giorno nella vita del mezzo
demone, era
inconcepibile che Kikyo potesse portarle via anche quello con delle
sporadiche
presenze.
-Passerà,
vedrai che passerà in fretta- le sussurrò Rin
all’orecchio, mentre scendevano
l’ultimo gradino.
Kagome
si voltò verso l’amica e la guardò
teneramente e con una carica di gratitudine
mai provata prima.
Poi
insieme si voltarono verso la porta, alleate nell’accoglienza
forzata di Kikyo.
***
-COSA???-
urlò per la seconda volta Ayame, rischiando di rompere i
timpani della povera
Sango.
Kagome
annuì sconsolata, guardando in basso, più
precisamente la punta dei suoi piedi,
che, nonostante fossero laccati di rosso, non riusciva a trovare belli.
Con
una mano sulla bocca, come ad impedire alla bocca di aprirsi e sparare
cavolate
a vanvera, Rin si maledisse di aver detto a Kagome quelle parole in
fondo alle
scale.
Era
come una grande beffa del destino.
La
prossima volta sarebbe stata zitta.
-Ayame,
mannaggia a te, la vuoi smettere di sbraitare nel mio orecchio?- si
lamentò
Sango.
Erano
tutte seduta sull’erba a godersi la fine
dell’estate nipponica. Quella era una
riunione d’emergenza, così l’aveva
chiamata Rin quando aveva preso
l’iniziativa.
-Hai
capito, Ayame: mia sorella ha intenzione di trasferirsi in Giappone. Dang it!- ringhiò Kagome
chiudendo le
mani a pugno sul ventre.
Rin
ricordava ancora lo sgomento della sua amica alla notizia. Kikyo aveva
pensato
bene di dirlo senza nessun preavviso, come se fosse una cosa naturale.
Kagome
er rimasta talmente sconvolta che aveva fatto cadere il cucchiaio nel
piatto,
schizzando tutti i vestiti che aveva addosso. A quel gesto era seguito
un
commento ironico di Kikyo.
-Non
pensavo ti saresti emozionata così, sorellina-
In
quel momento, Rin si chiese se fosse possibile odiare una persona
così tanto.
Poi pensò che per quello lei odiava già tanto
Sesshomaru No Taisho, e si
ricredette, però Kikyo si stava impegnando a fondo per
prendere il suo posto.
La
voglia di prenderla a schiaffi era fortissima, ma fece un respiro
profondo.
La
cosa che la sconvolse di più, fu la reazione affettuosa di
Midoriko, anche se
ragionandoci su, Rin capì che lei dopotutto era pur sempre
la zia e non ne
sapeva niente della faida tra le due sorelle. Considerando anche il
fatto che
non aveva avuto figli, avere le sue nipoti sotto lo stesso tetto, la
riempiva di
una gioia smisurata.
-Pensavo
che tua sorella avesse una vita soddisfacente in Inghilterra- disse
stavolta
Sango, avvolgendole le spalle con il braccio in una sorta di abbraccio
consolatorio.
Kagome
sospirò:- A quanto pare no. Le è venuto in mente
di seguire le orme della
sorellina e di riscoprire le sue origini giapponesi. Ha anche aggiunto
che
questo l’aiuterà nella sua carriera di scrittrice
per poter parlare di un nuovo
lato di sé...-
-Un
po’ pretenziosa…- continuò Sango.
-... e che,
non essendo ancora così famosa in Giappone come scrittrice
potrà avere una vita normale-
-…
e decisamente sicura di sé!- finì sempre Sango.
Ayame
stavolta non disse nulla, anzi, non urlò nulla. Si
unì anche lei nell’abbraccio
di Sango, seguita anche da Rin.
-Vedrai
che non le daremo vita facile a scuola- la rassicurò Ayame,
riuscendo a
strappare un sorriso a Kagome, che le ringraziò con un largo
sorriso.
Passarono
ancora un po’ di tempo insieme, poi sia Sango che Ayame
tornarono a casa, poiché
l’ora di cena si avvicinava inesorabile.
-Vai
pure avanti, Rin. Io resterò ancora un po’ qui, ho
bisogno di stare da sola-
disse Kagome.
L’amica
annuì e la salutò, dicendo che si sarebbero viste
più tardi a casa.
La
città era avvolta da una luce color salmone che a poco a
poco virava sul viola.
