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Autore: Sophie Ondine    23/08/2020    4 recensioni
Dal testo:
-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti l’una all’altro senza neanche accorgervene, non potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino a quando il vostro amore non troverà realizzazione. È questo il destino delle anime gemelle.-
***
Cosa succederebbe se due anime, separate nella vita precedente, si reincarnassero? Che cosa attira una semplice ragazzina con la passione per il teatro verso un gelido demone? Nonostante la Vita si diverta a metterli sempre l'uno contro l'altra, cosa farà il Destino?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13- Buon viso a cattivo gioco

 

Rin pregava con le mani giunte, lo sguardo basso e inginocchiata sul freddo pavimento. Aveva acceso un bastoncino di incenso.
Quando ebbe finito alzò lo sguardo e vide la foto di nonna Kaede sorriderle, o almeno era questo che le piaceva pensare.
Erano passati quasi due anni dalla sua scomparsa, ma abituarsi non era facile. Subito dopo lo scioglimento della compagnia, sua nonna aveva avuto un altro attacco.

Anche in quell’occasione, l’intervento del suo ammiratore si era palesato quasi subito: Kaede era stata ricoverata in una clinica dove avrebbero provveduto alle cure necessarie.
Solo che quella volta l’attacco era stato più forte del solito e la donna sapeva dentro di sé che non sarebbe sopravvissuta. Non disse nulla alla nipote per non gettarla nello sconforto, ma parlò con Midoriko, chiedendole di potersi prendere cura di Rin al momento della sua dipartita.

 -Ti chiedo di proteggerla, come hai fatto anche prima- le disse Kaede quel giorno, stringendole la mano supplichevole.

L’altra annuì.

Passò più di un mese ricoverata e i medici, dopo un po’, ritennero necessario informare la nipote delle condizioni fisiche della nonna.
Rin non aveva preso bene la notizia ma dopo poco dovette arrendersi all’evidenza. Cercava di passare ogni momento possibile con lei per renderle le sofferenze più leggere.
Durante uno di questi pomeriggi, quando Rin se ne andò per lasciare Kaede riposare, fece il suo ingresso nella stanza Sesshomaru. Sapeva che Rin se n’era andata.
Kaede, leggermente affaticata, si girò verso quella figura silenziosa e sorrise appena.

-E così la storia si ripete- disse sorridendo.

Lo youkai non capì.

Kaede riprese:- Non ti sei ancora risvegliato, ma con il tempo capirai. Anche prima sei stato tu il protettore di Rin-

-Lei che cosa sa?-
-Quando ti ho rivisto, ho come avuto un flash e la mia mente stanca si è risvegliata. Ho capito subito che eri tu il famoso ammiratore di Rin. In passato sei stato tu quello ad andartene prima, ma stavolta non è così: ero vecchia allora e lo sono ancora adesso. Prenditi cura di Rin e abbi pazienza come ne hai avuta tanto tempo fa, quando lei crescerà le cose cambieranno. È ancora troppo piccola per capire- disse Kaede ansimando leggermente per la fatica.

Sesshomaru si era avvicinato al letto della paziente, sempre silenzioso ma attento a tutte le parole che erano state pronunciate, desideroso di capirne il senso, ma invano.

-Non riesci a capirmi, eh? Non ti preoccupare, col tempo tutto tornerà al proprio posto. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi finora- sentenziò Kaede, prima di chiudere gli occhi per potersi riposare.
Non aveva intenzione di continuare il discorso con Sesshomaru, era presto anche per lui cercare di capire.
E infatti il demone si girò e se ne andò. Il viso corrugato in un’espressione di confusione più totale.
Quelle parole sibilline decise di seppellirle in un angolo della mente: non erano nient’altro che le parole di una povera vecchia in preda ad un delirio nel letto d’ospedale. Pensava questo mentre il suono delle sue scarpe era l’unico che si udiva in tutto il corridoio della struttura ospedaliera.
Sesshomaru avanzava con le mani in tasca, sicuro e veloce. Le sopracciglia erano leggermente corrucciate e formavano una piccola ruga sulla fronte pallida. Le parole della vecchia lo avevano turbato.