“Ho
sempre amato questi
segno demoniaci”
Rin
fu costretta a fermarsi e si portò una mano sulla fronte.
Ancora una volta quel
lampo e il flash di una frase che non aveva mai detto.
Quelli
che erano degli episodi sporadici, si stavano trasformando in
appuntamenti
quotidiani e non riusciva a spiegarsi il motivo.
Anche
nei suoi sogni viveva emozioni così forti, così
intense da sembrare reali.
Riprese
la marcia, preferendo concedersi una lunga passeggiata rilassante al
posto dei
mezzi pubblici. Non le capitava spesso di avere del tempo per perdersi
dentro
ai meandri della città.
Nonostante
l’estate stesse per finire, Rin non si sentiva malinconica.
L’arrivo
dell’autunno avrebbe significato una nuova stagione teatrale
e lei non stava
più nella pelle.
Purtroppo
la compagnia si era sciolta da un po’ di tempo, ma lei aveva
continuato ad
esercitarsi, aveva preso parte al club di teatro della scuola e cercava
di non
saltare nemmeno un provino per cimentarsi in quante più
parti possibili.
Da
un po’ di tempo a questa parte, Miroku aveva avanzato
l’ipotesi di rimettere in
piedi la compagnia e provare a dare altri spettacoli.
Rin,
ovviamente, aveva accolto la cosa in maniera entusiasta e cercava di
convincere
gli altri a seguirla.
Sicuramente
non avrebbero potuto contare sull’appoggio di una scuola, ma
provando e
riprovando sarebbero riusciti a farsi notare da qualcuno.
Ad
un tratto Rin si fermò di fronte ad un cartellone
pubblicitario: il volto di
Kanna troneggiava su una pubblicità di cosmetici. Da quando
era entrata alla
Onigumo, aveva intrapreso anche una carriera da modella.
La
cosa non sorprese Rin, in fin dei conti Kanna reincarnava
l’ideale di bellezza
giapponese, con la pelle chiarissima e gli occhi scuri. Inoltre
crescendo avevo
sviluppato un fisico alto e longilineo.
Istintivamente
portò lo sguardo al suo di fisico: niente di chè,
ma di certo non un fisico
scolpito da modella. Il massimo dello sport che si concedeva era
correre da un
posto all’altro, da un provino all’altro.
Una
sensazione di sconforto la pervase: Kanna stava riuscendo dove lei
faticava ad
andare avanti.
Adorava
l’idea di diventare un’attrice, ma in certi momenti
si chiedeva se ci sarebbe
mai risciuta. Aveva paura di passare la vita ad arrancare,
accontentandosi di
ruoli minori.
Per
certe persone la vita era davvero facile.
Non
è giusto, pensò con una punta d’invidia.
Una
lacrima le scese lungo le guance.
-Rin-
Una
voce granitica l’aveva chiamata. La ragazza si
asciugò la lacrima il più
velocemente possibile e poi si voltò infastidita: aveva
riconosciuto la voce.
-Non
mi sembra di averle dato il permesso di chiamarmi per nome… Sesshomaru-sama!- sentenziò
lei, ponendo
particolare enfasi sul suffisso onorifico con cui si rivolgeva al
demone.
Ed
eccolo lì, in tutta la sua imponenza.
Solo
dopo Rin si rese conto che si era sì fermata davanti al
cartellone
pubblicitario, ma anche di fronte al grattacielo che ospitava gli
uffici della
famiglia No Taisho.
Della serie le
disgrazie
non arrivano mai da sole,
pensò lei.
Sesshomaru,
dal canto suo e anche se non voleva darlo a vedere, si sentì
felice di
rivederla: da quando la compagnia si era sciolta le occasioni per avere
un confronto
faccia a faccia si erano ridotte.
Capitava
che la vedesse di fronte casa sua, data la sua amicizia con Inu-Yasha,
ma lei
manteneva il suo solito atteggiamento distaccato e infastidito.
Soprattutto il
fastidio che provava nei suoi confronti lo enfatizzava fino a renderlo
quasi
caricaturale.
Era
buffa quando faceva così.
Ovviamente
c’erano state anche le occasioni in cui lui si era recato ai
suoi spettacoli
teatrali, ma quelle volte prenotava sempre un posto in ultima fila, per
non
farsi vedere da lei e non far saltare la sua copertura.