Sciocchezze! Urlò una voce nella sua testa.

Sono solo sciocchezze da umani.

Eppure come poteva sapere che era lui l’ammiratore di Rin?

Difficile da credere, ma proprio come aveva detto Kaede, qualcosa nella sua mente si era risvegliato. La sua mente stanca, così l’aveva definita, si era scrollata il torpore del sonno di dosso poco prima della sua dipartita. Nemmeno lei sarebbe stata in grado di spiegare come fosse avvenuto quel miracolo, ma tornarono a galla sprazzi di vita che non aveva vissuto, almeno non in quell’epoca.
Se aveva affidato sua nipote alla caparbia maestra Midoriko, fu perché Kaede sapeva che lei era “sveglia” da molto prima di lei.
Le donne lo sapevano, ne erano consapevoli, talmente tanto da non sentire nemmeno il bisogno di dirselo.

Pochi giorni dopo le condizioni dell’anziana si aggravarono e Rin ebbe il permesso di poter stare accanto a lei giorno e notte.

-Rin, bambina mia… vieni qui- la supplicò Kaede, facendole cenno con la mano. Sentiva che la fine era vicina e aveva ancora delle cose da dire.

La ragazzina si avvicinò a lei con il volto rigato dalle lacrime. Si sedette sulla sedia accanto al letto e le strinse la mano.

-Dimmi, nonna- singhiozzò tra le lacrime.

-Quando non ci sarò più, ci sarà Midoriko a prendersi cura di te. Io e lei abbiamo sistemato ogni cosa. Mi dispiace tanto, avrei voluto proteggerti…-

-Ma cosa dici, nonna? Tu mi hai sempre protetta- la interruppe Rin, vittima dei singulti.

La nonna scosse la testa:- Non è vero, ho pensato che fare determinate scelte fossero le soluzioni migliori per te, ma ora mi rendo conto che non è così-

A quelle parole Rin la guardò perplessa. Aveva paura che la nonna stesse delirando.
Le prese la mano, stringendola forte. La donna le sorrise debolmente.

-Rin, sei ancora così giovane, hai una vita davanti- continuò mentre le carezzava i capelli corvini- Mi auguro che crescendo tu possa imparare, diventare ogni giorno una persona migliore. Avrei voluto essere un esempio migliore per te-

-Ma cosa dici, nonna? Sei stata l’esempio migliore che potessi avere- rispose subito la ragazzina.

Kaede sorrise di nuovo, stavolta amaramente. Avrebbe voluto dire a Rin tante cose, cose che la nipote ignorava.
Rin poggiò la testa sul petto della nonna e le due rimasero così per un po’. Ormai le parole erano superflue e le due avevano bisogno l’una dell’altra silenziosamente.
La ragazzina ricordava di quando era piccola: le notti insonni per paura dei mostri che la nonna puntualmente “scacciava” per aiutarla ad addormentarsi; i bento pronti per le lunghe giornate scolastiche; le storie mitiche del Giappone.
Tutte immagini che passavano in rassegna nella sua testa, come un film in bianco e nero. Una calda lacrima le rigò la guancia, ma lei fece di tutto per non farsi notare da Kaede, perché non voleva farsi vedere con il viso paonazzo per colpa del pianto disperato, che, sapeva, sarebbe arrivato dopo.
Perse la cognizione del tempo, poi all’improvviso sentì il petto della nonna immobile.
Si girò, i lineamenti del viso contratti in una smorfia di terrore.
Terrore di quello che sarebbe accaduto dopo, terrore di dover affrontare la vita senza di lei, il terrore della consapevolezza di essere, ormai, completamente da sola.

-No…nonna?- soffiò debolmente, allungando una mano verso il viso rugoso della donna.

Ma la risposta non arrivò.

E lì Rin si sentì sola al mondo.

I ricordi di quello che avvenne immediatamente dopo erano un agglomerato di immagini sfocate nella memoria di Rin.
Ma ricordava perfettamente quando quella notte si ritrovò nella sua nuova stanza, a casa di Midoriko, avvolta nelle lenzuola e in un mare di lacrime silenziose. Piangeva ininterrottamente e quella sera non si era presentata a tavola. Midoriko non le disse nulla e non insistette quando vide che Rin proprio non ce la faceva a sforzarsi.

Le lacrime avevano inondato il cuscino e sentiva che anche alcune ciocche dei suoi capelli ormai erano bagnate.
Sdraiata su un fianco, con le spalle rivolte verso la porta, Rin sentì un cigolio e una lama di luce illuminò il mobilio davanti a lei.
Non si voltò, ma riconobbe il suono sordo di due piedi nudi sul pavimento.
Kagome, che non era riuscita a prendere sonno, si avvicinò al letto e si immerse sotto le lenzuola.
Con delicatezza avvicinò il viso alla schiena di Rin e con le braccia la strinse in un abbraccio silenzioso.
Al tocco delle mani della sua amica, Rin esplose in singulti rumorosi, come se finalmente stesse tirando fuori tutto il dolore che covava dentro da settimane.

Dentro di sé aveva avuto quella sensazione d’ingiustizia, ma l’aveva ignorata perché, quando Kaede era ancora ricoverata, sperava in un miracolo.

Kagome la strinse ancora di più.

Poi le sussurrò:- Mi dispiace…-

-Oh Kagome, è come se non avessi più delle radici!- disse lei con la voce rotta per lo sforzo.

-Lo so…- fu la laconica risposta.

E le ragazze si addormentarono così, vicine e cullate l’una dalla vicinanza dell’altra.
Con il passare del tempo Rin riuscì pian piano ad abituarsi alla sua nuova casa.
Oltre alla morte di Kaede dovette far fronte a tante cose: prima di tutto la vendita della piccola casa nella quale aveva vissuto e il trasloco; poi ci fu lo scioglimento della compagnia e quello fu un altro duro colpo da digerire.

Hakudoshi ormai aveva palesato a tutti il suo tradimento, entrando a far parte della scuderia di attori della società di Naraku.
Fu Shippo a mostrare a tutti gli altri la foto sul giornale. Miroku lesse l’articolo silenziosamente, Ayame invece si lasciò andare ad una serie di imprecazioni e minacce di morte che però il diretto interessato non avrebbe mai sentito, Jakotsu invece si lanciò in un teatrino drammatico solo per avere la scusa per abbracciare Inu-Yasha mentre Kohaku aveva la faccia contrita dalla rabbia.
Rin se ne accorse e gli posò una mano sulla spalla per cercare di risollevargli il morale.

-Avrei dovuto picchiarlo quella sera- ruggì il ragazzo.

La notizia peggiore, però, arrivò una settimana dopo.
E quelal volta fu Kanna a tradire. Sempre sul giornale apparve un articolo che celebrava il nuovo acquisto della società Onigumo. Sembrava proprio che Kanna fosse destinata a diventare la punta di diamante delle future produzioni cinematografiche e televisive, oltre che a quelle teatrali.

Rin, nonostante fosse palese l’allontanamento tra le due, in cuor suo sentì un altro dolore farsi strada: il dolore della delusione.
Kanna era andata al funerale di sua nonna, ma l’abbraccio che le aveva riservato era freddo e distante, una manifestazione d’affetto ma obbligata dalla buona creanza.
Vedere l’amica come un’estranea era un’esperienza sgradevole e Rin avrebbe voluto capire cosa avesse incrinato il rapporto tra di loro.
Quel giorno il suo ammiratore le fece recapitare un mazzo di garofani bianchi per darle conforto in quel momento così buio. Rin si sentì talmente grata che, per un attimo, la solitudine scomparve dal suo cuore.
I fiori per lungo tempo troneggiarono sul davanzale della finestra della sua nuova camera e, quando venne il momento di cambiarli, estrasse dal vaso un singolo fiore, che ebbe cura di pressare e di sigillarlo in due fogli trasparenti ricavandone un segnalibro che iniziò a portare sempre con sé.