Dopo
quel Tanabata di due anni, l’aveva osservata crescere ed ora
vedeva una ragazza
di sedici anni, per certo aspetti ancora bambina, ma che lentamente si
sarebbe
trasformata in una donna.
Si
voltò anche lui verso il cartello.
-Naraku
la sta spremendo fino all’ultima goccia- constatò,
provando quasi
dispiacere per quella ragazza sotto le grinfie di
quell’essere.
-Lo
sa bene, lei, dal momento che siete così amici-
-Assolutamente
no. Non ho niente a che fare con quel mezzo demone- rispose lui,
piccato. Ed
era vero: dal 7 di luglio di due anni fa i rapporti tra i due giovani
rampolli
si erano interrotti, per volontà di Sesshomaru.
Avrebbe
vinto la sua partita onestamente e contando solo sulle sue forze.
-Stai
tornando a casa?- domandò lui.
-Non
credo che questi siano affari suoi- disse lei.
-Permetti
che ti dia un passaggio, farà buio tra poco-
continuò Sesshomaru come se lei
non avesse detto niente.
-No,
grazie. Mi piace camminare- e si rimise in marcia.
Sesshomaru
la osservò mentre si allontanava, i lunghi capelli corvini
che oscillavano al
ritmo della sua andatura.
-Vada
pure, tornerò a piedi- annunciò
all’autista. Poi raggiunse la ragazza in un
batter d’occhio.
Rin,
quando vide lo youkai di fianco a lei, quasi non urlò dallo
spavento.
-Ma
è pazzo? Vuole farmi prendere un colpo?-
“Sei
così veloce e
silenzioso che non so mai dove ti troverò”
-È
venuta voglia anche a me di camminare- disse non curante lui.
La
ragazza lo guardò diffidente. La stava prendendo in giro?
-Le
nostre case non distano molto l’una dall’altra-
annunciò Sesshomaru come se le
avesse letto nel pensiero e la superò continuando a
camminare.
Fu
la volta di Rin vederlo avanzare con i capelli argentei lungo la sua
figura.
“Aspettatemi,
Sesshomaru-sama”
Corse
più veloce che potè.
Si
ritrovarono fianco a fianco. Rimasero per qualche minuto in silenzio,
interrotti solo dal rumore dei tacchetti dei sandali di Rin sul
marciapiede. I
lampioni iniziavano ad accendersi, segno che la sera era calata sulla
città.
-Come
sta?- chiese poi la ragazza, per interrompere il silenzio.
Sesshomaru
aggrottò un sopracciglio, certo del fatto che lei non
potesse vederlo in volto.
-Non
pensavo avessi a cuore il mio stato d’animo-
-Infatti
non mi sta a cuore, sto solo cercando di essere educata!-
ribattè subito lei.
In
fondo non era stata una cattiva idea rimandare l’autista a
casa da solo.
-Lavoro
molto- rispose.
-Non
è una risposta- protestò Rin.
-E
tu?- chiese subito Sesshomaru, cogliendola di sorpresa.
Rin
rimase sorpresa, poi rispose:- Bene, credo… a scuola me la
cavo, anche se forse
dovrei applicarmi di più in matematica. Dalla signora
Midoriko sto bene, ho i
miei spazi. Mi ha chiesto più volte di darle del tu ma io
non ci riesco, la
stimo troppo per prendermi certe confidenze-
Sembrava
un fiume in piena e dentro di sé Sesshomaru fu sollevato nel
vederla parlare.
Non la conosceva così bene, ma sapeva che parlare le piaceva
e dal momento che
lui non era un asso in quell’arte, lasciava a lei tutto lo
spazio di cui avesse
bisogno.
-E
il teatro? Reciti ancora?- azzardò lui, facendo finta di non
sapere nulla. In
realtà la seguiva da lontano, sapeva tutto quello che aveva
fatto.
Più
volte avrebbe voluto darle una mano, ma sapeva che lei non avrebbe
accettato.
Inoltre era consapevole del fatto che lei doveva crescere da sola,
farsi le
ossa.
Essere
sempre protetta non avrebbe portato nulla di positivo nella sua vita.
In
fondo era fiero di vederla muoversi in autonomia, seppur a volte in
maniera goffa,
dovuta alla scarsa esperienza del mondo, ma almeno era un tipetto che
si dava
da fare.