Era seduta sulla sedia della scrivania, di fronte alla finestra, e contemplava l’ennesimo mazzo di fiori che le era stato recapitato dopo una piccola performance teatrale di Rin: una parte piccola in una programmazione estiva di un modesto teatro di Tokyo.

 Indossava un vestito di lino leggero color rosa, un regalo del suo ammiratore.

Con la mano che sorreggeva il mento, Rin giocava con il dito con i petali bianchi, assorta nei pensieri.

“Vedere che prende il suo lavoro con tanta serietà, mi fa solo piacere. Continui ad esercitarsi e a cimentarsi in qualsiasi ruolo le daranno, vedrà che le tornerà utile.
La sua perfomance è stata, come sempre, impeccabile.
Ricordi, non esistono parti piccole ma solo piccoli attori.

Con affetto,
il suo ammiratore”

 

Il continuo bussare di qualcuno, fece ridestare Rin dai suoi pensieri.

Si voltò e vide i grandi occhi di Kagome.

-Sì?-

-Rin, sta arrivando Kikyo- le annunciò l’amica, con la voce leggermente disperata.

Alzò gli occhi al cielo: da quando era diventata membro permanente della casa di Midoriko, Kikyo pure aveva deciso di prendere residenza fissa. Rin ringraziava sempre il cielo che le sue visite si limitavano al periodo estivo.
Kikyo faceva avanti e indietro da Londra, i motivi rimanevano oscuri a Rin.
Con lei la ragazza si era dimostrata cordiale, ma nulla di più: le sue parole rimanevano vuote, i suoi sorrisi freddi, i suoi gesti cordiali troppo posati.
E poi doveva ammettere che essere amica di Kagome non aiutava affatto: da quando si era iscritta al suo stesso liceo, passavano quasi tutto il tempo della giornata insieme, con il resto della compagnia Sengoku.

Scavallò le gambe, si lisciò il vestito e, cercando di incoraggiare Kagome silenziosamente, scesero insieme, pronte ad accogliere la nuova inquilina.

Rin poteva sentire l’agitazione dell’amica: Kagome non sopportava molto la presenza della sorella, si sentiva come oscurata sempre e comunque.
L’eterna seconda.
E pensare che un tempo Rin aveva invidiato tutti i suoi amici con fratelli o sorelle, ma si rese conto che non tutto era rose e fiori.

Quello che faceva più male a Kagome era la vicinanza che Kikyo aveva instaurato con Inu-Yasha, una vicinanza che lei non sopportava e che invidiava, in cuor suo. Per lei, che era presente ogni singolo giorno nella vita del mezzo demone, era inconcepibile che Kikyo potesse portarle via anche quello con delle sporadiche presenze.
-Passerà, vedrai che passerà in fretta- le sussurrò Rin all’orecchio, mentre scendevano l’ultimo gradino.
Kagome si voltò verso l’amica e la guardò teneramente e con una carica di gratitudine mai provata prima.
Poi insieme si voltarono verso la porta, alleate nell’accoglienza forzata di Kikyo. 

***

-COSA???- urlò per la seconda volta Ayame, rischiando di rompere i timpani della povera Sango.

Kagome annuì sconsolata, guardando in basso, più precisamente la punta dei suoi piedi, che, nonostante fossero laccati di rosso, non riusciva a trovare belli.
Con una mano sulla bocca, come ad impedire alla bocca di aprirsi e sparare cavolate a vanvera, Rin si maledisse di aver detto a Kagome quelle parole in fondo alle scale.
Era come una grande beffa del destino.
La prossima volta sarebbe stata zitta.

-Ayame, mannaggia a te, la vuoi smettere di sbraitare nel mio orecchio?- si lamentò Sango.

Erano tutte seduta sull’erba a godersi la fine dell’estate nipponica. Quella era una riunione d’emergenza, così l’aveva chiamata Rin quando aveva preso l’iniziativa.

-Hai capito, Ayame: mia sorella ha intenzione di trasferirsi in Giappone. Dang it!- ringhiò Kagome chiudendo le mani a pugno sul ventre.

Rin ricordava ancora lo sgomento della sua amica alla notizia. Kikyo aveva pensato bene di dirlo senza nessun preavviso, come se fosse una cosa naturale. Kagome er rimasta talmente sconvolta che aveva fatto cadere il cucchiaio nel piatto, schizzando tutti i vestiti che aveva addosso. A quel gesto era seguito un commento ironico di Kikyo.

-Non pensavo ti saresti emozionata così, sorellina-

In quel momento, Rin si chiese se fosse possibile odiare una persona così tanto. Poi pensò che per quello lei odiava già tanto Sesshomaru No Taisho, e si ricredette, però Kikyo si stava impegnando a fondo per prendere il suo posto.
La voglia di prenderla a schiaffi era fortissima, ma fece un respiro profondo.
La cosa che la sconvolse di più, fu la reazione affettuosa di Midoriko, anche se ragionandoci su, Rin capì che lei dopotutto era pur sempre la zia e non ne sapeva niente della faida tra le due sorelle. Considerando anche il fatto che non aveva avuto figli, avere le sue nipoti sotto lo stesso tetto, la riempiva di una gioia smisurata.

-Pensavo che tua sorella avesse una vita soddisfacente in Inghilterra- disse stavolta Sango, avvolgendole le spalle con il braccio in una sorta di abbraccio consolatorio.

Kagome sospirò:- A quanto pare no. Le è venuto in mente di seguire le orme della sorellina e di riscoprire le sue origini giapponesi. Ha anche aggiunto che questo l’aiuterà nella sua carriera di scrittrice per poter parlare di un nuovo lato di sé...-

-Un po’ pretenziosa…- continuò Sango.

-... e che, non essendo ancora così famosa in Giappone come scrittrice potrà avere una vita normale-

-… e decisamente sicura di sé!- finì sempre Sango.

Ayame stavolta non disse nulla, anzi, non urlò nulla. Si unì anche lei nell’abbraccio di Sango, seguita anche da Rin.

-Vedrai che non le daremo vita facile a scuola- la rassicurò Ayame, riuscendo a strappare un sorriso a Kagome, che le ringraziò con un largo sorriso.

Passarono ancora un po’ di tempo insieme, poi sia Sango che Ayame tornarono a casa, poiché l’ora di cena si avvicinava inesorabile.

-Vai pure avanti, Rin. Io resterò ancora un po’ qui, ho bisogno di stare da sola- disse Kagome.

L’amica annuì e la salutò, dicendo che si sarebbero viste più tardi a casa.

La città era avvolta da una luce color salmone che a poco a poco virava sul viola.

“Ho sempre amato questi segno demoniaci”

Rin fu costretta a fermarsi e si portò una mano sulla fronte. Ancora una volta quel lampo e il flash di una frase che non aveva mai detto.
Quelli che erano degli episodi sporadici, si stavano trasformando in appuntamenti quotidiani e non riusciva a spiegarsi il motivo.
Anche nei suoi sogni viveva emozioni così forti, così intense da sembrare reali.