-Certo,
anche se non è facile- ammise lei, abbassando la testa
leggermente.
-Se
riuscissi a firmare un contratto con qualche società, ti si
aprirebbero molte
più possibilità-
Rin
si voltò di lato, guardandolo attentamente.
-Guarda
la tua amica: da quando ha firmato un contratto con la
società di Naraku,
lavora molto, è conosciuta-
-Cosa
sta cercando di dirmi? Di firmare un contratto con la Onigumo?- lo
interruppe
Rin piantandosi al centro del marciapiede.
Anche
Sesshomaru si fermò e lentamente di voltò verso
di lei.
La
guardò. Le braccia lungo il corpo, i vestiti estivi
leggermente stropicciati e
gli occhi bloccati in un moto di confusione.
Si
prese tutta la calma del mondo per risponderle.
Tirò
un lungo sospiro e poi disse:- Le sto offrendo un contratto con la mia
società-
Rin
ebbe come l’impressione di trovarsi in una realtà
alternativa.
-Scusi?
Mi prende in giro?-
-Hai
sentito benissimo. Midoriko ha molta considerazione di te ed io la
stimo.
Pensaci bene, se fossi sotto contratto con la mia società
potresti farti
conoscere, partecipare a spettacoli importanti e festival. Inoltre
riceverai
anche uno stipendio. Non desideri affrancarti un giorno dalla signora
Midoriko?- continuò lo youkai avanzando verso di lei.
Rin
sollevò la testa per guardarlo bene. Le iridi ambrate dentro
le sue, lo sguardo
fisso e serio. Decisamente non la stava prendendo in giro.
-Ma…
ma io la odio! Come può chiedermi di lavorare per lei, dopo
che ha fatto
fallire la scuola della mia sensei?- chiese furente Rin, mentre sentiva
la rabbia
crescerle inesorabile.
Sesshomaru
lì per lì non disse nulla, allungò una
mano artigliata e le prese il mento tra
le mani.
-Io
con quella storia non c’entro niente, sei libera di credere
quello che vuoi. Ma
lascia che ti dica una cosa: se vuoi andare avanti, non saranno poche
le
occasioni in cui dovrai fare buon viso a cattivo gioco. Mi odi? Bene,
ma non
metterti da sola i bastoni tra le ruote. Ti sto offrendo una grande
opportunità,
per te e la tua carriera-
Aveva
pronunciato quelle parole con un tono più duro del solito,
come se fosse una
sorta di rimprovero.
Rin
si ritrovò spiazzata da quelle parole, quasi si vergognava
di essere apparsa
così infantile agli occhi di lui. Sapeva che aveva ragione,
eppure una parte di
lei faticava ad accettare quel ragionamento.
Sesshomaru
la lasciò, si voltò veloce, le prese la mano e
continuò a cammianre verso casa.
Stavolta nessuno parlò più.
Rin
si scoprì ad arrossire a quel contatto con la mano
artigliata di lui.
Una
parte della sua memoria le proiettò un flash.
La mano si era
posata
sulla sua guancia.
“Sesshomaru-sama”
“Ora stai bene”
Un sorriso.
Non
si accorse nemmeno quando fu di fronte al cancello della casa di
Midoriko.
Un
po’ imbarazzata, ringraziò il demone per averla
scortata fino a lì.
Lui,
di tutta risposta, tirò fuori dal taschino della giacca un
cartoncino color
crema e glielo allungò.
-La
No Taisho a breve inizierà le riprese di un film, terremo a
giorni i provini.
Pensa a quello che ti ho detto- disse mentre lei afferrava quel piccolo
pezzo
di cellulosa.
-Lo
farò- promise.
Sesshomaru
si voltò e proseguì il suo cammino. Mentre si
allontanava ad entrambi risuonarono
nella testa parole lontane.
“Torna
presto,
Sesshomaru-sama”
Il
vento soffiò leggero e Rin vide un mare d’argento
incresparsi e sparire
nell’oscurità della sera.
***
Buonasera a voi, miei
cari lettori.
Sono tornata e il capitolo è piuttosto lungo. Spero davvero
che vi sia piaciuto. devo ammettere che sono stata parecchio in crisi,
ma ora ho più chiara la story line, quindi state
tranquilli... aggiornerò il prima possibile.
Fatemi sapere che ne pensate!