Riprese la marcia, preferendo concedersi una lunga passeggiata rilassante al posto dei mezzi pubblici. Non le capitava spesso di avere del tempo per perdersi dentro ai meandri della città.
Nonostante l’estate stesse per finire, Rin non si sentiva malinconica. L’arrivo dell’autunno avrebbe significato una nuova stagione teatrale e lei non stava più nella pelle.
Purtroppo la compagnia si era sciolta da un po’ di tempo, ma lei aveva continuato ad esercitarsi, aveva preso parte al club di teatro della scuola e cercava di non saltare nemmeno un provino per cimentarsi in quante più parti possibili.
Da un po’ di tempo a questa parte, Miroku aveva avanzato l’ipotesi di rimettere in piedi la compagnia e provare a dare altri spettacoli.
Rin, ovviamente, aveva accolto la cosa in maniera entusiasta e cercava di convincere gli altri a seguirla.
Sicuramente non avrebbero potuto contare sull’appoggio di una scuola, ma provando e riprovando sarebbero riusciti a farsi notare da qualcuno.

Ad un tratto Rin si fermò di fronte ad un cartellone pubblicitario: il volto di Kanna troneggiava su una pubblicità di cosmetici. Da quando era entrata alla Onigumo, aveva intrapreso anche una carriera da modella.
La cosa non sorprese Rin, in fin dei conti Kanna reincarnava l’ideale di bellezza giapponese, con la pelle chiarissima e gli occhi scuri. Inoltre crescendo avevo sviluppato un fisico alto e longilineo.

Istintivamente portò lo sguardo al suo di fisico: niente di chè, ma di certo non un fisico scolpito da modella. Il massimo dello sport che si concedeva era correre da un posto all’altro, da un provino all’altro.
Una sensazione di sconforto la pervase: Kanna stava riuscendo dove lei faticava ad andare avanti.
Adorava l’idea di diventare un’attrice, ma in certi momenti si chiedeva se ci sarebbe mai risciuta. Aveva paura di passare la vita ad arrancare, accontentandosi di ruoli minori.
Per certe persone la vita era davvero facile.

Non è giusto, pensò con una punta d’invidia.

Una lacrima le scese lungo le guance.

-Rin-

Una voce granitica l’aveva chiamata. La ragazza si asciugò la lacrima il più velocemente possibile e poi si voltò infastidita: aveva riconosciuto la voce.

-Non mi sembra di averle dato il permesso di chiamarmi per nome… Sesshomaru-sama!- sentenziò lei, ponendo particolare enfasi sul suffisso onorifico con cui si rivolgeva al demone.

Ed eccolo lì, in tutta la sua imponenza.
Solo dopo Rin si rese conto che si era sì fermata davanti al cartellone pubblicitario, ma anche di fronte al grattacielo che ospitava gli uffici della famiglia No Taisho.

Della serie le disgrazie non arrivano mai da sole, pensò lei.

Sesshomaru, dal canto suo e anche se non voleva darlo a vedere, si sentì felice di rivederla: da quando la compagnia si era sciolta le occasioni per avere un confronto faccia a faccia si erano ridotte.
Capitava che la vedesse di fronte casa sua, data la sua amicizia con Inu-Yasha, ma lei manteneva il suo solito atteggiamento distaccato e infastidito. Soprattutto il fastidio che provava nei suoi confronti lo enfatizzava fino a renderlo quasi caricaturale.
Era buffa quando faceva così.
Ovviamente c’erano state anche le occasioni in cui lui si era recato ai suoi spettacoli teatrali, ma quelle volte prenotava sempre un posto in ultima fila, per non farsi vedere da lei e non far saltare la sua copertura.
Dopo quel Tanabata di due anni, l’aveva osservata crescere ed ora vedeva una ragazza di sedici anni, per certo aspetti ancora bambina, ma che lentamente si sarebbe trasformata in una donna.

Si voltò anche lui verso il cartello.

-Naraku la sta spremendo fino all’ultima goccia- constatò, provando quasi dispiacere per quella ragazza sotto le grinfie di quell’essere.

-Lo sa bene, lei, dal momento che siete così amici-

-Assolutamente no. Non ho niente a che fare con quel mezzo demone- rispose lui, piccato. Ed era vero: dal 7 di luglio di due anni fa i rapporti tra i due giovani rampolli si erano interrotti, per volontà di Sesshomaru.

Avrebbe vinto la sua partita onestamente e contando solo sulle sue forze.

-Stai tornando a casa?- domandò lui.

-Non credo che questi siano affari suoi- disse lei.

-Permetti che ti dia un passaggio, farà buio tra poco- continuò Sesshomaru come se lei non avesse detto niente.

-No, grazie. Mi piace camminare- e si rimise in marcia.

Sesshomaru la osservò mentre si allontanava, i lunghi capelli corvini che oscillavano al ritmo della sua andatura.

-Vada pure, tornerò a piedi- annunciò all’autista. Poi raggiunse la ragazza in un batter d’occhio.

Rin, quando vide lo youkai di fianco a lei, quasi non urlò dallo spavento.
-Ma è pazzo? Vuole farmi prendere un colpo?-

“Sei così veloce e silenzioso che non so mai dove ti troverò”

-È venuta voglia anche a me di camminare- disse non curante lui.

La ragazza lo guardò diffidente. La stava prendendo in giro?

-Le nostre case non distano molto l’una dall’altra- annunciò Sesshomaru come se le avesse letto nel pensiero e la superò continuando a camminare.

Fu la volta di Rin vederlo avanzare con i capelli argentei lungo la sua figura.

“Aspettatemi, Sesshomaru-sama”

Corse più veloce che potè.
Si ritrovarono fianco a fianco. Rimasero per qualche minuto in silenzio, interrotti solo dal rumore dei tacchetti dei sandali di Rin sul marciapiede. I lampioni iniziavano ad accendersi, segno che la sera era calata sulla città.

-Come sta?- chiese poi la ragazza, per interrompere il silenzio.

Sesshomaru aggrottò un sopracciglio, certo del fatto che lei non potesse vederlo in volto.

-Non pensavo avessi a cuore il mio stato d’animo-

 

-Infatti non mi sta a cuore, sto solo cercando di essere educata!- ribattè subito lei.

In fondo non era stata una cattiva idea rimandare l’autista a casa da solo.

-Lavoro molto- rispose.
-Non è una risposta- protestò Rin.
-E tu?- chiese subito Sesshomaru, cogliendola di sorpresa.

Rin rimase sorpresa, poi rispose:- Bene, credo… a scuola me la cavo, anche se forse dovrei applicarmi di più in matematica. Dalla signora Midoriko sto bene, ho i miei spazi. Mi ha chiesto più volte di darle del tu ma io non ci riesco, la stimo troppo per prendermi certe confidenze-
Sembrava un fiume in piena e dentro di sé Sesshomaru fu sollevato nel vederla parlare. Non la conosceva così bene, ma sapeva che parlare le piaceva e dal momento che lui non era un asso in quell’arte, lasciava a lei tutto lo spazio di cui avesse bisogno.
-E il teatro? Reciti ancora?- azzardò lui, facendo finta di non sapere nulla. In realtà la seguiva da lontano, sapeva tutto quello che aveva fatto.

Più volte avrebbe voluto darle una mano, ma sapeva che lei non avrebbe accettato. Inoltre era consapevole del fatto che lei doveva crescere da sola, farsi le ossa.
Essere sempre protetta non avrebbe portato nulla di positivo nella sua vita.
In fondo era fiero di vederla muoversi in autonomia, seppur a volte in maniera goffa, dovuta alla scarsa esperienza del mondo, ma almeno era un tipetto che si dava da fare.

-Certo, anche se non è facile- ammise lei, abbassando la testa leggermente.
-Se riuscissi a firmare un contratto con qualche società, ti si aprirebbero molte più possibilità-
Rin si voltò di lato, guardandolo attentamente.
-Guarda la tua amica: da quando ha firmato un contratto con la società di Naraku, lavora molto, è conosciuta-
-Cosa sta cercando di dirmi? Di firmare un contratto con la Onigumo?- lo interruppe Rin piantandosi al centro del marciapiede.

Anche Sesshomaru si fermò e lentamente di voltò verso di lei.
La guardò. Le braccia lungo il corpo, i vestiti estivi leggermente stropicciati e gli occhi bloccati in un moto di confusione.
Si prese tutta la calma del mondo per risponderle.
Tirò un lungo sospiro e poi disse:- Le sto offrendo un contratto con la mia società-
Rin ebbe come l’impressione di trovarsi in una realtà alternativa.

-Scusi? Mi prende in giro?-

-Hai sentito benissimo. Midoriko ha molta considerazione di te ed io la stimo. Pensaci bene, se fossi sotto contratto con la mia società potresti farti conoscere, partecipare a spettacoli importanti e festival. Inoltre riceverai anche uno stipendio. Non desideri affrancarti un giorno dalla signora Midoriko?- continuò lo youkai avanzando verso di lei.

Rin sollevò la testa per guardarlo bene. Le iridi ambrate dentro le sue, lo sguardo fisso e serio. Decisamente non la stava prendendo in giro.

-Ma… ma io la odio! Come può chiedermi di lavorare per lei, dopo che ha fatto fallire la scuola della mia sensei?- chiese furente Rin, mentre sentiva la rabbia crescerle inesorabile.

Sesshomaru lì per lì non disse nulla, allungò una mano artigliata e le prese il mento tra le mani.

-Io con quella storia non c’entro niente, sei libera di credere quello che vuoi. Ma lascia che ti dica una cosa: se vuoi andare avanti, non saranno poche le occasioni in cui dovrai fare buon viso a cattivo gioco. Mi odi? Bene, ma non metterti da sola i bastoni tra le ruote. Ti sto offrendo una grande opportunità, per te e la tua carriera-

Aveva pronunciato quelle parole con un tono più duro del solito, come se fosse una sorta di rimprovero.
Rin si ritrovò spiazzata da quelle parole, quasi si vergognava di essere apparsa così infantile agli occhi di lui. Sapeva che aveva ragione, eppure una parte di lei faticava ad accettare quel ragionamento.
Sesshomaru la lasciò, si voltò veloce, le prese la mano e continuò a cammianre verso casa. Stavolta nessuno parlò più.
Rin si scoprì ad arrossire a quel contatto con la mano artigliata di lui.

Una parte della sua memoria le proiettò un flash.

La mano si era posata sulla sua guancia.
“Sesshomaru-sama”
“Ora stai bene”
Un sorriso.

Non si accorse nemmeno quando fu di fronte al cancello della casa di Midoriko.
Un po’ imbarazzata, ringraziò il demone per averla scortata fino a lì.
Lui, di tutta risposta, tirò fuori dal taschino della giacca un cartoncino color crema e glielo allungò.

-La No Taisho a breve inizierà le riprese di un film, terremo a giorni i provini. Pensa a quello che ti ho detto- disse mentre lei afferrava quel piccolo pezzo di cellulosa.

-Lo farò- promise.

Sesshomaru si voltò e proseguì il suo cammino. Mentre si allontanava ad entrambi risuonarono nella testa parole lontane.

“Torna presto, Sesshomaru-sama”

Il vento soffiò leggero e Rin vide un mare d’argento incresparsi e sparire nell’oscurità della sera.

***

Buonasera a voi, miei cari lettori.
Sono tornata e il capitolo è piuttosto lungo. Spero davvero che vi sia piaciuto. devo ammettere che sono stata parecchio in crisi, ma ora ho più chiara la story line, quindi state tranquilli... aggiornerò il prima possibile.

Fatemi sapere che ne pensate!

 

 

 

 

 

  
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